GPII 1985 Insegnamenti - Ai Frati minori - Città del Vaticano (Roma)


1. In vista del capitolo generale che sta per incominciare, il ministro generale uscente, padre John Vaughn, conformemente alle costituzioni dell'Ordine, mi ha rivolto richiesta di voler designare un mio delegato incaricato di presiedere, a nome e per conto della Sede apostolica, all'elezione del ministro generale, la quale è tra i principali compiti del capitolo stesso.

Desidero ringraziare sentitamente dell'atto tanto cortese, che mi ha recato conferma della devozione dell'Ordine verso la Sede di Pietro e dell'attesa che esso nutre di essere da questa illuminato e sostenuto in una circostanza tanto importante per la sua vita interna e per il suo servizio alla Chiesa. Sono infatti ben consapevole - come ebbe a dire il mio venerato predecessore Paolo VI ai partecipanti al capitolo generale del 1967 - che tutta la Chiesa di Dio si onora della vostra mondiale diffusione, del vostro evangelico esempio, del vostro generoso apostolato, da cui tanto e tanti meravigliosi frutti sono derivati nel corso dei secoli.


2. E' costante sollecitudine dei romani pontefici venire in aiuto con autorità vigile e premurosa agli istituti di vita consacrata, specialmente in occasione dei rispettivi capitoli generali, perché essi possano crescere e fiorire secondo lo spirito del fondatore (cfr. LG 45). Il capitolo generale, infatti, è momento particolarmente appropriato per favorire tale crescita, essendo suo compito precipuo "tutelare il patrimonio dell'istituto", al fine di custodire fedelmente l'intendimento e i progetti del fondatore, sanciti dalla competente autorità della Chiesa, relativamente alla natura, al fine, allo spirito, all'indole e alle sane tradizioni dell'istituto stesso (cfr. CIC 578 CIC 631 § 1).


3. La premura dei romani pontefici nel custodire i genuini valori dell'immenso patrimonio spirituale di tante generazioni di religiosi ha avuto accentuate espressioni nei confronti dell'Ordine dei Frati minori, in risposta all'originario impegno di stretta connessione con la Sede apostolica, sancito nel capitolo I della regola approvata da papa Onorio III, la quale è e rimane la carta costituzionale per i francescani di tutti i tempi. In essa frate Francesco promette "obbedienza e riverenza al signor papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana". Egli conferisce in tal modo peculiare orientamento e misura anche all'obbedienza da lui comandata ai frati verso se stesso e i suoi successori. Dal canto suo, la Sede apostolica ha voluto essere particolarmente vicina all'Ordine vostro in tutti i momenti salienti della sua storia. Basti ricordare, limitatamente all'epoca posteriore al Concilio Vaticano II, l'udienza ai partecipanti al capitolo del 1967 e l'importante lettera al ministro generale in occasione del capitolo del 1973 del mio predecessore Paolo VI. Personalmente conservo sempre viva nell'animo la gioia che suscito in me l'incontro che ebbi con i membri del capitolo celebrato nel 1979, nel quale esortai l'Ordine alla fedeltà alle proprie origini e al superamento delle difficoltà in atto.

Mi è in pari tempo gradito ravvivare la memoria della visita da me compiuta, il 16 gennaio 1982, al Pontificio ateneo "Antonianum", che mi offri l'opportunità di invitare l'Ordine intero a contribuire, in particolar modo mediante quella sua benemerita istituzione accademica, a colmare il bisogno di speranza degli uomini del nostro tempo con l'apporto originario che scaturisce dall'esperienza caratteristica del vostro fondatore.


4. In una circostanza altrettanto importante qual è la presente, io vi invito insistentemente a riconsiderare con ogni attenzione i vari incontri con il successore di Pietro ora ricordati, per attingere da essi chiare persuasioni circa le attese che la comunità cristiana e il mondo oggi alimentano nei confronti dell'Ordine dei frati minori. I cristiani attendono che voi amiate la Chiesa come san Francesco l'ha amata; gli uomini chiedono a voi una chiara testimonianza evangelica e desiderano che mostriate a tutti le altezze della vostra vocazione (cfr. Paolo VI al capitolo del 1973: Insegnamenti XI, 1973, p. 575).


5. Con pari insistenza vi esorto, dunque, ad operare un'attenta revisione delle teorie e delle prassi che si sono rivelate di impedimento a rispondere a tali attese, e di mettere in atto tutto ciò che può essere di aiuto al pieno adempimento dei doveri inerenti alla vostra particolare forma di vita.

