GPII 1985 Insegnamenti - Alle detenute della "Giudecca" - Venezia

Alle detenute della "Giudecca" - Venezia

Titolo: Cristo è qui... perché crediate nell'amore di Dio




1. Teniamo "fisso lo sguardo su Gesù..." (He 12,2).

Desidero ripetere quest'invito della Lettera agli Ebrei, propria dell'odierna liturgia, e farne, care sorelle, il filo conduttore del nostro incontro durante questa celebrazione eucaristica. Che cosa è più essenziale quando celebriamo questo sacramento, se non proprio questo: tenere fisso lo sguardo su Gesù? Guardiamo a Gesù nel Cenacolo e sul Calvario. Guardiamo il Crocifisso e Risorto. Guardiamo colui che è venuto e che deve venire. Teniamo "fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede".


2. Questo è il Cristo che, il giorno prima della passione, disse agli apostoli: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me... Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi" (Jn 15,1 Jn 8 Jn 15,20).

Così diceva agli apostoli la vigilia della sua passione così diceva loro sapendo che la via alla quale li preparava, avrebbe portato anche a loro molta sofferenza e persecuzioni.

Gesù ha voluto mostrare loro che è con essi, e che sarà con loro in ogni prova. "Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce" (He 12,2).

Chi prometteva a Gesù la gioia? Molti in Israele volevano farlo re, un re terreno. Pietro stesso, mentre Gesù parlava della sua passione, della croce inevitabile, voleva distoglierlo da un tale pensiero: "Questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22). Ma Gesù rimprovero severamente Pietro.


3. "In cambio della gioia... si sottopose alla croce... ha sopportato contro di sé una così grande ostilità da parte dei peccatori" (He 12-3). E questa croce l'ha accettata volontariamente. Per amore verso il Padre e per amore verso gli uomini: proprio verso i peccatori. Voleva essere con loro, dalla loro parte.

Ha detto anche - nella parabola del giudizio finale - "ero... carcerato e siete venuti a trovarmi" (Mt 25,36). E quando gli chiederanno, durante il giudizio: "Quando ti abbiamo fatto questo?" (cfr. Mt 25,39), egli risponderà: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi fratelli (di queste sorelle) più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

Per tale motivo quest'incontro ha grande significato per voi e per me; questo momento, in cui mi è dato di "venire a trovarvi".


4. Sono qui nel vostro carcere, e insieme teniamo fisso lo sguardo su Gesù. Vi chiedo di scoprire nel vostro isolamento la sua presenza, di essere convinte che egli è con voi, con ciascuna di voi. "Ero... carcerato", dice.

Gesù è dalla parte dell'uomo. 'E venuto nel mondo per essere dalla parte dell'uomo. Particolarmente dalla parte dell'uomo che soffre.

Tener fisso lo sguardo su Gesù vuol dire scoprirlo presso di sé. Questa scoperta è molto importante. Essa permette in pari tempo di scoprire se stessi; di riconfermare la propria umanità, il proprio valore, la propria dignità di persona.

L'uomo non può mai essere privato di questa dignità, né privarsi di essa. Proprio per questo Cristo vuole essere accanto ad ogni persona umana. In particolare vicino a quelle persone, la cui dignità è minacciata. E perciò dice: "Ero... carcerato e siete venuti a trovarmi".

Sappiamo che anche Gesù è stato realmente in prigione. Prima di aver sopportato l'ostilità della crocifissione, è stato in prigione. Nessun carcerato, nessuna imprigionata possono essere privati di questa suprema unione, di questa solidarietà salvifica da parte di Dio-uomo.

Pensate attentamente a lui - scrive l'autore della Lettera agli Ebrei (12,3) - perché non vi stanchiate perdendovi d'animo.


5. Care sorelle! Guardiamo insieme a Cristo partecipando a quest'Eucaristia, per convincerci della sua presenza in questo carcere. Della sua reale solidarietà con ciascuna di voi.

Quando si sarà consolidata in voi questa consapevolezza, quando avrete acquistato la certezza interiore che Cristo è con voi e che assicura l'intangibile dignità a ciascuna di voi, allora vi sarà più facile accogliere le seguenti parole dell'odierna liturgia: "Non disprezzare la correzione del Signore / e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui, / perché il Signore corregge colui che egli ama" (He 12,5-6).

Una prigione è certamente il luogo della correzione inflitta agli uomini dagli organi della giustizia umana.


6. Cristo vuole essere nel carcere, affinché ciascuna di voi possa scoprire nella sua prova, nella punizione inflittale dalla giustizia umana, un motivo per elevarsi alla considerazione dell'economia della giustizia divina. Questa giustizia è sempre amore, è soprattutto amore. E l'amore - sempre e dappertutto - mira a un bene. A un bene vero, a un bene maggiore.

Così, mentre gli uomini possono amministrare soltanto la giustizia, Dio - mediante la giustizia, e anche mediante la punizione - cerca ciò che corrisponda al suo amore paterno. Vuole che ogni persona umana ritrovi se stessa nella propria umanità. Vuole che si converta "al suo cuore". Vuole che incominci ad amare...

Cristo è qui, in questo carcere, in mezzo a voi, vicino a ciascuna di voi, perché crediate nell'amore del Padre; perché, mediante questa vostra sofferenza, umiliazione e prova, crediate di più in Dio che permette anche questo, per il vostro bene, per farvi partecipi della sua santità, perché in questo modo ognuna ritrovi se stessa: creda in se stessa. Questa è appunto la via della salvezza.

