GPII 1985 Insegnamenti - Messa del "Corpus Domini" - Piazza San Marco (Venezia)

Messa del "Corpus Domini" - Piazza San Marco (Venezia)

Titolo: Venezia crocevia di pace e Chiesa di Pentecoste




1. "Alzero il calice della salvezza e invochero il nome del Signore" (Ps 115,13).

Da questa piazza San Marco, che è il cuore della storia della serenissima città di Venezia, la celebrazione eucaristica di questa sera ci invita a recarci spiritualmente nel Cenacolo. Là, dove il primo giorno degli Azzimi erano riuniti gli apostoli per immolare la Pasqua dell'antica alleanza (cfr. Mc 14,12).

Infatti là, nel Cenacolo, Cristo istitui il santissimo Sacramento, la Pasqua della nuova ed eterna alleanza.

Mentre mangiavano la cena, secondo la consuetudine di tante generazioni d'Israele, Gesù "prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzo e lo diede loro, dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti" (Mc 14,22-24). così dunque gli apostoli, l'uno dopo l'altro, hanno alzato il calice della salvezza nel nome del Signore. E' stato istituito il sacrificio pasquale della nuova ed eterna alleanza: l'Eucaristia.


2. Leggendo il testo del Vangelo secondo san Marco, abbiamo davanti agli occhi dell'anima tutte le generazioni di coloro, che dagli apostoli hanno ricevuto in eredità il sacramento del corpo e del sangue del Signore. Il sacramento di cui vive, senza intervallo, la Chiesa di Gesù Cristo.

Davanti ai nostri occhi questa sera sta in modo particolare anche quel sacerdote, vescovo, cardinale e Papa, del quale celebriamo insieme in terra veneta il 150° anniversario della nascita: Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, Pio X papa, san Pio X. Quando egli "alzo" per la prima volta il calice della salvezza, invocando il nome del Signore? Era il 19 settembre 1858, quando, sacerdote novello, celebro la sua prima messa a Riese. Poi durante gli anni rinnovo il santo sacrificio in diversi luoghi: a Tombolo, a Salzano, a Treviso, a Mantova. Poi qui, a Venezia, dove come pastore della vostra Chiesa riuniva il popolo di Dio, celebrando l'Eucaristia. Pronunziate le parole della consacrazione, alzava in alto il corpo e il sangue del Redentore, realmente presente sotto le specie del pane e del vino. Nella solennità del Corpus Domini usciva in processione per le piazze e le vie di questa città, che giustamente è chiamata la "perla dell'Adriatico".


3. E poi, col soffio forte e a un tempo mite dello Spirito Santo Paraclito, egli vi fu tolto. Cristo Signore lo chiamava a Roma, affinché servisse come successore di san Pietro in quella sede, la cui vocazione particolare è di unire la Chiesa nella carità (cfr. Ignazio di Antiochia, "Ep. ad Rom.").

Giuseppe Sarto, vostro cardinale patriarca, divenne come Pio X in modo particolare il "papa dell'Eucaristia". Infatti, fra le molteplici attività che esplico da pastore della Chiesa universale, egli dedico in modo speciale la sua opera per far vivere più intensamente del mistero eucaristico tutti i fedeli. A tal fine promosse la pratica della Comunione frequente, possibilmente quotidiana.

Incoraggio l'amministrazione della santa Comunione agli infermi, offrendo così a quanti portano la croce della sofferenza il conforto e la consolazione di poter ricevere il cibo eucaristico, "alimento che trasforma l'uomo in ciò che mangia e gli permette di portare sempre e dovunque, in spirito e carne, colui nel quale siamo morti, sepolti e risuscitati" (san Leone Magno).

Infine, mediante il decreto "Quam singulari" stabili che verso i sette anni cominciasse l'obbligo della Comunione, permettendo così che i bambini, giunti all'uso di ragione, potessero accostarsi alla sacra mensa.


4. Un altro aspetto del suo pontificato, collegato strettamente al servizio della carità: è la sua attività in favore della pace. Nei vari interventi magisteriali ne indico la strada nel dialogo, nella giustizia e nell'amore, nell'ordine e "in quelle virtù che dell'ordine sono il principio e fondamento precipuo" (lettera "Libenter", 11 giugno 1911).

Nella tempesta della vigilia della prima guerra mondiale, egli esorto con tutte le sue forze alla pace e invito a pregare affinché Iddio allontanasse "quanto prima le funeste faci di guerra" e ispirasse ai supremi reggitori delle nazioni "pensieri di pace e non di afflizione" (2 agosto 1914). E' il grande obiettivo a cui si dedico con lungimirante sapienza e intrepido ardimento anche papa Benedetto XV, durante gli anni del sanguinoso conflitto.


5. Oggi - come indegno successore di Pio X nella sede romana - sono con voi, cari veneziani, per "alzare", in questo luogo, "il calice della salvezza" e "invocare il nome del Signore", così come, un tempo, lui faceva. L'Eucaristia apre davanti agli occhi della nostra fede le prospettive di quella "tenda" che è "più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo" (He 9,11).

La vostra splendida cattedrale, la basilica di San Marco, è una delle espressioni artistiche più ammirate nel mondo di quest'eterna tenda di Dio uno e trino, tenda che per opera di Cristo deve diventare la definitiva "dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21,3). L'Eucaristia apre davanti agli occhi della nostra fede la prospettiva di questa dimora, di questo luogo sacro, di questo santuario di Dio stesso.

