GPII 1985 Insegnamenti - All'Associazione italiana per la sclerosi multipla - Città del Vaticano (Roma)

All'Associazione italiana per la sclerosi multipla - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nulla di intentato per sconfiggere questo grave male



1. Egregi signori della Federazione internazionale fra le Associazioni per la sclerosi multipla, e dell'omonima Associazione italiana, siate i benvenuti a questa speciale udienza.

Saluto tutti i membri della Federazione, provenienti da diverse nazioni e in particolare il vostro presidente signor Roddiger; come pure la presidente dell'Associazione italiana, professoressa Rita Levi Montalcini, membro della Pontificia accademia delle scienze, con il copresidente, dottor Giorgio Valente, i vicepresidenti e tutti gli associati.


2. Voi vi dedicate all'assistenza, alla ricerca e alla cura di una grave malattia, che incide molto anche sul piano sociale. Nelle udienze generali molto spesso mi incontro con persone colpite da tale tipo di sofferenza: un male che tocca per lo più individui giovani, nel pieno delle loro possibilità di realizzazione; una malattia progressiva, che mentre riduce le facoltà del corpo, produce ancora una graduale emarginazione dall'ambiente lavorativo, dalle relazioni sociali, talvolta anche dalla famiglia.

Ciò che vi addolora, ma che, ritengo, vi sprona nel vostro lavoro di ricerca, è il fatto che le cause del male sono ancora, o almeno in gran parte, ignote, e che perciò, anche sul piano terapeutico, le conoscenze non sono ancora sufficienti. Io desidero anzitutto dirvi che vorrei incoraggiare, se ce ne fosse bisogno, il vostro tenace impegno nell'arduo lavoro di ricerca concernente questo grave male. Vorrei dimostrarvi tutta la mia comprensione e solidarietà per lo stato d'animo che talvolta vi addolora allorché vi accostate impotenti a una sofferenza che pur sentite di dover lenire, a persone che si rivolgono a voi, alla prima percezione del male, traboccanti d'angoscia, desiderose di speranza, fiduciose nella vostra professionalità e sensibilità.

Che il Signore dia sostegno e fortunato esito a tutti i vostri impegni in questo campo.


3. In una maniera del tutto singolare il malato di sclerosi multipla richiama alla nostra considerazione l'immagine di Gesù crocifisso. La progressiva immobilità delle membra fa pensare alla dolorosa immagine di Gesù inchiodato sul legno, e richiama alla mente le parole di san Paolo: "Siamo tribolati da ogni parte... portando sempre e dappertutto nel corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti" (2Co 4,8-10).

Da questa considerazione, mi pare, emerge più complessa, ma sufficientemente chiara, la missione che, insieme con le cure fisiche, vi compete per il conforto del sofferente. Si tratterà di aiutare il malato a comprendere il valore di questa somiglianza e vicinanza con Gesù redentore.

Gesù Cristo, il quale "operando la redenzione mediante la sofferenza ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di redenzione" (cfr. "Salvifici Doloris", 19) sembra dire qui, con voce più chiara, che ogni uomo nel suo dolore può avere una sua parte nell'opera della redenzione. Se l'immagine del Crocifisso è presente anche nel cuore, oltre che nel corpo, proprio da Gesù verrà la mirabile potenza e la grazia del conforto. Il malato nella fede potrà dire, come l'apostolo, che "come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione" (2Co 1,5).

Vi auguro di poter infondere così nell'anima afflitta del paziente la preziosa forza della speranza. La croce, infatti, non è il punto di arrivo delle promesse del Signore. Proprio la Pasqua che stiamo celebrando ci dice che dalla croce, come dal seme sotterrato, nasce la gloria e che dall'ultimo grido di Gesù morente si annuncia il trionfo della vita nuova e liberata dal male.

Con la forza della fede in Cristo voi potrete aiutare ogni malato a superare il fatalismo, a non ridursi solo a piangere sulle facoltà perdute; potrete dimostrargli che tante cose sono possibili con la forza della volontà; potrete infondergli coraggio, avviandolo verso un'accettazione cosciente e serena delle sue condizioni, proponendogli, proprio in forza della testimonianza di Gesù, la ricerca di altri altissimi valori, per la società e per i fratelli.


4. Mentre vi auguro ogni buon successo nella vostra assidua ricerca, vorrei con sincera, amicizia dirvi ancora di non lasciarvi scoraggiare e di non venir meno di fronte a tentativi e sperimentazioni che sembrano deludervi; non lasciatevi vincere da difficoltà e incomprensioni, offrite sempre ai malati un dialogo rasserenante e fiducioso. Si tratta, molto spesso, di fratelli che hanno bisogno di un'effettiva vicinanza e sono talvolta più desiderosi di conforto spirituale che di qualsiasi altra cosa. Voi sapete quanto tali situazioni incidano profondamente su tutto il complesso della famiglia, non di rado sconvolta dalla situazione di crisi e dalle eccezionali condizioni di bisogno di cura, di assistenza che la coinvolgono. Nulla, in questi casi, dovrà rimanere intentato, di quanto è lecito e possibile, per trovare, insieme con l'affetto delle persone assistite, la solidarietà dei familiari, la partecipazione efficace delle strutture civili di assistenza alle vostre proposte, ampia disponibilità di volontariato perché siano superati i rischi della solitudine e dell'isolamento, dell'abbandono materiale e psicologico. La diuturna frequentazione dei vostri assistiti possa generare tra di voi una vera ed esemplare fraternità alimentata dalla carità cristiana.