Quanto appropriato risuona il salmo responsoriale dell'odierna liturgia: "Non abbandonarmi, Dio della mia salvezza" (Ps 26,9).


7. così dunque partecipando all'Eucaristia, guardiamo insieme a Gesù che ci guida nella fede, e la perfeziona. La può "perfezionare" anche qui, nel carcere! Egli è quel Gesù che il giorno prima della sua passione, dovendo lasciare i suoi più cari, promise loro il Consolatore: "verrà il Consolatore che io vi mandero dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre..." (Jn 15,26). così Gesù dice agli apostoli nel Cenacolo, dove è stata istituita l'Eucaristia: e così dice a voi, con particolare riferimento a coloro che tra voi riceveranno tra poco il sacramento della Confermazione.

Celebrando quest'Eucaristia in mezzo a voi, nel carcere, desidero che la promessa di Cristo fatta nel Cenacolo, si compia anche su di voi: che il Consolatore, lo Spirito di verità sia con voi; che proprio qui vi insegni ogni verità.


8. Care sorelle, ho letto con commozione quanto avete saputo capire ed esprimere nel seminario del febbraio di quest'anno. Vi ho trovato intuizioni e proposte che - ne sono certo - le autorità non mancheranno di prendere in seria considerazione, attuando l'applicazione di quei diritti che la legge stessa prevede. Quanto avete detto sta ad indicare la qualità della vostra consapevolezza. Lasciate, quindi, che insista su questo pensiero; siate amiche fra di voi e sostenete umanamente le difficoltà le une con le altre.

Il Signore, che è l'unico a scrutare i cuori, non potrà che benedire e custodire questa carità nascosta e generosa. Non cedete alla rassegnazione di chi si sente vinto. Dove le persone si incontrano da persone, li è la vita e la solidarietà che danno speranza.

Ognuna di voi porta, nel segreto della sua coscienza, la sua propria storia. Tutti possiamo sbagliare. La pena è per una riparazione e un ricupero, e non per una vendetta. So che non è facile entrare in questi pensieri. Voglio dire: non è facile vivere con dignità e pazienza questa pena. Le giornate sono lunghe e i mesi e gli anni non passano mai. Datevi, allora, fiducia reciproca, state in dialogo, apritevi nella confidenza dell'amicizia. Cercate di capirvi e aiutatevi a riscoprire la vostra personalità.


9. Ritrovate la strada che porta verso Dio. Non un Dio qualsiasi, ma quel Dio che si è manifestato Padre nel volto amabilissimo di Gesù di Nazaret. Ricordate certo l'abbraccio tenero e affettuoso del Padre quando ritrova il figlio "prodigo". Dio ama per primo. Se vi lasciate incontrare da lui il vostro cuore troverà la pace.

Sarà facile rispondere al suo amore con amore.

Per capire, basta pensare a Gesù nella croce e al ladro crocifisso con lui, accanto a lui. Gesù gli assicura: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43).

Li è la prima e la più bella immagine della nuova umanità: l'umanità della misericordia e del perdono. La Chiesa sa e sente di essere nata li sulla croce, dentro questa misericordia e questo perdono.

Vi assicuro che la Chiesa si impegna ad aiutarvi affinché la realtà sociale e la stessa comunità cristiana si adoperino per creare un clima di accoglienza e di fiducia.

Una presenza significativa della Chiesa in mezzo a voi è già la comunità religiosa che di fatto convive qui ed è a vostro servizio. Come lo è il sacerdote che voi ascoltate e stimate. Penso di poterli ringraziare a nome vostro. Come ringrazio tante persone che vi amano e si prodigano in modi diversi per voi.

Vi saluto tutte, augurandovi di conoscere la verità di Cristo, la quale rende liberi. Cristo ha detto: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32).

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985



Nella cappella di Maria Stella Maris - Venezia

Titolo: Preghiera per i marinai e le loro famiglie

Maria, stella del Mare, / Dio Padre ha effuso su di te lo Spirito Santo, / perché, diventando Madre di Gesù, / diventassi anche Madre nostra. / Noi ci rivolgiamo a te con la fiducia dei figli. / Tu che conosci i pericoli e le difficoltà materiali / e spirituali che incombono sulla gente di mare, / proteggi tutti i marittimi e le famiglie che li attendono. / Tu che sei la "porta del cielo" e la "consolatrice degli afflitti" intercedi perché i caduti del mare, / che riposano sotto il tuo sguardo materno, / siano introdotti nella gloria del paradiso: / conforta le famiglie che li piangono nel dolore. / Sostieni i sacerdoti e i laici che, / in mezzo alla gente di mare, / si impegnano a portare la parola / e la testimonianza del Vangelo. / Dona a tutti noi il desiderio e la forza / di vivere come veri discepoli del tuo Figlio / che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985





Ai lavoratori - Porto Marghera (Venezia)

Titolo: Che l'uomo torni ad essere il primo fondamento del lavoro

Carissimi.


1. Con viva gioia mi trovo in mezzo a voi, rappresentanti del vasto e importante campo del lavoro, che anche qui a Porto Marghera esprime la grandezza dell'opera dell'uomo e anche tutte le tensioni della odierna società. Esso manifesta altresi le giuste aspirazioni ad un mondo in cui la fatica dell'uomo sia debitamente valorizzata ponendo al centro la persona.

