GPII 1985 Insegnamenti - Alla messa della guardia svizzera - Città del Vaticano (Roma)

Alla messa della guardia svizzera - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lasciati i vostri affetti avete seguito la chiamata del Padre

"Chiunque avrà lasciato... per il mio nome" (Mt 19,29). Il grande patrono della vostra patria, san Nicola da Flüe, ha realizzato alla lettera nella sua vita queste parole tratte dal Vangelo della sua festa. In un certo senso esse si possono applicare anche a voi, care giovani reclute. Per un certo periodo, anche voi avete lasciato padre e madre, fratelli e sorelle, campi e case per un valore spirituale e religioso. Vi siete arruolati nella Guardia svizzera pontificia per prestare un importante servizio al Vescovo di Roma e successore di Pietro: garantirgli la necessaria sicurezza affinché possa dedicarsi liberamente agli uomini e annunciare loro il messaggio della fede.

Per questo servizio è necessario un atteggiamento positivo, ben disposto verso la Chiesa e la sua unità, verso il Papa e la sua sollecitudine per questa unità. Per poter incontrare con una corretta disposizione gli uomini che si rivolgono a voi dovete essere ben consci della concezione cristiana dell'uomo nei suoi tratti essenziali: davanti a voi sta sempre l'uomo con tutte le sue debolezze, ma che già è stato sostanzialmente redento da Cristo, l'uomo al quale si apre in Dio un futuro luminoso. Come il Signore sulla croce ha affidato l'uno all'altro - sua madre Maria e l'apostolo Giovanni - così egli ci riunisce tutti perché ci proteggiamo e ci rafforziamo, ci aiutiamo e guidiamo reciprocamente lungo il cammino.

Si, il vostro servizio si svolge come in una vocazione spirituale per un valore religioso o, come ha detto Gesù nel Vangelo: "per il mio nome". Perciò è molto significativo che voi cominciate il giorno del vostro giuramento con la santa messa di Gesù Cristo. La fedeltà del Figlio verso il Padre eterno che è nei cieli lo ha portato fino al suo sacrificio per molti. Spezzando il pane e facendosi cibo per noi, egli ci incoraggia e ci rafforza a servire come lui e ad essere fedeli fino al sacrificio della vita.

Cari genitori, parenti e amici delle nuove reclute! Vi ringrazio sinceramente per la vostra prontezza a permettere a vostro figlio, a vostro fratello, amico o collega, di assentarsi per un certo periodo dalla vita della vostra comunità. Sono certo che lo riavrete interiormente rafforzato e arricchito.

Infatti ogni impegno per il regno di Dio e per la Chiesa di Cristo, quando ad esso è legata una certa rinuncia, è benedetto da Dio e trova in lui la sua ricompensa.

Cari amici che avete accettato di servire nella Guardia pontificia, vi ringrazio vivamente. Il Papa conta su di voi per assicurare, attorno a lui e ai suoi collaboratori immediati, condizioni di sicurezza e di ordine oltre che un'accoglienza degna e cortese per i nostri visitatori. So che il vostro senso dell'onore, la vostra coscienza professionale, il vostro amore per la Chiesa, il vostro attaccamento alla persona del successore di Pietro, vi rendono capaci di svolgere bene la vostra funzione. Vi auguro che questo periodo di servizio in Vaticano sia per ciascuno di voi anche l'occasione di un arricchimento umano e di un rafforzamento della fede.

Saluto cordialmente e con gratitudine i vostri parenti e amici, venuti dalla Svizzera, soprattutto dalla Svizzera romanda per i francofoni. La vostra presenza mi ricorda la mia felice visita pastorale nel vostro Paese. Vi imparto, in pegno delle migliori grazie, la mia benedizione apostolica.

Data: 1985-05-06 Data estesa: Lunedi 6 Maggio 1985





Alla Pontificia accademia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nella libertà dell'obbedienza al servizio del mondo

Monsignor presidente, cari sacerdoti, alunni della Pontificia accademia ecclesiastica.