A tal fine si dovrà innanzitutto mettere ogni impegno perché l'Ordine realizzi e consolidi la specificità anche giuridica di ogni istituto di vita consacrata, che è quella di essere "una forma stabile di vita" (CIC 573 § 1), e non quindi un "movimento" aperto a opzioni nuove continuamente sostitutive di altre, nell'incessante ricerca di una propria identità, quasi che essa ancora non fosse stata trovata. Al riguardo non posso tralasciare di notare che anche la moltiplicazione di "letture" della regola porta con sé il rischio di sostituire al testo della regola stessa una sua interpretazione o, almeno, di oscurare la semplicità e purezza con le quali da san Francesco essa fu scritta (cfr. Testamento, 39).

Si dovrà inoltre evitare che la stessa parola "fraternità", pur tanto bella e significativa sulle labbra di san Francesco per designare il suo Ordine (cfr. Regola, VIII,1; IX,2; XII,3; Testamento, 33) venga ad assumere significati ambigui che, mentre favoriscono l'indipendenza, non proteggono la giustizia, dando così adito all'instaurazione di una crisi funesta di autorità, mai disgiunta dalla crisi anche di obbedienza.

Sarà poi quanto mai salutare l'incremento del servizio al Signore in quella povertà che san Francesco volle quale caratteristica nativa del suo Ordine (cfr. Regola, VI,2), raccomandandola come la virtù dai frutti innumerevoli anche se nascosti (cfr. san Bonaventura, "Legenda Maior", VII,1). Questa "povertà altissima" non può esaurirsi in proclami a difesa dei poveri, anche se evangelicamente e socialmente giusti e doverosi. Essa riceve pienezza di significato religioso solo se è anche povertà realmente vissuta. D'altra parte, quando è effettivamente praticata, la povertà esige che i frutti da essa prodotti rimangano almeno in parte nascosti, divenendo in tal modo insieme umiltà e saggezza, e inducendo a vivere più di silenzio che di propaganda, e a evitare di raccomandarsi da sé o di paragonarsi soltanto con se stessi (cfr. 2Co 10,12).

Vorrei infine esortarvi a non abbandonare, ma anzi a rivitalizzare, in ordine all'apostolato missionario e alla retta educazione alla fede e alla pietà del popolo cristiano, le vostre sane tradizioni tra le quali mi piace sottolineare la peculiare venerazione ai misteri di Cristo Verbo incarnato e della santissima Eucaristia, il filiale amore alla Madonna, Madre immacolata del Redentore, la fedele comunione ecclesiale con i pastori posti da Dio a guida del suo popolo.


6. Sono queste, carissimi fratelli, le considerazioni ed esortazioni che desidero farvi pervenire con questo speciale messaggio, nell'intento di accrescere in voi, adunati in capitolo generale, la consapevolezza della gravissima responsabilità che avete dinanzi all'Ordine e a tutta la Chiesa, nel momento in cui vi apprestate a rinnovare il governo centrale dell'Ordine stesso, e a definire gli orientamenti che impegneranno i religiosi e le istituzioni che rappresentate.

Sono considerazioni ed esortazioni che confluiscono nel desiderio, insieme mio e vostro, che sia in tutto osservata la Regola di san Francesco, così com'essa è stata approvata e interpretata dalla Chiesa. Sopra tali considerazioni ed esortazioni invoco perciò, con accresciuto affetto, il conforto divino, prendendo a prestito le stesse parole con le quali san Francesco conclude la sua lettera a tutto l'Ordine: "Benedicti vos a Domino, qui feceritis ista, et in aeternum Dominus sit vobiscum. Amen".


7. Nel desiderio di fare quanto è possibile affinché dette considerazioni trovino adeguata espressione sia nelle persone che dovranno guidare l'Ordine nel prossimo sessennio, sia nella rinnovata legislazione e nelle opzioni prioritarie di competenza del presente capitolo generale, vengo incontro volentieri alla richiesta che mi è stata rivolta e dispongo che prenda parte al capitolo come mio delegato speciale sua eminenza monsignor Vincenzo Fagiolo, segretario della Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari, del quale conoscete i sentimenti di fraterna simpatia verso il vostro Ordine e le doti di competenza e di prudenza, tanto necessarie per l'espletamento di un compito così delicato.

Con questo gesto di affettuosa attenzione verso l'Ordine, so di ricongiungermi idealmente con quella intuizione ecclesiale, consegnata da san Francesco nel capitolo conclusivo della Regola, dove, ingiungendo per obbedienza ai ministri di chiedere "al signor Papa un cardinale della santa romana Chiesa come governatore, protettore e correttore dell'Ordine" il Poverello indicava la motivazione profonda di tale richiesta: "affinché sempre sudditi e soggetti ai piedi della stessa santa Chiesa, saldi nella fede cattolica, osserviamo la povertà e l'umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, come abbiamo fermamente promesso".