A voi, lavoratori, che ogni giorno sperimentate la fatica fisica; a voi dirigenti e tecnici, che operate perché questa fatica sia alleviata; a voi imprenditori, che sentite il dovere di dedicare risorse e tempo a servizio di un'economia per l'uomo, il mio saluto e la mia stima.

Attraverso voi, è mio desiderio salutare tutto il mondo del lavoro di questa terra veneta, dalla quale molti di voi provengono, lasciando il loro paese per cercare qui una fonte di vita. Agli operai, ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai piccoli imprenditori, ai lavoratori del settore terziario sia produttivo che dei servizi, ai pescatori, la mia solidarietà sincera e calorosa.

Vengo a voi con cuore di fratello per condividere i vostri pensieri e preoccupazioni, per sottolineare le vostre ricerche e iniziative, per incoraggiare tutti, comunità cristiana e uomini di buona volontà, perché ogni sforzo sia fatto, in tutti i campi e a ogni livello, per affrontare e portare a soluzione i processi di rinnovamento e di ristrutturazione insieme al fondamentale problema dell'occupazione per tutti.

Questioni serie sorgono dalla situazione di "crisi". Esse devono essere lette non solo in chiave economica, politica e tecnica, ma anche e soprattutto in chiave etica. Ogni crisi, infatti, obbliga a rivedere e verificare la mentalità e la vita in vari loro aspetti.


2. Il mondo del lavoro vive oggi un momento di grande disagio: viene a mancare il lavoro, e il numero dei disoccupati e degli inoccupati, specialmente tra i giovani, cresce quotidianamente; le condizioni di vita, pur migliorate nel loro complesso, non soddisfano ancora; la solidarietà, minata dall'egoismo personale o di gruppo, stenta a realizzarsi; la sicurezza di vita, fondata su una concreta e giusta pace sociale, non pare essere ancora accolta; l'economia stenta a piegare le sue leggi a servizio dell'uomo: l'errore dell'economismo, che considera il lavoro umano esclusivamente secondo la sua finalità economica, è ben lungi dall'essere corretto.

So che qui a Porto Marghera vi è stato un calo di circa 1 3.0O0 posti di lavoro dagli anni 70 ad oggi; sono notevoli le situazioni di cassa integrazione; molti giovani faticano a trovare un'occupazione, dignità e futuro, personale, familiare e sociale.

Marghera ha tuttavia continuato la tradizione di lavoro e di apertura al mondo di Venezia e ha sviluppato in tutti questi anni un'immensa ricchezza, non solo economica, tecnica e organizzativa, ma anche imprenditoriale, professionale e sindacale. Percorrendo alcune delle sue strade, ho potuto rendermi conto di quanto sia vasto e complesso questo polo industriale. Qui la concentrazione delle industrie è molto forte, e si possono intuire gli aspetti positivi che ne derivano, ma anche i gravi problemi esistenti in rapporto alle persone che vi lavorano, all'ambiente e al territorio.

So che si opera per migliorare i servizi, per difendere l'ambiente, per evitare l'inquinamento, per prevenire gli infortuni, per migliorare i rapporti con il territorio. Merita perciò ogni incoraggiamento e stima l'impegno posto dai lavoratori e dalle loro organizzazioni sindacali, dai tecnici e dai dirigenti, dagli imprenditori e dai politici, per migliorare l'ambiente di lavoro perché rispetti la dignità delle persone, le quali in esso si esprimono e operano.


3. Questa straordinaria realtà di lavoro e di problemi, attese e di speranze che è Porto Marghera, conosce oggi una situazione che si può spiegare solo in termini congiunturali di "crisi".

Alle fluttuazioni internazionali dell'economia, della finanza e dei mercati, e alle condizioni derivanti dalla rapida e diffusa applicazione delle nuove tecnologie, si aggiungono certamente problemi nazionali e locali che tocca a voi analizzare attentamente per affrontare con i necessari interventi, a seconda delle specifiche competenze, onorando sempre le responsabilità e gli impegni assunti. E ciò va compiuto con urgenza e con coraggio, al fine di evitare i molti effetti negativi di questa situazione critica, che finiscono per essere subiti dai più deboli.

Mentre esprimo la mia umana e cristiana solidarietà nei confronti di costoro, che pagano i prezzi più sofferti dell'attuale situazione in termini personali e familiari - agli uomini e donne che hanno perso il loro lavoro, ai giovani che talora disperano di poterlo trovare - vorrei dire a tutti che la realtà di Porto Marghera è un patrimonio di esperienza lavorativa, imprenditoriale e sindacale, di professionalità e di ricerca tecnologica che va conservato, incrementato e messo a frutto a favore dello sviluppo del territorio. Ma il rilancio, o avrà una sua anima etica o non sarà autentico sviluppo.

Il clima di incertezza e di paura che si crea con la crisi può indurre alla sfiducia, al ripiegamento su se stessi, sulla propria famiglia o gruppo, favorendo atteggiamenti fatalistici, ricerca di difesa individuale attraverso il doppio lavoro o il lavoro nero: situazioni che, se talora possono essere comprensibili, tuttavia, nella generalità, ingenerano facilmente sperequazioni e ingiustizie.

