GPII 1985 Insegnamenti - A sacerdoti e religiosi - Vittorio Veneto (Treviso)

A sacerdoti e religiosi - Vittorio Veneto (Treviso)

Titolo: Il presbiterio diocesano cenacolo di preghiera e comunione

Carissimi sacerdoti, religiosi, religiose e membri degli Istituti secolari, che, attorno al caro fratello vescovo Eugenio Ravignani e sotto la sua guida, svolgete giorno per giorno i compiti della pastorale diretta nell'esercizio del sacro ministero o in altre attività di apostolato; e voi, dilettissimi alunni del seminario!


1. Il mio cuore si apre a voi in piena effusione. Vi dice molto di più di quanto possa salire alle labbra nello spazio di pochi minuti. Vi dice anzitutto il mio profondo affetto, che esprimo mediante il saluto "in osculo sancto", diretto a tutti e a ciascuno, senza dimenticare i confratelli a cui non è stato possibile essere materialmente presenti, e sono uniti a noi nel vincolo della carità.

Desidero in particolare che si sentano ricordati con peculiare trasporto di anima gli oltre duecento missionari - sacerdoti diocesani e religiosi di origine vittoriese - che costituiscono le propaggini della diocesi in Africa, in America Latina e nella pastorale degli emigrati in Germania e Francia. La lontananza geografica non allenta l'intensità del legame familiare.

Prima di tutto ringrazio sentitamente per le iniziative di preghiera e meditazione, a cui avete dato vita "in orante attesa", affinché la visita del Papa fosse spiritualmente preparata e potesse ottenere dal Signore grazie abbondanti.

In particolar modo vi ringrazio per le celebrazioni quotidiane promosse durante tutto il mese di maggio, con le quali è stata invocata l'intercessione della Madonna santissima, e per la veglia di preghiere con cui mi avete aspettato.

E' stato il dono più prezioso che potevate farmi, ed è motivo per sperare che il breve passaggio tra voi del successore del Pontefice, che giustamente chiamate "vostro", possa essere apportatore di benefici spirituali a questa amata porzione della Chiesa universale.


2. Sotto le volte della chiesa cattedrale, si ridesta il soave sentimento delle primizie presbiterali. Sento spiritualmente presente tra noi, festoso e incoraggiante, Giovanni Paolo I. Con dolcezza e gravità, egli ripete la sua candida confessione: "Io ricordo come uno dei punti solenni della mia esistenza il momento in cui, messe le mie mani in quelle del vescovo, ho detto: "Prometto". Da allora mi sono sentito impegnato per tutta la vita e non ho mai pensato che si fosse trattato di una cerimonia senza importanza" (Insegnamenti di Giovanni Paolo 1P 85).

E' un invito a profonde riflessioni. Che cosa ne ho fatto della mia vocazione? Come vado rispondendo al dono della divina chiamata? Che cosa avro da offrire al Signore nel momento del supremo incontro al termine della mia giornata terrena? Questi e molti altri simili interrogativi, soliti a bussare alla porta della coscienza, scuotono l'animo alla fedeltà. Tutte le strade della vita reclamano fedeltà. La chiede a titolo particolarissimo il sacerdozio ministeriale, che conforma a Cristo, rende strumenti della grazia, abilita a un servizio che non può essere sostituito neppure dall'angelo.

E' il motivo primordiale - ma non il solo - per cui il sacerdozio comporta uno sforzo tenace, assiduo, generoso verso la santità. Tra sacerdozio e santità corre un rapporto sostanziale. così che la santità sta, per molti aspetti, alla radice della missione presbiterale, costituisce un punto di irradiazione e, per altro verso, di attrazione. Qui sta il nocciolo del problema della verità del nostro sacerdozio.

Il Cristo continua ad affermare di noi: "Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo... Per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità" (Jn 17,1 Jn 6 Jn 17,19).


3. "Sentire il loro sacerdote abitualmente unito a Dio è, oggi, il desiderio di molti buoni fedeli". così si esprimeva Giovanni Paolo I nel discorso-colloquio con il presbiterio di Roma, nel quale commentava il proposito, precedentemente annunciato, di "conservare intatta la grande disciplina della Chiesa nella vita dei sacerdoti e dei fedeli".

La grande disciplina - sono sue parole - "esiste soltanto se l'osservanza esterna è frutto di convinzioni profonde e proiezione libera e gioiosa di una vita vissuta intimamente con Dio".

