GPII 1985 Insegnamenti - Ai giovani - Amersfoort (Paesi Bassi)

Ai giovani - Amersfoort (Paesi Bassi)

Titolo: Se amate Cristo accettate le esigenze poste dalla Chiesa

Miei cari amici e amiche!


1. La mia visita nei Paesi Bassi volge alla fine. Questo ultimo giorno della mia permanenza in questa terra sono particolarmente lieto di trascorrerlo in mezzo a voi. Me ne rallegro perché la Chiesa olandese ha ancora un grande avvenire davanti a sé. E questo avvenire non potrà essere impersonato da nessun altro all'infuori di voi. Voi siete la Chiesa di domani. E' giusto che ne sentiate tutta la fierezza; ma dovete sentirne anche tutta la responsabilità. Cristo s'affida a voi come alla generazione che s'affaccerà nel pieno della sua maturità sulla soglia del terzo millennio. A voi il compito di portare il messaggio di Cristo alla generazione del duemila.


2. Il modo in cui siamo qui riuniti non comporta di per sé l'approvazione di tutti. Lo so dalle numerose osservazioni che mi avete fatto pervenire già fin dalla preparazione di questa visita papale. Sono tanti coloro che mi hanno scritto per farmi sapere che avrebbero desiderato avere un contatto diretto con me.

Permettetemi anzitutto di dirvi che vi sono sinceramente grato per questo desiderio, che mi reca una profonda gioia. Sapete? Lo stesso desiderio provo anch'io nei vostri confronti: vorrei poter parlare personalmente con ciascuno di voi, ascoltare, domandare, soffrire e gioire con ciascuno, guardando al futuro e cercando insieme nel Vangelo di Cristo la risposta agli interrogativi che vi portate nel cuore. Questo purtroppo non è praticamente possibile, almeno per ora.

Ma dobbiamo pur lasciare qualcosa per il nostro paradiso...

Vi sono molto riconoscente di avermi inviato tutte queste domande. Avete così cercato di realizzare quella forma di dialogo che per il momento ci è possibile. Sono questioni molto importanti. Voi le avete poste, in effetti, perché siete preoccupati della vostra Chiesa nei Paesi Bassi e dei problemi riguardanti la fede che deve essere trasmessa. Allorquando i giovani non si pongono più questioni, essi cessano di essere giovani. Desidererei ora dare una risposta chiara, per quanto possibile, alle domande che mi avete posto. Spero di poter parlare un po' la vostra lingua. Le questioni più frequenti sono state già poste dai vostri rappresentanti.


3. Mi avete chiesto se volevo rivolgervi una parola di incoraggiamento e di speranza. Comprendo perfettamente il senso della domanda. L'avete posta perché vi confrontate ogni giorno con problemi quasi insolubili. Gli uomini e le donne corrono il rischio di scoraggiarsi nel constatare che il problema della fame non cessa di acuirsi; che il fossato tra i ricchi e i poveri non fa che approfondirsi invece di colmarsi; che la corsa agli armamenti inghiottisce di anno in anno sempre più denaro; che gli uomini restano assoggettati e non possono esprimere quello che pensano e quello in cui credono.

Voi sentite con l'intensità che è propria del vostro giovane cuore l'ingiustizia che si fa agli uomini in tutto il mondo. Voi segnalate la grande solitudine in cui soffrono i vostri vicini: i vicini che sono già in età avanzata, ma spesso anche i vicini che sono vostri compagni; voi sentite la necessità di una vera amicizia che tante volte vi manca; constatate con amarezza che sono i più deboli che devono spesso sopportare i pesi più gravi; voi dovete sopportare il peso dei giudizi che nascono a volte da prevenzioni ingiustificate; voi sentite nel fondo di voi stessi le conseguenze del problema della disoccupazione dei giovani, problema che resta ancora irrisolto. Voi provate allora il sentimento di essere superflui.

Mi avete fatto sapere che voi non siete abbastanza aiutati dalla Chiesa in tutti questi problemi. E, nonostante tutto, desiderate continuare a credere.