Vien messa in difficoltà la solidarietà nelle coscienze, e nelle sue forme istituzionalizzate. Si diffonde una mentalità sempre più economicistica e consumistica, che esalta i favoriti e penalizza i più deboli; che condiziona fortemente la natalità, l'educazione dei figli, i rapporti con gli altri, soprattutto con i più svantaggiati e con gli anziani, depotenziando le motivazioni del servizio gratuito e della partecipazione attiva. Ciò che vien meno è il senso religioso e morale della vita. Il recupero, forte e motivato, delle ragioni etiche più profonde del vivere insieme, nella laboriosità, nella solidarietà e nella generosità, portando realmente gli uni i pesi degli altri (Ga 6,2), darà vigore all'inventiva e al coraggio necessari per guardare avanti con progetti seri e realistici; per ritessere i rapporti dialettici, pur sempre costruttivi, se cercati nella lealtà e nella giustizia, fra imprenditori, dirigenti e lavoratori, tutti interessati allo sviluppo di Porto Marghera.

Penso in questo momento alle migliaia di persone che, a vario titolo e in molteplici modi, vi hanno dedicato e vi dedicano ancora oggi la loro vita.

Sento il dovere di ricordare in particolare chi nel servizio ha subito infortuni, ha riportato invalidità, ha perso la vita. Né posso dimenticare le vittime del terrorismo: mi limito ad una sola: l'ingegnere Giuseppe Taliercio, il cui corpo, crivellato di colpi, venne trovato poco distante da qui: la sua lunga prigionia non fiacco né la sua grande fede cristiana né il suo severo senso di responsabilità umana e civile.

Mi piace inoltre far memoria di tutti coloro che, in mezzo a tante difficoltà, si adoperano per aprire spazi di speranza, cercando nuovi posti di lavoro per coloro che sono in cassa integrazione, cercando di assicurare un futuro sereno a questa zona.


4. Nell'affrontare le sfide del momento attuale, il mondo di oggi, e anche il mondo del lavoro, ha necessità di riconciliazione con il "progetto di Dio". Dio ha chiamato l'uomo ad essere "signore delle cose create": l'uomo non può essere un oggetto dominato dalle leggi economiche o politiche, né può essere ridotto a strumento. "L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché, come immagine di Dio, è una persona, cioè un essere soggettivo capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona l'uomo è quindi soggetto al lavoro" (LE 6).

Non vi sarà vero sviluppo se non verrà ribadito che l'uomo è il primo fondamento del valore del lavoro e che lo scopo del lavoro, di qualsiasi lavoro eseguito dall'uomo, rimane sempre l'uomo stesso.

Nell'attuale contingenza storica emerge con sempre maggiore forza l'esigenza di una nuova solidarietà generosa ed effettiva. Solidarietà che aiuti a indovinare nuove vie di sviluppo; solidarietà che venga incontro alle attuali situazioni di difficoltà in cui vive il mondo del lavoro; solidarietà, perciò, anche di fronte ai problemi della disoccupazione.


5. Come ebbe a dire il mio predecessore Paolo VI: "Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva. E' troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità delle ingiustizie, se non si è convinti allo stesso tempo che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzitutto la conversione personale" ("Octogesima Adveniens", 48).

Ciascuno è chiamato a un serio impegno, nella propria responsabilità e nel posto che occupa.

A voi, imprenditori, spetta operare perché le leggi economiche siano sempre più a servizio dell'uomo, e al tempo stesso trovare, nell'attuale trasformazione delle aziende e del modo stesso di lavorare, metodi, tecniche e scopi perché l'uomo ritorni ad essere il primo fondamento del lavoro. In quale modo può essere composta la tensione tra capitale e lavoro? Una risposta è stata già da me data nell'enciclica sul lavoro umano (cfr. LE 11-15); eppure nuove riflessioni possono essere fatte in questo periodo in cui le nuove tecnologie entrano con sempre maggiore ampiezza nel ciclo produttivo e la scienza offre ogni giorno nuovi spazi di realizzazione alle nozioni acquisite.

A voi, lavoratori, spetta fondare su nuove basi la vostra reciproca solidarietà. La crisi attuale, le nuove condizioni di lavoro, i nuovi problemi riguardanti la programmazione della propria vita, i nuovi spazi di partecipazione, le prospettive di un continuo sviluppo richiedono mentalità e atteggiamenti nuovi.

Voi potete essere oggi i protagonisti del nuovo, che si va programmando.

Richiedete e operate perché questo nuovo assuma e realizzi i grandi valori della dignità dell'uomo, della santità della famiglia, della partecipazione comunitaria, della giustizia, della pace. Da questo porto, che nel passato ha visto approdare e partire navi per il mondo intero, il vostro sguardo e la vostra azione si estendano ai lavoratori del mondo intero. E come già operate perché nella vostra regione e nel Paese non vi siano differenze e discriminazioni di possibilità e di diritti tra i lavoratori, così fate per i lavoratori di tutto il mondo.

A voi, operatori politici, spetta il compito di intuire le strade nuove da percorrere nell'attuale situazione di crisi. Le intuizioni tradotte in leggi sagge e giuste renderanno possibile il passaggio a una civiltà più giusta e più umana. Il recupero della disponibilità al servizio del bene comune è indispensabile perché ognuno sappia interrogarsi sul ruolo che gli è stato affidato e sappia prendere il giusto posto nella vita della società: con quella eticità nelle scelte, con quella moralità severa e trasparente nei comportamenti pubblici, che sola può garantire la credibilità e la fiducia e favorire una partecipazione più attiva di tutti i cittadini, che culmini in quella forza che è l'amore, capace di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni.