1. La gioia del mio incontro con voi è pervasa, in questo tempo pasquale, dalla luce, dall'amore e dalla pace che irradia l'umanità del Signore risorto. Che la sua grazia e il suo gaudio siano nei vostri cuori! Ho ascoltato con viva attenzione le nobili parole che monsignor Cesare Zacchi, interpretando i vostri sentimenti, mi ha rivolto. Lo ringrazio di cuore per quanto ha detto e soprattutto per la dedizione con cui si prodiga al vostro servizio. Desidero altresi esprimere la mia gratitudine a tutti coloro che, in diverse mansioni e in varie forme, collaborano alla vostra formazione culturale e spirituale, e all'ordinato e sereno svolgimento della vostra vita all'Accademia.

Un saluto e un augurio particolare rivolgo agli alunni i quali, completato il curriculum accademico, entreranno prossimamente al diretto servizio della Sede apostolica.


2. Carissimi, il vostro ministero deve saldamente radicarsi in Gesù Cristo e conformarsi alle disposizioni fondamentali del suo animo. Ora, l'atteggiamento interiore che plasma l'intera vita e il ministero salvifico di Cristo è l'obbedienza totale al Padre. Il Verbo eterno, facendo, per così dire, a ritroso il cammino di Adamo disobbediente, assume la forma di servo, divenendo obbediente fino alla morte di croce (cfr. Ph 2,8). Egli non ha interessi e ambizioni terrene, da coltivare; non ha neppure un proprio personale progetto di vita da realizzare; o meglio, il suo progetto è fare la volontà del Padre, compiere la sua opera, consacrarsi interamente alla causa del regno di Dio. Questa totale disponibilità e perfetta fedeltà alla volontà del Padre non è stata, per Gesù Cristo, senza sofferenza e senza lotta interiore: gli è costata lacrime e sangue.

L'autore della Lettera agli Ebrei ci assicura che "pur essendo Figlio, imparo l'obbedienza dalle cose che pati" (He 5,8). L'obbedienza di Gesù, considerata in profondità, è l'espressione più autentica e la prova suprema del suo amore senza limiti per il Padre e per gli uomini. L'amore è sempre dono disinteressato di se stessi per fare la volontà dell'amato. Gesù è obbediente perché ama il Padre; Gesù è servo perché ama gli uomini. Egli stesso dichiara ai suoi discepoli: "Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i suoi comandamenti e rimango nel suo amore" (Jn 15,10).

Si deve, inoltre, rilevare come l'obbedienza conferisca allo stile di vita di Gesù Cristo un senso straordinario di libertà interiore al servizio della sua missione. Poiché è totalmente consacrato alla gloria del Padre, all'annuncio del Vangelo, alla testimonianza della verità, Gesù Cristo è interiormente libero riguardo ai legami familiari e ai beni terreni, totalmente distaccato dalla ricerca di prestigio umano, alieno dai compromessi, superiore ai pregiudizi del suo tempo.


3. Sull'esempio di Gesù, anche l'apostolo del Nuovo Testamento deve essere una persona che, nella libertà dell'obbedienza, è pienamente disponibile per il servizio alla Chiesa e al mondo. San Paolo, che è il modello di ogni apostolo, è servo di Gesù Cristo, segregato per il Vangelo, totalmente disponibile allo Spirito che lo spinge incessantemente a percorrere le strade del mondo, distaccato dalla famiglia e dai beni, sempre pronto a sacrificare tutto e in primo luogo se stesso per il bene delle anime.

Cari sacerdoti, il servizio che voi, un giorno, sarete chiamati a svolgere, esige un particolare esercizio dell'obbedienza, in profondo spirito di fede. Direi, anzi, che dovete interpretare la vostra vita, e i vari appelli che vi giungono, in chiave di obbedienza. Già la vostra entrata all'Accademia si fonda su un atto di obbedienza. Assunti poi, al servizio della Sede apostolica, voi dovrete essere disponibili per andare in ogni parte del mondo e affrontare qualsiasi clima, negli ambienti socio-culturali più diversi. Il compito di rappresentanza si può ben considerare una forma esigente di obbedienza, in quanto domanda quasi uno svuotamento di se stessi, per poter fedelmente recepire e lealmente trasmettere il pensiero di chi si rappresenta.

