GPII 1985 Insegnamenti - A pellegrini di Alessandria - Città del Vaticano (Roma)

A pellegrini di Alessandria - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La perfezione cristiana fu l'ideale di san Pio V

. Carissimi fratelli e sorelle!


1. Vi ringrazio per questa gradita visita che oggi voi, autorità e pellegrini di Alessandria, avete voluto rendermi, in occasione della vostra venuta a Roma per la temporanea traslazione delle spoglie mortali di san Pio V dalla basilica di Santa Maria Maggiore, dove riposano da oltre quattro secoli, alla terra alessandrina, ove, a Bosco Marengo, il futuro pontefice Antonio Michele Ghislieri nacque nel 150 4.

Vi esprimo il mio affettuoso benvenuto e tutti saluto nel nome del Signore. Saluto, in particolare, monsignor Ferdinando Maggioni, che vi guida in questo vostro pellegrinaggio: a lui va anche il mio apprezzamento per questa iniziativa pastorale, dalla quale si attendono - è questo l'auspicio di tutti - frutti spirituali di una rinnovata coscienza cristiana.


2. Sono certo infatti che nel fervido ottavario in onore della Madonna della Salve, sotto il cui patrocinio il santo aveva posto la sua vita e il suo ministero, il passaggio dell'urna del nostro santo tra i suoi conterranei non mancherà di risvegliare nei cuori quei grandi ideali di perfezione cristiana, che formarono la ragione ultima della sua vita e della sua totale dedizione a Dio e al servizio delle anime. Egli, dapprima come religioso nell'ordine di san Domenico, poi come vescovo di Sutri e di Nepi, e di Mondovi, e infine come Pastore della Chiesa universale, dal 1566 al 1572, fu ardente predicatore della verità del Vangelo, intrepido riformatore dei costumi e, soprattutto da Papa, instancabile realizzatore degli insegnamenti del Concilio di Trento nel campo liturgico, catechetico e missionario.

La sua figura ascetica non mancherà di richiamare le care popolazioni di Alessandria a una sequela del Cristo veramente autentica e impegnata, e continuerà ad edificarle con i suoi esempi luminosi fatti di fedeltà alla sua vocazione sacerdotale e alla successione apostolica; di sapiente guida del gregge, acquistato dal sangue prezioso di Gesù; di spirito di servizio, senza risparmio di tempo e di fatica; di fortezza d'animo, nell'assumere decisioni destinate a salvaguardare la "sana dottrina" (2Tm 4,3) e la purezza della fede; di spirito di preghiera e di penitenza, per implorare la salvezza di tutti gli uomini. Ma i fedeli di Alessandria vedranno in questo testimone insonne e in questo fedele Vicario di Cristo anche il promotore della devozione alla Vergine santissima, da lui venerata con affetto di figlio devoto e con la pratica della recita del santo Rosario, a cui si volle attribuire la vittoria di Lepanto, avvenuta nel 1571, a pochi mesi dalla sua pia morte.


3. Mi piace notare che la sollecitudine per le sorti della Chiesa universale non gli fece mai dimenticare i forti vincoli che lo legavano alla sua terra natale.

Dispose infatti che fosse realizzato a Bosco Marengo un complesso monumentale comprendente la chiesa di Santa Croce e l'annesso convento. Tale opera non solo fu da lui finanziata, ma anche seguita in ogni particolare attraverso la scelta di artisti famosi, ai quali indico le linee ispiratrici delle opere e procuro materiali lavorati o di spoglio.

Tale complesso monumentale, che testimonia della sua sensibilità per le opere d'arte, sarà illustrato dalla mostra organizzata nel contesto delle celebrazioni in onore del santo Pontefice. Mi auguro che essa metta in giusta luce le eccezionali qualità umane e culturali di questo illustre figlio di Alessandria, che ha onorato la Chiesa e la società in maniera così eminente. Mi auguro altresi che questo postumo pellegrinaggio del santo nei luoghi dell'infanzia e del primo ministero sacerdotale susciti negli animi il proposito di imitare quelle virtù naturali e soprannaturali, di cui Dio arricchi la sua persona. Preghiamolo da parte nostra perché dal cielo continui a proteggere la sua e nostra Chiesa, e affinché interceda particolarmente per il popolo di Alessandria, da cui egli trasse i suoi natali.