6. In modo particolare mi rivolgo a tutte le comunità cristiane da cui voi, lavoratori di Porto Marghera, provenite: comunità in cui vi dovete sentire di casa, perché aperte, accoglienti; comunità in cui voi stessi dovete essere presenti e partecipi, portando il contributo delle vostre idee ed esperienze, valori e speranze.

Pastori e laici possono rendere insieme il loro servizio al Vangelo e al mondo del lavoro, con spirito ecclesiale e missionario e con stile di vera comunione e condivisione. E con essi tutte le comunità, non estranee, ma sensibili e formate, saranno pronte ad accogliere tra i "segni dei tempi" anche quello che giustamente papa Giovanni XXIII ha posto come primo: "l'ascesa economica e sociale delle classi lavoratrici" accompagnata dall'"esigenza di essere considerati e trattati non mai come esseri privi di intelligenza e di libertà, in balia dell'altrui arbitrio, ma sempre come soggetti o persone, in tutti i settori della convivenza" ("Pacem in Terris").

Gesù non solo proclamava, ma prima di tutto compiva con l'opera, il Vangelo a lui affidato, la parola dell'eterna sapienza. Perciò, questo era pure il "Vangelo del lavoro", perché colui che lo proclamava era egli stesso uomo del lavoro.

A lui guardate con fiducia e con speranza: affidatevi al suo amore e alla sua comprensione; ascoltate il suo messaggio di amore e giustizia. Lui sa quello che è dentro l'uomo. Lui realizzerà le vostre aspirazioni. Gesù non vi tradirà mai, né vi ingannerà. La via che egli ci ha tracciato è sicura.

A nome suo mi è gradito impartire di cuore a tutti voi, alle vostre famiglie, al mondo del lavoro veneto, la mia benedizione.

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985





A operai invalidi e ammalati - Porto Marghera (Venezia)

Titolo: "Sono venuto per predicare a tutti il Vangelo del lavoro"

Sono venuto in questa terra veneta per una circostanza specifica: sono 150 anni dalla nascita, a Riese, di Giuseppe Sarto. Giuseppe Sarto, il figlio di una famiglia contadina piuttosto povera. La Provvidenza ha poi guidato meravigliosamente i passi di questo figlio della terra veneta di Riese e lo ha portato a diventare uno dei successori di san Pietro nella sede di Roma: papa Pio X. Anzi, è un santo Papa, canonizzato dalla Chiesa. Io non posso non ricordare questa circostanza, questa storia, questo cammino, questa chiamata, proprio qui, a Porto Marghera, in un ambiente in cui vivono tanti figli di questa stessa terra veneta.

La situazione è diversa da quella in cui è vissuto e cresciuto Giuseppe Sarto. Ma è sempre la stessa terra, è sempre lo stesso popolo, è sempre la stessa tradizione, sono le stesse radici. Lo volevo ricordare anche davanti a voi, carissimi fratelli e sorelle che costituite una realtà diversa da quella in cui è nato e cresciuto Giuseppe Sarto, diversa anche da quella del tempo in cui egli fu il patriarca di Venezia, come diverso è l'attuale patriarca: il cardinale Marco Cè, suo successore dopo Giuseppe Roncalli, che divenne papa Giovanni XXIII e dopo Albino Luciani. Sono tutti della vostra terra, sono tutti di questo popolo veneto.

Non si può separare le finalità del mio viaggio, della mia visita a Porto Marghera, dall'altra legata al centenario di san Pio X. Io le voglio riunire insieme perché solamente così possiamo vedere meglio i problemi di cui abbiamo parlato poco fa.

Un pericolo della cosiddetta questione sociale è quella di strapparla dalle sue radici cristiane. Ci troviamo qui davanti alla Chiesa di Gesù lavoratore, questo deve dirci qualcosa, deve offrirci delle risposte fondamentali.

Una è questa: Gesù Figlio di Dio, incarnato, redentore di tutti gli uomini, per tanti anni della sua vita è stato un lavoratore. Il lavoro di Gesù operaio appartiene così all'opera della redenzione dell'uomo, della redenzione divina dell'uomo.

Carissimi fratelli e sorelle, possiamo dire che appartiene alla grande opera della redenzione dell'uomo anche il lavoro umano, qualunque esso sia. Ed è a questo titolo che parlo. Perché io non sono né imprenditore né sindacalista. Sono stato operaio, operaio per molti anni della mia vita, e porto nel cuore una grande stima per ogni lavoro umano, e soprattutto per il lavoro più umile, così come era umile quello di Gesù. Porto questo come iscritto nel mio cuore, nella mia "biografia", ma se vi parlo vi parlo in nome di Gesù. E' a questo titolo vero che io parlo.

Gesù ha compiuto l'opera della redenzione dell'uomo, di tutti gli uomini, attraverso la croce, si, ma anche attraverso il lavoro. E così il lavoro umano, il vostro lavoro, il lavoro con tutti i suoi problemi appartiene a questa grande, divina opera della redenzione. Per questo la parrocchia che sta qui al centro, una delle parrocchie di Porto Marghera, è dedicata a Gesù, Divin lavoratore. E io, carissimi, vi auguro di saper inquadrare i diversi problemi della vostra vita umana, italiana, veneta, nell'ottica di Gesù lavoratore, del suo Vangelo, del suo Vangelo del lavoro. E' tanto ricco, ci spiega tante cose, ci dà tante risposte; dobbiamo collaborare con lui e con la Chiesa che cerca di mettersi al servizio di Gesù lavoratore e così di mettersi al servizio del lavoro umano.