Con questi voti, ben volentieri imparto a tutti voi la mia propiziatrice benedizione apostolica, che desidero estendere ai malati, ai vostri collaboratori, alle famiglie e alle persone care.

Data: 1985-04-13 Data estesa: Sabato 13 Aprile 1985


A senatori degli Stati Uniti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Far progredire la grande causa della solidarietà umana?

Signore e signori, cari amici.

Sono molto lieto che voi abbiate desiderato questo incontro con me durante la vostra visita in Europa. E' per me una felice occasione per rivolgervi il benvenuto in Vaticano e per offrirvi una parola di fraterno incoraggiamento e di amicizia. So che mi considerate un amico del popolo americano e sono lieto di essere considerato come tale.

Risulta in modo estremamente evidente dalla storia e da un'accurata lettura dei "segni dei tempi" che il popolo americano ha una speciale missione di servizio nel mondo. Dio ha abbondantemente benedetto i vostri antenati e la terra in cui si stabilirono; e non fa meraviglia che permetta a così numerosi popoli del mondo di trovare speranza in America. Quanti rifugiati e immigrati hanno trovato una nuova vita nella vostra terra! Sono certo che questa vostra visita in Europa è posta sotto il segno della solidarietà, una solidarietà che voi desiderate manifestare come rappresentanti del popolo americano, una solidarietà che trascende le vostre frontiere nazionali e si rivolge ai popoli di ogni Paese.

Sono certo che ogni giorno ponete a voi stessi queste domande: che cosa possiamo fare per essere al servizio del nostro popolo? E che cosa possiamo fare per permettere al nostro popolo di svolgere il suo ruolo di servizio al prossimo? In una parola: come possiamo far progredire la grande causa della solidarietà umana? Nella vostra attività, voi certamente vi trovate ad affrontare immensi problemi, necessità urgenti, situazioni critiche. Ma in tutto questo dovete continuare ad essere consapevoli della vostra missione di servizio e solidarietà.

E, certamente, in questo servizio e solidarietà c'è un grande arricchimento umano per il popolo americano che in questo modo viene confermato nelle sue tradizioni e rafforzato nella sua identità.

Ma, al fine di rendere un duraturo contributo di servizio, ai fine di promuovere l'autentica solidarietà dei popoli, l'America deve rimanere fedele a se stessa come "una nazione sotto Dio", realmente conscia - secondo l'espressione della vostra Dichiarazione di indipendenza - del "Dio della natura", del "Creatore", del "Giudice supremo", e della "protezione della divina Provvidenza".

Nella consapevolezza di questa dipendenza da Dio, l'America è allora in grado di sostenere la difesa di quei diritti che i vostri padri fondatori definirono rispettosamente come "vita, libertà e ricerca della felicità".

Come senatori degli Stati Uniti siete in una splendida posizione per offrire un contributo enorme alla difesa della vita, alla preservazione della libertà e al raggiungimento di un'autentica felicità umana per innumerevoli uomini, donne e bambini, milioni dei quali non sono ancora nati. E' mia preghiera che l'efficacia del vostro servizio sia ricordato dalle future generazioni negli annali della storia del Congresso degli Stati Uniti. E, attraverso di voi e i vostri colleghi legislatori, la causa della solidarietà umana possa progredire tra i popoli della terra.

Data: 1985-04-13 Data estesa: Sabato 13 Aprile 1985





Beatificazione delle suore Von Mallinckrodt e Troiani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una vera testimonianza di amore come nei primi cristiani

"Abbiamo contemplato o Dio, le meraviglie del tuo amore!".


1. E' questo il grido di giubilo, che la liturgia pone oggi sulle nostre labbra dinanzi all'opera grandiosa, che il Padre celeste ha compiuto per noi nel suo Figlio diletto, glorificandolo mediante la risurrezione dalla morte! In questi giorni di gioia pasquale abbiamo rivissuto nei segni liturgici e sacramentali la passione-morte-risurrezione del nostro Redentore. Con i fedeli di ogni parte della terra abbiamo proclamato la verità che sta al cuore del cristianesimo: Gesù di Nazaret è risorto per non più morire! Egli vive col Padre e prega incessantemente per la sua Chiesa (Rm 8,34 He 7,20), comunicandole la propria vita divina.


2. In questa domenica seconda di Pasqua, domenica "in albis", nella quale sono beatificate due religiose, suor Pauline von Mallinckrodt e suor Caterina Troiani, la liturgia ci invita a una riflessione approfondita, alla luce di Cristo risorto sui fondamenti della nostra fede e sul dovere dell'amore verso il prossimo: due caratteristiche che hanno distinto le nuove beate.

L'episodio dell'apparizione di Cristo ai discepoli la sera della risurrezione, con il significativo particolare dell'assenza di Tommaso chiamato Didimo, è come un'illuminante catechesi rivolta alla persona umana, protesa con tutte le proprie facoltà alla ricerca della verità, nel desiderio di farne, se possibile, un'esperienza in qualche modo "tangibile".

Ai condiscepoli che, pieni di gioia, comunicano a Tommaso il grande annuncio: "Abbiamo visto il Signore!", egli risponde che non è pago della loro testimonianza, e neppure della semplice "visione"; egli, per credere, pretende ed esige non solo di "vedere" il segno dei chiodi, cioè, i segni delle piaghe della crocifissione, ma di "toccarli" con la propria mano.