Il presbiterio diocesano deve essere un cenacolo il cui distintivo è una spiritualità genuina, cercata e sostenuta attraverso la preghiera individuale e collettiva, resa intensa mediante iniziative specifiche di raccoglimento e di riflessione, collaudata nel campo dell'azione. L'attività pastorale, avulsa da questa base, diventerebbe sterile attivismo.

Bisogna poi mettere in forte rilievo che, quanto più la cultura tende a sganciarsi dal sacro e a mettere in discussione il concetto cristiano della vita, tanto più si fa urgente la necessità di vivere a fondo la spiritualità a livello sia individuale sia comunitario. Diversamente, resterebbero senza successo le formule anche più aggiornate, magari escogitate con l'ausilio delle più avanzate scienze umane. Per non dire del pericolo di un progressivo allontanamento dalla verità del Vangelo. Gli obiettivi della tipica spiritualità sacerdotale, inoltre - ma l'osservazione vale per tutte le forme di particolare consacrazione -, costituiscono un vincolo di prim'ordine per la crescita della comunione fraterna, intesa in se stessa, e vista in rapporto alla collaborazione pastorale e alla sua efficacia.

La sorgente della concordia, dell'unità d'impostazione e di indirizzo non potrà essere trovata altrove, pur tenendo conto della giusta varietà dei metodi che oggi sono richiesti alla catechesi e all'evangelizzazione.

E ancora a questa sorgente bisogna attingere, per dare un contributo specificamente ecclesiale alle questioni che angustiano la società e insensibilmente la orientano verso soluzioni di stampo materialistico in nome di un'illusoria liberazione che prima o poi si traduce in schiavitù.


4. Tra le priorità pastorali del nostro tempo, vorrei indicare l'apostolato della gioventù. So bene che da voi l'apostolato giovanile vanta una tradizione ragguardevole. Ne fanno fede, per numero e qualificazione, le associazioni e i movimenti cattolici con le loro istituzioni e attività, e insieme, le organizzazioni di ispirazione cattolica operanti in campo sociale, caritativo, assistenziale.

So che il Consiglio pastorale diocesano, dopo un attento studio, ha individuato alcuni punti concreti di lavoro, al fine di intensificare su linee organiche la pastorale giovanile. Nell'esprimervi il mio più sentito compiacimento, sottolineo in particolare una delle esigenze emerse: quella di pensare a una pastorale non per i giovani, ma dei giovani, nella quale essi siano inseriti come membri attivi e partecipi, affinché possano dare il loro contributo di pensiero e di corresponsabilità, di vivacità e di entusiasmo.

Un piano di tale genere presuppone un'accentuata consapevolezza dei vari ruoli. Non si può pretendere dai giovani ciò che essi non sono in grado di dare per non aver ancora acquisito quell'esperienza che è frutto degli anni. Né i giovani possono presumere di sostituirsi ai pastori e a coloro che sono rivestiti di peculiari responsabilità.

La presenza del sacerdote accanto al giovane, si tratti del giovane singolo come dei gruppi giovanili, è di fondamentale importanza. Lo è come valorizzazione del sacerdozio, sull'esempio di Gesù, che ha dedicato tempo e attenzioni privilegiate alle nuove generazioni. E lo è come missione verso la gioventù stessa, che ha bisogno di solidarietà, di comprensione e soprattutto di amore disinteressato.

Questo è un compito particolarmente impegnativo. Su di esso ho attirato l'attenzione nella Lettera ai sacerdoti in occasione del giovedi santo, chiamando a meditare sull'ineffabile colloquio del Signore con il giovane anonimo, di cui parlano i tre Vangeli sinottici. Consentitemi di riproporvi oggi quelle considerazioni, riassumendole in una proposizione scultorea, mutuata dal testo evangelico: "Fissatolo, lo amo" (Mc 10,21). Cambiano i tempi e con essi molte cose cambiano. Ma il cuore dell'uomo rimane sempre il medesimo. Ha sempre bisogno di amore. I metodi pastorali, aggiornandosi per quanto possibile alle nuove necessità e cercando strumenti più perfezionati, hanno bisogno di ispirarsi all'amore, il quale solo può indicare in ogni circostanza le vie più sicure.