4. Questa è la cosa che più conta, cari amici e amiche: che voi continuiate a credere! Il segreto per la soluzione delle difficoltà elencate, e di ogni altra difficoltà che la vita può presentare, sta nella fede. Non era questa l'esperienza dell'apostolo Giovanni, il quale confidava alla prima generazione cristiana: "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede" (1Jn 5,4)? E badate: chi parlava così era un perdente, che stava materialmente subendo la sopraffazione dei potenti di allora. Eppure la sua affermazione era vera: a distanza di secoli noi possiamo constatarlo. Anche oggi non sono pochi i cristiani che rivivono la stessa esperienza dell'apostolo prediletto. Possano essi resistere coraggiosamente nella prova, ripetendo a se stessi le parole di lui. La vittoria della fede si gioca nell'intimo di ogni uomo con la possibilità che gli è data, in Cristo, di fare anche della croce la via verso la risurrezione e la vita. Si gioca nella storia degli uomini con la progressiva trasformazione delle idee, dei costumi, delle strutture, grazie a un processo di inculturazione dei principi evangelici nell'ambiente sociale, frutto dell'impegno di tutti.

Giovani, venti secoli di cristianesimo non sono passati invano: se voi ripercorrete la storia di tante moderne conquiste di civiltà, scoprirete che alle origini vi sono fermenti cristiani. La mia prima risposta è, dunque, questa: abbiate il coraggio di credere in Cristo. Se lui è con voi, potrete affrontare anche i grossi problemi dell'ora presente e risolverli.

Voi m'avete chiesto un'indicazione concreta circa alcuni di questi problemi. Ebbene, io vi ricordo che la Chiesa s'è già pronunciata in modo chiaro e preciso su numerose questioni. Essa sente il dovere di richiamare agli uomini le esigenze del giusto ordine morale, stigmatizzandone le violazioni, da qualunque parte esse vengano. Voi sapete che il Papa stesso ha già denunciato ripetutamente gli squilibri patenti che esistono tra la corsa agli armamenti sempre più crescente e la penuria che infierisce tra le popolazioni sottoalimentate e sottosviluppate. Più volte ho ricordato alle società, ai governi, ai rappresentanti del popolo, ai padroni il loro dovere in materia di disoccupazione e in particolare di disoccupazione dei giovani. I problemi sono talvolta veramente complessi. E' proprio allora che c'è necessità di poter contare su persone che sappiano essere perseveranti nella loro azione. E a chi mai se non a voi giovani dovremmo rivolgerci allorquando si tratta di domandare di avere coraggio, immaginazione ed energia per conseguire questi difficili traguardi? Voi dovete restare la coscienza critica della società. Le persone di una generazione più vecchia hanno bisogno di voi: non abbandonatele! Senza di voi, checché ne pensino, non potranno raggiungere nessuno dei traguardi a cui aspirano.


5. Voi avete ancora molti pregiudizi e sospetti nell'incontrare la Chiesa. Mi avete fatto sapere che voi considerate spesso la Chiesa come un'istituzione che non fa che promulgare regolamenti e leggi. Voi pensate che essa metta molti parapetti nei diversi campi: la sessualità, la struttura ecclesiastica, il posto della donna in seno alla Chiesa. E la conclusione a cui giungete è che esiste un profondo iato tra la gioia che promana dalla parola di Cristo e il senso di oppressione che suscita in voi la rigidità della Chiesa.