Si direbbe che Gesù accetti la sfida, sgorgata da un atteggiamento di autentica e sofferta ricerca e non solo di autosufficiente sicurezza razionale.

Otto giorni dopo, riappare ai discepoli: viene per offrire all'incredulo suo seguace le prove "tangibili" che questi cercava ed esigeva: "Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!" (Jn 20,27).

Davanti all'"evidenza" del Cristo risorto, che gli si presenta con i segni della sua donazione e del suo amore, Tommaso si arrende e pronuncia la mirabile professione di fede: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù prende atto di tale gesto del discepolo, ma proclama la beatitudine di coloro che "pur non avendo visto, crederanno!". E' la beatitudine riservata a noi, oggi qui presenti, ai milioni e milioni di uomini, donne, giovani, anche fanciulli e fanciulle, che nei secoli si sono inginocchiati e ancor oggi si inginocchiano in adorazione davanti a Cristo, ormai invisibile agli occhi, ma realmente presente nell'Eucaristia, per dirgli con gioiosa commozione: "Mio Signore e mio Dio!". Con questa fede disarmata, limpida e umile, noi vogliamo accogliere il Cristo risorto, riconoscendone la presenza non solo nella realtà del sacramento, ma anche nella persona dei fratelli e delle sorelle, che si fanno incontro sulla strada della vita.


3. E' quanto facevano i cristiani della prima comunità di Gerusalemme, la cui fede si esprimeva in maniera preminente nella "comunione fraterna". Essi avevano "un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune" (Ac 4,32). Essi volevano far scomparire le discriminazioni sociali, per formare una vera comunità capace di realizzare autentici rapporti di amicizia e di fraternità, fino alla compartecipazione e alla condivisione libera e liberante dei propri beni materiali. La loro era una fede che "operava per mezzo della carità" (cfr. Ga 5,6).

Non fu esperienza che resto confinata ai primi inizi del cristianesimo.

Oggi la Chiesa è lieta di poter presentare alla venerazione e all'imitazione dei fedeli due nuove beate, che nella loro vita terrena dettero testimonianza di una fede e di una carità, che possono ben dirsi "ricalcate" sugli esempi della prima generazione cristiana.


4. Possiamo riassumere il messaggio spirituale della nuova beata Paolina von Mallinckrodt in un programma di vita molto attuale e concreto: sequela di Cristo senza riserve e con una fede incrollabile; amore a Dio e amorevole dedizione ai più infelici e ai più poveri, per amore di Cristo.

Madre Paolina von Mallinckrodt era ricca di doti naturali: carattere semplice, gentile, fiducia nel prossimo, tenacia nella realizzazione dei suoi propositi; costante fedeltà alle decisioni di fondo della sua vita - anche nelle prove e nelle difficoltà - e spirito di sacrificio, col quale si donava, generosamente e senza riserve, a tutti.

Queste doti preziose, che Dio le aveva affidato così generosamente, furono portate a compimento in lei da un profondo e spiccato spirito di fede.

Questo dono di grazia, che ella aveva ricevuto nel Battesimo, si sviluppo in modo mirabile sotto la guida di sua madre e delle sue insegnanti. Ella crebbe nell'ambiente sereno di una famiglia nella quale regnavano amore e stima reciproca, in un clima che non era pero del tutto scevro di segreto dolore a causa della diversa confessione dei genitori: la madre, una cattolica devota; il padre, un convinto protestante. Con l'aiuto della grazia si consolido la fedeltà di Paolina al Signore, mentre rifletteva su questa situazione.

Ci fu tuttavia nella sua giovinezza anche un periodo critico, un tempo di grande tormento, di tanti scrupoli, paure e insicurezze, che ella seppe superare soltanto affidandosi pienamente a Dio in una preghiera profonda e continua. E Dio le era vicino e rischiarava la sua anima con una luce di fede tanto chiara che a ragione si poteva chiamare una particolare "grazia di fede".

In forza di questa nuova visione donata da Dio, ella poteva esclamare: la fede mi ha pervasa in modo così chiaro e deciso che avrei creduto più ad essa che ai miei occhi (cfr. "Autobiografia").

La fede fece di Paolina, come affermo un testimone, una persona tutta d'un pezzo, chiara e trasparente come la luce e altrettanto semplice (cfr. Schlüter), così che ella riconobbe già a diciotto anni con evidente certezza lo scopo della sua vita in una particolare vocazione a Dio.

Era una fede consapevole e forte quella con cui seppe sopportare dolori, amarezze e varie prove e che si mostrava nel suo amore totale e incondizionato a Gesù Cristo e a Maria, sua Madre, ai quali ella si abbandono fiduciosamente. Nella ricerca di Dio e della sua maggior gloria ella crebbe nella grazia, fortificandosi sempre più alle fonti della preghiera in una profonda vita eucaristica.

Dal suo amore a Dio scaturi naturalmente e spontaneamente l'amore al prossimo. Con grande tenerezza si dedico ai bambini ciechi, ai quali voleva donare luce interiore, raggio della luce divina. Per questo servizio compiuto per amore di Cristo fondo la sua congregazione delle Suore della Carità cristiana. Insieme a quei bambini accolse poi altri bisognosi di aiuto; tutti trovarono in lei e nella sua grande opera aiuto, conforto e soprattutto amore. Quest'amore la spinse ad assumere per la sua congregazione anche l'educazione dei giovani: la considero una vera e propria missione che le esigenze del tempo richiedevano in modo particolare.

