GPII 1985 Insegnamenti - Alle figlie della Carità - Città del Vaticano (Roma)

Alle figlie della Carità - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Radicale donazione al Signore per la causa dei poveri

Reverenda madre, reverendo padre, sorelle.

Questo incontro familiare procura a tutti noi una grande gioia ecclesiale. Sia benedetto Dio per il Capitolo che si è appena concluso e per le trentatremila Figlie della Carità di cui voi siete le delegate! Sia lodato Dio per i vostri fondatori tanto illustri, san Vincenzo de' Paoli e santa Luisa di Marillac! La Chiesa prova verso di voi, come verso tutte le congregazioni religiose, una sollecitudine piena di rispetto, di fiducia e di esigenze.

Desidero salutare innanzitutto la reverenda madre Anne Dauzan, eletta il 28 maggio scorso, e presentarle i miei fervidi auguri, accompagnati dalla preghiera, per la fecondità del mandato che ella ha accettato con uno spirito di fede vincenziano. Desidero anche ringraziare, a nome della Chiesa, madre Lucia Rogé per il suo coraggioso servizio alla Chiesa e alla congregazione, sulle orme di tante responsabili generali molto meritevoli, come madre Guillemin, di recente memoria.

Un Capitolo può avere vari argomenti, ma esso mira sempre a rinvigorire la linfa primigenia di un istituto religioso. In questa visita, che è un nuovo segno del vostro attaccamento esemplare - non temo di sottolinearlo - al successore di Pietro e alla Chiesa, voi aspettate dunque i miei incoraggiamenti.

Potrei riassumerli in una frase lapidaria, un po' alla maniera di san Vincenzo: "Contro venti e maree, custodite la vostra identità!". Esporro intanto alcuni pensieri, facendo riferimento al vostro fondatore. Esiste un ritratto della Figlia della Carità, da lui spesso tracciato al tempo dell'invio in missione di sette suore: "Siate tutte dedite a Dio per il servizio dei poveri...". Ogni termine ha la sua importanza. Alcuni commentatori hanno giustamente messo in rilievo la preposizione "per". E' proprio essa che finalizza la consacrazione e che consacra il servizio. Quest'ultimo, infatti, non è come un secondo tempo della consacrazione, è già presente nella consacrazione. Si potrebbe comprendere questa consacrazione facendo astrazione dal servizio ai poveri? E il servizio ai poveri non sarebbe falsato, se non snaturato, se lo si isolasse dalla consacrazione? Secondo ogni evidenza, la consacrazione è fondamentale nello spirito di san Vincenzo. E' questa una delle ragioni, tra le altre, che lo spinse a proporne il rinnovamento annuale, alla data del 25 marzo.

Perché questa radicale donazione al Signore per la causa dei poveri e per i poveri conservi la sua freschezza e il suo slancio quotidiano, Vincenzo de' Paoli, colpito dalle partenze del 1647, torna vigorosamente, il 31 maggio 1648, sul problema della preghiera: "E' vero, sorelle mie, che una Figlia della Carità non può sussistere, se non fa orazione. E' impossibile che ella perseveri.

Resisterà qualche tempo, ma il mondo la porterà via. Troverà troppo duro il suo lavoro... diventerà fiacca... e infine smetterà". Il vostro santo fondatore osa aggiungere una verità diagnostica: "E come pensate, figlie mie, che tante abbiano perduto la vocazione? Oh! è che esse trascuravano la preghiera" (cfr. IX tomo di padre Coste, p. 416). Anche se san Vincenzo ha tanto spesso detto che abbandonare la preghiera per il servizio è abbandonare Dio per Dio, resta certo che questo insegnamento non può essere usato per relativizzare l'importanza della preghiera.

Sono lieto di sapere che, su questo piano, la congregazione sperimenta ora un rinnovamento della sua fedeltà alla preghiera.