Non è tuttavia l'obbedienza di un soggetto passivo quella che vi è richiesta; ma un'obbedienza personale, attiva, responsabile. La vera obbedienza, infatti, è capacità di ascolto, apertura di spirito, sensibilità d'animo per captare e interpretare gli appelli che giungono dallo Spirito, dai vostri superiori, dalle Chiese locali, dal mondo. La varietà e complessità dei compiti, delle situazioni, dei problemi che dovrete affrontare, esigerà da voi una disponibilità di spirito a tutta prova, una non comune libertà interiore, un perfetto distacco da voi stessi e dalle vostre ambizioni, una grande agilità mentale e alacrità d'animo.


4. Questa obbedienza certamente non si può realizzare senza impegno, senza sacrificio e senza una progressiva maturazione spirituale. Nell'Eucaristia che celebrate ogni giorno, voi potete ricevere la forma vitale dell'obbedienza suprema di Gesù, per viverla nella situazione concreta in cui la Provvidenza vi porrà.

Sarà proprio questa vita di obbedienza, offerta con generosità al Padre, alla Chiesa e agli uomini, che vi permetterà di servire al piano divino della redenzione dell'uomo d'oggi.

Se voi entrerete in questa via dell'obbedienza, sperimenterete anche un senso interiore di ineffabile pace. Mi piace ricordare, a proposito di questo binomio "obbedienza e pace", l'esemplare testimonianza di Giovanni XXIII. Eletto vescovo, esattamente 60 anni or sono, e nominato visitatore apostolico in Bulgaria, egli annotava nel "Giornale dell'anima": "Motto del mio stemma sono le parole "oboedientia et pax", che il padre Cesare Baronio pronunciava tutti i giorni baciando in San Pietro il piede dell'apostolo. Queste parole sono un po' la mia storia e la mia vita. Oh, siano esse la glorificazione del mio povero nome nei secoli".

Insieme con la pace, l'obbedienza radicata nella fede vi porterà anche un inalterabile senso di fiducia. Cito ancora dalla pagina del "Giornale dell'anima" di Giovanni XXIII: "La Chiesa mi vuole vescovo per mandarmi in Bulgaria, ad esercitare, come visitatore apostolico, un ministero di pace. Forse nella mia vita mi attendono molte tribolazioni. Con l'aiuto del Signore mi sento pronto a tutto. Non cerco, non voglio la gloria di questo mondo; l'aspetto, molto grande, nell'altro". Si sente, qui, l'eco delle parole dell'Apostolo delle genti: "So a chi ho creduto, e sono convinto che egli è capace di conservare fino a quel giorno il deposito che mi è stato affidato" (2Tm 1,12).

Che il Signore risorto ravvivi in voi lo spirito di obbedienza donandovi insieme la sua pace e la sua fiducia! Con questo augurio, tutti benedico di cuore.

Data: 1985-05-06 Data estesa: Lunedi 6 Maggio 1985





A vescovi della Colombia in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le vocazioni, risposta chiara alle inquietudini del mondo

Cari fratelli nell'episcopato.


1. L'intima gioia che ho provato nell'incontrarmi con ciascuno di voi separatamente, è ancora più piena in questo incontro comune. Con l'apostolo Paolo vi saluto augurandovi "grazia, misericordia e pace da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù signore nostro" (1Tm 1,2).

Vi do il più cordiale benvenuto, cari pastori delle arcidiocesi di Bucaramanga e Manizales, delle diocesi di Cucuta, La Dorada-Guaduas, Magangué, Ocana, Palmira, Socorro e San Gil, Valledupar, Zipaquir e della prelatura di Tibu.

In voi saluto di cuore i vostri sacerdoti, religiosi, religiose, gli altri agenti della pastorale e il popolo fedele che Dio vi ha affidato. Ringrazio innanzitutto per le parole che a vostro nome mi ha indirizzato monsignor Héctor Rueda Hernandez, arcivescovo di Bucaramanga e presidente della Conferenza episcopale.