Ecco, Cristo entra in esso "con il proprio sangue". Cristo, "il quale con uno Spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio". Cristo, il quale "è mediatore di una nuova alleanza" (He 9,1 He 2 He 9,1 He 4 He 9,15).

Dunque, come io sto oggi qui dinanzi a voi, cari veneziani, così stava il vostro santo patriarca, per celebrare "in persona Christi" l'Eucaristia; e per portarla nella solennità del Corpus Domini in processione attraverso la città: la famosa processione della chiesa di San Marco.

Con la stessa umiltà e amore, con cui dopo l'ordinazione sacerdotale celebro per la prima volta il santo sacrificio, con lo stesso ardore del cuore, Pio X ripeteva: "Che cosa rendero al Signore per quanto mi ha dato?... / Io sono tuo servo, figlio della tua ancella... / Alzero il calice della salvezza e invochero il nome del Signore. / Adempiro i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo" (Ps 115,1 Ps 2 Ps 115,16-18).


6. I santi non cessano di parlare. Anche dopo lunghi anni, anche dopo secoli parlano, anzi gridano "cum clamore valido" (He 5,7). La voce del santo patriarca di Venezia e del papa dell'Eucaristia parla e grida a questa Chiesa, di cui fu pastore e servitore. Rende testimonianza all'Eucaristia. Rende testimonianza a Cristo, il quale "offri se stesso senza macchia a Dio" per "purificare la nostra coscienza dalle opere morte", affinché possiamo "servire il Dio vivente" (He 9,14).

Anche voi, cari fratelli e sorelle di Venezia, raccogliendovi intorno all'altare, adorate il Signore e ascoltatelo. Partecipate con assiduità alla santa messa e cibatevi spesso dell'Eucarestia. Siate in particolare fedeli alla messa domenicale e nei giorni di precetto, attingendovi la forza di vivere con vigore e con gioia la vostra identità cristiana, in una vita coerente con la fede dei vostri padri, della quale è segnato ogni angolo di questa città.

Più la vostra esistenza avrà Cristo eucaristico come centro e più sarete pietre vive nella costruzione della Chiesa di Venezia, la quale di conseguenza sarà maggiormente in grado di rendere ragione della speranza che custodisce dinanzi a quanti vengono così numerosi per motivi di studio, di lavoro o di turismo in questa vostra città, stupiti della sua storia, della sua bellezza e della sua umanità.


7. Chiamata a entrare in contatto con le più diverse culture e civiltà, non solo per quanti vi convengono da ogni parte del mondo ma anche per gli incontri internazionali che qui hanno sede, Venezia deve diventare una Chiesa della Pentecoste nella quale tutti si sentono interpellati dal Vangelo: la diocesi di Venezia ha una speciale vocazione missionaria. Molte diocesi mandano i missionari in altri Paesi. Per i veneziani c'è un altro modo per vivere la missionarietà: è il mondo che viene a Venezia e visita le sue chiese straordinariamente ricche di arte.

L'Eucaristia è anche un invito all'accoglienza dei fratelli, con rispetto e cordialità. Forte della sua identità cristiana, accogliente nella carità, la vostra Chiesa sia sempre pronta e aperta al dialogo con le culture, di cui Venezia è il crocevia, per annunziare ad esse il Vangelo. Protagonisti di questo impegno devono essere non solo i sacerdoti, ma tutti i battezzati, innanzitutto coloro, ai quali il Signore ha dato doni singolari di cultura: essi possono e devono divenire interlocutori dell'uomo dando ragione della speranza che è in loro (cfr. 1P 3,15).


8. Con questi pensieri che l'Eucaristia ispira, saluto di cuore la Chiesa che è in Venezia, rivolgendo un affettuoso pensiero innanzitutto al suo patriarca, il cardinale Marco Cè. Nel ricordo anche dei suoi predecessori, in particolare di quelli che da questa sede furono chiamati a quella di Pietro, saluto tutti i figli della città lagunare, insieme con quelli del Lido e delle isole (Murano, Burano, Torcello, Sant'Erasmo, Mazzorbo), di Mestre, di Marghera, della Riviera del Brenta e le zone del Litorale, dalle antiche Caorle ed Eraclea ai popolosi territori di Jesolo. A tutti desidero ricordare, cari fratelli e sorelle, la verità vivificante proclamata da questa celebrazione: Gesù si offre come vittima immacolata nel mistero eucaristico, che si rinnova quotidianamente sull'altare, manifestando così la potente vicinanza e condiscendenza di Dio ad ogni uomo.

Tale verità, scritta con il sangue di Cristo su tutta la storia dell'uomo, è quella che Giuseppe Sarto attinse dal cuore stesso dell'Eucaristia e trasmise ai vostri avi. "Alzero il calice della salvezza e invochero il nome del Signore".

Preghiera al Redentore.

Signore Gesù, siamo qui raccolti davanti a te: / il successore del tuo apostolo Pietro e la Chiesa / che tu hai raccolto in questa città di Venezia. / Tu sei il Figlio di Dio fatto uomo, / da noi crocifisso e dal Padre risuscitato. / Tu, il vivente, realmente presente in mezzo a noi. / Tu, la via, la verità e la vita. / Tu, che solo hai parole di vita eterna. / Tu, l'unico fondamento della nostra salvezza / e l'unico nome da invocare per avere speranza. / Tu, l'immagine del Padre e il donatore dello Spirito. / Tu, l'amore: l'amore non amato! / Signore Gesù, noi crediamo in te, / ti adoriamo, ti amiamo con tutto il nostro cuore, / e proclamiamo il tuo nome al di sopra di ogni altro nome.