A questi ardenti voti, volentieri aggiungo quelli, non meno fervidi, di pieno successo spirituale nello svolgimento della Missione cittadina prevista per il prossimo ottobre e avente per tema "Cristo verità dell'uomo".

Nell'esprimere inoltre la mia viva partecipazione al dolore che ha colpito nei giorni scorsi la vostra comunità diocesana per la tragica morte di uno dei suoi figli missionari in Africa, vi imparto di cuore la mia benedizione, che estendo a tutti i vostri cari.

Data: 1985-04-18 Data estesa: Giovedi 18 Aprile 1985





Alla Pontificia commissione biblica - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rigore scientifico e integrità della fede




1. Nella vivida luce di Cristo, risuscitato dai morti, che ha aperto le menti dei suoi discepoli all'intelligenza delle Sacre Scritture (Lc 24,45), sono lieto di vedere riunita la Pontificia commissione biblica, radunatasi a Roma per la prima volta da quando è stata in parte rinnovata.

Con il cuore e con l'animo saluto il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e presidente della Commissione e lo ringrazio per le parole con le quali ha dato inizio a questa riunione. Con gioia saluto i veterani che già portarono il loro contributo determinante nei precedenti lavori della Commissione biblica, e tra di essi il professor Enrico Cazelles, ora segretario; saluto con uguale letizia i nuovi membri, che sono venuti dai più diversi Paesi, per mettere al servizio del supremo magistero e di tutto il popolo di Dio la loro competenza.

Ringrazio voi tutti per la vostra disponibilità, e mi auguro con tutto il cuore che la vostra opera sia feconda. L'edizione curata qualche mese fa dell'opera "Bible et Christologie" ha portato maggiormente in luce la fecondità del lavoro della Commissione biblica e la sua grande utilità per "promuovere gli studi biblici e fornire un valido aiuto al magistero della Chiesa". Faccio voti perché gli studi a cui state per dedicarvi portino copiosi frutti.


2. L'argomento che è proposto alla vostra comune ricerca è di grande importanza perché riguarda la vita della Chiesa ai nostri giorni. Voi dovete infatti considerare "i rapporti delle Chiese locali con l'universalità di un unico popolo di Dio". La stessa forma, con la quale viene presentato l'argomento, indica in un certo senso il rapporto tra molteplicità e unità: molteplicità delle Chiese locali, che sono in tutto il mondo; unità del popolo di Dio "in un solo corpo" riunito insieme dall'"unico Spirito", così come "una è la speranza" alla quale tutti sono chiamati (cfr. Ep 4,4). Sapete bene che il Concilio Vaticano II ha molto sottolineato questo confronto mettendo bene in luce l'importanza delle Chiese locali. Specialmente dopo il Concilio Vaticano II, la teologia della Chiesa latina non solo ha posto la sua attenzione nell'evidenziare l'importanza della Chiesa universale, ma si è anche interessata alle Chiese locali, alla loro vita e alle loro norme.

Infatti la costituzione dogmatica sulla Chiesa ha indicato che "la Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, in quanto aderenti ai loro pastori, sono anch'esse chiamate Chiese nel Nuovo Testamento" (LG 26). Questo atteggiamento nei confronti delle Chiese particolari è positivo, purché non diventi l'unico e non venga usato a danno delle altre proprietà necessarie della Chiesa, cioè l'universalità e l'unità. Una tendenza di tal genere si è evidenziata in questi ultimi anni.

Sarà vostro compito cercare e indagare le testimonianze dei testi ispirati, dare loro il peso dovuto, recensire anche ciò che è stato pubblicato su questo argomento nel campo dell'esegesi per prestare un'attenzione più vigile nel discernere gli indizi che possono maggiormente illuminare la fede e la vita della Chiesa nelle condizioni del nostro tempo.