8. Io affido pertanto i vostri lavori all'amore del Padre, alla grazia del Figlio e all'assistenza dello Spirito Santo. E la mia preghiera si unisce alla vostra nell'invocazione all'Immacolata Vergine Maria che voi amate venerare come Madre e Regina dell'Ordine.

Con l'auspicio che san Francesco sia sempre con voi e voi sempre a lui guardiate, secondo la vostra espressione liturgica domestica, come a "forma minorum, virtutis speculum, recti via, regula morum", invio a tutti e a ciascuno, con sincera benevolenza, la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 8 maggio 1985

Data: 1985-05-08 Data estesa: Mercoledi 8 Maggio 1985





Ai partecipanti al simposio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La santità cristiana e musulmana proviene dallo stesso Dio

Cari amici.

E' una gioia speciale per me poter dare il benvenuto a voi che siete i nostri ospiti che seguono la fede dell'Islam, e che vi trovate a Roma per il colloquio su "La santità nel cristianesimo e nell'Islam". I miei saluti fraterni vanno anche ai cristiani che hanno preso parte al colloquio. Come spesso ho detto in altri incontri con i musulmani, il vostro Dio e il nostro è uno solo e lo stesso, e noi siamo fratelli e sorelle nella fede di Abramo. così, è naturale che abbiamo molto da discutere a proposito della vera santità nell'obbedienza e nell'adorazione a Dio.

Ogni vera santità proviene da Dio che è chiamato "il Santo" nei libri sacri degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Il vostro sacro Corano chiama Dio "Al-Quddus", come nel verso: "Egli è Dio, oltre a lui non c'è nessun altro, è il Sovrano, il Santo, la (sorgente della) pace" (Corano 59,23). Il profeta Osea collega la santità di Dio col suo amore clemente per l'umanità, un amore che sorpassa la nostra capacità di comprendere: "Sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verro nella mia ira" (Os 11,9). Nel sermone della montagna, Gesù insegna ai suoi discepoli che la santità consiste nell'assumere, nel nostro modo umano, le qualità della santità stessa di Dio che egli ha rivelato all'umanità: "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48).

Così, il Corano vi chiama alla rettitudine ("al-salah"), alla devozione coscienziosa ("al-taqwa"), alla bontà ("al-husn") e alla virtù ("al-birr"), che sono così descritte: credere in Dio, dare le proprie ricchezze ai bisognosi, liberare i prigionieri, essere costanti nella preghiera, mantenere la parola data, ed essere pazienti nel tempo della sofferenza, dell'avversità, della violenza (Corano 2,177). Similmente, san Paolo sottolinea l'amore che dobbiamo mostrare a tutti e il dovere di condurre una vita irreprensibile sotto lo sguardo di Dio: "Il Signore vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come è il nostro amore verso di voi, per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi" (1Th 3,12-13).

Nel mondo d'oggi, è più importante che mai che uomini e donne di fede, assistiti dalla grazia di Dio, cerchino la vera santità. Le tendenze egoistiche, come la cupidigia, l'avidità di potere, e di prestigio, la competizione, la vendetta, la mancanza di perdono, e la ricerca di piaceri terreni, tutto ciò minaccia di distogliere l'umanità dal cammino verso la bontà e la santità che Dio ha voluto per tutti noi. Le innumerevoli persone buone in tutto il mondo - cristiani, musulmani e altri - che silenziosamente conducono una vita di autentica obbedienza, di lode e di ringraziamento a Dio e di generoso servizio al loro prossimo, offrono all'umanità una genuina alternativa, "la via di Dio", a un mondo che altrimenti sarebbe distrutto dall'egoismo, dall'odio e dalla lotta.

Che il Dio della santità benedica i vostri sforzi in questi giorni!

Data: 1985-05-09 Data estesa: Giovedi 9 Maggio 1985





Ad un incontro di religiosi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Maggiore senso ecclesiale per superare la crisi delle vocazioni

Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!


1. Vi esprimo il mio sincero compiacimento per questa udienza, che mi offre la gradita occasione di intrattenermi, pur brevemente, con voi, rappresentanti dei responsabili nazionali delle vocazioni religiose maschili e femminili, che partecipate in questi giorni al primo incontro europeo, organizzato dall'Unione delle Conferenze europee dei superiori maggiori. Ho appreso con particolare soddisfazione che avete preparato questo convegno con molta accuratezza, per poter riflettere insieme sul tema: "Come le Conferenze europee dei superiori maggiori possono contribuire alla pastorale delle vocazioni nei Paesi europei".