5. Un aspetto particolare, a cui non posso non accennare, è la pastorale delle vocazioni. E' consolante la ripresa, avvenuta in questi anni, del seminario diocesano. Io sono lieto di salutarvi, carissimi seminaristi, insieme con gli alunni del noviziato internazionale dei missione della Consolata. Voi siete la speranza, siete il domani.

Non mi stanco di affermare che la vitalità di una Chiesa locale si misura col metro delle vocazioni. La vitalità di Vittorio Veneto, dunque, è buona.

Ma il bene deve crescere. E' urgente, perciò, prospettare ai ragazzi e ai giovani, con l'esempio della vita e con ogni opportuno intervento, la grandezza, la bellezza, la ricchezza della chiamata del Signore al sacerdozio ministeriale e alla speciale consacrazione. La stasi di vocazioni negli ultimi anni ha lasciato molti vuoti. Nonostante la promettente ripresa in atto, nel prossimo futuro, man mano che il Signore chiamerà al premio i suoi servitori, mancheranno forze sufficienti a compensare le scomparse. Triste previsione, che spinge a mobilitare tutte le energie atte a configurare una pastorale in favore delle vocazioni che sia profonda, vasta, incisiva, concretamente articolata, in modo che nulla vada disperso, per quanto dipende da noi, della generosità con cui Dio continua a chiamare i suoi eletti.

Qui si apre un vastissimo campo di attività, che coinvolge la famiglia, la parrocchia, la scuola, particolarmente gli istituti cattolici d'istruzione e di educazione, le associazioni e i movimenti, in particolare l'Azione cattolica: ricca corona dell'accostamento individuale, soprattutto in sede di direzione spirituale, che rimane il momento insostituibile.

Io auspico con tutto il cuore che l'impulso del Centro diocesano e l'attività del seminario contribuiscano a rendere sempre più intensa l'animazione delle vocazioni, nell'atmosfera dell'insistente preghiera che tutto deve permeare: "Rogate, rogate Dominum messis" (Mt 9,38).


6. Ho accennato alla famiglia. Essa è, generalmente, la prima culla della vocazione. La vocazione è dono di Dio, ma la risposta è decisione della persona.

L'ambiente familiare esercita, da questo punto di vista, un influsso notevole, che può essere determinante. Ma alla Chiesa preme la famiglia per ciò che essa è nel piano di Dio: santuario dell'amore, nido della vita, cellula della comunità dei credenti e della società.

Alla famiglia vanno rivolte cure pastorali appropriate, nel suo nascere e nel suo svolgimento. Mi è perciò di grande gioia sapere che nei programmi della diocesi occupa un posto particolare un piano di concreta pastorale familiare.

E' un obiettivo di amplissima portata. Esso non può essere realizzato che sulla concezione del matrimonio come itinerario di fede, visto cioè nella visione del piano di Dio e nella luce del Cristo, nella concretezza delle situazioni esistenziali. Esso abbraccia la famiglia fin dal suo germogliare, quando è ancora oggetto di un sogno dei due giovani. Accompagna lo snodarsi di quel "sogno" perché si avvii limpido alla realizzazione, superando gli scogli di una mentalità che si coagula nella convivenza priva di vincoli giuridici e morali.

Segue i coniugi nelle difficoltà e nelle crisi di vario tipo, e li aiuta, con tutte le forme possibili di sostegno, ad approfondire ogni giorno di più il loro amore nella verità. L'azione positiva, condotta con costanza e con chiarezza d'idee, è la via efficace per prevenire quei mali che contaminano la famiglia, ne minacciano la stabilità, ne corrodono l'unità e la pace.

Il compito di pastore d'anime vi trova un campo delicato e urgente di applicazione. Ma, come scrivevo nella "Familiaris Consortio" (FC 86), tutti i figli della Chiesa devono sentirsi chiamati a uno sforzo particolare. "Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia, in questo nostro tempo di prova e di grazia".


7. Carissimi membri degli istituti di particolare consacrazione, voi avete certamente compreso che quanto ho detto fin qua riguarda anche la vostra missione.

Io vorrei confermarvi nella fedeltà al vostro particolare carisma che è destinato, oltre che ad assicurare lo sforzo di perfezione evangelica alla quale il Signore vi ha chiamato, ad arricchire il tessuto ecclesiale. La vostra presenza, la vostra partecipazione al lavoro pastorale - che sono tanto apprezzate - costituiscono davvero un contributo prezioso, anzi insostituibile.