Cari amici e amiche, consentitemi di essere molto franco con voi. Io so che parlate in perfetta buona fede. Ma siete proprio sicuri che l'idea che vi fate di Cristo corrisponda pienamente alla realtà della sua persona? Il Vangelo, in verità, ci presenta un Cristo molto esigente, che invita alla radicale conversione del cuore (cfr. Mc 1,5), al distacco dai beni della terra (cfr. Mt 6,19-21), al perdono delle offese (cfr. Mt 6,14), all'amore per i nemici (cfr. Mt 5,44), alla sopportazione paziente dei soprusi (cfr. Mt 5,39), e perfino al sacrificio della propria vita per amore del prossimo (cfr. Jn 15,13). In particolare, per quanto concerne la sfera sessuale, è nota la ferma posizione da lui presa in difesa dell'indissolubilità del matrimonio (cfr. Mt 19,3-9) e la condanna pronunciata anche nei confronti del semplice adulterio del cuore (cfr. Mt 5,27). E come non restare impressionati di fronte al precetto di "cavarsi l'occhio" o di "tagliarsi la mano" nel caso che tali membra siano occasione di "scandalo" (cfr. Mt 5,29-30)? Avendo questi precisi riferimenti evangelici, è realistico immaginare un Cristo "permissivo" nel campo della vita matrimoniale, in fatto di aborto, di rapporti sessuali prematrimoniali, extra-matrimoniali o omosessuali? Certo, permissiva non è stata la comunità cristiana primitiva, ammaestrata da coloro che avevano conosciuto personalmente il Cristo. Basti qui rimandare ai numerosi passi delle lettere paoline che toccano questa materia (cfr. Rm 1,26ss; 1Co 6,9 Ga 5,19 eccetera). Le parole dell'apostolo non mancano certo di chiarezza e di rigore. E sono parole ispirate dall'alto. Esse restano normative per la Chiesa di ogni tempo. Alla luce del Vangelo essa insegna che ciascun uomo ha diritto al rispetto e all'amore. L'uomo conta! Nel suo insegnamento la Chiesa non pronuncia mai un giudizio sulle persone concrete.

Ma a livello dei principi, essa deve distinguere il bene dal male. Il permissivismo non rende gli uomini felici. Ugualmente la società dei consumi non porta la gioia del cuore. L'essere umano realizza se stesso solo nella misura in cui sa accettare le esigenze che gli provengono dalla sua dignità di essere creato a "immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,27).


6. Pertanto, se oggi la Chiesa dice delle cose che non piacciono, è perché essa sente l'obbligo di farlo. Essa lo fa per dovere di lealtà. Sarebbe in realtà molto più facile tenersi sulle generalità. Ma talvolta essa sente di dovere, in armonia con il Vangelo di Gesù Cristo, mantenere gli ideali nella loro massima apertura, anche a rischio di dover sfidare le opinioni correnti.

Non è dunque vero che il messaggio evangelico sia un messaggio di gioia? Anzi, è verissimo! E come è possibile? La risposta sta in una parola sola, una parola breve, ma dal contenuto vasto come il mare. Questa parola è: amore. Il rigore del precetto e la gioia del cuore possono conciliarsi perfettamente fra loro, se la persona che agisce è mossa dall'amore. Chi ama non teme il sacrificio; anzi cerca nel sacrificio la prova più convincente dell'autenticità del suo amore.

Non è forse questa l'esperienza che fate voi stessi nei confronti della persona che amate? Per quanto esigenti siano le richieste che essa vi propone, voi non provate fatica nell'adempierle, e il sacrificio stesso che tale adempimento vi costa diventa per voi fonte di gioia.

Ecco, cari giovani, il segreto di una vita cristiana insieme coerente e gioiosa: il segreto sta in un amore sincero, personale, profondo per Cristo. Il mio augurio è che ciascuno di voi scopra un simile amore, perché allora i valori che stanno alla base della norma vi si riveleranno nella loro verità e le difficoltà che incontrate nell'attuarli si allevieranno. Dice Agostino: "In ciò che si ama o non si fatica o si ama la stessa fatica" ("De bono viduitatis", 21,26).

Giovani, questa è dunque la mia risposta: amate Cristo e accetterete le esigenze che la Chiesa in nome suo vi pone perché sono le esigenze che provengono da Dio creatore e redentore dell'uomo; accettate queste esigenze nella vostra vita e ne scoprirete il valore. Per scoprire questi valori, bisogna ascoltare sempre la parola di Dio, incontrare spesso il Risorto nell'Eucaristia. Vi consiglio anche di non sottovalutare, a questo scopo, il valore del sacramento della Confessione.

Così potrete vivere con forza le esigenze che avete assunte ricevendo la Cresima.


7. Voglio dire qualcosa anche a proposito della terza serie di questioni che mi avete poste. Tali questioni riguardano il vostro ruolo in seno alla Chiesa. Volete sapere ciò che il Papa attende da voi; e se attende veramente qualche cosa da voi; e se avete il diritto di essere giovani nella Chiesa.