La testimonianza di comunione nella fede e nella carità col successore di Pietro, che desiderate dare con la vostra visita "ad limina", diventa ancora più feconda in questa occasione in cui riflettiamo davanti al Signore sulla situazione delle vostre diocesi. E fin da ora vi esprimo la mia soddisfazione perché, nelle relazioni quinquennali che avete inviato e negli incontri personali, ho potuto apprezzare tanti risultati positivi della vostra azione pastorale così piena di abnegazione, così come i vostri progetti e le vostre speranze da realizzare nel futuro, le luci e le ombre del vostro lavoro di seminatori della buona semente del Vangelo, in una società che ha bisogno della grazia salvifica di Cristo.


2. E dato che "la Chiesa compie la funzione di santificare in modo peculiare attraverso la sacra liturgia" (CIC 834), che viene offerta in nome della Chiesa attraverso le persone legittimamente designate, mi ha profondamente rallegrato il vostro impegno di promuovere le vocazioni sacerdotali e religiose. Ciò mette in chiaro che siete ben coscienti di questo obiettivo primario della vostra responsabilità di pastori, alla cui cura è stata affidata una parte del popolo di Dio.

Con grande gioia e speranza ho potuto verificare che la crisi vocazionale viene ora superata nelle vostre Chiese locali e che i seminari e le case di formazione sono piene di giovani generosi disposti a rispondere al Signore che li chiama a consacrare la loro vita al servizio dei fratelli. E' questo un motivo per rendere grazie a Dio che benedice col dono della vocazione queste anime scelte.

Senza dubbio questo fiorire delle vocazioni è frutto della preghiera umile, fiduciosa e perseverante. Per questo Cristo, dopo aver contemplato il vasto campo, l'abbondanza della messe e la scarsezza degli operai, ci ha comandato: "Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe" (Lc 10,2).

E' così che le vostre Chiese diocesane hanno messo in pratica l'esortazione di Puebla (n. 882) di promuovere campagne di preghiere, coscienti che "la vocazione è la risposta di Dio provvidente alla comunità orante".


3. Questa risposta è anche il frutto di una pastorale vocazionale rinnovata, dinamica, inserita nella pastorale nel suo insieme, che porta a convincere tutta la comunità cristiana del suo dovere in campo vocazionale: "Tutta la comunità deve procurare le sue vocazioni, come segno della sua vitalità e maturità" (Puebla, discorso inaugurale).

Se la pastorale diocesana ha il dovuto orientamento vocazionale, si è ottenuta una meta importante e si è soddisfatta una condizione del mistero dell'incontro dell'uomo con Dio e della risposta alla sua chiamata. Infatti, non possiamo dimenticare che Cristo e la Chiesa ci chiamano al Padre, che ogni creatura deve servire e per il quale ogni uomo deve essere una risposta d'amore nell'economia della salvezza. La vocazione autentica e vigorosa deve pertanto nascere e realizzarsi in funzione della vocazione della Chiesa, sacramento di salvezza.

E' logico che la pastorale vocazionale deve tenere molto in conto la realtà del mondo attuale e, contemporaneamente, quella della società nella quale svolgete il vostro lavoro apostolico: una società, rurale o urbana, in cui le tendenze materialiste ed edoniste vogliono imporsi ai valori dello spirito che danno l'autentica dimensione umana e trascendente della persona. I nobili ideali presentati ai giovani nella loro sequela di Cristo, perciò, si vedono spesso oscurati e frenati da tanti allettamenti ingannevoli che, in verità, mai potranno soddisfare l'ansia di bene più profondo dei cuori generosi. Ma proprio perché incontra tale opposizione, al giovane che vive in questo ambiente bisogna indicare con chiarezza il cammino, accompagnandolo e guidandolo.


4. E' necessario, nello stesso tempo, che la pastorale vocazionale animi la formazione di ambienti di fraternità, la maturità umana, la vita spirituale, distinta da una solida preghiera, centrata sulla parola di Dio, fortificata dai sacramenti e concretizzata nel lavoro apostolico. A questo riguardo, particolare attenzione deve essere dedicata al lavoro apostolico con le famiglie, con la gioventù, nelle scuole e negli altri centri di insegnamento, da dove potranno sorgere anime desiderose di un maggiore impegno a servizio di Dio e del prossimo.