In questo momento, grande e solenne, / noi preghiamo per questa città e per il suo territorio. / Guardala, o Cristo, dalla tua croce e salvala. / Guarda i poveri, gli ammalati, gli anziani, gli emarginati, / i giovani e le ragazze che hanno imboccato strade disperate, / tante famiglie in difficoltà e colpite dalla disgrazia e dai disagi sociali. / Guarda e abbi pietà! / Guarda coloro che non sanno più credere nel Padre che sta nei cieli / e non ne percepiscono più la tenerezza, / coloro che non riescono a leggere nel tuo volto, / o Crocifisso, / il loro dolore, la loro povertà e le loro angosce. / Guarda quanti giacciono nel peccato, / lontano da te, che sei la sorgente d'acqua viva: / l'unico che disseti / e plachi il desiderio e l'ansia irrequieta del cuore umano. / Guardali e abbi pietà.

Benedici questa città e il suo territorio: / da Venezia alle isole, da Caorle a Mira. / Benedici Mestre e Marghera, con le fabbriche e il porto. / Benedici tutti i lavoratori che nella quotidiana fatica / provvedono alle necessità della famiglia / e al progresso della società. / Benedici i giovani, perché non si spenga mai nel loro cuore la speranza d'un mondo migliore, / e la volontà di spendersi generosamente per edificarlo. / Benedici coloro che ci governano, / perché siano operatori di giustizia e di pace. / Benedici i sacerdoti che guidano le comunità, / i religiosi e le religiose. / Benedici il seminario e dona a questa Chiesa giovani e ragazze generosi, / disposti ad accogliere la chiamata al dono totale di sé / nel servizio del Vangelo e dei fratelli.

Dona, o Signore Gesù, a questa Chiesa / di essere confermata nella fede del Battesimo, / perché abbia la gioia della verità, / unica strada che porta alla vita! / Donale la grazia della riconciliazione / che sgorga dal tuo costato squarciato, / o Crocifisso: / perché, riconciliata e unita, / possa diventare forza che supera le divisioni, / lievito di una mentalità nuova di solidarietà e di condivisione, / vivente invito a seguire te che ti sei fatto fratello di tutti.

/ Donale infine di essere una Chiesa messaggera di speranza / per tutti gli uomini, perché da questa testimonianza di speranza / tutti si sentano stimolati a impegnarsi, / lavorando per un mondo più solidale e pacifico / conforme alla volontà del Padre tuo, il nostro Creatore.

Signore Gesù, donaci la pace, / tu che sei la pace / e nella tua croce hai vinto ogni divisione. / E fa' di noi veri operatori di pace e di giustizia: / uomini e donne che si impegnano a costruire / un mondo più giusto, più solidale e più fraterno. / Signore Gesù, ritorna in mezzo a noi / e rendici vigilanti nell'attesa della tua venuta. / Amen. Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Agli artisti nel teatro "La Fenice" - Venezia

Titolo: L'arte rivelatrice di trascendenza e palestra di umanità

Onorevole signor ministro, illustri e cari signori!


1. In questo teatro, simbolo prestigioso delle tradizioni musicali veneziane, sento di dover esprimere ammirazione per quanto io qui vedo e riconoscenza per l'amabile invito che mi è stato rivolto. Ed è a questi sentimenti che s'ispira il saluto deferente che molto volentieri porgo al signor sindaco, nella sua qualità di presidente dell'ente autonomo del teatro, ringraziandolo per le parole rivoltemi, agli artisti e ai tecnici, a tutti voi infine, cittadini e ospiti, che partecipate al lieto incontro di stasera.

Sono lieto di essere qui, all'interno di questa sede teatrale, in cui si affermarono negli ultimi due secoli, cioè dall'epoca in cui La Fenice fu costruita, le opere di grandi geni dell'arte musicale. Io mi sento onorato per essere in mezzo a voi, artisti d'oggi, che continuate - nel modo quale richiedono la genialità e la libertà della creazione artistica - questa stessa tradizione; e ancora perché con voi sono presenti i dirigenti e i responsabili delle università, delle grandi scuole e degli istituti culturali che qualificano la vita di Venezia, come la Biennale, l'Ateneo veneto, la fondazione Giorgio Cini, l'Istituto veneto per le scienze, lettere e arti, la fondazione Bevilacqua-La Masa, il Centro di cultura di palazzo Grassi, il conservatorio Benedetto Marcello, l'Accademia delle Belle Arti, la fondazione Levi, la Querini-Stampalia, la Deputazione di Storia patria, l'Università popolare e altre ancora. A tutte queste istituzioni va il mio augurio, come a tutte le autorità accademiche, che sono qui convenute, va il mio saluto perché lo estendano poi ai loro collaboratori nelle rispettive sedi.


2. Lasciate che ora condivida con voi, come già feci alla Scala di Milano, qualche riflessione intorno ai valori altamente umani dell'arte. Già appare straordinario il fatto che Venezia, secondo una sua immagine, universalmente nota nel mondo, sia una città che non solo ha in sé accolto e promosso ogni espressione artistica, ma si è fatta essa stessa arte, divenendo quasi - voglio dire - luce, colore, linea, spazio e armonia.