La Chiesa, miei cari ragazzi e ragazze, dovrà sempre essere una Chiesa giovane. Essa deve rinnovarsi quotidianamente; convertirsi costantemente. Deve portare una risposta alle questioni d'attualità. Sapete meglio di chiunque di quale genere di questioni si tratta. Voi siete più di ogni altra cosa i figli di questa generazione. Per questo avete osservazioni da fare sulla Chiesa, sulla vostra Chiesa. Osservazioni talora amare. Comprenderete che noi, usciti dalla vecchia generazione, abbiamo talvolta difficoltà a comprenderle. Talvolta ci arrecate dispiacere. E tuttavia non vogliamo che voi cessiate dal farne. Dovete continuare a dirci tutto in modo onesto. Ma occorre anche che facciate attenzione ad alcune osservazioni da parte nostra: le vostre osservazioni devono collocarsi nel quadro di una vera preoccupazione per la Chiesa. La Chiesa sente di dover fare ciò che il Cristo attende da lei. E' innanzitutto di ciò che si tratta.

La Chiesa non inventa se stessa; essa sa di essere frutto di un'invenzione dell'amore di Cristo e la sua unica sollecitudine è quella di custodire gelosamente la volontà del suo Signore, comprendendola sempre meglio con l'assistenza dello Spirito, per realizzarne appieno i fini salvifici a vantaggio dell'umanità. Essa, d'altra parte, è convinta che non vi sia ragione alcuna per cui, al proprio interno, chi riveste un ruolo invidi chi ne riveste un altro. I diversi ruoli, infatti, non danno adito alla superiorità dell'uno sull'altro. Il solo carisma superiore, degno di essere desiderato, è la carità (cfr. 1Co 13,13-14,1). Nel regno dei cieli l'unica gerarchia sarà quella dell'amore.

Impegnatevi, dunque, a crescere nell'amore, vivendo con generosità il ruolo a cui lo Spirito di Cristo vi chiama nella Chiesa, della quale siete membra vive. La Chiesa siete voi, siamo noi tutti. Non parlate mai della Chiesa come se foste una persona esterna, ma piuttosto nella vostra qualità di persone impegnate nella Chiesa. Anzi, non parlate mai alla Chiesa o della Chiesa come se essa fosse per voi un'assente, o un'indifferente, o, peggio, una nemica. Essa invece è madre.

Madre perché vi ha generato a Cristo. La santa madre Chiesa. Una madre si ama, non si accusa. Con una madre si dialoga. Da una madre si va per aprire il cuore, per portare avanti con lei il peso della vita, le preoccupazioni della famiglia. La Chiesa vi aspetta così come siete.

Dovrei egualmente chiedervi di non rivolgervi alla Chiesa in modo tale che non possiate più porgerle l'orecchio. Non dovete chiudervi. Ma dovete restare uniti gli uni con gli altri. Dobbiamo anzitutto sostenerci reciprocamente.

Come nelle famiglie, dovremmo avere pazienza gli uni verso gli altri: voi verso il nostro cammino che si presume prudente e noi verso le vostre impulsività. Vogliamo avere rispetto gli uni per gli altri. E dovete credermi quando vi dico che non possiamo fare a meno di voi. Siete insostituibili.


8. Carissimi giovani, la fede include sempre una sfida. Non è mai stato diversamente. Oggi vi sono delle difficoltà per chi vuol essere cristiano. Ma ieri ve n'erano altre. E domani - è una profezia che si può arrischiare senza timore di dover essere smentiti - domani le nuove generazioni di giovani dovranno affrontare nuove difficoltà. Essere cristiano non è mai stata, né mai sarà, una scelta "tranquilla".

Io chiedo, pero: la decisione per Cristo non trae proprio da questo un particolare motivo di fascino? Ciò che è arduo, richiede coraggio e nel coraggio s'esprime in modo singolare la nobiltà caratteristica dell'essere umano. Non si deve dimenticare, d'altra parte, che in altre regioni del mondo altri giovani pagano un prezzo molto alto per testimoniare la loro coerenza col Vangelo di Cristo. E ciò nonostante essi non perdono la voglia di ridere e di cantare. La loro esperienza ci dice che dalla rinuncia e dal sacrificio, affrontati per amore di Cristo, scaturisce la gioia. Vi auguro che questa sia anche la vostra esperienza.