Ma, innanzitutto, bisogna saper presentare al giovane e alla giovane, chiamandoli alla vita sacerdotale o religiosa, la bellezza e l'importanza di un possibile impegno nel mondo di oggi: quello di una vita che è, nella sua risposta, una vera sfida. Infatti, ad una società secolarizzata risponde con una profonda esperienza di Dio, rivelato in Cristo e per amore divenuto ispirazione al servizio ai più bisognosi. A una società egoista e consumista risponde con l'amore disinteressato e con la povertà volontaria, indicando cammini di austerità con i quali si possono superare tante difficoltà dell'ora presente. A una società talvolta manipolata risponde con l'obbedienza, come esercizio superiore della libertà, e alla società edonista risponde con la castità, che lungi dal decurtare la forza dell'amore le dà un respiro di universalità. A una società ideologizzata risponde col Vangelo, fatto norma di vita e con la voce della Chiesa, sua depositaria. A una società orfana e consumata dall'odio risponde con l'amore del Padre, dei fratelli, preferenzialmente dei più poveri, degli infermi e degli emarginati. A una società piena di angustie e senza orizzonti risponde con la sicurezza della speranza e con l'ampia prospettiva dell'umanesimo fondato nella fede.

Il mondo, l'America Latina hanno bisogno di una risposta a queste sfide.

La Chiesa deve darla, soprattutto con le sue forze più vive.


5. La formazione spirituale, disciplinare e intellettuale dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa è, lo so, oggetto della maggiore attenzione da parte dell'episcopato colombiano. Il Concilio Vaticano II ha segnalato criteri e ha dato luminose direttive a questo riguardo.

Sulla formazione nei seminari desidero soltanto ricordarvi il documento della Congregazione per l'educazione cattolica "Su alcuni aspetti più urgenti della formazione spirituale nei seminari" (6 gennaio 1980). Secondo questo documento, l'educazione integrale in questi centri di formazione dovrà portare all'esperienza personale con il Signore, a formarsi solidamente in campo umano, scientifico e pastorale, per essere autentici "ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio" (1Co 4,1).

Per questo, già dal seminario, il candidato al sacerdozio deve sentire la cura personale e la vicinanza del suo pastore, instaurando con lui una relazione di amicizia che presto si consoliderà in vincoli fraterni tra il vescovo e il suo presbitero. E' consolante verificare che l'apertura al dialogo, alla reciproca collaborazione e alla giusta corresponsabilità avvicinano sempre più il vescovo ai suoi sacerdoti e agli altri agenti della pastorale. Questo indica il Concilio Vaticano II nel decreto "Christus Dominus" (cfr. CD 28).


6. Inoltre, il vostro comportamento con i sacerdoti sia dettato da vera amicizia e intimità, sostenendoli e confortandoli nei loro compiti pastorali e nella loro vita personale. Grazie alla vicinanza del vescovo, il sacerdote si sente animato a vivere con gioia e dedizione la sua vocazione di sequela a Cristo e di incondizionato amore alla Chiesa.

Nello stesso modo, mostrare in ogni momento spirito di collaborazione e sostegno ai religiosi e alle religiose che in modo così importante contribuiscono a diffondere e a consolidare il messaggio del Vangelo nelle vostre diocesi. Di essi il mio predecessore Paolo VI disse: "Li si incontra non di rado all'avanguardia della missione, affrontando i più grandi rischi per la loro santità e la propria persona" (EN 69). A questo proposito, mantiene la sua piena validità il documento emanato dalle Congregazioni per i vescovi e i religiosi e gli istituti secolari sulle mutue relazioni tra vescovi e sacerdoti.


7. Non potrei concludere questo incontro senza rivolgervi una chiamata all'universalità ecclesiale. Ricordo a questo proposito le parole del documento di Puebla (n. 368): "E vero che abbiamo bisogno di missionari. Ma dobbiamo darne a partire dalla nostra povertà".

Già prossimi al V Centenario della scoperta e della evangelizzazione del nuovo continente, faccio voti perché la Chiesa in Colombia, animata da spirito missionario, contribuisca con generosità al bene delle altre Chiese, donando la ricchezza spirituale che in cinque secoli si è maturata nella nobile anima latinoamericana. Vi auguro che con l'aiuto della grazia divina la vostra pastorale vocazionale si veda coronata dall'invio di evangelizzatori: sacerdoti, religiosi, religiose e laici, alle Chiese bisognose. E' questo il sentimento universale che deve avere la vocazione in Colombia, in America e nel mondo, come coronamento del processo dinamico dell'evangelizzazione. Questo non impoverirà ma arricchirà le vostre Chiese.