Con sereno realismo avete analizzato il quadro culturale dell'esperienza giovanile di fronte alla vita religiosa; e, pur notando qualche segno di risveglio, avete preso atto che la crisi delle vocazioni in genere, e di quelle religiose in particolare è tuttora presente nel continente europeo. Ma questo fenomeno, invece di procurarvi delusione e scoraggiamento, è per voi - come per tutta la Chiesa - uno stimolo costante a pregare e lavorare per la ricerca e la maturazione delle vocazioni.

Questo, evidentemente, comporta che la vita religiosa, nella sua realtà e nella varietà delle sue forme, deve essere maggiormente compresa, apprezzata e incoraggiata dai pastori e da tutte le comunità cristiane nelle loro esperienze di preghiera, nella catechesi, nell'animazione vocazionale. Seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II, occorre sensibilizzare al problema della ricerca e dell'incremento delle vocazioni le varie componenti di tutta la comunità ecclesiale, e in particolare le famiglie, i maestri, gli educatori, le associazioni, i sacerdoti e, come precipui responsabili, i vescovi (cfr. OT 2). E' pertanto necessario che a tutti i livelli si manifesti, si sviluppi e cresca un profondo senso ecclesiale, una generosa apertura ai bisogni pastorali della Chiesa universale, una vicendevole e leale collaborazione tra clero secolare e religiosi per sostenere e aiutare quegli uomini e quelle donne, che per mezzo della pratica dei consigli evangelici intendono seguire Gesù con maggiore libertà e imitarlo più da vicino, consacrandosi a lui con cuore indiviso.

In modo speciale occorrerà sostenere e aiutare la vocazione e la missione specifica delle religiose, dei fratelli e dei contemplativi. Ma è necessario anche, e soprattutto, che non si diffondano opinioni errate circa la validità della vita consacrata, generando confusione e disorientamento, in particolare fra i giovani e le giovani disponibili ad accogliere l'invito di Cristo.


2. Sono proprio i giovani e le giovani i destinatari privilegiati dell'appello di Gesù a seguirlo in maniera più intima e impegnativa. Nonostante le odierne difficoltà, si rileva in generale la presenza di giovani aperti e disponibili a vivere un autentico radicalismo cristiano, a donarsi e dedicarsi a un servizio disinteressato nei confronti dei poveri, degli emarginati, dei bisognosi, dei malati. Le varie famiglie religiose, ricche di secolari esperienze, potrebbero e dovrebbero essere un punto di riferimento per la loro scelta di vita. Le ansie, le esigenze, i desideri dei giovani e delle giovani di oggi sono spesso una forte invocazione e anche una vera sfida per i religiosi e le religiose! Nella mia lettera apostolica "Ai giovani e alle giovani del mondo" (cfr. n. 8), in occasione dell'Anno internazionale della gioventù, ho cercato di analizzare il tema del colloquio di Cristo con i giovani: e tale colloquio si conclude con l'invito alla sua sequela, la quale si può concretizzare nell'aspirazione a un "qualcosa di più" della stessa osservanza della legge di Dio; da una vita secondo i comandamenti ad una vita nella consapevolezza del dono, mediante il servizio nel sacerdozio ministeriale o nella vocazione religiosa. Ma, per l'auspicato sviluppo delle vocazioni è necessaria la fervida preghiera: "pregate... il padrone della messe che mandi oprai nella sua messe" (Mt 9,37-38); è necessaria la gioiosa testimonianza dei membri delle famiglie religiose maschili e femminili; è necessaria una specifica pastorale vocazionale, animata da inventiva, creatività, fervore dinamico; meritano in questo campo di essere avvalorate le fruttuose esperienze, che si vanno mettendo in pratica in numerosi Paesi, come ad esempio le comunità religiose di accoglienza che offrono il loro aiuto ai giovani e alle giovani per la maturazione della loro scelta vocazionale; le esperienze di preghiera personale e comunitaria, particolarmente quelle incentrate nell'Eucaristia, sorgente di ogni vocazione cristiana.


3. La promozione delle vocazioni religiose, per essere veramente efficace, deve iniziare dagli stessi istituti religiosi. Nessun religioso o religiosa, nessuna comunità può rimanere indifferente di fronte a questo problema fondamentale della Chiesa, come ho raccomandato in numerose occasioni, nei miei incontri e nei miei viaggi pastorali. E giacché le vocazioni sono un dono di Dio alla sua Chiesa, dobbiamo meritarle e invocarle con la preghiera, la penitenza, la testimonianza di vita fondata sul Vangelo.