Stupisce certo la sua storia di città marinara e mercantile, che ha saputo tradurre in ricchezza culturale la grandezza conseguita in tali settori. I suoi uomini di governo, le grandi figure del patriziato e il popolo stesso nella trama varia delle professioni artigiane, tutti hanno amato le bellezze della pittura, della musica e dell'architettura, e così l'hanno fatta diventare "civitas", che in fondo vuol dire "civilitas": ecco la civiltà della Repubblica Serenissima. Qualcuno ha detto - e mi sembra molto bello - che Venezia è come un'architettura che addobba lo spazio reso luce dall'acqua e dal cielo. I nomi, che in proposito si dovrebbero ricordare, sono scritti nei grandi cicli pittorici e nelle grandi composizioni musicali, oltre che architettoniche, che danno figura ad ogni spazio, sia religioso che civile, di questa città umanissima. Qui, davvero, il "segno" dell'arte ha parlato la lingua universale del bello.

Si dice che Venezia sia cosmopolita. Ma forse è più esatto dire che Venezia è la città dell'uomo, da qualunque luogo egli venga e qualunque sia l'identità etnica e culturale che lo qualifica. Città d'incontro, quindi, e città generatrice di vera umanità. Vorrei citare un solo dato a conferma: ancor prima che la Serenissima volgesse al tramonto come Stato autonomo, la "diaspora" degli artisti veneziani porto l'umanità culturale di Venezia nel mondo, lasciando un segno inconfondibile nella formazione della civiltà moderna. Con il Tiepolo in Spagna, con Goldoni e i Piranesi a Parigi, con i Canaletto in Inghilterra, con i Bellotto a Praga e a Varsavia, con i Quarenghi e i Gonzaga in Russia, con il Da Ponte a New York. E inoltre: con i melodrammi e i musicisti veneziani nelle capitali europee, asiatiche, americane. Né si debbono dimenticare tutte le forme e opere d'arte elaborate dalla civiltà veneziana, presenti in tutti i grandi musei e collezioni di Occidente e di Oriente. Ben nota nel mondo, inoltre la Biennale di arte, che tanta fama ha saputo conquistarsi nella sua ormai quasi secolare esistenza.


3. Che può dire la Chiesa di fronte a questa esperienza plurisecolare ed esemplare? L'arte è esperienza di universalità. Non può essere solo oggetto o mezzo. E' parola primitiva, nel senso che viene prima e sta al fondo di ogni altra parola. E' parola dell'origine, che scruta, al là dell'immediatezza dell'esperienza, il senso primo e ultimo della vita. E' conoscenza tradotta in linee, immagini e suoni, simboli che il concetto sa riconoscere come proiezioni sull'arcano della vita, oltre i limiti che il concetto non può superare: aperture, dunque, sul profondo, sull'alto, sull'inesprimibile dell'esistenza, vie che tengono libero l'uomo verso il mistero e ne traducono l'ansia che non ha altre parole per esprimersi.

Religiosa, dunque, è l'arte, perché conduce l'uomo ad avere coscienza di quell'inquietudine che sta al fondo del suo essere e che né la scienza, con la formalità oggettiva delle sue leggi, né la teorica, con la programmazione che salva dal rischio d'errore, riusciranno mai a soddisfare.

Forse è proprio dell'arte dar risposta al dramma vissuto da sant'Agostino, quando sentendo di poter generalizzare la propria esperienza personale, arriva ad affermare che "è inquieto il nostro cuore, o Signore, finché non riposa in te" ("Confess.", I,1). L'arte non apre all'inconscio, ma al più conscio; porta l'uomo a se stesso e lo fa essere più uomo. Per questo, essa è anche educazione, palestra e scuola di più alta umanità.

L'arte consuma l'artista e in lui consuma l'egoismo dell'uomo. L'artista si abbandona al richiamo, che viene da un punto che sta oltre a lui, e consegna tutto se stesso al'inesprimibile. L'opera d'arte - così confessano gli artisti - è conflitto, è travaglio, è lotta, in cui l'uomo deve arrendersi al richiamo più profondo del suo essere. Per questo si deve pensare che l'arte è un sentiero che porta verso Dio. Essa è una "grazia" data ad alcuni, perché questi aprano la via agli altri. Se la cultura è l'atto con cui l'uomo prende autocoscienza critica di sé, allora la parola della poesia è la sua manifestazione privilegiata.

La Chiesa, pertanto, sente di dover ricordare a se stessa e agli uomini tutti che anche l'arte è, a suo modo, rivelatrice di trascendenza. E ciò non manca di fare, quando si presenta un'opportuna occasione, quale quella di stasera. Ma ciò fa anche - vorrei aggiungere - con la sua liturgia, che è parola, simbolo e gesto, e quindi arte. Nella liturgia c'è poesia espressa nei "segni" che conducono l'uomo verso Dio, il quale viene a lui incontro. Bellezza e verità - ci insegnano i Padri - si richiamano reciprocamente. Esse sono i nomi di Dio che, in Cristo, hanno preso la forma perfetta dell'amore. Forma umana, che divenne parola e gesto.

Parola divenuta carne: uomo, perciò, e riconoscibile.