Azione e preghiera, distinte e tuttavia molto unificate nel pensiero vincenziano, sono favorite da una vita comunitaria degna di questo nome. Da una ventina d'anni, gli istituti religiosi in generale hanno molto riflettuto e hanno attuato molte esperienze in questo campo della vita comunitaria. Sembra che il frazionamento eccessivo delle comunità - la loro "atomizzazione", dicono alcuni osservatori - abbia ingenerato altre difficoltà. Infatti, meditando sul disegno di Dio sull'umanità, è evidente che non vi può essere compimento della persona umana se l'individuo non acconsente a uscire da se stesso per inserirsi in una famiglia, in una città, nella Chiesa. La vita comunitaria, elemento indissociabile della vita religiosa, vissuta quotidianamente e periodicamente riveduta, dovrà sempre apportare molto e apporta molto in realtà, ai suoi membri, grazie al concorso attivo e intelligente di ogni sorella, grazie al beneficio della complementarietà nella diversità, grazie all'aiuto fraterno, che sono altrettante prove della dilezione nel Signore. Tale vita comunitaria è inoltre, come ricorda il IV capitolo della "Lumen Gentium", una manifestazione e un annuncio del mondo futuro, già in gestazione nella storia presente. Se la testimonianza individuale ha il suo valore, la comunità religiosa allarga singolarmente il campo della testimonianza evangelica, moltiplica la sua forza d'impatto. Il gruppo è più che la somma dei suoi membri. Il mondo contemporaneo ha grande bisogno della visibilità e della trasparenza spirituale delle comunità religiose.

Posso affidarvi ancora un augurio ecclesiale che san Vincenzo de' Paoli avrebbe senza dubbio espresso nel corso del vostro recente Capitolo? Sorelle mie, fate l'impossibile per andare verso i più poveri! Essi sono così numerosi oggi! In nome della Chiesa, indico alla vostra attenzione, vale a dire alla carità di Dio che brucia nei vostri cuori, i rifugiati, i disoccupati, gli affamati, le vittime della droga e dell'emarginazione. Più voi sarete disponibili ai più sventurati, più voi proverete il bisogno di vivere voi stesse quella povertà materiale di cui parlava con ardore san Vincenzo de' Paoli: "Voi avete diritto unicamente all'abito e al nutrimento, il resto appartiene ai poveri" (cfr. X tomo degli "Scritti e conferenze di san Vincenzo"). Tutta la Chiesa ha bisogno di ricordare che, se l'evangelizzazione non può disdegnare i mezzi del tempo, gli evangelizzatori devono apparire come i discepoli di Cristo povero.

Andate, care sorelle, per il mondo intero! La Chiesa conta molto su di voi. Essa sa che la mobilità apostolica fa parte della vostra consacrazione. La Chiesa, in diverse maniere, vi comunica le ricchezze di Cristo per andare sempre più lontano in questo eminente servizio ai poveri. La Chiesa vi propone anche il suo insegnamento magisteriale per chiarire le situazioni sociopolitiche e i problemi etici che tante Figlie della Carità si trovano ad affrontare nel loro amore ai poveri. Che le suore utilizzino al meglio tutte queste risorse! Al termine del nostro incontro, volgiamoci insieme al Cristo redentore.

Supplichiamolo di suscitare numerose vocazioni per la vostra congregazione. Tante giovani, turbate dalla miseria del mondo, potranno trovare posto tra di voi, investire tutti i loro talenti nel servizio ai più poveri e conoscere paradossalmente la felicità evangelica delle beatitudini! Supplichiamo così la Madre del Redentore, unica Madre della vostra congregazione, di accompagnare tutte le suore nella loro donazione al Signore e nelle loro relazioni con i poveri.

Con la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1985-06-20 Data estesa: Giovedi 20 Giugno 1985


Ad un gruppo di scienziati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ogni nazione deve poter partecipare al lavoro e al progresso

Signore e signori, cari amici.

E' un grande piacere per me oggi dare il benvenuto in Vaticano a tutti voi che partecipate all'incontro Marcel Grossman sull'astrofisica relativistica.

In voi saluto anche le illustri istituzioni che hanno organizzato questo incontro: il Centro internazionale di Fisica teorica di Trieste, i dipartimenti di Fisica delle due università di Roma e la Specola Vaticana. Assicuro tutti voi del mio rispetto e della mia stima.

Desidero inoltre cogliere questa speciale opportunità per onorare il mondo della scienza e tutti gli illustri uomini e donne che forniscono il loro contributo al progresso della conoscenza umana e alle possibilità di pace. La vostra presenza qui oggi è un'ulteriore indicazione della comune determinazione della Chiesa e della scienza di servire, fianco a fianco, in amicizia e nel sostegno reciproco, la causa dell'uomo.