Ed è a Maria, la Vergine del "fiat", che affido i miei e i vostri voti: lei, che seppe "seguire" il suo Gesù fino alla donazione suprema del Calvario, apra i cuori di tanti giovani e di tante giovani perché, accogliendo l'invito del Cristo, vivano fin da quaggiù, nella povertà, nella castità e nell'obbedienza, la realtà escatologica prefigurata in quei cieli nuovi e in quella terra nuova, di cui ci parla la Sacra Scrittura (cfr. Is 65,17 2P 3,13 Ap 21,1).

La mia benedizione apostolica vi accompagna ora e sempre.

Data: 1985-05-10 Data estesa: Venerdi 10 Maggio 1985





Arrivo all'aeroporto - Eindhoven (Paesi Bassi)

Titolo: Un viaggio che testimonia la comunione cattolica




1. Il mio animo, pieno di commozione e di gioia, esalta il Signore! Si, il mio animo è colmo di gioia perché io posso visitare il vostro Paese. Dall'XI secolo - come molto opportunamente ha ricordato monsignor arcivescovo di Utrecht - nessun Vescovo di Roma aveva visitato i Paesi Bassi. Si trattava di san Leone IX, pontefice di origine alsaziana. Non sono meno felice di richiamare alla memoria Adriano VI, nato ad Utrecht, e che fu, al principio del XVI secolo, l'ultimo Papa di origine non italiana prima dell'elezione del primo Papa slavo nell'ottobre del 197 8. Questi lontani ricordi e tutta la ricca storia umana e religiosa della vostra nazione mi hanno ispirato a baciare rispettosamente la vostra terra. Il mio veneratissimo predecessore Paolo VI, che inauguro i viaggi apostolici dei papi nell'èra moderna, compi spesso questo gesto simbolico.


2. Io la saluto, eccellenza, e la ringrazio per la sua presenza quale rappresentante del governo olandese. La sua presenza è più d'un atto di cortesia: essa è segno del buon rapporto che esiste tra questo Paese e la Santa Sede; è segno di una volontà permanente di comprensione e di collaborazione per il bene dei Paesi Bassi e dell'umanità. E saluto volentieri anche lei, signor prefetto della regina per la provincia del Brabante settentrionale.

Quanto a lei, monsignor arcivescovo di Utrecht, le sono molto grato per la sua calorosa allocuzione di benvenuto. Mi è piaciuto il panorama da lei tracciato, rapido ma vivo, dell'evangelizzazione dei Paesi Bassi, dall'epoca di san Servazio, di san Willibrordo e di san Bonifacio fino ai nostri giorni.

Ho apprezzato molto la sua testimonianza dell'attaccamento dei cattolici olandesi alla Sede di Roma, attaccamento più profondo di quanto non appaia in questa o quella pagina di recente storia religiosa. Ho ascoltato ugualmente con piacere la nota di speranza che lei esprime nei confronti dei giovani, e più diffusamente riguardo alla crisi spirituale che colpisce il mondo occidentale. Con lei, caro monsignore, saluto molto fraternamente i vescovi di Breda, di Groningen, di Haarlem, 's-Hertogenbosch, di Roermond, di Rotterdam, e i vescovi ausiliari presenti. Rivolgo inoltre un cordiale saluto a tutte le personalità che hanno tenuto, a loro nome e a nome delle varie associazioni, a testimoniarmi la loro deferenza fin dai primi momenti del mio soggiorno.

Infine, io saluto tutti gli abitanti del regno dei Paesi Bassi. Avrei amato visitarli più a lungo, con più familiarità. L'amicizia, infatti, nasce e si accresce della vera conoscenza degli altri, sempre diversi da ciò che si credeva.

Mi sarebbe piaciuto visitare tutti i luoghi cari al vostro cuore: le antiche città di ciascuna provincia, i numerosi paesi tra il mare dei Wadden e la Schelda, gli incomparabili musei che ospitano le tele dei vostri grandi maestri. Mi sforzero, almeno, di osservare attentamente la vita del vostro Paese per meglio comprenderla e per amarla ancora di più in tutti i suoi aspetti positivi e attraenti.


3. Evidentemente i viaggi apostolici del Vescovo di Roma non possono essere paragonati alle visite turistiche così diffuse nel nostro tempo. La loro ragione fondamentale è la natura stessa della Chiesa di Cristo a un tempo universale e particolare. Non si è mai avuta Chiesa universale senza Chiese particolari.