In altri Paesi molti giovani devono affrontare una vita di povertà e di miseria, e nonostante questo sanno essere sereni e impegnati: voi, rispetto ad essi, siete fortunati perché disponete di un elevato benessere e di un notevole progresso che mette a vostra disposizione tante possibilità per realizzare una vita degna dell'uomo. Aggrappatevi a Cristo per poter percorrere con gioia la strada della coerenza evangelica nel mondo di oggi, senza smarrirvi. Aggrappatevi anche alla Madre sua e nostra: la Vergine Maria. Essa è per tutti noi esempio di generosa coerenza nell'abbandono alla volontà di Dio. Con lei al fianco potrete camminare sicuri e gioiosi incontro al vostro futuro.

Data: 1985-05-14 Data estesa: Martedi 14 Maggio 1985





Il discorso alla Conferenza Episcopale dei Paesi Bassi nel convento di N. S. di Ter Eem

Titolo: Apostoli e garanti della comunione ecclesiale

Venerati fratelli!


1. Resta sempre vivo nel mio animo il ricordo dei giorni del Sinodo particolare, che si celebro all'inizio del 1980, e del successivo incontro che potei avere con l'episcopato olandese in occasione della visita "ad limina".

Vengo in certo modo a restituire quelle visite e vengo col cuore colmo d'affetto fraterno. Il mio cuore - sento di poter dire con san Paolo - "s'è tutto aperto per voi: non siete davvero allo stretto in noi" (2Co 6,11s). Sono certo, per altro, di poter contare sull'affetto vostro verso di me. Sappiamo, infatti, di formare fra noi un organismo unitario.

Nelle nostre persone, in forza del misterioso disegno che ci ha conferito i nostri rispettivi incarichi nella Chiesa, si riflette l'immagine di quel collegio degli apostoli riuniti intorno a Pietro e sotto la sua guida, al quale il signore Gesù volle affidare il governo pastorale della sua Chiesa (cfr. LG 20 LG 22). Voglia colui che l'apostolo Pietro chiama "pastore e vescovo delle nostre anime" (1P 2,25) e "pastore dei pastori" (1P 5,4) rendere feconda e benedire questa manifestazione di affettiva ed effettiva collegialità.


2. Mentre vi saluto con l'omaggio della mia riverente e fraterna stima e mi accingo ad intrattenermi con voi, vescovi e pastori, mi viene spontaneo riandare col pensiero alle due grandi figure di vescovi, ai quali la Chiesa in Olanda è collegata da vincoli profondi ed indissolubili.

Servazio si chiamava il primo di questi uomini insigni. Egli ebbe il carisma dei fondatori di Chiesa, quello cioè di aprire il solco per le prime seminagioni e di gettare le fondamenta dell'edificio. Egli venne dal lontano Oriente per consacrarsi ad una missione, che neppure immaginava e, per di più, in terre a lui sconosciute.

Dal suo servizio episcopale si irradia così un aspetto che non può mancare, in un modo o in un altro, nel mistero di ciascun vescovo: il senso missionario, ovvero la piena disponibilità ad andare in un campo di lavoro che s'accetta di fare proprio nonostante esso appaia in un certo senso straniero, perché segnato dal secolarismo e dalla scristianizzazione. Grandi porzioni dell'Europa stanno diventando territori di missione che esigono dai vescovi generoso spirito missionario, non adagiato nel caldo della casa vescovile ma sempre in cammino incontro agli uomini, per portare loro il Vangelo della salvezza: tale è il profilo di pastore che Servazio suggerisce ai vescovi di oggi.

Dai cenni biografici e dai riferimenti storici attendibili emerge la figura di questo pastore, coinvolto nell'ardua battaglia accesa nella Chiesa dall'eresia ariana. Fedele al grande Atanasio nei momenti più severi della lotta per la fede, nonostante qualche momentaneo tentennamento e diminuito vigore e chiarezza, egli si riprende prontamente e riconferma la sua disposizione a proclamare e difendere con perfetta chiarezza la dottrina della Chiesa.