Audaci furono i progetti della beata; ma ella seppe attendere l'ora di Dio in un riserbo silenzioso e umile. La sua opera crebbe con successo, anche se tra continue lotte e con molte difficoltà. Nel periodo del suo migliore sviluppo venne anche l'ora della tempesta devastatrice: la dura persecuzione sotto le leggi del "Kulturkampf". Ma anche qui madre Paolina mostro la sua interiore lealtà alla volontà di Dio e fu pronta ad accogliere profughi e a percorrere la sua Via crucis.

Madre Paolina è un modello di vita. All'inquietudine ansiosa degli uomini moderni ella indica oggi la via alla pace interiore: cercare coraggiosamente e fiduciosamente Dio nel fratello sofferente. così il suo messaggio è attuale, come sempre è attuale la ricerca di Dio.


5. La fede e la carità brillarono anche nella vita di suor Caterina Troiani, fondatrice dell'istituto delle suore francescane del Cuore Immacolato di Maria.

Chiamata dalla Provvidenza a lasciare il monastero delle Clarisse di Ferentino per recarsi con alcune consorelle in Egitto, ove attendere alla formazione umana e cristiana delle fanciulle di quella terra d'oltremare, ella accolse con piena disponibilità il disegno di Dio. Memore del voto, pronunciato nei primi anni di professione religiosa, di "vivere sempre da suddita e nell'oblio", si dedico con slancio missionario al nuovo servizio nella città del Cairo.

Le stava di fronte un cumulo di miserie e di sofferenze, in cui sembrava rispecchiarsi una sintesi del dolore umano: schiavitù, fame, povertà, abbandono dei neonati e degli ammalati, sfruttamento ed emarginazione. Suor Caterina non si limito a indicare agli altri quanto doveva essere compiuto in favore di quegli infelici. Come il buon samaritano della parabola evangelica, ella si fermo accanto a ogni fratello e sorella sofferenti nel corpo e nello spirito, porgendo amorevolmente la sua mano benefica e pagando di persona. Verso il prossimo, vittima del dolore, della malattia, della miseria, la sua carità non ebbe mai preclusioni: cattolici, ortodossi, musulmani trovarono in lei accoglienza e aiuto, perché in ogni persona, segnata dal dolore, suor Caterina intravedeva il volto sofferente di Cristo. Non per nulla la piccola suora, più che con il suo nome, era conosciuta come la "madre dei poveri"; e dalle donne del luogo, liberate dalla schiavitù, era chiamata la "mamma bianca".

Nemmeno il rischio della malattia e della stessa morte per contagio fermo l'ardire della carità di suor Caterina: due volte infieri il colera e in tali drammatiche situazioni la beata e le sue consorelle si preoccuparono soltanto di assistere i colpiti dal morbo. Qualcuna di loro pago con la vita tale servizio di dedizione e di carità.

Quando le opere da lei istituite sembravano prosperare in serenità, sopravvenne improvvisa la guerra del 1882, che parve travolgere tutto. Anche in tale circostanza emersero la fede luminosa, la fortezza indomita, la carità ardente della beata. Con incrollabile speranza nella Provvidenza, essa continuo a comportarsi in ogni circostanza secondo il principio a lei caro: "Diffidenza verso se stessi, fiducia in Dio".

La beata Caterina Troiani si è inserita nel servizio della Chiesa con uno stile proprio: quale attenta e fedele discepola di santa Chiara e di san Francesco d'Assisi, riusci a unire in se stessa la vita contemplativa dell'una con l'apostolato itinerante dell'altro. Fu missionaria in clausura e contemplativa in missione, nella piena e totale dedizione al Signore e ai fratelli.


6. "Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore!". Alla luce degli esempi lasciateci dalle due beate, possiamo in verità affermare di aver contemplato le meraviglie che Dio continua ad operare, in particolare nelle anime aperte e docili alla sua grazia.

La beata Paolina di Mallinckrodt e la beata Caterina Troiani ci siano di guida e di sprone perché nel nostro quotidiano itinerario diamo, come loro, una coerente testimonianza di fede e di carità. Amen!

Data: 1985-04-14 Data estesa: Domenica 14 Aprile 1985





Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Affidiamo a Maria tutti i problemi del nostro tempo



1. "Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso" (Ps 117,24).

L'invito alla gioia pasquale che risuona per tutta l'ottava della festa, assume oggi i contorni di una particolare tradizione. Questa domenica era chiamata "bianca" ("in albis") a motivo delle vesti bianche che indossavano i neofiti per tutta la durata dell'ottava, dopo essere stati battezzati nella notte della risurrezione del Signore.

La gioia che proviene dalla risurrezione di Cristo si fonde con la gioia spirituale della nuova vita, della nuova nascita in Cristo. Per i neo-battezzati, e anche per tutti coloro che hanno creduto, quanto sono eloquenti le parole del Signore risorto ricordate nel Vangelo della domenica odierna: "Perché mi hai veduto (Tommaso), hai creduto: beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno"! (Jn 20,29).


2. Tra coloro che, pur non avendo visto, hanno creduto, si trovano anche le due figlie della Chiesa che oggi sono state elevate agli onori degli altari mediante l'atto di beatificazione: 1) la madre Caterina Troiani, italiana, fondatrice delle suore francescane missionarie del Cuore Immacolato di Maria; 2) la madre Paolina von Mallinckrodt, tedesca, fondatrice dell'Istituto delle suore della Carità cristiana.