Una cosa coinvolge l'altra.

Sono questi i pensieri che volevo affidarvi per completare quello che abbiamo detto prima. Era giusto, era necessario, ma non era ancora completo perché non ero venuto qui tra voi per dirvi soltanto quello. Io adesso intendo pregare con voi il Padre nostro per esprimere proprio la nostra solidarietà con Gesù, divin lavoratore, con Gesù crocifisso, con Gesù risorto, con Gesù, Dio-uomo, lavoratore. E vorrei con questa preghiera che ora faremo insieme nel suo nome, con le sue parole, vorrei lasciarvi tutto ciò che costituisce la più profonda ricchezza di ogni uomo, di ogni uomo che soffre per la malattia, come tanti di quelli che ho incontrato in chiesa, e di ogni uomo che soffre a causa dell'ingiustizia.

Sono tanti nei diversi Paesi del mondo gli uomini che soffrono per l'ingiustizia, in vari modi diversi. Conoscere un po' più a fondo le sofferenze e le ingiustizie del mondo di oggi e i diversi meccanismi che vi sono dietro, è il compito preciso del Vescovo di Roma. Ma dobbiamo superare tutte queste malattie, sofferenze, ingiustizie, con la forza che ci ha lasciato il divin lavoratore, il Redentore, perché solamente il suo è il vero Vangelo, la buona novella. Vi ringrazio per l'accoglienza che avete voluto riservarmi, vi ringrazio per la vostra presenza. Forse non è stato troppo facile essere qui in un giorno di lavoro e per questo vi ringrazio ancor più della vostra presenza. Forse alcuni di voi hanno rinunciato alla ricompensa per le normali ore di lavoro; ma qualche volta si può anche perdere una cosa per guadagnarne un'altra, perché come ci diceva Gesù: "Non di solo pane vive l'uomo". Voglio infine raccomandarvi questa vostra parrocchia, questa chiesa, questa comunità del popolo di Dio intitolata a Gesù divin lavoratore. Ma non si tratta di un semplice titolo; si tratta di una realtà stupenda, "Gesù lavoratore".

Io vi raccomando questa parrocchia, io vi invito ad essere profondamente coinvolti nella vita di questa parrocchia; questa parrocchia siete voi, non solamente noi, sacerdoti, vescovi. Siamo tutti: questa parrocchia può essere anche una strada per risolvere i problemi umani, ma soprattutto un cammino per non lasciare l'uomo senza la parola di Dio. Si, per non lasciarlo anche senza pane ma soprattutto per non lasciarlo senza la parola di Dio, per non lasciare l'uomo nella disperazione, senza prospettive; per non lasciarlo nell'odio ma per portarlo verso la giustizia, verso l'amore. L'amore è più grande di tutto! L'amore deve vincere! La soluzione di tanti problemi umani, di tanti problemi sociali si trova proprio in quel libro che si chiama Vangelo. Là vi sono veramente le soluzioni; l'uomo deve vincere nell'amore e con l'amore tutto quello che è contrario all'amore; tutto quello che crea ostilità, odio, ingiustizia deve vincerlo con l'amore nell'amore.

Questo è il messaggio di Gesù divin lavoratore. Ho imparato questo messaggio negli anni in cui anch'io sono stato un lavoratore per la prima volta.

Successivamente ho cercato di impararlo sempre di nuovo e meglio. L'ho imparato anche essendo già Vescovo di Roma e successore di Pietro e di san Pio X. L'ho imparato una volta di più anche oggi, incontrando la vostra comunità. Ecco, volevo manifestarvi tutto questo prima di andare via. E adesso alziamo le nostre voci e i nostri cuori insieme con Gesù divin lavoratore pregando il Padre nostro che è nei cieli.

Saluto ancora tutti. Il Papa è venuto per tutti, per ciascuno di voi senza distinzioni.

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985





Ai giovani - Mestre (Venezia)

Titolo: Chiamati a costruire un progetto per la futura società

Cari cittadini di Mestre, e fedeli tutti del patriarcato di Venezia! Carissimi giovani!


1. Siete confluiti qui dalle zone della terraferma: dai rioni di questa città e da Marghera, dalla Riviera del Brenta, dall'antica Caorle e dai nuovi insediamenti del litorale. La vostra presenza è per me motivo di gioia, e mi fa desiderare di stringere la mano a ciascuno di voi, se fosse possibile. Il vostro spontaneo e commovente entusiasmo, la vibrante carica di affetto che mi esprimete con questa grandiosa assemblea, mi dice la vostra fede e la vostra simpatia.

Questo incontro è fonte di gioia, ma soprattutto di speranza per la presenza di molti giovani. Mestre, del resto, è una città giovane, tuttora in piena espansione e sviluppo.

Ci troviamo nel cuore di Mestre, in questa piazza che è come il simbolo della vostra vita attuale, e riassume le vicende più recenti d'una città sorta velocemente, dietro la spinta dell'industrializzazione di Marghera. Essa è segno dei cambiamenti rapidi, profondi e non sempre controllabili, che hanno fatto della vostra zona - un tempo terra di uomini dei campi e del mare - una delle concentrazioni industriali più significative dell'Italia settentrionale. Città, questa, divenuta simbolo dell'epoca moderna, con i suoi significativi valori, ma portatrice di ponderosi problemi e talvolta di serie contraddizioni.