Ad oltre un millennio e mezzo dai tempi in cui visse Servazio, non è forse vero che la testimonianza di lui conserva ancora tutta la sua forza? Quale vescovo non sente di dover imparare da lui ad essere vigilante, chiaro e preciso, nella proposizione e nella difesa della verità rivelata di cui la Chiesa è depositaria? E quale vescovo non vorrà attingere dall'esempio di questo antico confratello rinnovato coraggio, per adempiere al compito dell'annuncio integro e puro della vera fede? 3. L'altra figura episcopale che sta dinnanzi ai nostri occhi è quella di Willibrordo, il quale visse quasi quattro secoli dopo Servazio. Veniva anch'egli da lontano, dalla sua Northumbria natale. Dall'abbazia di Ripon, dove "statim ablactatus" (secondo Alcuino), era entrato come novizio e dal monastero di Rathmelsigi (Mellifont), in Irlanda, dove si era formato alla scuola di grandi monaci come Egberto.

Nell'autunno del 690 lo vediamo approdare, giovane sacerdote, nella Frisia, campo affidato dal papa Sergio I a lui e ad alcuni compagni perché vi svolgessero un lavoro missionario. E fu proprio in considerazione del suo instancabile lavoro che il Papa, il 21 novembre 695, lo costitui arcivescovo di quelle estese regioni. Egli viaggerà senza soste predicando, battezzando, formando comunità. Percorrerà la Frisia, la Fiandra, la Campine, il Lussemburgo e le rive del Reno, la Zelanda, e porrà la sua sede vescovile prima ad Anversa, poi ad Utrecht e a Echternach.

L'immagine che di lui resta è quella di pastore il cui attaccamento alla vita monastica - silenzio, mortificazione, preghiera - non serve da ostacolo ma da motore per una zelante e instancabile attività apostolica e pastorale.

Caratteristiche, ugualmente significative, di tale attività, sono, come hanno osservato i biografi: - la capacità di mettere la propria esistenza, il linguaggio, il ministero, in perfetta sintonia con l'ambiente e le persone della Frisia senza per questo sminuire minimamente il messaggio evangelico di cui era portatore, né mimetizzare la sua fisionomia di discepolo di Cristo; - lo zelo e l'apertura con cui seppe rivolgersi tanto ai più semplici e umili quanto ai sapienti e potenti; - il senso organizzativo col quale seppe dare un volto alla Chiesa di cui fu pastore (a lui si attribuisce il ricorso ai vescovi ausiliari, affiancati nel disimpegno dei compiti pastorali); - la paternità non disgiunta da austerità personale; l'inflessibile devozione alla Sede di Pietro; - la ponderazione unita al coraggio e alla tenacia nelle grandi imprese evangelizzatrici, virtù proprie dell'uomo di governo.

Tali caratteristiche conservano anche oggi tutta la loro attualità. Sono queste infatti le virtù che ogni vescovo è chiamato ad esprimere senza interruzione nella sua vita e attività. Beato il pastore che saprà riprodurle nella propria persona con coerenza aliena da compromessi.


4. Nella luce di questi imperituri modelli di vescovi, e quasi a raccogliere qualcosa delle loro virtù episcopali, mi viene spontaneo sottolineare quegli aspetti che i successori di Servazio e di Willibrordo vedono essere i segni del loro odierno servizio episcopale.

Questo è innanzitutto servizio della comunione. Non a caso i documenti del Vaticano II definiscono sia il pastore universale che i pastori delle Chiese particolari in base al primordiale carisma di essere segni ed artefici, promotori e difensori, apostoli e garanti della comunione ecclesiale. Prezioso, incomparabile, indispensabile servizio, questo della comunione, soprattutto quando si tratta di costruire e preservare l'unità in mezzo a conflitti ed a fermenti di divisione e di rottura.

Il ricordato Sinodo particolare del 1980 ha lasciato a tutti noi l'impegno di edificare tale comunione. Comunione di intenti, di programmi dei vescovi stessi fra di loro. Comunione di vescovi con il loro presbiterio e con i singoli presbiteri. Comunione dei pastori con i loro fedeli, spesso divisi non soltanto da opzioni ideologiche o politiche, ma da contrastanti visioni di Chiesa, da mutue catalogazioni, da posizioni di reciproca esclusione. Comunione delle Chiese particolari con le Chiese sorelle nella compagine della Chiesa universale, aprendosi al respiro e alla larghezza dell'universale che rompe ciò che è troppo piccolo e chiuso nelle esperienze individuali. E, a questo livello, comunione dei vescovi con il Vescovo di Roma e con il suo "ministerium Petri" al servizio delle Chiese particolari e della Chiesa universale.