Termino con un'esortazione che ricavo dal cuore pastorale del vescovo Albino Luciani e del papa Giovanni Paolo I: siate i "buoni samaritani" in mezzo la popolo di Dio e alla società.

Alla parabola del buon samaritano - come vi è noto - egli si era ispirato per un corso di esercizi spirituali al clero, denso di riflessioni, che concludeva con un consiglio pieno di speranza: "Se hai qualche compito difficile, non demoralizzarti, non perdere il coraggio, mai, mai. Ma con l'energia ricevuta da Dio, tieni duro. Non fidarti delle tue sole forze, ma pensa che c'è anche il Signore che ti aiuta, qualunque sia il tuo posto". Fidando in Dio e chiamando a raccolta tutte le energie, verrà continuamente irrobustita la speranza, quella speranza che - affermava Giovanni Paolo I - è obbligatoria per ogni cristiano.

Perché sia davvero così, invoco fervidamente su tutti voi le più elette grazie celesti, mentre, in pegno del mio perseverante affetto, vi imparto di cuore l'apostolica benedizione.

Data: 1985-06-15 Data estesa: Sabato 15 Giugno 1985





Al santuario della Madonna delle Cendrole (Treviso)

Titolo: Pietà mariana del papa Pio X

Cari fratelli e sorelle.


1. Considero un vero dono del Signore iniziare la mia visita nella terra natale del mio grande e santo predecessore Pio X da questo luogo, dove sorge il santuario che custodisce l'antica, veneratissima immagine della Madonna Assunta. Immagine assai cara al cuore di Giuseppe Sarto, il quale, quando era vescovo di Mantova, confidava di averla "innanzi agli occhi fin dagli anni della giovinezza", e soggiungeva: "Voglia il Signore esaudire i miei voti di vederla anche nella mia vecchiaia, venendo a pregare in quella cara chiesa".

Saluto tutti i presenti con sincero affetto, rivolgendo un particolare pensiero agli ammalati.

Da sempre questo santuario è una mistica oasi di richiamo e di pace, centro di culto vigoroso e tenace, come vigorosa e tenace è la fede della popolazione di queste verdi campagne. Esso ha le sue origini nel sacello dedicato alla Madre di Gesù, eretto nel terzo secolo e dal 1500 in poi divenuto meta di incessanti pellegrinaggi.


2. Qui, appunto, il piccolo Bepi Sarto ricevette quell'impronta cristiana, che penetra nell'anima e nel cuore, e non si cancella più. Qui egli, accompagnato da mamma Margherita, veniva da fanciullo e imparava a colloquiare con Dio. Qui tornava da seminarista, ogni qualvolta rientrava per le vacanze. Qui sosto in preghiera prima dell'ordinazione sacerdotale, e qui venne poi a celebrare una delle sue prime messe. Vi torno in seguito, in occasione delle visite alla famiglia e al paese. Anche da lontano, a questa sacra immagine, che il popolo chiama "delle Cendrole", correva spesso il suo pensiero, come si arguisce dalle parole scritte a Roma: "Oh, quanto volentieri volerei da questo luogo alla solitudine delle Cendrole per inginocchiarmi davanti a Maria e udire ancora il gaio squillo di quelle campane".

Così Giuseppe Sarto, anche quando divenne Pio X, appare figlio affezionato di questo santuario, che ha prediletto, beneficato spiritualmente e materialmente; ne ha scritto da Papa una breve storia, stampata nel 1910 dalla Poliglotta Vaticana; ne ha incoronato l'immagine. A Maria egli si raccomandava, come si legge nella lettera scritta poco prima di morire al vescovo di Treviso monsignor Longhin: "Nei momenti dolorosi mi trasporto col pensiero e veggo tutto, come fossi presente, confortandomi col saluto alla Vergine santissima".


3. Cari fratelli e sorelle, di fronte a simile esempio noi sentiamo il bisogno di riflettere sui contenuti e sulle espressioni della nostra devozione mariana. Essa deve essere rapporto di amore e di confidenza con la Mamma celeste, sentimento di abbandono a lei, soprattutto nell'ora del dolore.