In questa piazza è passata e passa tuttora la vita pubblica di Mestre e di gran parte della terraferma: i momenti più importanti della vita e delle lotte dei lavoratori di Marghera sono rimbalzati qui: qui s'intrecciano i conversari, sereni o angosciati, della gente; e qui si radunano i giovani, con i tratti delle loro gioie, oppure con l'impronta delle loro disillusioni.

In questa piazza, e dal duomo in modo particolare, si sono manifestati anche i vostri sentimenti di rifiuto del terrorismo quando esso ha profondamente e sinistramente segnato la vostra terra: qui vi siete impegnati a rifiutare la violenza e la vendetta; qui, in nome di Cristo, vi siete aperti a sentimenti di fraternità, di solidarietà e di pace, di fronte agli sconcertanti e amari frutti della violenza omicida.

Ebbene, da questa piazza io vorrei annunciare a tutti voi, adulti e giovani, una parola di speranza. Essa suona come un duplice messaggio: una città deve essere attenta e sensibile verso i giovani; i giovani devono trovare motivi d'impegno per costruire il futuro della città e del territorio, i giovani devono sapere manifestare il loro senso di responsabilità e di collaborazione.


2. Mi rivolgo prima di tutto a voi adulti. Non si può pensare o provvedere alla crescita dei giovani senza un sereno impegno degli adulti. Questa è una legge che riguarda tanto la Chiesa come la società civile: non c'è futuro se non ci si impegna per la gioventù. La questione giovanile, perché non si riduca a una moda, deve essere assunta con responsabile sforzo degli adulti; ovviamente, dalle famiglie prima di tutto. Ma è evidente che l'intera società è chiamata a farsene carico, tenendo ben conto di alcuni problemi che sono prioritari.

Il primo grave dovere della comunità è quello di non consegnare ai giovani solo una società consumistica, che li aduli e li blandisca, per farne solo degli utenti. La società degli adulti dovrà pensare alla responsabilità che si assume quando riduce il significato della giovinezza, invece che a un momento di crescita per la graduale acquisizione di identità umana, a un periodo da sfruttare per interessi economici orientati verso i consumi.

Di valori i giovani hanno bisogno. Essi amano la ricerca appassionata della verità; desiderano la conquista, anche se sofferta, di una vera libertà, cioè della capacità di scelte consapevoli, fondate sul dominio e sul dono di sé; sperano di poter aprire il loro animo ai valori dello spirito e a quelli della solidarietà con i sofferenti e i poveri, con i vicini e con i lontani, perché desiderano sapere che tutti sono "prossimo"; i giovani credono alla partecipazione, alla giustizia, allo sforzo operoso per costruire la pace.

Lo sviluppo delle enormi capacità positive dei giovani ha bisogno di formarsi nella scuola. Ad essa spetta il compito di favorire la crescita complessiva e integrale delle persone realizzando lo sviluppo ordinato di tutte le dimensioni dello spirito umano, compresa, ovviamente, quella religiosa. Occorre, quindi, una scuola che non solo proponga nozioni e informazioni, per quanto necessarie, ma sia formativa di personalità.

Da ultimo, c'è un compito urgente che riguarda noi adulti. Mentre invochiamo la partecipazione e la corresponsabilità dei giovani a costruire con noi un progetto per la società futura, non possiamo escluderli dalla forma primaria di partecipazione alla società che è il lavoro. Chi è escluso dal lavoro è estromesso anche dal campo operativo della vita e della storia.

Non possiamo, quindi, sfuggire all'esigenza, oggi incombente, di un'occupazione adeguata. Abbiamo il compito gravissimo di agire contro la disoccupazione, perché essa in ogni caso è un male e, quando assume certe dimensioni, può divenire una vera calamità sociale. Non possiamo assistere in maniera disattenta all'inquietante fenomeno delle trasformazioni tecniche nelle grandi aziende, al loro aggiornamento sull'automazione, quando ad esso si associa il doloroso problema della riduzione dei posti lavorativi specialmente per i giovani.

La politica del lavoro, nelle grandi linee come nelle medie e piccole industrie, deve lasciarsi guidare dai grandi principi connessi con il significato umano del lavoro e della destinazione universale dei beni, connesso con il diritto alla vita e alla sussistenza. Pertanto una politica del lavoro corretta dal punto di vista etico dovrà tendere a favorire un posto di lavoro umanamente accettabile e dignitoso per ogni uomo, anche nel contesto di un radicale rinnovamento tecnico.

Vorrei, anzi, dire che proprio nel vostro territorio e nel vostro ambiente di lavoro, più che in altri luoghi, si intravede la possibilità di realizzare quella collaborazione a livello soprannazionale o internazionale di cui ho parlato nell'enciclica "Laborem Exercens" (LE 18); il principio, cioè, secondo il quale, nel fatto della reciproca dipendenza tra singole società e Stati, tra grandi industrie a risonanza internazionale e imprese o società minori, si operi instaurando una positiva e stabile collaborazione internazionale mediante i necessari trattati e accordi, con l'intento primo di garantire sempre meglio il lavoro umano, poiché il lavoro costituisce un fondamentale obbligo e diritto di tutti gli uomini.

Al centro di una previdente politica economica ci sia la sincera e assidua preoccupazione di creare occasioni adeguate di lavoro per tutti, e soprattutto per i giovani, affinché essi non divengano le vittime più colpite della piaga della disoccupazione (cfr. Lettera apostolica ai giovani, 12).