Dovunque si celebra l'Eucaristia, nella comunione cattolica, là è l'intera Chiesa.

E' indispensabile che questa comunione nella realtà del mistero si manifesti con appropriate testimonianze esteriori. Certamente, i vescovi di tutto il mondo visitano regolarmente il successore di Pietro, ma perché in un'epoca in cui le comunicazioni sono particolarmente agevoli, il successore di Pietro non dovrebbe andare laddove i suoi fratelli lavorano per il Vangelo di Cristo, per "confermarli nella fede" insieme al popolo specifico di cui essi hanno la responsabilità? Questi viaggi apostolici hanno il solo scopo di proclamare il messaggio evangelico, di favorire l'unità e di spronare il dinamismo delle Chiese particolari. La vitalità delle Chiese locali progredisce o rinasce nella misura in cui esse si impegnano a non ripiegarsi su se stesse, ma anche nella misura in cui vigilano per evitare ogni distanza dal centro dell'unità. Che il Signore mi aiuti ad adempiere sempre meglio la mia specifica missione di servizio alla Chiesa universale! 4. Al termine di queste considerazioni destinate a illuminare l'opinione pubblica sul significato dei miei viaggi apostolici, non vorrei dimenticare che in questo momento il popolo olandese commemora il 40° anniversario della sua liberazione.

Desidero associarmi all'omaggio reso a tutti coloro i quali hanno sofferto o perfino dato la propria vita per la libertà di questo Paese. Come dimenticare il loro sacrificio? Come dimenticare, in particolare, il tragico destino e il sacrificio di migliaia di ebrei? Noi preghiamo il loro Dio, che è anche il nostro Dio, affinché questo popolo eletto possa ormai vivere in pace e in sicurezza. ln questi giorni di anniversario coloro che si sono sacrificati per la libertà domandano a noi tutti: "Che cosa avete fatto di questa libertà pagata a si caro prezzo?". Voi siete un popolo innamorato della libertà, fiero della sua libertà.

Avremo occasione di ritornare sull'importante problema del vero significato e dell'uso della libertà. Vi rifletteremo sotto lo sguardo del Cristo, il divino liberatore degli spiriti e dei cuori, che vorrebbe aiutare ogni persona di buona volontà a sgomberare la società in cui vive dalle ambiguità e dalle situazioni senza uscita.

Di tutto cuore vi ringrazio per la vostra accoglienza così cordiale. E, in queste giornate storiche per voi e per me, preghiamo molto il Signore di comunicarci la sua pace e la sua gioia, la sua libertà e la sua generosità per la prosperità della qualità della vita in questo Paese sempre ricco di potenzialità umane e religiose, e per il suo contributo, tante volte manifestato, al bene generale degli altri popoli.

Data: 1985-05-11 Data estesa: Sabato 11 Maggio 1985





Omelia nella cattedrale - 's-Hertogenbosch (Paesi Bassi)

Titolo: I Vescovi vanno accolti e rispettati nella loro autorità




1. "Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo" (Gn 28,17).

Cari fratelli e sorelle, questa sera faremo nostra questa esclamazione di Giacobbe. Guardo questa bella cattedrale, alla quale lunghi lavori di restauro hanno voluto rendere tutto il suo splendore, e vi riconosco una bellezza che supera tutto ciò che vediamo: è la casa di Dio, che ci mette in contatto con il cielo. Quando il papa san Leone IX venne in Olanda, nell'XI secolo, consacro una chiesa, a Voerendaal. Oggi, nel primo giorno della mia visita in questo Paese, mi è dato di consacrare un altare. A più di novecento anni di distanza c'è la stessa intenzione di trovare il popolo cristiano riunito nella casa di Dio, in occasione di una consacrazione che non riguarda solo le pietre di un edificio, ma i cuori di tutti coloro che vi assistono.

Saluto tutto questo popolo che mi circonda ed esprimo la mia gioia per essere in mezzo a voi in comunione con tutti. "Popolo di Dio": è così che il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa. Ugualmente desidero salutare i miei fratelli nell'episcopato, il vescovo emerito della diocesi di s'Hertogenbosch, monsignor Bluyssen, e anche il nuovo vescovo monsignor ter Schure. Saluto cordialmente i preti, i religiosi e le religiose e i laici che collaborano al ministero del Vangelo sotto la direzione del vescovo, al quale rinnovo i miei auguri fraterni, e l'assicurazione del mio appoggio fedele nei vincoli del collegio episcopale.