L'invito alla gioia pasquale, nella giornata odierna, proviene in modo particolare da questo avvenimento. Vediamo in esso ancora un altro segno di quella "vittoria che è la nostra fede". Un altro frutto ancora del mistero pasquale di Cristo.


3. "Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso".

Alla gioia pasquale la Chiesa invita in modo particolare la Madre del Signore risorto. E la prega in pari tempo perché alimenti maternamente la gioia del popolo di Dio. Perciò la nostra preghiera dell'Angelus in questo giorno si esprime mediante il Regina coeli. Immettiamo in essa tutti i nostri problemi e, ad un tempo, tutte le sollecitudini e le speranze della Chiesa e dell'umanità, a Roma e in tutto il mondo.

[Dopo la preghiera:] Saluto di cuore i vari gruppi presenti, particolarmente quanti sono venuti a Roma per la cerimonia di beatificazione.

Rivolgo un saluto anche alle alunne dell'istituto Maria Santissima Bambina le quali hanno ricevuto questa mattina la prima Comunione e che ora sono riunite nel terrazzo di fronte a piazza San Pietro. Vi auguro di cuore, carissime bambine, che la fede e l'amore che avete dimostrato a Gesù Eucaristia siano costantemente conservati nei vostri cuori e testimoniati con un comportamento di vita esemplarmente cristiano.

Saluto cordialmente tutti pellegrini provenienti dai Paesi di lingua tedesca, particolarmente coloro tra voi che sono giunti appositamente per la beatificazione della benemerita madre Paolina von Mallinckrodt, fondatrice di un ordine religioso. Auguro a tutti voi arricchimento interiore e gioia spirituale nei giorni del vostro soggiorno qui a Roma. L'intercessione della beata Paolina von Mallinckrodt vi accompagni anche nella vostra vita futura. Per questo, a voi e a tutti i vostri cari rimasti a casa, soprattutto agli ammalati delle vostre famiglie, imparto di tutto cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1985-04-14 Data estesa: Domenica 14 Aprile 1985





Ai gruppi giunti per la beatificazione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un modello di "donne forti e amorevoli"

Carissime suore francescane missionarie e cari pellegrini!

1. Da tanto tempo attendevate la commovente cerimonia di ieri, la beatificazione di madre Maria Caterina Troiani, fondatrice della vostra benemerita congregazione.

Mi unisco alla vostra gioia e al ringraziamento che elevate al Signore, perché ha ricolmato di tante grazie e favori suor Maria Caterina e ha voluto la sua glorificazione ufficiale, per l'onore della Chiesa e della congregazione da lei fondata e per il vantaggio delle anime.

Porgendo il mio cordiale saluto alla superiora generale, al consiglio e alle singole religiose, come pure ai pellegrini qui convenuti da tante regioni e nazioni, desidero esprimere il mio compiacimento per la meravigliosa espansione in tutto il mondo delle suore francescane missionarie, che da quel lontano e umile inizio al Cairo d'Egitto, ove la fondatrice giunse nel 1859, sono ora presenti in tanti luoghi, con l'unico intento del totale amore a Cristo e della carità verso i fratelli, sul suo esempio intrepido e generoso. Anche di questa splendida fioritura e del bene che avete potuto compiere, ringraziamo il Signore, chiedendo a lui, per l'intercessione della nuova beata e con la protezione del Cuore immacolato di Maria, il dono prezioso della perseveranza nel fervore spirituale e nella donazione alla carità, con l'incremento di sempre nuove e ardenti vocazioni.


2. Quale messaggio si può ricavare dall'insegnamento e dall'esempio della nuova beata? Voi conoscete la vita di madre Maria Caterina e potete convenire che veramente essa fu la "donna forte e amorevole" della Scrittura, tanto che giustamente veniva chiamata dai cristiani e dai musulmani "Madre bianca" per la sua bontà e per il suo coraggio nel soccorrere i bisognosi, particolarmente le fanciulle, i neonati esposti e abbandonati, i sofferenti, i poveri. Ma voi sapete che, per realizzare questo suo ideale di carità e di testimonianza missionaria, dovette affrontare difficoltà, opposizioni, contrasti, avversioni, complicazioni sia in campo civile che religioso. Nulla pero e nessuno mai la poté fermare, perché, sicura della chiamata di Dio e sempre in pieno accordo con le legittime autorità ecclesiastiche, sentiva appassionatamente il bisogno di amare i fratelli in nome di Dio, e di annunziare e testimoniare loro il Vangelo con assoluta dedizione. Si legge nella sua biografia che quando le prime sei suore francescane, partite dal monastero di santa Chiara in Ferentino alla volta del Cairo per iniziare la missione, fecero scalo a Malta, giunse loro la dolorosa notizia della morte del vicario apostolico dell'Egitto, monsignor Perpetuo Guasco, il quale le aveva colà chiamate. Ci fu tra le suore un momento di sconcerto e di smarrimento, con il proposito di ritornare in patria. Ma suor Maria Caterina, forte e risoluta nell'effettuare la volontà di Dio, disse loro: "Coraggio sorelle! Ci siamo staccate dalla terra e ci troviamo tra cielo e mare; ma non temiamo, perché è l'Altissimo che ci guida. Abbiamo perduto un padre sulla terra, ma abbiamo il Padre del cielo che non ci abbandona mai. Coraggio! Avanti". E proseguirono il viaggio.