Rilevo cordialmente la presenza tra di voi dei vincitori di premi Nobel, degli ambasciatori dei Paesi rappresentati al vostro incontro. Con profonda soddisfazione la Chiesa prende nota della solidarietà che contraddistingue il vostro importante incontro e questo raduno in Vaticano.


1. Noi viviamo in un'epoca unica. Ci fu un tempo in cui le scoperte scientifiche aventi un enorme impatto sullo sviluppo della società umana e sul modo in cui ci concepiamo avvenivano soltanto una volta ogni cent'anni. Ora esse si verificano su scale temporali molto più brevi: ogni anno, ogni mese, persino ogni settimana.

E, ciò che è forse più significativo, l'impatto sulla tecnologia è quasi immediato. Infatti, nelle ultime decadi siamo stati testimoni di più avanzamenti fondamentali nella nostra comprensione della realtà fisica di quanti ne siano stati fatti durante tutta la storia precedente del nostro pianeta. E' evidente che questa crescita esponenziale di idee e di conoscenza scientifica continuerà.

E' meraviglioso vedere quanto si è compreso a riguardo della struttura delle stelle - la loro nascita, vita e morte -, l'origine e la struttura delle galassie, la formazione degli elementi, degli altri insiemi costitutivi della realtà fisica nell'universo primitivo, e i ruoli interdipendenti delle interazioni e dei processi fondamentali, nel grande e nel piccolo. Questi traguardi scientifici proclamano la dignità dell'essere umano e illuminano grandemente il ruolo unico dell'uomo nell'universo.

Dovrebbe comunque essere materia di riflessione per tutti noi il fatto che, mentre la scienza si sviluppa a velocità sempre crescente, altri campi di indagine umana rimangono relativamente fermi se non in regresso. In assenza di una matura interazione tra scienza e le ricerche pratiche e teoriche in politica, economia, arte, filosofia, etica e teologia, la nuova visione e i nuovi poteri tecnologici fomiti dalla scienza possono condurre a una catastrofe umana senza precedenti. L'attuale inadeguatezza di una tale interazione responsabile a molti livelli rappresenta una grande "occasione perduta" per la creazione di un nuovo genuino "umanesimo" di grande profondità, bellezza, nobiltà spirituale e morale e sensibilità personale.


2. Le evidenti divergenze tra la pace e lo sviluppo della scienza e di altri campi della ricerca umana, specialmente la politica, si riflette nelle tragedie personali di alcuni scienziati al servizio dell'umanità e delle loro nazioni.

Alcuni sono stati e sono dei giganti, non soltanto nei loro particolari campi di attività scientifica, ma anche nel loro incrollabile impegno personale per i valori morali e personali, e per la crescita di questi valori nella società umana sia a livello nazionale che internazionale.

Le sventure personali di questi uomini e donne testimonia una tragedia molto più vasta, che viene sperimentata da una società silenziosa e impotente. I non scienziati spesso possono soffrire incursioni ancora maggiori nella loro libertà personale e nei loro diritti umani ma non hanno altrettanti mezzi per farli conoscere. I diritti umani fondamentali non sono rispettati in alcune società pur avanzate sul piano scientifico e tecnologico. La voce morale e la sensibilità personale e spirituale sia di scienziati che di non scienziati sono talvolta inascoltate o semplicemente ignorate da coloro che esercitano il potere.


3. La scienza, per quanto importante, non può essere un sostituto per altre attività umane. Innanzitutto, essa non può sostituirsi alla fede, ai valori morali, all'arte o alla scienza politica. Il contributo che la scienza può dare, attraverso il suo dinamismo e la sua costante ricerca della verità, è di ispirare e fornire un contesto o una visione fisica più ricca ad altre attività umane. può condividere con esse i risultati che ha tratto dalle sue continue investigazioni delle leggi universali della natura. La scienza può infine condurre l'umanità a chinarsi davanti al Creatore dell'universo, che, dal punto di vista cristiano, si è rivelato come il Redentore dell'uomo.

Oggi vediamo in questo nostro programma due esempi di relazione simbiotica, in questo caso tra scienza e arte. Le soluzioni matematiche delle equazioni di campo di Einstein della relatività generale, che descrivono le orbite di particelle intorno a un oggetto crollato gravitazionalmente, hanno ispirato uno scultore a creare un oggetto artistico, mentre i segnali elettromagnetici di un pulsar, il resto compatto dell'esplosione di una supernova avvenuta migliaia di anni fa, hanno fornito l'ispirazione per una composizione di musica classica.