3. E ora, una parola particolarissima a voi, giovani. Voi sapete quanta fiducia io riponga in voi, guardando al futuro della Chiesa e del mondo. Esso vi appartiene, così come un tempo appartenne alla generazione degli adulti. Vorrei perciò offrirvi, in questo incontro, alcune importanti consegne.


1) La vostra vita sarà "decisa" dall'incontro con Cristo: egli vi ama e vi chiama ciascuno per nome. Ricordatevi, pero, che chi incontra Cristo e sa mettersi di fronte al Crocifisso, incontra anche l'uomo, ogni uomo, il mondo intero. Contemplando Cristo, crocifisso per amore, voi vi accorgerete che il suo sguardo è rivolto appassionatamente al mondo e cerca tanti giovani che si sono avviati su strade di disperazione. Solo attraverso di voi - che siete la Chiesa, insieme con il vostro vescovo e i vostri sacerdoti - Gesù Cristo potrà raggiungerli, perché il mondo dei giovani ha bisogno della missione dei giovani.

Per questo, quello stesso Cristo che vi ama e vi chiama, vi invia verso i vostri fratelli. L'incontro con Cristo, infatti, quando è autentico, si risolve sempre nel compimento di una missione, nell'assunzione di un impegno a favore dell'uomo, secondo vocazioni singolari e molteplici.

Fate in modo che la vostra vita si impegni a seguire Cristo. Imitando lui non vi estranierete dalle faticose strade dell'uomo; bensi troverete l'esaltante esperienza di riscontrare come le vie dell'uomo si intersecano tutte, tanto che voi avrete la possibilità di dare qualcosa e di offrire un aiuto positivo ad ogni uomo e in ogni situazione. Chi segue Cristo non lascia i fratelli e il mondo così come li ha trovati, nel bisogno materiale o spirituale.

Il cristiano non si pone ai margini della società e della storia; vive nel cuore del mondo, assimila la propulsione verso il futuro, per creare, insieme con tutti gli uomini, una nuova civiltà, la civiltà e la cultura dell'amore. I cristiani sanno di dover essere come un sacramento vivo dell'unità degli uomini con Dio, segno di una fraternità più profonda, che nasce da Dio stesso, Creatore e Salvatore, e dalla volontà di Cristo: "Amatevi, come io ho amato voi" (cfr. Jn 15,12).


2) Io so che voi avete già intuito questo messaggio nei due anni di cammino eucaristico che avete percorso insieme verso la "festa dei giovani" celebrata il 28 aprile. Non dimenticherete certo questa esperienza: essa è grazia per voi e per tutti i giovani del patriarcato. Continuate a crescere in questa esperienza di camminare insieme, seguendo Gesù per andare con lui verso gli altri.

Infatti, aprendovi a Cristo Eucaristia, avete compreso che la dimensione della vostra fede non si riferisce solo all'ambiente ristretto del gruppo che vi riguarda, ma a tutta la vostra Chiesa locale. Anzi, la dimensione piena della vostra fede si esplica nel contesto del mondo, con tutti i suoi interrogativi e i suoi problemi. Vi siete incontrati con altri giovani e avete considerato i grandi temi, per i quali vale la pena di spendere la vita: l'umanità sofferente, i mali sociali, il dramma della droga, gli uomini che muoiono di fame, la pace.

Per un giovane che crede e segue Cristo questo è il respiro della vita.

Rifiutate, quindi, l'egoismo e il consumismo: esso è idolatria ed è offesa contro chi è più povero e muore di fame. Seguite l'amore e l'austerità di Cristo.

Apritevi ai popoli che hanno fame: ho appreso con piacere che, nella vostra festa, vi siete impegnati a dare un considerevole contributo per costruire una scuola nella missione diocesana di Ishiara, nel Kenya. Non abbiate paura del sacrificio: se fatto liberamente per Cristo esso è fonte di gioia e di liberazione.

Non vivete da soli il dono di questo ideale per la vita: partecipatelo con passione ai vostri amici di scuola, ai compagni di lavoro e di tempo libero.

Gesù ci insegna che il bene ricevuto va sempre condiviso con gli altri, come il pane eucaristico che è spezzato per i fratelli.


3) C'è, infine, una persona che dobbiamo riscoprire nella nostra fede: piena di grazia del Signore, modello per tutti noi, il suo nome è Maria, la Madre di Gesù. Ella ha vissuto il dono più grande che mai donna abbia potuto ricevere, Madre del suo Creatore e del suo Signore, del Figlio di Dio. Visse questo dono per offrirlo al mondo. Io affido a voi questo esempio, perché possiate meditarlo e riviverlo. Da lei imparerete a conoscere come si segue Gesù e come si amano i fratelli.


4. Invoco la benedizione di Dio su tutti voi perché la speranza non venga mai meno nei vostri cuori, perché come Chiesa inserita nella città e nel suo territorio, nel cuore dei problemi più acuti dell'uomo moderno possiate annunciare la salvezza che viene da Cristo con credibilità e coraggio capaci di superare prove e sofferenze con la potenza del Crocifisso; perché possiate protendervi con gioia verso un'umanità rinnovata dalla testimonianza della carità cristiana; perché possiate pensare al futuro dei giovani e decidere con loro un avvenire positivo che con loro deve essere costruito.

Con questi voti, invocando la protezione della Vergine, a tutti voi di cuore imparto la benedizione apostolica.

Data: 1985-06-17 Data estesa: Lunedi 17 Giugno 1985





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