Questo santuario ha una lunga tradizione in proposito. Già nel XVI secolo fu prescelto dalla Confraternita dei Battuti per le sue devozioni. E nel 1904 Pio X, nel suo amore a Maria e agli infermi, costitui l' Unitalsi, incaricata del trasporto degli ammalati a Lourdes e ai santuari d'Italia. Per questa ragione io stesso, due anni fa, ho affidato la benemerita associazione alla protezione di san Pio X. Oggi, in veste di pellegrino al santuario che gli fu caro, mi piace ricordare e confermare quella scelta.

E ora, prima di lasciarvi, nel salutarvi di cuore, voglio ripetere l'invito che già Paolo VI nel 1972 rivolse ai fedeli di Riese che si erano recati a Roma per il millennio di fondazione della parrocchia: "Pregate san Pio X e la Madonna delle Cendrole per noi e per tutta la Chiesa".

Agli ammalati, che sono tanto cari al cuore di Maria, e a tutti voi la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1985-06-15 Data estesa: Sabato 15 Giugno 1985





Alla cittadinanza - Riese Pio X (Treviso)

Titolo: Alla base della vocazione sacerdotale, il cuore di una madre

Signor sindaco.


1. La ringrazio sentitamente per le parole di benvenuto, così cordiali, che ha voluto rivolgermi, interpretando i sentimenti dei presenti e di tutti gli abitanti di questa città.

Il mio grazie va anche alle altre autorità civili del comune e della provincia di Treviso per la calorosa accoglienza che mi è stata riservata in questo luogo così ricco di significati per me e per voi che vantate l'onore di aver dato alla Chiesa un figlio della vostra terra, divenuto sommo pontefice e santo.

Ho voluto far tappa qui, soffermandomi a pregare in questa "Casetta del santo", in cui Giuseppe Sarto vide la luce. Qui mi inchino alla soavissima memoria della sua nascita terrena, avvenuta esattamente 150 anni fa, in questa casa dove tutto parla di fede, di umiltà e di povertà: in questa casa, rimasta inalterata nella sua semplicità, quale il piccolo Giuseppe apprese a vederla e ad amarla, santuario domestico della sua fanciullezza e della sua vocazione.

Molti valori ai quali egli impronto il suo ministero pastorale, così molteplice e fecondo, trovano la prima spiegazione negli elementi che costituirono qui il suo ambiente: la preghiera assidua nella famiglia e nella comunità parrocchiale; il catechismo, da cui apprese l'amore a Dio e alla Chiesa; lo spirito di sacrificio in una vita povera e semplice; l'impegno severo nello studio e nel lavoro. E, soprattutto, la carità, quell'amorosa attenzione ai bisognosi a cui san Pio X rimase fedele per tutta la vita: egli, che ne aveva acutamente sperimentato il bisogno, rammento sempre, in seguito, il dovere della carità verso ogni povero.


2. Mi sia consentito, oggi, da questa casa, rivolgere un pensiero riverente alla mamma di papa Sarto, Margherita, una di quelle donne forti e sagge di cui parla la Bibbia e delle quali è particolarmente fertile questa terra veneta e trevigiana.

Nelle radici di una vocazione sacerdotale, accanto alla presenza vigile del padre, è insostituibile il cuore di una mamma, e questo luogo ce lo attesta. Sappiamo che san Pio X riconobbe sempre nell'azione educativa della madre il fondamento della sua fede e della vocazione sacerdotale. Egli veniva a visitare la mamma, anche da patriarca, con devozione, ringraziando Dio per il grande privilegio di essere nato in una famiglia cristiana.


3. A voi, cari fedeli di Riese, il compito di custodire gelosamente, come già fate con giusto orgoglio, queste memorie. Esse non siano solo un ricordo, ma un monito perenne per voi e per i vostri figli. I genitori, soprattutto, siano i primi responsabili dell'educazione religiosa dei propri figli, attraverso la catechesi assidua, organica, fedele al pensiero della Chiesa, profondamente apprezzata e seriamente testimoniata dallo stile di vita cristiana.

Imparino tutti ad amare la semplicità della vita, resistendo alle molteplici tentazioni del benessere. Ognuno coltivi la preziosa eredità delle tradizioni religiose, che costituiscono l'anima più profonda della vostra cultura veneta.