2. La processione lungo le strade della città ha simboleggiato il cammino che il popolo di Dio è chiamato a percorrere spiritualmente. Sono stato felice di camminare con voi. Insieme camminiamo verso la stessa patria. La mia presenza tra di voi è un segno dell'unione della Chiesa che è nei Paesi Bassi, con la Chiesa che è a Roma e, attraverso di essa, con l'intera Chiesa cattolica. Siamo un popolo in pellegrinaggio. Il Concilio parla della Chiesa come del nuovo popolo di Dio "dell'èra presente, che cammina alla ricerca della città futura e permanente" (LG 9).

Camminare nell'èra presente significa entrare pienamente nel mondo che ci circonda, nella sua cultura e nelle attuali condizioni di vita. La preoccupazione di vivere il Vangelo in un modo adattato alla nostra epoca è tra le più lodevoli e mostra il dinamismo del popolo di Dio in questo Paese. Ma una società che, come la vostra, ha fatto dei progressi considerevoli nei campi scientifico e tecnico, ha altrettanto bisogno di un più vivo soffio spirituale. E ha ugualmente bisogno di forze morali per superare gli ostacoli che minacciano il suo vero sviluppo. La Chiesa le dà questo soffio spirituale e queste forze morali.

Essa si sforza di penetrare in tutti gli ambienti umani per poterli elevare a una qualità di vita superiore.


3. La processione ci ha condotto qui, come a casa. Sono stato felice di consacrare il nuovo altare. In effetti, questo costituisce un punto d'incontro del popolo di Dio e ne simboleggia un aspetto fondamentale. Questo popolo messianico, dice il Concilio, ha come capo il Cristo, "il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato resuscitato per la nostra giustificazione" (Rm 4,25).

E' sull'altare che noi celebriamo il memoriale di questo mistero pasquale che fonda la Chiesa. E' qui che il popolo pellegrino trova il pane di vita che gli dà la forza di continuare sempre il suo cammino, anche in mezzo alle più grandi difficolta. E' qui che questo popolo trova e ricrea la sua unità. Si, questo popolo in marcia è ancora imperfetto. La parola di Cristo ce lo ha ricordato poco fa: "Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello" (Mt 5,23-24). So che sentite fortemente questo bisogno di riconciliazione. Dite di riconoscervi nella situazione della giovane Chiesa di Corinto, dove alcuni dicevano: "Io sono di Paolo", altri: "Sono di Apollo", altri ancora: "Io sono di Cefa". Come successore di Cefa, io esercito un ministero che è, prima di tutto, un servizio dell'unità. Voglio fare tutto ciò che è in mio potere per favorire la riconciliazione. E, con san Paolo, ripeto che la nostra unità avviene nel Cristo, nella sua morte e nella sua risurrezione, che noi celebriamo su questo altare. Se, dal profondo del cuore, offriamo la riconciliazione ai nostri fratelli, l'Eucaristia ci trasformerà nel corpo di Cristo, membra gli uni degli altri.


4. Peregrinante nel secolo presente, la Chiesa non si rinchiude in esso. Come sottolinea il Concilio, il popolo di Dio avanza verso la città futura, permanente.

Egli sa che è chiamato ad un destino che si compie in un aldilà insieme misterioso e meraviglioso. Ha la garanzia che tutto ciò che non ha potuto rispondere alle sue aspirazioni nel corso del pellegrinaggio terrestre sarà infallibilmente raggiunto, con pienezza, nella comunità celeste. La speranza suscitata dall'opera di salvezza non può essere delusa: essa incoraggia a fare il possibile qui per migliorare lo stato della società umana, e dà la sicurezza che le inevitabili imperfezioni di questo mondo porteranno alla perfezione della città futura.

Nella sua bontà Cristo non ha lasciato la sua Chiesa senza le guide che le devono indicare la strada. "Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Jn 20,21), e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero fino alla fine dei tempi pastori nella sua Chiesa. Affinché lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabili il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18).

La saggezza del Cristo ha quindi voluto per la Chiesa una struttura ministeriale, con dei pastori che hanno l'incarico di dirigere il popolo di Dio verso il fine così alto che si sforza di raggiungere. Questi pastori sono completamente al servizio dei loro fratelli; essi si dedicano ad accrescere in tutti la vita cristiana. Per poter esercitare il loro compito hanno bisogno di essere accolti.

So che avete vissuto delle settimane difficili. Tra di voi ci sono alcuni i quali sono stati particolarmente coinvolti da agitazioni verificatesi in seguito alle recenti nomine dei vescovi, e si domandano: "Perché tutte queste tensioni?".