Metto sotto la protezione di Maria, l'umile serva che ha risposto con prontezza generosa alla chiamata di Dio, la pastorale vocazionale delle vostre diocesi e di tutta la Colombia. Sia ella maestra, consigliera e madre dei vostri giovani, che, insieme a voi e ai vostri operatori della pastorale, benedico con affetto.

Data: 1985-05-07 Data estesa: Martedi 7 Maggio 1985


Messaggio al segretario dell'Onu - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Libano insanguinato attende la fine delle sofferenze

L'interesse particolare che nutro per il Libano e le notizie allarmanti che non cessano di pervenire da questa terra insanguinata mi spingono, ancora una volta, a rivolgermi a vostra eccellenza.

Dopo tanti anni di scontri che non hanno seminato che devastazione, intolleranza e lutto, sembra che siano da temere avvenimenti ancora più tragici. Ogni giorno, combattimenti mortali, indicibili drammi umani e appelli di aiuto, provenienti da ogni parte e da tutte le comunità, non fanno che ravvivare nel nostro cuore un profondo dolore.

La popolazione libanese, provata da questo lungo stato di guerra, sembra giunta al limite della sopportazione e nessuno può restare insensibile a tante sofferenze e distruzioni. Non si può rimanere inerti davanti allo spettacolo sconvolgente delle famiglie costrette ad abbandonare le loro case e i loro beni, perseguitate e come votate a rappresaglie di ogni tipo. Ciò che avviene nel Sud del Paese - penso in particolare alle popolazioni cristiane e ai rischi corsi da tutti coloro che hanno trovato rifugio a Jezzine - i bombardamenti ciechi che si abbattono su Beyrout e l'anarchia che a poco a poco si impadronisce di tutti i settori della vita sociale portano a pensare che una tale situazione, se dovesse durare, potrebbe divenire fatale per la sopravvivenza del Paese. In questo contesto, non si può che condividere i timori dei libanesi stessi - cristiani e musulmani - di vedere aumentare la frattura tra le diverse comunità, esacerbarsi gli estremismi e infine scomparire ogni identità nazionale.

Convinto che tale esito non è ineluttabile, conoscendo la volontà di vivere dei libanesi e confidando nella solidarietà di tanti uomini di buona volontà, continuo a non risparmiare alcuno sforzo per appellarmi alla coscienza delle nazioni e dei loro responsabili, affinché il Libano possa ridiventare se stesso. Si tratta per me di un impegno che deriva molto chiaramente dalla mia missione di Pastore, preoccupato innanzitutto per i numerosi suoi figli in preda ai più gravi pericoli e che hanno spesso l'impressione di essere poco conosciuti o dimenticati. Si tratta poi di un dovere di fedeltà verso colui che ha proclamato per tutti gli uomini la beatitudine della pace e che desidera contribuire ad un discernimento capace di spronare tutti coloro che hanno qualche potere di decisione - in Libano come altrove - a impegnarsi concretamente per scoraggiare le inimicizie, la paura e la violenza.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite, per la sua importanza e le sue responsabilità internazionali, è una tribuna particolarmente adatta per far risuonare un appello che vuole essere in qualche modo la voce di tutti i libanesi tentati dalla disperazione: non abbandonate il Libano; aiutate il suo popolo a gettare le basi di un dialogo lucido per l'edificazione di un Paese veramente rinnovato! Ho fiducia, signor segretario generale, che l'Organizzazione delle Nazioni Unite, fino alle sue istanze più elevate, saprà accogliere il mio intervento e mettere in opera tutte le sue possibilità per coordinare le iniziative concrete e urgenti imposte da una situazione così complessa. Sono persuaso inoltre che questa stessa Organizzazione non esiterà a rafforzare la sua partecipazione all'instaurazione della pace in quel Paese, attraverso una presenza ampliata della forza che essa mantiene da anni in Libano e che ha una missione particolarmente importante.