3. Il vostro compito ecclesiale deve far si che vi accostiate alle Sacre Scritture con la più grande venerazione, che facciate attentamente distinzione fra i testi della Sacra Scrittura e le congetture degli studiosi, sia vostre sia degli altri.

Non di rado in questo campo oggi si può trovare una certa confusione, perché vi sono alcuni che prestano più fede alle interpretazioni che alle parole divine.

Il vostro lavoro deve avere due proprietà, cioè rigore scientifico e integrità della fede. Solo così può essere utile al magistero della Chiesa, al quale è stato affidato il compito dell'interpretazione autentica della parola di Dio (cfr. DV 10). Solo così può contribuire al bene dei fedeli, che mediante questo lavoro saranno illuminati e resi saldi nell'ascolto della parola di Dio e nella loro vita ecclesiale. Gioverà infatti a tutti moltissimo avere una conoscenza non, per così dire, limitata e riduttiva di ciò che ci rivela la Sacra Scrittura "sui rapporti delle Chiese locali con l'universalità di un unico popolo di Dio".

Come grazia di Cristo, risuscitato dai morti e che siede alla destra del Padre, vi assista, nello svolgere questo vostro compito, la benedizione apostolica che volentieri vi imparto.

Data: 1985-04-18 Data estesa: Giovedi 18 Aprile 1985





A giovani militari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un servizio per la difesa e la promozione della pace




1. Desidero esprimere innanzitutto la mia gioia per questo incontro con una così numerosa rappresentanza di militari delle diverse Armi, qui convenuti da vari presidi di Roma e da altre località della Regione militare centrale. A tutti porgo il mio cordiale saluto, rivolgendo uno speciale pensiero all'ordinario militare monsignor Bonicelli, alle autorità rappresentate nelle persone dei generali comandanti, ai militari di ogni grado, corpo e specialità e in particolare a voi giovani in servizio di leva qui presenti insieme ai vostri familiari. So che molti di voi hanno preso parte anche al recente incontro mondiale, con cui s'è voluto celebrare solennemente a Roma e nella Chiesa l'Anno internazionale della gioventù.

E mi fa piacere che anche in piazza San Giovanni, come in piazza San Pietro, siate venuti come giovani e come militari, onorati di portare la vostra divisa che attesta pubblicamente la vostra devozione alla patria, ciò che per il cristiano costituisce un modo di servire i fratelli.

"La pace e i giovani camminano insieme". Il motto del messaggio di inizio d'anno per la Giornata mondiale della pace, io voglio ripetere anche oggi, in particolare per voi. Il vostro servizio, infatti, non trova spiegazione più propria che quella della difesa e della promozione della pace, interna e internazionale. Lo dice con chiarezza la costituzione che sta alla base dell'unità della nazione; lo afferma senza equivoci il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale su "La Chiesa nel mondo contemporaneo" (n. 79).


2. L'udienza di oggi, nelle vostre intenzioni, vuole essere quasi la continuazione del pellegrinaggio militare internazionale che ha fatto confluire a Roma, proprio un anno fa, rappresentanze militari di venti Paesi del mondo. Uno spettacolo indimenticabile di unità e di fraternità, di gioia e di impegno, che aveva come punto di riferimento e come base la fede cristiana, pienamente vissuta o almeno desiderata e cercata.

L'Anno santo è finito, ma Cristo continua a proporci la sua Pasqua come evento storico che dà rilievo, consistenza, spiegazione definitiva anche alla nostra vita di oggi. La Pasqua è la festa dell'Alleluia, cioè della gioia che scaturisce dalla libera e cosciente accettazione del mistero di Dio, il quale ci ha voluto tanto bene da mandare Cristo Gesù a prendere su di sé le nostre colpe, a liberarci nel nostro intimo per consentirci, a nostra volta, di contribuire veramente a un processo di liberazione che investe anche le strutture sociali.

Quanti fallimenti si devono all'illusione dell'uomo di poter migliorare la società senza migliorare se stesso.