4. La vicinanza dei luoghi che furono teatro di scontri sanguinosi nel corso della guerra, nella quale l'Italia entro esattamente settant'anni fa, mi porta col pensiero alle vittime di quell'immane tragedia, che innumerevoli lutti semino in queste e in molte altre terre d'Europa. Nel ricordo degli sforzi compiuti da san Pio X per scongiurare lo scoppio del conflitto, il cui inizio ebbe sulla sua fibra ormai provata un contraccolpo fatale, elevo la mia accorata preghiera a Dio perché ispiri all'umanità di oggi pensieri di saggezza e la induca a resistere alle suggestioni nefaste della violenza. Parlino i morti alla coscienza dei vivi e ricordino loro che per comporre le controversie e le difficoltà v'è sempre una strada alternativa alla lotta fratricida della guerra. Il loro sacrificio valga a ottenere alle rispettive famiglie e all'intera Italia giorni di serenità, di operosa concordia e di pace.

Con questo auspicio imparto di cuore a voi e ai vostri cari la mia benedizione apostolica, pegno di abbondanti grazie del Signore.

Data: 1985-06-15 Data estesa: Sabato 15 Giugno 1985





Al clero diocesano - Riese Pio X (Treviso)

Titolo: Vi conforti la gioia della fedeltà e della fraternità

Cari sacerdoti e religiosi della diocesi trevigiana!


1. So di incontrare oggi, qui, un presbiterio valoroso, che ha alle spalle, e tuttora nel cuore, una tradizione, tra le più illustri, di impegno sacerdotale e pastorale.

Dalla catena sacerdotale alla quale voi appartenete, è venuto don Giuseppe Sarto, pontefice grande e santo nella Chiesa di Cristo. Della sua grandezza e della sua santità io sono venuto a rendere testimonianza a Riese, a Treviso, a Venezia. Nessuna lettura parziale e nessuna analisi critica del periodo storico in cui egli visse, o addirittura del suo servizio Pontificale, possono intaccare quello che è stato e rimane il giudizio della Chiesa su quest'uomo che, com'è stato giustamente detto, fu grande perché fu santo.

Commemorando il centenario dell'ordinazione sacerdotale di Pio X, nel duomo di Castelfranco Veneto il 18 settembre 1958, il patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, con profonda acutezza, ebbe a dire: "Avvenimenti di straordinaria portata hanno sconvolto il mondo e più volte rifatto la carta geografica delle nazioni. Ma il punto fermo segnato da Pio X con ardore apostolico, con intrepidezza di pastore universale, ci fa dire che il piccolo Samuele di Riese si lascio condurre dalla voce e dalla mano di Dio: ed elevato alla dignità altissima di romano pontefice emulo i suoi grandi predecessori, e solo per un istante... parve che rimanesse schiacciato dal peso immane dell'altissimo ufficio. Poi, con il passo sicuro della gente della campagna, intraprese il suo cammino. E fece una strada lunga, difficile e martoriata, che sbalordi quanti credettero che il figlio del cursore comunale si esaurisse tutto nell'"offerre dona et sacrificia pro peccatis".

Di fatto egli fece questo in modo eminente, e fece tutto il resto, di cui una sola impresa basterebbe alla sua gloria e immortalità" ("Scritti e discorsi", III (1957-1958), 653).


2. E infatti, come per i grandi pontefici, noi possiamo dire che non c'è settore o aspetto della vita della Chiesa in cui Pio X non sia entrato per discernere, orientare, determinare, rilanciare. Ricordiamo sommariamente il campo della liturgia, i sacramenti, la catechesi e la predicazione, il canto sacro e l'arte sacra, il diritto ecclesiastico, l'apostolato sociale, i seminari e la formazione sacerdotale, gli studi biblici, l'organizzazione ecclesiastica: in ognuno di questi ambiti egli è intervenuto con mano abile e ferma, con scelte provvidenziali e incisive. Egli ha consacrato orientamenti innovativi e profetici e, nello stesso tempo, ha consolidato e incrementato la fede della Chiesa. Poiché questa è stata la sua massima aspirazione e preoccupazione: la genuinità, la limpidezza, la trasparenza della fede in tutto il popolo di Dio. Ha lottato e sofferto per la libertà della Chiesa, e per questa libertà s'è rivelato pronto a sacrificare privilegi e onori, ad affrontare incomprensione e derisione, in quanto valutava questa libertà come garanzia ultima per l'integrità e la coerenza della fede. Non si lascio bloccare da alcun rispetto umano, né da calcolato opportunismo, quando si tratto di difendere i diritti di Cristo, della Chiesa e dei più piccoli tra i fratelli. Chi lascio dietro a sé senza tentennamenti nostalgici, ogni attrattiva per il potere temporale, ogni pur minimo collegamento con la "civitas terrena" che non fosse contrassegnato dalla carità, se non Pio X? Si, questa è la grandezza di papa Sarto; qui egli svetta in maniera incomprimibile. Non solo cronologicamente egli chiude un'epoca e ne apre un'altra, e poi è quella che ci avrebbe condotti al Concilio Ecumenico Vaticano II, e alla caratteristica fondamentale e imprescindibile di esso, la pastoralità. Cioè, quel modo singolare e originale di valutare ogni situazione, che è proprio della Chiesa, in continuazione dell'opera del Buon Pastore, secondo la quale nulla dell'uomo le è estraneo o indifferente, ma tutto le interessa sul piano esclusivo del servizio, "usque ad effusionem sanguinis".