4. Vi ringrazio, cari signori, per l'opportunità che mi avete offerto tanto amabilmente di poter esprimere questi pensieri dinanzi a voi. Questo è un luogo che è oltre, è più in alto della realtà, che tanto spesso è disarmonica, tesa, conflittuale e prosastica. Ma quello che qui "accade" non deve mai farci dimenticare dove oggi si trova l'uomo e come oggi egli vive. E' un invito e una preghiera: a voi artisti e uomini di cultura. Amate il dono che si sprigiona dall'interno di voi. Fatelo diventare linguaggio che parla in ognuno, secondo i simboli del suo talento. Fatelo diventare parola che unisce, eco della stessa parola vivente, il "Logos" divino che era in principio presso Dio, per cui tutte le cose furono fatte e che si fece "carne", cioè uomo tra gli uomini (cfr. Jn 1,1-14), per salvarli. Di lui è ricolma la "Basilica d'oro", il vostro San Marco, nel quale sono custoditi, quasi in scrigno prezioso, gli splendidi mosaici che ripropongono, con tratti di rara potenza espressiva, i momenti salienti della creazione e della redenzione.

Anche voi, mettendo a frutto i doni ricevuti seguendo il soffio dell'unico suo Spirito, potete far eco a questa parola senza cedere alle mode o alle convenienze, ma con l'originalità che vi è propria pagando anche il rezzo della solitudine o dell'incomprensione. Senza l'arte il mondo perderebbe la sua voce più bella. Sta a voi coltivarla e svilupparla: sta a voi conferirle o ridarle l'innata forza creativa, sforzandovi con umiltà ma anche con coraggio di interpretare la parola stessa con cui Dio guardando l'opera delle sue mani disse con stupore che quel che aveva fatto era veramente bello: "E Dio vide che era cosa buona... E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona" (Gn 1,1 Gn 2 Gn 1,1 Gn 8 Gn 1,2 Gn 5 Gn 1,31).

La voce che la Chiesa rivolge da sempre agli artisti, voce di cui mi faccio eco stasera dinanzi a voi tutti, si muove in quest'ordine di idee: essa parte dalla visione del "Logos" creatore e redentore e si traduce in invito, fiducioso e fraterno, a operare anche voi secondo le categorie del bello e del buono. Sia sempre quel che fate molto bello e molto buono!

Data: 1985-06-16 Data estesa: Domenica 16 Giugno 1985





Alle religiose - Basilica di San Marco (Venezia)

Titolo: Per il mondo la vostra vita è segno vivo del secolo futuro

Care sorelle.


1. Sono lieto di essere qui con voi, in questa splendida basilica di San Marco, sintesi in certo modo di tutta la storia della civiltà, della cultura, dell'arte e della fede cristiana di Venezia.

Sono qui per onorare insieme con voi la Madre di Dio, raffigurata nell'icona della "Nicopeia", una preziosa immagine che da più di sette secoli è custodita in questa chiesa, ed è sempre stata ed è tuttora oggetto di particolare venerazione da parte dei veneziani, che continuamente vengono a pregare davanti ad essa, considerando la Madonna sotto questo titolo come protettrice della città.

Infatti, come è noto, la sua festa coincide con quella dell'annunciazione, nella quale Venezia celebra il suo "dies natalis".

Sono qui per onorare la Madre di Gesù, a cui questo popolo, lungo la sua storia, ha dedicato insigni opere d'arte e di devozione: dalla chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari alla basilica della Madonna della Salute; da Santa Maria dell'Orto a Santa Maria dei Miracoli; da Santa Maria Formosa alla Madonna del Giglio; dai numerosi capitelli che ornano i "campi", le "calli" e gli incroci dei canali ai santuari della terraferma: da quello di Borbiago sulla riviera del Brenta a quello dei pescatori: il santuario della Beata Vergine dell'Angelo, a Caorle.

Maria è la prima delle anime consacrate, totalmente donata a Cristo suo figlio. E proprio qui, nel cuore della Chiesa di Venezia, mi è caro salutare voi, religiose, proclamando l'immensa preziosità del carisma che vi qualifica come persone consacrate per sempre all'amore, al servizio di Dio e dei fratelli.


2. Un saluto particolare rivolgo alle sorelle assenti: alle inferme, perché sappiano che il Papa le pensa, le porta nel cuore e affida alla loro sofferenza, unita a quella di Cristo, ciò che gli sta più a cuore nella vita della Chiesa.

Saluto anche con grande affetto le claustrali, che, sebbene anch'esse lontane per fedeltà alla scelta che hanno fatto, sono pero qui spiritualmente presenti. Il Papa pensa con gratitudine anche a loro, e proclama a tutti il loro dono come grazia eccelsa per la Chiesa. Quante volte il magistero ha attestato la sua stima e il suo apprezzamento per la loro vita dedicata con singolarissima totalità a Dio e ai fratelli! Nella vita contemplativa è nascosto e rivelato il mistero stesso della Chiesa: testimoniare il regno già presente nel Risorto mediante il suo Spirito, che crea fin d'ora i cieli nuovi e la terra nuova. Siate persone irraggianti i grandi valori della verginità per il regno, della povertà per cui Dio solo vi basta, dell'obbedienza a Dio nella libertà dell'amore filiale.