C'è chi ritiene che la fede sia un di più che non incide nella vita, specialmente in questo momento così tormentato ed esaltante della storia. Io invece mi rivolgo a voi giovani, come ho fatto nella lettera pasquale a voi dedicata, mi rivolgo a voi con le parole dell'apostolo san Giovanni che vedeva nelle nuove generazioni cristiane la forza e la speranza del mondo. Occorre gente forte, ben radicata in Dio, capace cioè di andare oltre gli slogan del consumismo e del tornaconto individuale, pronta a impegnarsi a fondo e a dare testimonianza non solo verbale di autentica solidarietà a favore dell'uomo.


3. E' vero: il periodo di vita militare comporta spesso il sacrificio di restare lontani da casa e da radicate consuetudini; esso pero consente anche di far la conoscenza di altre persone, di altre tradizioni, altri modelli, altre esigenze, dilatando in tal modo non solo le cognizioni, ma il gusto dell'emulazione e dell'arricchimento interiore.

Il Vangelo parla in effetti di un modo di essere e di vivere che deve costituire un arricchimento per tutti. Il Signore Gesù aveva presente anche noi, anche voi, quando diceva che il cristiano dev'essere sale e lievito. Se tanti angoli della vita sono bui, vuol dire che mancano i portatori di luce; se tante realtà sono appiattite e senza sapore, significa che il cristiano non fa il suo dovere.

Prima di lamentarsi per certe situazioni sociali ingiuste, è opportuno che ciascuno pensi se in esse egli non abbia avuto qualche parte, se non del male che si compie, almeno del bene che non si realizza come occorrerebbe.


4. Questi semplici richiami a valorizzare pienamente questa stagione della vostra giovinezza, suscitano forse in molti l'interrogativo che già ho avuto modo di cogliere nel pellegrinaggio del 1984, la domanda cioè circa l'identità cristiana del militare. Non può essere una soluzione intelligente quella di considerare la vita militare come una parentesi, accettata magari fastidiosamente, da dimenticare il più presto possibile. Per un cristiano non ci possono essere spazi o periodi privi di senso.

Non basta nemmeno vedere l'esperienza militare soltanto sotto l'angolatura della responsabilità e della crescita personale. Sono gli stessi obiettivi sociali della vita militare che vanno guardati con l'occhio di chi sa di dover essere un costruttore di pace, anche quando si trova a salvaguardarla scoraggiando ogni ingiustizia e aggressione.

Ripeto qui quello che dissi un anno fa: "La moralità della vostra professione, cari militari, è legata a questo ideale di servizio alla pace nelle singole comunità nazionali e più ancora nel contesto universale. La logica del servizio, cioè dell'impegno per gli altri, è fondamentale nella visione cristiana della vita. Ricondursi a questa sorgente significa scoprire la motivazione profonda della vostra condizione, che comporta disponibilità, sacrificio, spirito di solidarietà al di là dei pur legittimi interessi personali e familiari".


5. La pace come pienezza di vita, cioè di verità, di giustizia, di libertà, resta il termine più alto dell'anelito e dell'impegno di ogni uomo e di tutti i popoli.

La Chiesa serve la causa della pace predicando il messaggio delle beatitudini e dell'amore evangelico, proponendo criteri sempre più rigorosi di rispetto dei valori umani, indicando anche, come ha fatto nel Concilio Vaticano II, strade concrete di internazionalizzazione dell'autorità per ridurre le tensioni e quindi gli armamenti. E nessuno più di chi mette a repentaglio la propria vita, può essere sensibile e grato di questa passione per la causa della pace.

Possa questo incontro col Papa restare non solo come un momento di letizia, ma anche di impegno a realizzare ogni giorno la vostra vocazione di uomini liberi e di cristiani convinti. Non abbiate paura di essere e di apparire cristiani. Cristo non è venuto a toglierci qualcosa. Al contrario. Con la grazia che ci viene dalla sua croce e dalla sua risurrezione, egli ci dà la forza morale di vincere ogni difficoltà e la certezza che operando nella sua luce noi costruiamo la città degli uomini e insieme il regno di Dio.