Vorrei dirvi, con tutta sincerità, che per ogni nomina a capo di una diocesi, il Papa tenta di comprendere la vita di una Chiesa locale. Egli s'informa e chiede consiglio, come previsto dal diritto canonico e dalle abitudini ecclesiastiche. Voi comprenderete pero che a volte le opinioni espresse sono divergenti. E alla fine è il Papa che deve prendere la decisione. Dovrebbe spiegare la sua decisione? La discrezione lo difende.

Credetemi, cari fratelli e sorelle, mi fa male sapere di queste sofferenze. Ma siate convinti che veramente io ho ascoltato, esaminato, pregato. E ho nominato colui che, davanti a Dio, ho giudicato il più adatto. Accettatelo nell'amore di Cristo, come rappresentante tra voi di colui che è il Buon Pastore della Chiesa.


5. E Cristo ha costituito la sua Chiesa come un popolo ben ordinato e libero. Voi siete un popolo che ama la sua libertà, come un supremo valore. Avete combattuto per 80 anni per la vostra libertà politica. Spesso, nel corso dei secoli, persone, perseguitate nella loro patria, hanno trovato una buona accoglienza presso di voi.

Ma voi avete anche l'esperienza del fatto che si può abusare della libertà. Quando essa è senza orientamento, quando ignora la legge inscritta nel cuore umano, quando non ascolta la voce della coscienza, la libertà si ritorce contro l'uomo e contro la società.

Nella vita ecclesiale, essa deve ugualmente svilupparsi rispettando l'autorità di coloro che sono stati chiamati dal Cristo per una missione pastorale. La cooperazione deve essere, in questo modo, "libera e ordinata".

L'esperienza mostra d'altronde che la libertà si dispiega al massimo quando si conforma alle regole della legge morale e quando accetta gli orientamenti dati da coloro che conducono, in quanto pastori, il popolo di Dio. La nostra fede ci insegna che noi troviamo la vera libertà in Cristo, lui che ha detto: "E la verità che vi farà liberi", e anche: "Io sono la verità". Si, il Cristo ci ha chiamati alla vera libertà. Solo lui ci può rendere interamente liberi. Perciò la Chiesa è così profondamente preoccupata di difendere e promuovere l'autentica libertà umana in tutto il mondo.


6. In questo momento siamo seduti accanto a Maria, dolce madre di Den Bosch. Nel corso dei secoli milioni di uomini hanno fatto una breve sosta durante il percorso della loro vita per sedersi accanto a lei; per esprimere accanto a lei i loro desideri, le loro preoccupazioni, i loro pensieri; per pregare e attingere, nella sua santità così attraente e nello stesso tempo così impregnata di semplicità evangelica, delle risorse nuove.

Nel Concilio Ecumenico Vaticano II, Maria è stata descritta come la credente esemplare, come un membro sovreminente e assolutamente unico della Chiesa, modello per essa sul piano della fede e della carità. Proprio perché la Vergine risponde all'invito rivelazione è diventata il segno della speranza e della fiducia. La sua vita è stata segnata dal più profondo dolore, dai tormenti, dalle incertezze. Ma lei non è caduta comunque sotto il loro peso. Ha continuato, in un modo imperturbabile, ad avere fede, pensando che ciò che le era stato detto da parte del Signore si sarebbe compiuto.

Per tutta la sua vita essa ripeterà, ricolma com'è dello Spirito Santo o perduta nelle tenebre più profonde: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio Spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,46-48).

"E' l'immagine e la primizia della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell'età futura, così sulla terra brilla come un segno di sicura speranza e di consolazione per il popolo di Dio in marcia, fino a quando non verrà il giorno del Signore" (LG 68).

E' tradizione, d'altronde, dire un'Ave Maria dopo un Padre nostro, come anche rivolgerci alla Madre del Signore e ripetere le parole di saluto dell'arcangelo Gabriele: "Ave Maria, piena di grazia" e domandare la sua intercessione, "adesso e nell'ora della nostra morte".

Noi possiamo fare nostro, come pellegrini della vita, l'atteggiamento adottato da Maria e che consiste nel dire che la fede cristiana è radicata in una disponibilità pienamente fiduciosa verso Dio, che è la carità creatrice stessa.

Maria è l'esempio più chiaro di questa disponibilità. Cerchiamo, come lei, di custodire la parola di Dio nei nostri cuori, e portare così molti frutti. Amen. Data: 1985-05-11 Data estesa: Sabato 11 Maggio 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Ai Frati minori - Città del Vaticano (Roma)