Risplenda in voi la gioia incomparabile, che scaturisce dalla vita divina della grazia, vita che non conosce declino per l'usura del tempo, ma, trionfando anche sulla morte, celebra già ora, fra le opacità del quotidiano, un anticipo della gloria indefettibile del cielo.


3. E ora mi rivolgo a voi, religiose della Chiesa che è in Venezia, impegnate nell'apostolato attivo. Vi sono grato per quello che avete fatto e fate tuttora in questa città, ben nota per essere un luogo dove la vita religiosa da sempre ha trovato spazio per le sue espressioni migliori.

Da quando lo Spirito ha suscitato nella Chiesa il carisma della vita religiosa, questa è, in mezzo al popolo di Dio, testimonianza vivente della scelta radicale di Cristo Gesù. Tale genere di vita deriva certamente da una fede viva, che apre all'uomo la prospettiva definitiva dell'incontro con Dio stesso, il quale solo è degno di un amore assoluto ed esclusivo. Questo amore consiste nella donazione di tutto l'essere umano, anima e corpo, a colui che si è donato completamente a noi uomini mediante l'incarnazione e la croce; che si è "annientato" nell'obbedienza e nella povertà perché noi diventassimo ricchi (cfr. 2Co 8,9).

Tale vocazione, una volta accettata e solennemente confermata, deve essere continuamente nutrita dalla ricchezza della fede, affinché la sua gioia caratteristica non sia compromessa neppure nei momenti delle difficoltà, dell'aridità, e della sofferenza. La vostra è, infatti, per la comunità dei credenti e per il mondo, segno vivo del "secolo futuro": segno che, nello stesso tempo, si radica nella vita quotidiana della Chiesa e della società e permea i suoi più delicati tessuti. Le persone che amano Dio senza riserva sono particolarmente capaci di amare i fratelli e le sorelle senza interessi personali e con l'unica mira del loro vero bene temporale e spirituale.

La vostra Chiesa e la vostra singolare città e territorio hanno bisogno della vostra testimonianza di castità, di obbedienza e di povertà'. L'austerità, anche nelle istituzioni e negli atteggiamenti esteriori, unita alla gioia di una fervente carità fondata nella ricchezza interiore dell'obbedienza, sono testimonianza al Risorto e prima condizione per la rifioritura delle vocazioni in un mondo consumista ed egoista.


4. Occorre ricordare altresi che il vostro impegno deve essere vissuto là dove l'obbedienza vi ha chiamate. Senza perdere tempo sognando situazioni diverse, è là, dove siete, nell'esercizio dell'ufficio assegnatovi, nella realtà della casa che vi ospita, nel contesto della Chiesa locale e in comunione con la Chiesa universale - salvo difficoltà realmente insormontabili - che voi dovete attuare diligentemente il programma della vostra santificazione e del vostro apostolato.

Va da sé che il vostro carisma - quello personale e quello dell'istituto - deve armonizzare con i carismi di tutti coloro che la Provvidenza ha stabilito nel mosaico prodigioso dell'economia della salvezza. Tale carisma riceverà tanta più ricchezza ed efficacia quanto più cercherà una stretta relazione con i doni gerarchici di coloro che sono stati posti dallo Spirito Santo a governare la Chiesa di Dio.


5. L'inserimento vitale nel cammino pastorale della vostra Chiesa vi trovi impegnate non solo ad accettare le linee di chi porta la responsabilità del governo della diocesi, ma anche a rendervi sempre più idonee al miglior rendimento possibile nel lavoro apostolico.

Avrete notato come l'evolversi e la complessità delle situazioni impongano agli operatori di ogni settore un continuo aggiornamento, intelligente, attivo, tempestivo. Ciò comporta chiarezza di visione e duttilità nello stile dell'azione. In tutto questo pero, dovete sempre guardarvi dall'attivismo privo di anima religiosa: esso non giova né a voi né alla Chiesa per la quale lavorate.


6. Quelle fra voi, a cui la Chiesa ha affidato il ministero della scuola, sappiano, insieme alla cultura e alla scienza, offrire agli alunni le risorse di una formazione integrale della persona, ed essere di esempio a tutti sia nell'impegno pedagogico e didattico, sia nella coerenza della vita. In tal modo potranno rivolgere efficaci attenzioni - con prudenza e intelligenza apostolica - anche alle famiglie che rientrano nel raggio educativo dell'istituzione scolastica.

Un'esortazione particolare rivolgo alle religiose che operano nel delicato settore della sanità: questo ministero è divenuto oggi sempre più importante, in una società dimentica di Dio.

Inoltre nell'ambiente caldo di vita, proprio della parrocchia, la vostra presenza sia attiva, integrando l'opera dei sacerdoti, per i quali la collaborazione della suora sarà motivo di fiducia e stimolo a perseverante impegno nel lavoro pastorale.

I sacerdoti siano da voi venerati e aiutati come lo fu il divino Maestro da parte di Maria e delle pie donne. Siate vicine ai fratelli più poveri e ai più infelici, secondo l'esempio del Maestro, che si fece "prossimo" per tutti coloro che erano ai margini delle strade del mondo.


7. Il mio pensiero conclusivo torna a Maria di Nazaret, alla casa di Betania e al Cenacolo. In unione con Maria, in quest'ora privilegiata di preghiera e di spiritualità, vi invito a rivivere con me il mistero della Pentecoste, raffigurato anche in una delle splendide cupole di questa basilica.