Partecipando queste riflessioni e queste aspirazioni al segretario generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, nutro la speranza che sarà dato loro una larga eco e che sarà stimolata la buona volontà di tutti coloro che, nella Società delle nazioni, credono sempre ai valori rappresentati dal Libano e desiderano veramente che sia posta fine a questa lunga agonia. Inoltre, si ridaranno fiducia e coraggio a tanti libanesi che aspirano, nel proprio Paese come in tutto il Medio Oriente, all'avverarsi di una coesistenza basata sulla mutua comprensione tra le comunità e i popoli della regione.

Contando sulla vostra influenza e sulla vostra autorità morale, la prego di accettare, signor segretario generale, la rinnovata assicurazione dei miei sentimenti di altissima considerazione.

Data: 1985-05-07 Data estesa: Martedi 7 Maggio 1985


Messaggio alle superiore generali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La formazione religiosa deve svilupparsi nella Chiesa

Carissime sorelle, responsabili generali di congregazioni religiose, insieme alle loro assistenti e segretarie.

Come in occasione delle vostre precedenti assemblee, sarei molto lieto di incontrarvi nel corso delle vostre giornate di lavoro che conducono al centro della cristianità le rappresentanti delle religiose di tutto il mondo, e ripetervi, oltre alla fede della Chiesa nella vita consacrata, la sua riconoscenza per ciò che siete, per i valori che rappresentate agli occhi dei cristiani e davanti al mondo, la sua fiducia nella vostra collaborazione preziosa e insostituibile al servizio dello sviluppo del regno di Cristo e della diffusione del Vangelo.

Il pellegrinaggio apostolico nei Paesi Bassi, in Lussemburgo e Belgio, mi trattiene fuori Roma proprio nei giorni della vostra assise. Ho voluto tuttavia indirizzare, a voi che svolgete in modo del tutto particolare la missione di guidare le vostre sorelle diffuse in tutto il mondo, un messaggio che vi manifesti il mio profondissimo interesse per i vostri lavori, vi porti i miei incoraggiamenti calorosi per gli sforzi compiuti al fine di approfondire e di sviluppare sempre più i valori fondamentali della vostra consacrazione al Signore in seno alla Chiesa, per il servizio spirituale e materiale ai vostri fratelli.

Mi è gradito, innanzitutto, rallegrarmi con voi in quest'anno in cui celebrate il XX anniversario della fondazione della vostra Unione. Fu infatti l'8 dicembre 1965, giorno della conclusione del Concilio, che il cardinale prefetto della Congregazione per i religiosi firmo il decreto di istituzione dell'Unione internazionale delle superiore generali, considerato allora come "il primo frutto del decreto "Perfectae Caritatis" e realizzato al fine di aiutare le religiose nell'applicazione delle decisioni conciliari, particolarmente quelle della "Lumen Gentium" e della "Perfectae Caritatis".

La celebrazione di questo giubileo mi dà l'occasione di ringraziare coloro che da vent'anni, con dedizione, intelligenza e competenza, si sono sforzati di aiutare gli istituti ad assicurare più pienamente le loro finalità, a salvaguardare il loro carattere e il loro spirito riconosciuti dalla Chiesa, secondo la richiesta stessa del decreto "Perfectae Caritatis" (PC 23); mi dà inoltre l'occasione di ringraziarli per aver facilitato la collaborazione tra la Santa Sede e i diversi istituti grazie ai rapporti diretti dell'Unione internazionale delle superiore generali con tutti gli istituti.

Avete scelto come tema dei vostri lavori: "La formazione alla vita religiosa nella cultura contemporanea". Di per sé, questo titolo è una testimonianza della vostra fede nella vita religiosa che rimane sempre di attualità. Infatti, come ricorda la "Lumen Gentium" (LG 44), oggi come ieri, "la professione dei consigli evangelici appare come un segno, il quale può e deve attirare efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana". La ricerca costante di Dio, di un amore senza riserve per Cristo, di una dedizione assoluta alla diffusione del suo regno - testimonianze privilegiate, fin dalle origini, della vita religiosa autentica - costituisce un segno concreto senza il quale "la carità di tutta la Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in via di secolarizzazione" ("Evangelica Testificatio", 3).