Con questi pensieri e auspici, imparto a tutti di cuore una larga e affettuosa benedizione, che intendo estendere ai commilitoni assenti e ai vostri parenti lontani.

Data: 1985-04-19 Data estesa: Venerdi 19 Aprile 1985


Al colloquio su "Nostra Aetate" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le relazioni giudaico-cristiane ci coinvolgono profondamente

Cari amici, sono felice di salutarvi in Vaticano in occasione del colloquio che insieme avete convocato per commemorare il ventesimo anniversario del decreto conciliare "Nostra Aetate", sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, e particolarmente la sezione concernente le relazioni con l'ebraismo.

E' davvero un'occasione importante, non soltanto per la commemorazione in se stessa, ma anche perché riunisce cattolici, altri cristiani ed ebrei, con la collaborazione della facoltà teologica della Pontificia università di san Tommaso d'Aquino, la Lega antidiffamazione B'nai B'rith, il centro Pro unione e il Servizio internazionale di documentazione ebraico-cristiana (Sidic). La commissione della Santa Sede per le relazioni religiose con gli ebrei ha inoltre convenuto di offrirvi assistenza e partecipazione.

In questo incontro di istituzioni tanto importanti per celebrare il decreto "Nostra Aetate", vedo un modo di mettere in pratica una delle raccomandazioni principali della dichiarazione, in cui si dice che, "essendo tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani ed ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo" (NAE 4). Il vostro colloquio è uno di questi "fraterni dialoghi" e contribuirà certamente a quella "mutua conoscenza e stima" ricordate dal Concilio.

Ebrei e cristiani devono conoscersi meglio reciprocamente. Non soltanto superficialmente come popoli di diverse religioni che semplicemente convivono nel medesimo luogo, ma come membri di tali religioni, che sono così strettamente legate l'una all'altra (cfr. NAE 4). Ciò implica che i cristiani cerchino di conoscere il più esattamente possibile i credi, le pratiche religiose e la spiritualità propri degli ebrei, e che viceversa, gli ebrei cerchino di conoscere i credo, le pratiche e la spiritualità dei cristiani.

Questo sembra il modo più adatto per dissolvere i pregiudizi. Ma anche per scoprire, da parte dei cristiani, le profonde radici ebraiche della cristianità, e, da parte degli ebrei, per apprezzare meglio il modo particolare con cui la Chiesa, dal tempo degli apostoli, ha letto l'Antico Testamento e ha ricevuto l'eredità ebraica.

Qui ci troviamo in quello che noi cristiani chiamiamo ambito teologico.

Vedo nel programma del vostro colloquio che state trattando opportuni argomenti teologici. Penso che ciò sia segno di maturità nelle nostre relazioni e prova che le osservazioni e le raccomandazioni pratiche del decreto "Nostra Aetate" ispirano realmente i nostri dialoghi. E' fonte di speranza ed è incoraggiante vedere tutto ciò attuato in un incontro che commemora il ventesimo anniversario della dichiarazione. Non si possono infatti prendere in considerazione comuni studi teologici se non c'è, da entrambe le parti, grande fiducia reciproca e profondo rispetto l'uno per l'altro: fiducia e rispetto che possono soltanto trarre profitto e svilupparsi da tali studi. Avete anche affrontato la questione della spiritualità ebraica e cristiana nell'attuale contesto secolarizzato. Si, ai nostri giorni si può talvolta avere la triste impressione di un'assenza di Dio e della sua volontà dalla vita privata e pubblica di uomini e donne. Quando riflettiamo su tale situazione e sulle sue tragiche conseguenze per l'umanità, privata dalle sue radici in Dio e perciò del suo orientamento morale di fondo, si può soltanto essere grati a Dio perché crediamo in lui, come ebrei o cristiani, ed entrambi possiamo dire, con le parole del Deuteronomio: "Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo" (Dt 6,4).