Angelo Giuseppe Roncalli, divenuto papa Giovanni XXIII, scriveva (21 aprile 1959) in particolare al clero veneto in occasione del provvisorio "ritorno" dell'urna di Pio X a Venezia: "La Chiesa dei tempi di Pio X stette al posto suo con finezza e fierezza. Taluni forzarono la porta; altri riuscirono ad imprese clamorose e dolorose. Ma su quel clamore si distesero poi le ombre della notte.

Pio X, mite e umile di cuore, non piego alla violenza dei potenti della terra né alle lusinghe dei dialettici delle varie scuole. E lascio l'esempio preclaro del suo strenuo amore al libro sacro e alle sorgenti della grazia. A chi, definendolo "un povero parroco delle campagne venete", lo immagino quasi confuso e sperduto nelle immensità dei compiti pontificali, egli diede la misura altissima della sua chiaroveggenza di maestro e di pastore universale" (AAS 51 [1959], 379).


3. Ecco perché vede riduttivamente, quando non erroneamente, chi parla di immobilismo e di restaurazione della Chiesa dei tempi di Pio X: l'"instaurare omnia in Christo", contrariamente alle apparenze, è quanto di più dinamico e innovativo possa esserci in ordine al tenere il passo coi tempi e al corrispondere con intrepida franchezza alle sempre nuove esigenze del cuore umano e cristiano.

Questo è stato Pio X, il papa vostro e nostro, di tutti noi e di tutta la Chiesa. Ma non stentiamo certo a credere che egli, più che un fiore nel deserto, è il ricamo più luminoso nel tessuto di una Chiesa locale, che oggi è qui egregiamente rappresentata nel suo episcopato e nel suo presbiterio, cui non da oggi è stato istillato caratteristicamente il valore straordinario e ineffabile della dignità sacerdotale, che plasma e non mortifica la persona del prete, e anzi la vivifica aprendola a relazioni comunitarie inconfondibili perché scaturenti dalla familiarità davvero inenarrabile con i misteri della grazia.

Non solo qui, ma qui certamente s'è forgiato un tipo di prete che, vivendo in comunione continua con Dio, rimane in mezzo ai suoi fratelli e ne diviene padre, consigliere e amico, grazie alla genuinità della fede e di quell'umanesimo popolare, in cui l'incontro tra natura e grazia diventa novità della storia.

Se la terra trevigiana è stata una delle culle del movimento cattolico italiano e se in essa presero vita, nel corso dell'ultimo secolo, esperienze sociali di grande valore propulsivo nel campo della solidarietà e della cooperazione, come in quello dell'apostolato sociale, lo si deve, e non certo nella misura più ridotta, a una certa qualità del clero dalla tempra forte: educatori e pionieri, testimoni e trascinatori sulle virtù dell'essere prima che nello zelo del fare. Preti umili ed eroici, attaccatissimi alle loro comunità, suscitatori generosi e inarrestabili di protagonisti nella vocazione laicale. Voi ne avrete certo conosciute di simili querce, e il loro ricordo non potrà andare disperso, la loro testimonianza non può essere scordata.


4. Ed ecco, allora, quel che ci fa bene e c'interessa, in particolare: oggi più di ieri c'è bisogno di simili educatori che, nella fede, sappiano - come raccomanda il Concilio - "curare, per proprio conto o per mezzo di altri, che ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a sviluppare la propria vocazione specifica secondo il Vangelo, a praticare una carità sincera e operosa, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ci ha liberati. Di ben poca utilità - continua il testo conciliare - saranno le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sono volte a educare gli uomini alla maturità cristiana" (PO 6).