Lo Spirito del Signore scenda su voi tutte a illuminare le menti, e a confortare i cuori, perché uscendo di qui, confermate dalla sua grazia, voi possiate operare le meraviglie di Dio.

Con tali voti e sentimenti, imparto di cuore a tutte voi una speciale benedizione, che estendo ai vostri cari e alle consorelle assenti.

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985





All'università Ca' Foscari - Venezia

Titolo: Cultura e scienza non devono essere complici nel male




1. A lei, signor rettore magnifico di questa nobile università, ai direttori dell'Istituto universitario di architettura e dell'Accademia delle Belle Arti, agli illustri professori del corpo accademico, alle universitarie e agli universitari presenti, va il mio rispettoso e cordiale saluto! Sono vivamente grato per il calore di questa vostra accoglienza, che ha trovato nelle parole degli indirizzi rivoltimi gentile e appropriata espressione.

Conservero con riconoscenza nell'animo l'eco dell'emozione che suscita in me un incontro tanto qualificato nella cornice suggestiva di questa sede dal nome evocatore: Ca' Foscari.

In una città come Venezia, la cui storia e i cui monumenti parlano tanto eloquentemente della cultura dell'uomo nelle sue più varie espressioni, la vostra università trova una sua naturale collocazione.

Certo è un'università giovane: germinata come Istituto superiore di Economia e commercio soltanto nel 1868 - cui si affianco nel 1926 l'Istituto universitario di architettura - si è sviluppata poi con la facoltà di Lingue e in anni recenti con quella di Lettere e filosofia e di Chimica industriale. E tuttavia non può non integrarsi, per una profonda connaturalità, con Venezia: con questa città, ricca di cultura, è in piena sintonia un'istituzione come l'università che, per eccellenza, attraverso la ricerca, riflette criticamente sulla realtà della natura e dell'esperienza storica dell'uomo per arricchirne il patrimonio di valori, ossia per produrre nuova cultura, e per trasmettere questo patrimonio alle nuove generazioni.


2. E in tale contesto risulta facile parlare a docenti e studenti dell'attenzione pastorale che la Chiesa rivolge alla duplice funzione cui è chiamata l'università nella società moderna: la funzione della ricerca scientifica, mediante la quale si sviluppa il patrimonio culturale della società; e la funzione dell'insegnamento, mediante la quale le ricchezze della cultura si diffondono e diventano elemento determinante della piena formazione di nuove persone.

Perché la vita dell'università diventi un'esperienza significativa del compito che l'università stessa è chiamata a svolgere, occorre che ricerca e insegnamento trovino stimolo reciproco in un rapporto umano comunitario tra docenti e studenti. La Chiesa guarda all'esperienza universitaria sotto il profilo del suo contributo alla formazione integrale della persona: pur nel pieno rispetto dell'autonomia della scienza e delle sue leggi intrinseche, questo fine può essere perseguito solo se la ricerca e l'insegnamento si svolgono in modo tale da avere sempre come punto di riferimento la crescita dei grandi valori i quali, nella misura in cui sono autentici, sono anche in potenziale sintonia col messaggio cristiano.

Se nei docenti e negli studenti vi è la viva coscienza di questa finalità, la loro vita all'interno dell'università non potrà non orientarsi verso l'attuazione di una comunità solidale, fondata su di un fecondo rapporto umano tra maestri e allievi. Non a caso la Chiesa ha sempre guardato e guarda all'università come a una comunità di persone, riconoscendo in essa non solo l'oggetto della sua sollecitudine pastorale, ma anche il soggetto di idee, prospettive, proposte, meritevoli di attenta considerazione.


3. La presenza di una comunità universitaria riveste una grande importanza per la vivificazione della città che l'ospita. L'università attira a Venezia molti giovani, e sono giovani nella fase decisiva della loro formazione culturale e professionale. La presenza di giovani, quando si eserciti nei loro confronti lo spirito di accoglienza, è sempre un'esperienza stimolante.

E Venezia, con le sue pietre, i suoi monumenti, i suoi musei, le sue chiese, può parlare in modo molto eloquente ai giovani che la frequentano e contribuire efficacemente alla loro maturazione umana complessiva: per questo gli studenti non dovrebbero lasciarsi sfuggire, nel loro soggiorno veneziano, l'occasione di visitare e godere le incomparabili bellezze artistiche che poche città al mondo racchiudono come in uno scrigno e in così breve spazio e nelle quali rifulgono tanti valori del messaggio cristiano. D'altra parte, una città che sappia entrare in un rapporto di simpatia e di accoglienza con i propri universitari, può svolgere un ruolo complementare di singolare importanza nella funzione formativa dell'università.

Auspico che i veneziani, di cui è noto il senso dell'ospitalità, aprano le loro case e i loro istituti, civili e religiosi, senza troppo gravare sulle disponibilità economiche degli studenti e che le amministrazioni pubbliche, nonostante le innegabili difficoltà, sappiano trovare per essi nuovi spazi.


4. Molti studenti sono preoccupati non solo per l'alloggio e per una confortevole sistemazione in questi anni universitari; lo sono soprattutto guardando al domani, nell'incertezza di trovare lavoro e di esercitare quella professione cui si sentono chiamati e alla quale si preparano con tanti sacrifici. E' un problema di difficile soluzione: i docenti e gli studenti di economia, in particolare, ne conoscono la complessità. Ma proprio per questo sarebbe necessario che l'intera società nelle sue varie articolazioni se ne facesse carico, mossa dalla consapevolezza che aprire ai giovani le porte della professione significa garantire lo sviluppo generale e la crescita di tutti.