Quelle parole così emblematiche si possono dire il costante programma della vita della nuova beata; e devono esserlo anche per noi. Madre Maria Caterina Troiani ci ricorda l'affermazione di Gesù: "Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). Giunta dall'Italia in terra d'Egitto, essa si lascio completamente macerare dall'ansia apostolica unendo insieme l'amore alla preghiera e alla contemplazione, proprio delle claustrali, da cui proveniva; lo spirito francescano di umanità e di sensibilità fraterna, tipico del santo di Assisi; e il coraggio intrepido, che è caratteristica del missionario, non arrestandosi di fronte a nessuna difficoltà. E così dev'essere anche per noi, per tutta la Chiesa, per ogni singolo cristiano: se si vuole portare frutti di carità, di testimonianza, di conversione, di grazia, di santità, bisogna morire, e cioè bisogna vincere se stessi, bisogna lottare contro il proprio egoismo e le proprie passioni, bisogna accettare la sofferenza redentrice e salvatrice della propria croce quotidiana, dell'immolazione nel proprio dovere.


3. Carissime suore e diletti pellegrini! Oggi l'umanità ha un estremo bisogno di testimonianza convinta e coraggiosa; oggi il mondo chiede ai cristiani il coraggio della fede! La beata Maria Caterina Troiani con l'eloquenza della sua vita ci indica la strada e ci aiuta con la sua intercessione. Il Cuore immacolato di Maria partecipi a voi tutti la fermezza della sua fede, la sua ansia apostolica, l'ardore della sua carità! E vi accompagni anche la mia benedizione, che ora di gran cuore vi imparto e che estendo con affetto a tutte le suore francescane missionarie sparse nel mondo.

Data: 1985-04-15 Data estesa: Lunedi 15 Aprile 1985





Messaggio per la XIX Giornata delle comunicazioni sociali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Aiutare i giovani a realizzarsi come uomini e cristiani

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo, uomini e donne che avete a cuore la causa della dignità della persona umana, e voi, soprattutto, giovani del mondo intero, che dovrete scrivere una nuova pagina di storia per il duemila!

1. La Chiesa, come ogni anno, si appresta a celebrare la Giornata mondiale del le comunicazioni sociali. Un appuntamento di preghiera e di riflessione, in cui deve sentirsi coinvolta l'intera comunità ecclesiale, chiamata all'annuncio e alla testimonianza del Vangelo (Mc 16,15), affinché i mass-media, con la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, possano veramente contribuire "all'attuazione della giustizia, della pace, della libertà e del progresso umano" ("Communio et Progressio", 100).

Il tema della Giornata - "Le comunicazioni sociali per una promozione cristiana della gioventù" - intende far eco all'iniziativa delle Nazioni Unite, che hanno proclamato il 1985 Anno internazionale della gioventù. Gli strumenti della comunicazione sociale, "capaci di estendere quasi all'infinito il campo di ascolto della parola di Dio" (EN 45), possono in effetti offrire ai giovani un notevole contributo per realizzare, mediante una scelta libera e responsabile, la loro personale vocazione di uomini e di cristiani, preparandosi così ad essere i costruttori e i protagonisti della società di domani.

2. La Chiesa - con il Concilio Vaticano II, del quale ricorre quest'anno il XX anniversario della conclusione, e poi con il successivo magistero - ha chiaramente riconosciuto la grande rilevanza dei mass-media nello sviluppo della persona umana: sul piano dell'informazione, della formazione, della maturazione culturale, oltre che del divertimento e dell'impiego del tempo libero. Essa ha pero anche precisato che essi sono strumenti al servizio dell'uomo e del bene comune, mezzi, e non fini.

Il mondo della comunicazione sociale è impegnato oggi in un vertiginoso quanto complesso e imprevedibile sviluppo - si parla già di un'epoca tecnotronica, per indicare la crescente interazione fra tecnologia ed elettronica - ed è attraversato da non pochi problemi, connessi con l'elaborazione di un nuovo ordine mondiale dell'informazione e della comunicazione, in rapporto con le prospettive dischiuse dall'impiego dei satelliti e dal superamento delle barriere dell'etere.

Si tratta di una rivoluzione che non solo comporta un cambiamento nei sistemi e nelle tecniche di comunicazione, ma coinvolge l'intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Essa, di conseguenza, non può rispondere semplicemente a proprie regole interne, ma deve trarre i propri criteri di fondo dalla verità dell'uomo e sull'uomo, formato a immagine di Dio.

Secondo il diritto all'informazione, che ogni uomo ha, la comunicazione deve sempre rispondere, nel suo contenuto, a verità, e, nel rispetto della giustizia e della carità, deve essere integra. Ciò vale, a maggior ragione, quando ci si rivolge ai giovani, a coloro che si stanno aprendo alle esperienze della vita. Soprattutto in questo caso l'informazione non può restare indifferente a valori che toccano in profondità l'esistenza umana, quali il primato della vita fin dal momento del suo concepimento, la dimensione morale e spirituale, la pace, la giustizia. L'informazione non può essere neutra di fronte a problemi e situazioni che, a livello nazionale e internazionale, sconvolgono il tessuto connettivo della società, come la guerra, la violazione dei diritti umani, la povertà, la violenza, la droga.


3. Da sempre il destino dell'uomo si decide sul fronte della verità, della scelta che egli, in forza della libertà lasciatagli dal Creatore, compie tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Ma è impressionante e doloroso vedere, oggi, un sempre maggior numero di uomini impediti di fare liberamente questa scelta: perché soggiogati da regimi autoritari, soffocati da sistemi ideologici, manipolati da una scienza e una tecnica totalizzanti, condizionati dai meccanismi di una società fomentatrice di comportamenti sempre più spersonalizzati.