Non si improvvisano cristiani adeguati a questo tempo; né viene automatico soddisfare alle esigenze di una formazione all'altezza delle attese conclamate. Dovranno forse andar deluse tante richieste giovanili, tanti desideri di bene, tanta disponibilità sincera e insistente? Oh, davvero, guai a noi se dovesse succedere. La gravità dei compiti, la delicatezza delle situazioni, la stanchezza inerente al moltiplicarsi degli impegni potrebbero indurre a qualche scoraggiamento. Ma non si può disertare. Se venissero meno i sacerdoti, o se i sacerdoti attenuassero la loro identità e la loro missione, allora certo si preparerebbero momenti preoccupanti non solo per la Chiesa, ma anche per la società civile.

Tocca a voi non tralasciare, con i necessari aggiornamenti e adattamenti, la direzione di un cammino antico, eppure collaudato e modernissimo. Non ci si può ridurre a esperimenti sporadici o a improvvisazioni estemporanee: il laicato oggi è esigente e i giovani lo sono ancor più. Senza considerare che alcune volte essi stessi non sanno più bene che cosa davvero cercare e sperare. Ma proprio per questo vogliate proporvi insistentemente, umilmente, irrinunciabilmente, di stimolo: "apostolica vivendi forma".


5. San Pio X in tutto l'arco della sua lunga testimonianza ecclesiale - come parroco, vescovo, papa - si adopero in ogni modo per vivere e realizzare nella propria esistenza tale "apostolica vivendi forma", cioè l'autentica identità del proprio sacerdozio, e per esortare i presbiteri a una vita esemplare, secondo le esigenze della loro altissima missione. Insigne e straordinaria testimonianza di tale ansia e di tale amore per il sacerdozio e per i sacerdoti è l'esortazione, che egli indirizzo a tutto il clero del mondo il 4 agosto 1908, in occasione del 50° anniversario della propria ordinazione presbiterale: si tratta di un documento, che è come lo specchio della sua grande ricchezza soprannaturale, della sua personale esperienza sacerdotale, del suo interiore itinerario nella via della santità. Non si possono leggere senza emozione le parole che, verso la conclusione, egli rivolge ai confratelli nel sacerdozio: "Voi tutti, ovunque siate, vedete quale momento attraversa la Chiesa per un disegno misterioso di Dio.

Rendetevi dunque conto che avete il sacro dovere di prestarle assistenza e aiuto nelle sue strettezze, dopo che essa vi ha onorati di una dignità così insigne. Ora più che mai urge che il clero rifulga di virtù più che mediocre, esemplarmente illibata, viva, operosa, pronta più che mai ad agire e a soffrire con fortezza per Cristo. Questa è la nostra più ardente preghiera e il voto più vivo dell'animo nostro per tutti e per ciascuno" ("Haerent Animo", Pii X Pont. Max. Acta, IV, 259).

Questo pressante "invito alla santità sacerdotale" da parte del grande santo Papa, accogliamolo con piena disponibilità oggi, in questi luoghi che egli edifico spiritualmente con la sua esemplare vita, tutta dedita alla gloria di Dio e al bene delle anime. Accoglietelo, con particolare fervore, voi, sacerdoti e religiosi della diocesi di Treviso, che mesi fa vi siete raccolti in preghiera attorno al vostro pastore, monsignor Antonio Mistrorigo, in occasione del 50° anniversario della sua ordinazione sacerdotale e del 30° di episcopato.

La gioia della fedeltà e della fraternità sacerdotale conforti ogni vostra impresa nell'apostolato, e san Pio X protegga il lavoro che con tanto zelo voi svolgete per l'avvento del regno di Cristo.

Di cuore imparto la benedizione apostolica a voi qui presenti, ai vostri confratelli che compiono il loro ministero nelle quindici parrocchie, che la diocesi di Treviso sostiene in Europa, in Africa, in America Latina, a Roma; e benedico anche tutti i vostri fedeli e le persone che vi sono particolarmente care! Amen!

Data: 1985-06-15 Data estesa: Sabato 15 Giugno 1985






GPII 1985 Insegnamenti - A sacerdoti e religiosi - Vittorio Veneto (Treviso)