5. Ma la comunione insita nella natura della Chiesa di Gesù Cristo - noi lo sappiamo - si intesse, esiste e perdura soltanto intorno a certe realtà fondamentali, che di quella comunione sono il vincolo concreto.

Queste realtà si incentrano in una persona: Gesù Cristo, Verbo eterno fatto uomo, figlio di Dio e figlio di Maria. Intorno a lui, alla verità che egli è e alla verità che egli proclama, si costruisce la comunione nella carità.

Perciò ogni vescovo è, nella sua Chiesa, maestro, servo e testimone di Cristo-verità; egli è educatore del suo gregge nella fede, che è adesione alla verità di Cristo.

L'esempio ponderoso di Servazio e di Willibrordo quali evangelizzatori di queste terre, mette in meridiana evidenza il "munus docendi" di ogni vescovo; il suo dovere, cioè, di pensare e di agire sempre da primo responsabile sia del Kérygma, e cioè del primo e fondamentale annuncio di Gesù Cristo in mezzo alla crescente misconoscenza di lui, in una civiltà secolarizzata; sia dell'approfondimento della fede mediante la predicazione, specialmente l'omelia e l'istruzione a vari livelli; sia di una catechesi fedele nei suoi contenuti come nei metodi e nel linguaggio; sia, infine, dell'insegnamento teologico - e dunque del delicato ministero dei teologi - nei seminari, nelle università ed istituti, nelle case religiose, eccetera.


6. Il magistero della verità deve compiersi peraltro sotto l'ispirazione e la mozione della carità.

Anche questo hanno dimostrato e insegnato abbondantemente i due eminenti pastori da voi evocati.

Le fatiche missionarie e pastorali di ambedue, vissute con esemplare coerenza e fedeltà in mezzo ad indicibili difficoltà ed ostacoli, rimangono come prove di un "dilexit in finem" che altro scopo non ha se non quello di generare amore fraterno e comunità di amore fraterno.

Missione impreteribile del vescovo è quello di "veritatem facere in caritate", di far si che nella comunità cristiana, qualunque essa sia, la carità sia la "suprema lex" sotto il cui impulso le cose accidentali che dividono non abbiano mai il sopravvento sulle cose essenziali che uniscono.


7. In questa luce si delineano nel maestro i tratti del pastore, il quale è anche inseparabilmente padre. La fermezza con cui il vescovo, senza cedimenti né compromessi, adempiendo all'impegno assunto nella sua ordinazione episcopale, annuncia, insegna e difende la verità, trova la sua misura nelle "viscere di misericordia" con cui egli si mostra padre che protegge e pastore che conduce i suoi verso i "prati verdeggianti".

Padre e pastore, e non mero amministratore o "manager", il vescovo lo è appieno: - quando si fa veramente vicino al suo gregge in tutte le necessità, soprattutto nel suo bisogno di Dio; - quando cammina insieme con il gregge: davanti ad esso per mostrargli il cammino, per prevenire i pericoli, per difendere dai lupi, per ispirare sicurezza. Non dietro al gregge, quasi dovesse farsi lui guidare, proteggere e difendere. Non staccato dal gregge, quasi non gli importasse della sua sorte.

- Il vescovo è pastore e padre quando assume chiaramente la propria funzione nella pienezza delle responsabilità per le quali è stato ordinato e posto dallo Spirito Santo; - quando si lascia guidare soltanto dal sommo ed eterno sacerdote Gesù; - quando si sente unito agli altri pastori e non disdegna di servirsi di tutte le istanze che lo possono aiutare nell'esigente servizio che il Signore e la Chiesa gli affidano, senza tuttavia abdicare alle sue personalissime responsabilità.

- quando trova nelle varie vie, aperte dalla Chiesa o suggeritegli dal suo zelo, dalla sua prudenza, dalla sua creatività, il modo migliore di farsi prossimo alle persone cui è stato dato come pastore, come padre, come animatore.