Per rendere questa testimonianza che il mondo attende da essa, la vita religiosa deve tuttavia conservare la sua specificità, che è quella di essere "segno di contraddizione" (discorso ai religiosi del 2 febbraio 1984), non contro l'uomo, ma contro l'inumano della società contemporanea, non contro l'universo moderno, ma per salvarlo. I religiosi devono infatti mostrare in modo creativo che la vita religiosa ha un significato di per se stessa. La Chiesa ha innanzitutto bisogno della presenza dei religiosi in quanto tali; la preghiera non limita l'apostolato: la ben intesa contemplazione conduce all'apostolato e rende fruttuosa l'azione intrapresa.

E' dunque della più grande importanza che, nel prendere contatto con la vita religiosa, i candidati scoprano comunità in cui si prega veramente, dove il Signore è veramente il padrone di casa, dove si ama fraternamente, dove si vive una povertà volontaria, fatta di distacco dai beni materiali e dove si sopportano gioiosamente alcune privazioni connesse a questo stato, dove i religiosi sono coscienti della loro identità, la vivono realmente e non esitano a manifestarla, anche esteriormente, dove si ha la sollecitudine di collaborare alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

Senza alcun dubbio, lo scopo primario della formazione religiosa è di permettere ai giovani di prendere coscienza della loro identità. Da sola, questa presa di coscienza permetterà loro un inserimento nel mondo che non sia una diluizione della loro personalità. Quali che siano le difficoltà incontrate, i responsabili della formazione hanno il grave dovere di aiutare le giovani a presentare al mondo, con la loro vita, l'alto ideale della vita consacrata.

Certamente, la realtà concreta può richiedere degli adattamenti secondo i tempi e i luoghi e la Chiesa auspica la ricerca dei mezzi e dei metodi più adatti alla formazione delle giovani di oggi alle condizioni delle diverse culture in cui esercitano il loro apostolato. In questa valida sollecitudine all'adattamento, conviene tuttavia in primo luogo salvaguardare sempre il primato del Vangelo e dar prova di meditata valutazione al fine di evitare di imporre ai popoli di alcune regioni dei modelli di pensiero e di azione che siano loro estranei. In questo adattamento alle culture, la ricerca sarà sempre accompagnata da una riflessione teologica illuminata dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione e dal magistero, per conoscere per quali vie la fede può accettare i costumi, le norme culturali e le abitudini dei diversi popoli.

D'altra parte, se bisogna preparare le giovani a opere e iniziative nuove, più adatte alle realtà attuali e alle situazioni delle regioni in cui sono mandate, non bisogna mai dimenticare che le scuole, gli ospedali, i centri di assistenza esistenti da molto tempo per il servizio ai fratelli, conservano tutta la loro attualità.

La Chiesa, che conosce i diversi problemi incontrati dagli operai del Vangelo, a seconda dei tempi e dei luoghi, segue la realtà che porta in sé i segni della Provvidenza divina. Essa si sforza di aiutare i responsabili della formazione religiosa nel loro arduo compito che, per essere efficace, deve sempre svilupparsi nella Chiesa, con essa e per essa. Le disposizioni del Codice di diritto canonico, esplicitando le richieste del Concilio, costituiscono un aiuto indispensabile nell'opera fondamentale e così importante della formazione delle religiose.

In questo periodo pasquale in cui la Chiesa celebra il Cristo risorto, dopo aver partecipato alle sue sofferenze, vi raccomando di porre "i vostri cuori in lui, pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in voi" (1P 3,15).

Affidandovi tutte alla Vergine Maria, Madre della Chiesa, nel vostro impegno di accompagnare gli apostoli al Cenacolo per la preparazione immediata al loro apostolato, chiedo a lei per voi la gioiosa generosità necessaria a far conoscere suo Figlio ai vostri fratelli. E benedico di tutto cuore voi e le famiglie religiose di cui avete la nobile e grave responsabilità.

Data: 1985-05-07 Data estesa: Martedi 7 Maggio 1985





Ai Frati minori - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Osservare la Regola di san Francesco approvata dalla Chiesa

Carissimi padri capitolari dell'Ordine dei Frati minori.


GPII 1985 Insegnamenti - Alla messa della guardia svizzera - Città del Vaticano (Roma)