Ma la gratitudine diventa impegno ad esprimere e professare pubblicamente la fede davanti al mondo e vivere la nostra vita secondo questa fede, perché "gli uomini vedano le nostre opere buone e rendano gloria al nostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

L'esistenza e la provvidenza del Signore, nostro Creatore e Salvatore, vengono così rese presenti nella testimonianza della nostra condotta quotidiana e della nostra fede. E questa è una delle risposte che coloro che credono in Dio e sono pronti a "santificare il suo nome" (cfr. Mt 6,9) possono e dovrebbero dare all'atmosfera secolarizzata del nostro tempo. Un colloquio commemorativo diventa facilmente, in questo modo, un punto di partenza per un impegno rinnovato e forte, non soltanto in relazioni sempre più profonde tra ebrei e cristiani in molti campi, ma anche in ciò di cui l'uomo ha più bisogno nel mondo d'oggi: il senso di Dio, Padre amorevole, e della sua volontà salvifica.

E' in questo contesto che vedo il riferimento nel vostro programma alla catastrofe che ha tanto crudelmente decimato il popolo ebraico, prima e durante la guerra, specialmente nei campi della morte. So che la data tradizionale per tale commemorazione cade tra poco. E' precisamente la mancanza di fede in Dio e, come conseguenza, la mancanza di amore e di rispetto per il nostro prossimo, uomo e donna, che può facilmente produrre tali catastrofi. Preghiamo insieme perché questo non accada mai più e perché tutto ciò che facciamo per conoscerci meglio, per collaborare insieme e per rendere testimonianza all'unico Dio e alla sua volontà, quale è espressa nel decalogo, contribuisca a rendere le persone ancora più conscie dell'abisso in cui l'umanità può cadere quando non riconosciamo gli altri come nostri fratelli e sorelle, figli e figlie dello stesso Padre celeste.

Le relazioni ebraico-cristiane non sono mai un esercizio accademico.

Sono, al contrario, parte dell'intima struttura del nostro impegno religioso e delle nostre rispettive vocazioni di cristiani e di ebrei. Per i cristiani queste relazioni hanno speciali dimensioni teologiche e morali perché la Chiesa è convinta, come si dice nel documento che stiamo commemorando, di avere "ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'antica alleanza, e che si nutre della radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvaggio che sono i gentili (cfr. Rm 11,17-24)", (NAE 4).

Commemorare l'anniversario del decreto "Nostra Aetate" significa essere sempre più consapevoli di tutte queste dimensioni e tradurle ovunque in pratica quotidiana. Auspico che questo avvenga e prego perché il lavoro delle vostre organizzazioni e istituzioni nel campo delle relazioni ebraico-cristiane sia sempre più benedetto dal Signore, il cui nome dev'essere sempre lodato: "Grande è il Signore e degno di ogni lode" (Ps 145,3).

Data: 1985-04-19 Data estesa: Venerdi 19 Aprile 1985





Al II raduno dei "Cursillos" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Strumento suscitato da Dio per annunciare al Vangelo oggi




1. Carissimi fratelli e sorelle, che partecipate alla seconda Ultreya italiana dei "Cursillos di cristianità".

Sono particolarmente lieto di questo incontro con voi, qui nella Basilica vaticana, dove la santa messa è stata celebrata con voi e per voi e durante la quale avete pronunciato la professione di fedeltà al Papa, con l'intensità e col calore, con cui ora mi manifestate la vostra devozione e il vostro affetto. In questo incontro sulla tomba di san Pietro si concentra la storia del vostro movimento, perché con esso si consolidano la fede in Cristo Gesù e nel suo Vangelo, l'amore e l'adesione alla Chiesa, la passione per l'uomo.

Vi saluto tutti con viva cordialità, rivolgendo uno speciale pensiero al signor cardinale Eduardo Pironio e incoraggiandovi nel vostro impegno di camminare sempre "più avanti" (= ultreya), da veri servitori del Vangelo, verso l'uomo, verso ogni uomo.


2. Il mio apprezzamento per il vostro movimento è dato innanzitutto dal sapere come esso, con la sua caratteristica pedagogica, avvicini a Dio, favorendo nei suoi membri, singolarmente e comunitariamente, un rapporto fermo e concreto con Cristo Signore e un "primo annuncio", che permette di iniziare un'esperienza di vita cristiana matura.