8. Come tacere, infine, un ultimo tratto che risalta dalla luminosa fisionomia dei due santi vescovi la cui opera rimarrà per sempre legata alla storia della Chiesa in questa nazione? Tale opera profondamente evangelizzatrice si è rivolta soprattutto "ad dandam scientiam salutis" e, dobbiamo aggiungere, "in remissionem peccatorum" (cfr. Lc 1,77). In due momenti storici diversi i due grandi vescovi sono venuti da lontano per svelare ad innumerevoli figli di queste terre l'insondabile mistero della benignità e grazia del Dio vivente e per avviare così alla santità un intero popolo di credenti.

Il Concilio Vaticano II, riprendendo l'insegnamento costante della Chiesa, ci ha ricordato che il compito di santificatore del popolo - compito intensamente vissuto dai due illustri pastori - è la caratteristica di ogni vescovo. Santificatore mediante la parola che egli predica, santificatore per la forza dei sacramenti che egli dispensa, per le virtù evangeliche che egli alimenta, per l'obbedienza amorosa al Vangelo che egli suscita, per la guida spirituale che egli offre.

Consapevole di tale missione santificatrice, il vescovo, con la sua opera personale e coordinando quella dei suoi collaboratori, consacra tutti gli sforzi possibili per far crescere nella vocazione cristiana tutti coloro che il supremo pastore e sacerdote Gesù Cristo consegna alle sue cure pastorali.


9. Quanto ho voluto dirvi in questo incontro, venerati e diletti fratelli, quale espressione di sincera comunione con voi e con il vostro ministero episcopale, non può non rimandarci col pensiero a quel momento rilevante della vita della Chiesa nei Paesi Bassi che è stato il Sinodo particolare.

Non esito a dire - e chi è stato presente lo può confermare - che fu un momento di grazia - grazia di comunione, di speranza, di coraggio, di decisione e di operosità - nel quale si prolungava per voi e per i vostri fedeli la grazia immensa del Concilio. E' doveroso mantenersi costantemente fedeli a tale grazia e, non soltanto attuare le proposte e le conclusioni del Sinodo, ma mettere in pratica lo spirito che lo ha pervaso, spirito che continua a pulsare nella lettera delle conclusioni, a cui allora si giunse. Voi stessi, presenti al Sinodo o i vostri predecessori, scriveste ai vostri sacerdoti e fedeli: "Ora possiamo comunicarvi i risultati e le conclusioni cui siamo giunti in comune e che furono accettati ed approvati dal Papa. Essi ci guideranno nel conseguimento della costruzione ed edificazione della Chiesa come comunione nel Cristo".

Espressione di autentica collegialità, il Sinodo particolare chiede, anzi esige, di diventare norma e ispirazione di vita, innanzitutto per coloro che, posti dallo Spirito Santo, reggono la Chiesa di Dio in questa nazione, e poi per l'intera comunità ecclesiale. Possano dunque la lettera e lo spirito di dette conclusioni spingervi a vivere con gioioso slancio le tremende ed esaltanti esigenze della vostra missione di "doctores fidei", di padri spirituali, di pastori e guide, di "perfectores" e santificatori per tanti che palesemente e silenziosamente (magari senza saperlo) attendono da voi valido aiuto. Possano le medesime conclusioni incoraggiarvi ad essere vicini ai vostri sacerdoti, spronandoli ad essere sempre più fedeli alle esigenze della loro vocazione nella presente ora della Chiesa nei Paesi Bassi. Possano stimolarvi e sostenervi nel vostro sforzo e nella vostra fatica in vista di un'attiva ed efficace promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose, così che l'Olanda torni ad essere un rigoglioso e provvido serbatoio di ministri e di anime consacrate anche per il servizio delle missioni ad gentes. E vi guidino anche, come valido sussidio, nell'impegno di formare numerosi laici, capaci di corrispondere al loro carisma di attiva presenza nel mondo e di animazione delle realtà terrestri col fermento vivificante del Vangelo. Possano infine, quelle conclusioni, mantenere in tutti i fedeli lo spirito di comunione e di apertura alla Chiesa universale.

Con questi voti, che affido alla materna intercessione di Maria, benedico tutti di cuore.

Data: 1985-05-14 Data estesa: Martedi 14 Maggio 1985






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