La libertà sembra essere la grande sfida che la comunicazione sociale dovrà affrontare, per conquistare spazi di sufficiente autonomia, là dove essa deve tuttora sottostare alle censure di regimi totalitari o alle disposizioni di potenti gruppi di pressione culturali, economici, politici.

Fattori di comunione e di progresso, i mass-media devono superare le barriere ideologiche e politiche, accompagnando l'umanità nel suo cammino verso la pace e favorendo il processo di integrazione e di solidarietà fraterna tra i popoli, nella duplice direzione Est-Ovest e Nord-Sud. Veicoli di formazione e di cultura, i mass-media devono contribuire al rinnovamento della società e, in particolare, allo sviluppo umano e morale dei giovani, facendo prendere loro coscienza degli impegni storici che li attendono alla vigilia del terzo millennio.

A tal fine i mass-media devono aprire alla gioventù nuovi orizzonti, educandola al dovere, all'onestà, al rispetto dei propri simili, al senso della giustizia, dell'amicizia, dello studio, del lavoro.


4. Queste considerazioni mettono in chiara evidenza l'immenso potenziale di bene che gli strumenti della comunicazione sociale possono far sprigionare. Ma, allo stesso tempo, lasciano anche intuire le gravi minacce che i mass-media - se piegati alla logica di poteri o di interessi, se usati con obiettivi distorti, contro la verità, contro la dignità della persona umana, contro la sua libertà - possono portare alla società, e, in primo luogo, ai membri di essa più fragili e indifesi.

Il giornale, il libro, il disco, il film, la radio, soprattutto il televisore, e adesso il videoregistratore, fino al sempre più sofisticato computer, rappresentano ormai una fonte importante, se non l'unica, attraverso la quale il giovane entra in contatto con la realtà esterna e vive la propria quotidianità. Alla fonte dei mass-media, peraltro, il giovane attinge sempre più abbondantemente, sia perché s'è ampliato il tempo libero, sia perché i ritmi convulsi della vita moderna hanno accentuato la tendenza allo svago come pura evasione. Inoltre per l'assenza di entrambi i genitori, quando la madre sia anch'essa obbligata a un lavoro extra domestico, s'è allentato il tradizionale controllo educativo sull'uso che vien fatto di tali mezzi.

I giovani, così, sono i primi e più immediati recettori dei mass-media, ma sono anche i più esposti alla molteplicità di informazioni e di immagini che, attraverso questi, arrivano direttamente in casa. Non è, d'altra parte, possibile ignorare la pericolosità di certi messaggi, trasmessi perfino nelle ore di maggior ascolto del pubblico giovanile, contrabbandati da una pubblicità sempre più scoperta e aggressiva o proposti da spettacoli, dove sembra che la vita dell'uomo sia regolata soltanto dalle leggi del sesso e della violenza.

Si parla di "videodipendenza", un termine entrato ormai nell'uso comune, per indicare il sempre più vasto influsso che gli strumenti della comunicazione sociale, con la loro carica di suggestione e di modernità, hanno sui giovani.

Bisogna esaminare a fondo questo fenomeno, verificarne le reali conseguenze su recettori che non abbiano ancora maturato una sufficiente coscienza critica. Non è, infatti, questione soltanto di un condizionamento del tempo libero, cioè di una restrizione degli spazi da riservare quotidianamente ad altre attività intellettuali e ricreative, ma anche di un condizionamento della stessa psicologia, della cultura, dei comportamenti della gioventù.

All'educazione trasmessa dai formatori tradizionali, e in particolare dai genitori, tende infatti a sostituirsi un'educazione unidirezionale, che salta il fondamentale rapporto dialogico, interpersonale. A una cultura impostata sui valori contenuti, sulla qualità delle informazioni, subentra così una cultura del provvisorio che porta a rifiutare gli impegni a lungo termine, con una cultura massificante che induce a rifuggire da scelte personali ispirate a libertà. A una formazione orientata a far crescere il senso di responsabilità individuale e collettiva, si contrappone un atteggiamento di passiva accettazione delle mode e dei bisogni imposti da un materialismo che, incentivando i consumi, svuota le coscienze. L'immaginazione, che è propria dell'età giovanile, espressione della sua creatività e dei suoi slanci generosi, si inaridisce nell'assuefazione all'immagine, cioè in un'abitudine che diventa indolenza e spegne stimoli e desideri, impegni e progettualità.


5. E' una situazione che, se non va generalizzata, deve comunque indurre quanti operano nella comunicazione sociale a una seria e profonda riflessione. Essi hanno un compito esaltante e, insieme, tremendamente impegnativo: dall'impiego che essi faranno delle loro risorse di ingegno e di professionalità dipende in larga misura la formazione di coloro i quali, domani, dovranno migliorare questa nostra società impoverita dei suoi valori umani e spirituali e minacciata dall'autodistruzione.

Un compito ancor più impegnativo hanno i genitori e gli educatori. La loro testimonianza, sostenuta da una condotta culturalmente e moralmente coerente, può infatti rappresentare il più efficace e credibile degli insegnamenti. Il dialogo, il discernimento critico, la vigilanza sono condizioni indispensabili per educare il giovane a un comportamento responsabile nell'uso dei mass-media, ristabilendo in lui il giusto equilibrio, dopo l'eventuale impatto negativo con questi strumenti.

L'Anno internazionale della gioventù, anche in questo campo, interpella l'intero mondo degli adulti. E' dovere di tutti aiutare i giovani a entrare nella società come cittadini responsabili, uomini formati, coscienti della propria dignità.