In secondo luogo dal constatare che, pienamente uniti alla Chiesa e al suo magistero, vi impegnate a vivere il Battesimo in modo autentico e costante, preoccupandovi di essere lievito evangelico nei luoghi dove vivete e lavorate.

A partire da ciò il mio apprezzamento diventa un'esortazione affinché voi siate sempre più operai dell'evangelizzazione. Per essere autentici evangelizzatori occorre imparare a stare davanti a Dio; è necessario educare la mente e il cuore a guardare a Cristo, rivolgendosi a lui con affetto, amandolo.

Perché solo facendo diventare Cristo il fine costante della vostra vita, voi potrete sempre più animare il mondo con il suo Spirito.

Evangelizzare è annunciare la familiarità che Dio ha per l'uomo in Cristo, di cui si è fatta esperienza: "La vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi" (1Jn 1,2). Evangelizzare è dunque portare la buona novella di Cristo "in tutti gli strati dell'umanità e, con il suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità stessa... Ma non c'è umanità nuova, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del Battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell'evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore". Evangelizzare è convincere alla conversione, che in forza del Vangelo, cambia "i criteri di giudizio, i valori determinati, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita, che sono in contrasto con la parola di Dio e con il disegno di salvezza" (EN 18-19). Convertirsi vuol dire accettare pienamente l'abbraccio tenero ed esigente di uno più grande di noi, la cui fedeltà e misericordia sono infinite.

La persona che nasce alla fede è pur sempre un essere ferito nell'intelligenza e nella volontà. La conversione e la penitenza, rinnovando la coscienza e la vita, permettono perciò di ricomporre le fratture, di rimarginare le lacerazione, di instaurare, a tutti i livelli, un'unità essenziale.

"Convertirsi è cambiare la vita in coerenza con il cambiamento del cuore" (RP 4).

Annunziare la conversione significa portare al mondo il perdono di Dio, il mistero di pietà che è Cristo, il "si" misericordioso del Padre al figlio, che ritorna a casa certo dell'amore gratuito a cui affidarsi. E' costruire una realtà umana nuova, avendo Cristo come impronta, come sigillo indistruttibile di una vita radicata in Dio e perciò piena di significato.

Convertirsi è misurare il proprio essere e il proprio operare sull'altezza di Dio, sul suo abbraccio misericordioso, certi che "colui che ha cominciato quest'opera buona la porterà a termine" (Ph 1,6).


3. Anche i "Cursillos di cristianità" sono uno strumento suscitato da Dio per l'annunzio del Vangelo nel nostro tempo, per la conversione degli uomini a Cristo, per la salvezza delle anime, per la pace sulla terra nella verità e nella carità.

Ma indubbiamente il vostro movimento ha caratteristiche speciali, che lo rendono autenticamente efficace solo se sono totalmente realizzate e vissute. Richiamando alla mente un elemento fondamentale del programma formativo dei "Cursillos", possiamo dire che Gesù, il Redentore, guarda l'umanità in tre modi diversi: c'è lo sguardo di Gesù verso il giovane ricco (Mc 10,17-22), per chiamarlo a una vita di più intenso fervore e di totale donazione alla verità e alla testimonianza; c'è lo sguardo di Gesù verso le folle "stanche e sfinite come pecore senza pastore" (Mt 9,36), per invitare alla preghiera che ottenga generosi "operai" per la messe di Dio; c'è infine lo sguardo di Gesù verso Pietro, dopo la sua negazione (Lc 22,68), per rimproverarlo della sua vigliaccheria e per spingerlo al dolore e alla confidenza.