D'altra parte, queste comprensibili preoccupazioni per il domani possono condurre i giovani studenti a capire meglio l'università di oggi, particolarmente attenta ai problemi della vita dell'uomo nel mondo moderno. Non solo la funzione normativa dell'università assume sempre più una spcificazione professionale, ma la stessa ricerca scientifica, anche la ricerca pura, si struttura sempre più come ricerca finalizzata alla soluzione dei grandi problemi dell'uomo di oggi.

Si rivela così con crescente evidenza che la cultura è finalizzata all'uomo. "L'uomo che, nel mondo visibile, è l'unico vero soggetto di cultura - ho detto davanti all'Unesco - ne è anche l'oggetto e il termine. La cultura è ciò per cui l'uomo, in quanto uomo, diventa sempre più uomo".

Esprimo l'augurio che studi e ricerche si orientino sempre più in questa prospettiva.


5. Venezia con la sua storia è un simbolo dell'apertura al mondo, rappresentando un crocevia delle varie culture contemporanee alle diverse epoche storiche; ma oggi Venezia, con la sua complessa realtà urbana e ambientale, rappresenta anche, in un certo senso, la sintesi dei problemi del mondo moderno. Mi è perciò spontaneo ribadire da questa sede universitaria la sollecitudine della Chiesa per la responsabilità che spetta alla cultura e alla ricerca scientifica universitaria, in riferimento ai grandi problemi della società di oggi. Quando all'università un docente fa ricerca e uno studente migliora la propria formazione, entrambi svolgono il compito proprio dell'intellettuale che è quello di arricchirsi culturalmente per arricchire. Occorre infatti che "l'uomo sappia essere di più non solo con gli altri, ma anche per gli altri".

La ricerca e l'insegnamento trovano dunque la loro finalizzazione ultima nella promozione della comunità degli uomini. Venezia, città a misura dell'uomo, città aperta all'uomo, città nella quale l'uomo gode di essere uomo, con la sua università richiama gli intellettuali al compito di essere al servizio dell'uomo, per far si che il mondo diventi sempre più un luogo di incontro e non di conflitto per gli uomini. Questo richiamo la Chiesa fa proprio, invitando gli uomini di cultura, di scienza, gli intellettuali ad animare la loro ansia di ricerca con la passione per le esigenze di tutti gli uomini; a porsi in una dimensione di servizio che nulla toglie alla loro autonomia di studiosi, ma risponde in ultima analisi a un'esigenza di amore universale.


6. Fare del mondo moderno un luogo di incontro per tutti gli uomini significa promuovere la pace. Ma non vi sarà vera pace, se i grandi nodi del rispetto universale per i diritti delle persone e della più equa distribuzione internazionale della ricchezza non saranno avviati a soluzione.

Occorre che la scienza e la cultura si facciano protagoniste nell'impegno di aiutare i responsabili della politica e l'opinione pubblica a capire che la pace è un obiettivo concreto, per realizzare il quale condizione necessaria è la risoluzione di intricati e gravi problemi di giustizia e di sviluppo. Occorre che la cultura e la ricerca non siano complici nel promuovere la crescita economica attraverso la corsa alle armi, perché si tratterebbe di una crescita necessariamente instabile e squilibrata, di cui beneficerebbero Paesi già ricchi e che colpirebbe Paesi poveri magari col flagello delle guerre locali. La scienza e la ricerca scientifica devono invece puntare nella direzione opposta: quella dello sviluppo dei popoli come strumento per la pace.

Per un tale impegno di servizio all'umanità e al suo avvenire è tuttavia necessario che gli uomini di scienza e cultura posseggano un vivo senso dei valori, così da tener fede alla propria missione al di là di tutti gli allettamenti che il mondo moderno e il mercato spesso propongono alla ricerca.

Inoltre, agli uomini di scienza e di cultura, agli stessi studenti, è necessaria una forte carica etica, un intenso impegno morale, nel perseguire il quale ancora una volta ci si incontra con l'annuncio fatto da Cristo e dalla sua Chiesa.

E' proprio richiamando la coscienza morale degli studiosi a finalizzare la ricerca scientifica ai valori dell'uomo che l'università, in quanto comunità di docenti e allievi, può dare un grande, insostituibile apporto alla crescita integrale del mondo contemporaneo nel dialogo, nel clima di rispetto reciproco e di vicendevole ascolto, nell'apertura a una solidarietà che non conosce frontiere.

Anche da questa università, dunque, in sintonia con la vocazione di pace che la Città di Venezia sente oggi di poter avere nei confronti della comunità internazionale, faccio eco al desiderio profondo di pace che è nel cuore di tutti.

Possano le comunità universitarie di tutto il mondo ascoltare questo appello e ravvivare in se stesse la coscienza del ruolo loro proprio a servizio della pace e della solidarietà tra i popoli. E' un augurio che affido alla benevolenza dell'Onnipotente, i cui favori invoco in particolare su questo centro di studi e su quanti vi spendono le loro energie nel nobilissimo impegno di far insieme crescere l'uomo nella verità e la verità nell'uomo.

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Messa del "Corpus Domini" - Piazza San Marco (Venezia)