6. Qui, appunto, assume pieno significato la XIX Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Il tema della prossima celebrazione va al cuore della missione della Chiesa, che deve recare la salvezza a tutti gli uomini, predicando il Vangelo "sui tetti" (Mt 10,27 Lc 12,3). Grandi possibilità, oggi, sono offerte alla comunicazione sociale, nella quale la Chiesa riconosce il segno dell'opera creatrice e redentrice di Dio, che l'uomo deve continuare. Questi strumenti possono quindi diventare potenti canali di trasmissione del Vangelo, a livello sia di pre-evangelizzazione sia di approfondimento ulteriore della fede, per favorire la promozione umana e cristiana della gioventù.

Ciò evidentemente richiede: una profonda azione educativa, nella famiglia, nella scuola, nella parrocchia, attraverso la catechesi, per istruire e guidare i giovani a un uso equilibrato e disciplinato dei mass-media, aiutandoli a formarsi un giudizio critico, illuminato dalla fede, sulle cose viste, udite, lette (IM 10 IM 16; "Communio et Progressio", 67-70.107); un'accurata e specifica formazione teorica e pratica nei seminari, nelle associazioni dell'apostolato dei laici, nei nuovi movimenti ecclesiali, specie quelli giovanili, non solo per conseguire un'adeguata conoscenza degli strumenti della comunicazione sociale, ma anche per realizzare le indubbie potenzialità in ordine al rafforzamento del dialogo nella carità e dei legami di comunione ("Communio et Progressio", 10 8.1 10.115-117); la presenza attiva e coerente dei cristiani in tutti i settori della comunicazione sociale, per portarvi non solo il contributo della loro preparazione culturale e professionale, ma anche una testimonianza viva della loro fede ("Communio et Progressio", 103); l'impegno della comunità cattolica perché, quando si renda necessario, denunci spettacoli e programmi che attentano al bene morale dei giovani, rivendicando l'esigenza di un'informazione più veritiera sulla Chiesa e di trasmissioni più positivamente ispirate ai valori autentici della vita (IM 14); la presentazione del messaggio evangelico nella sua integralità: preoccupandosi cioè di non tradirlo, di non banalizzarlo, di non ridurlo strumentalmente a visioni socio-politiche; ma anche, sull'esempio di Cristo perfetto comunicatore, adeguandosi ai recettori, alla mentalità dei giovani, al loro modo di parlare, al loro stato e condizione (CTR 35 CTR 39-40).


7. Ed è in particolare ai giovani che desidero rivolgermi a conclusione di questo messaggio: ai giovani che hanno già incontrato Cristo, a quanti sono venuti a Roma, all'inizio della settimana santa, in comunione spirituale con milioni di loro coetanei, per proclamare, assieme al Papa, che "Cristo è la nostra pace"; ma anche a tutti i giovani che, seppur confusamente, tra incertezze, angosce e passi falsi, aspirano a incontrare questo "Gesù chiamato Cristo" (Mt 1,16), per dare un senso, uno scopo alla loro vita.

Carissimi giovani! Finora mi sono indirizzato al mondo degli adulti. Ma, in realtà, siete voi i primi destinatari di questo messaggio. L'importanza e il significato ultimo degli strumenti della comunicazione sociale dipendono, in definitiva, dall'uso che ne fa la libertà umana. Dipenderà quindi da voi, dall'uso che ne farete, dalla capacità critica con cui saprete utilizzarli, se questi strumenti serviranno alla vostra formazione umana e cristiana, o se invece essi si rivolteranno contro di voi, soffocando la vostra libertà e spegnendo la vostra sete di autenticità.

Dipenderà da voi, giovani, a cui spetta costruire la società di domani, nella quale l'intensificarsi delle informazioni e delle comunicazioni moltiplicherà le forme di vita associativa, e lo sviluppo tecnologico abbatterà le barriere fra gli uomini e le nazioni; dipenderà da voi, se la nuova società sarà una sola famiglia umana, dove uomini e popoli potranno vivere in più stretta collaborazione e vicendevole integrazione, o se invece nella società futura si acuiranno quei conflitti e quelle divisioni che lacerano il mondo contemporaneo.

Con le parole dell'apostolo Pietro, ripeto qui l'augurio che ho rivolto nella mia lettera ai giovani e alle giovani del mondo (n. 16): ad essere "pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).

"Si, proprio voi, perché da voi dipende il futuro, da voi dipende il termine di questo millennio e l'inizio del nuovo. Non siate, dunque, passivi; assumetevi le vostre responsabilità in tutti i campi a voi aperti nel nostro mondo!".

Carissimi giovani! Il mio invito alla responsabilità, all'impegno, è prima di tutto un invito alla ricerca della "verità che vi renderà liberi" (Jn 8,32), e la verità è Cristo (cfr. Jn 14,6). E' perciò un invito a mettere la verità di Cristo al centro della vostra vita; a testimoniare questa verità nella vostra storia quotidiana, nelle scelte decisive che dovrete compiere, per aiutare l'umanità a incamminarsi sui sentieri della pace e della giustizia.

Con questi sentimenti a tutti imparto, propiziatrice di lumi celesti, la mia apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 15 aprile 1985.

Data: 1985-04-15 Data estesa: Lunedi 15 Aprile 1985












GPII 1985 Insegnamenti - All'Associazione italiana per la sclerosi multipla - Città del Vaticano (Roma)