Ebbene, questa umanità, configurata negli avvenimenti descritti dal Vangelo, si affaccia ogni giorno anche alla vostra ansia apostolica: ci sono i lontani dalla verità e dalla grazia, che vivono nell'errore o nel peccato; ci sono gli inquieti incerti, che cercano con affanno il significato della loro esistenza e il fondamento dell'intero universo; ci sono i tiepidi e gli indifferenti, che stanchi e sfiduciati percorrono il cammino della vita senza problemi e interrogativi trascendenti. Voi, appartenenti ai "Cursillos di cristianità" dovete appunto essere fermento nei vari ambienti della società moderna, per fare incontrare l'uomo d'oggi con lo sguardo di Cristo salvatore. E' un impegno meraviglioso e formidabile, un ideale grandioso, che esige generoso impegno nell'utilizzare le possibilità di formazione spirituale che i "Cursillos" mettono a vostra disposizione; solo se curerete intensamente la vostra formazione, potrete veramente evangelizzare l'ambiente in cui vivete, con la coerente testimonianza della vita cristiana, nella famiglia, nel matrimonio, sul lavoro, nella scuola, secondo lo spirito della "professione di fedeltà al Papa" che avete pronunciato e che contiene un serio e completo programma di vita cristiana.

Mettetevi poi a servizio delle parrocchie e delle diocesi, sia per la catechesi dei fanciulli e degli adulti, sia per l'animazione delle varie attività, nei consultori, nell'impegno sociale e civile, nel volontariato, nella cura dei poveri e dei sofferenti. Cristo conta su di voi, e voi potete contare sulla sua grazia.


4. Vi esorto pertanto a non conformarvi alla mentalità di questo secolo, ma a trasformarvi, rinnovando la vostra mente per discernere così la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cfr. Rm 12,2); e prego per voi la Vergine Maria, perché vi aiuti ad essere, come lei, aperti all'iniziativa di Dio nella vostra vita e testimoni del suo amore.

Nell'invocare su voi tutti e su quanti rappresentate l'abbondanza dei favori divini, di cuore vi benedico.

Data: 1985-04-20 Data estesa: Sabato 20 Aprile 1985


Alla "Maratona di primavera" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Una fiumana di luce e di calore per le vie di Roma

Saluto di cuore tutti voi, partecipanti a questa festosa assemblea, ogni anno sempre più numerosa e viva. Come festa di primavera essa è prima di tutto manifestazione di gioia, felicità di partecipare al dono della vita. Letizia tanto più intensa e dono tanto più grande quanto più intimamente ancorati alla certezza che la nostra esistenza è data da Dio, nostro Padre, e che dentro i nostri cuori batte la stessa vita di Gesù risorto, vincitore della morte.

Ma la manifestazione di oggi vuole essere anche festa della scuola cattolica, che si propone l'alto obiettivo di favorire la promozione umana con la fede nei valori del Vangelo, di conoscere Dio per farlo vivere più profondamente dentro di noi, per diffondere attorno a noi come per irradiazione l'idea che la vita di ogni essere umano senza Dio è una piccola cosa che passa, con Dio è il valore più grande che resta.

Saluto le organizzazioni cattoliche che, sotto vari nomi, con tanto amore, spirito di solidarietà e senso di collaborazione hanno promosso e realizzato questa riuscita manifestazione.

Vi saluto tutti uno per uno: genitori, docenti, alunni, ex alunni amici della scuola cattolica, cittadini di tutti i quartieri di Roma, del centro e della periferia, della provincia e della regione. In modo speciale saluto voi, ragazzi e giovani. Con voi rivolgo un deferente pensiero alle autorità governative che hanno voluto essere presenti a questa manifestazione.

Fra poco avrà inizio la vostra marcia, divenuta ormai una tradizione attesa e gradita della città di Roma. Il vostro corteo si snodi per le strade del centro come fiumana di luce e di calore, perché tutti vedano che la vostra gioia viene dalla convinzione intima del cuore che Dio amore è con noi, e che la primavera che è dentro di voi è più bella di quella di fuori.

Io vi benedico di cuore, tutti e ciascuno.

Data: 1985-04-21 Data estesa: Domenica 21 Aprile 1985





Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli apostoli testimoni della risurrezione

"Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho" (Lc 24,39).


GPII 1985 Insegnamenti - A pellegrini di Alessandria - Città del Vaticano (Roma)