4. A prescindere dal vostro lavoro scientifico, ciò che è maggiormente significativo in questo incontro è il fatto che scienziati che rappresentano più di trenta nazionalità stanno qui lavorando e discutendo insieme, stanno affrontando in fraterna solidarietà alcuni dei problemi più impegnativi e fondamentali mai posti alla mente umana.

Nessuna nazione può essere isolata. Nessuna nazione può permettersi il lusso di costringere altre nazioni a fare tutto secondo il suo modo di pensare! Né alcuna nazione può utilizzare a suo esclusivo vantaggio i diritti e i contributi dei suoi scienziati.

Ogni nazione, non ha importanza quanto sviluppata o quanto piccola, deve poter partecipare a questo lavoro, a questa ricerca e a questo dialogo. Ogni Paese, ogni persona si alimenta e si nobilita nel fare ciò. E, a sua volta, ciascuno fornisce qualcosa di molto speciale allo studio di questi problemi a partire dal suo background, dalla sua cultura e dal suo modo di vedere il mondo. Il vostro lavoro e il vostro pensare individuale e collaborativo manifestano in molti modi il carattere straordinariamente ricco e prezioso della natura umana, che ha e continuerà ad avere un impatto cruciale sul mondo e sulla società in genere.

Cari amici, siate certi del mio interesse e della mia preghiera per le vostre ricerche, così impegnative e importanti. Che Dio, fonte di ogni verità, vi conceda profonde intuizioni e abbondante saggezza. E che tutte le vostre conquiste contribuiscano al miglioramento della società e al più pieno riconoscimento della dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio.

Data: 1985-06-21 Data estesa: Venerdi 21 Giugno 1985





Ai Capitolari dei Frati Minori - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le scelte di san Francesco devono essere le vostre scelte

Carissimi padri capitolari dell'ordine dei Frati Minori.


1. In apertura dei lavori del capitolo generale, vi ho inviato un messaggio d'incoraggiamento, di fiducia e di speranza, nell'intento di vedere ancor più valorizzato il prezioso patrimonio spirituale del vostro Ordine, accresciuto il vostro amore alla Chiesa, secondo l'esempio di san Francesco, e sempre più fedelmente osservata la Regola, che il vostro Serafico padre affido all'approvazione e alla custodia della santa madre Chiesa.

A chiusura dei vostri lavori capitolari sono lieto di accogliervi per salutare e ringraziare non voi soltanto, ma tutti i frati minori, augurando a ognuno una vita vissuta nella perenne fedeltà al Vangelo, alla Chiesa, agli esempi e agli insegnamenti di san Francesco. E uno speciale ringraziamento intendo riservare al reverendo padre ministro generale dell'ordine, padre John Vaughn, per le parole indirizzatemi.

Permettete che ringrazi anche monsignor Vincenzo Fagiolo, segretario della Congregazione per i religiosi e gli istituti secolari, per la sua presenza ai vostri lavori, in qualità di delegato speciale al vostro capitolo.


2. La scelta del luogo in cui si è celebrato il capitolo è per sé altamente indicativa. La Porziuncola dice infatti un legame profondo con le origini e stimola a seguire con profondo fervore il carisma del fondatore. Nella cripta della basilica patriarcale di Santa Maria degli Angeli, proprio di fronte ai resti del piccolo convento abitato da san Francesco, vi è un altare sostenuto da un robusto ceppo di albero, i cui rami sostengono la mensa: si è voluto così rappresentare, in maniera efficace e plastica, la rigogliosa vitalità del francescanesimo.

In realtà, la storia dell'Ordine, ormai otto volte centenaria, dimostra che l'albero piantato da san Francesco ai piedi dell'altare dedicato alla Vergine degli Angeli, nella mistica chiesetta della Porziuncola, è cresciuto rigoglioso e fruttifero, e ha esteso i suoi rami nel mondo intero, in virtù dello spirito che lo ha animato dalle origini. Basta dare uno sguardo al "Martyrologium franciscanum" nel quale sono ricordati i santi, i beati, i venerabili e i servi di Dio che l'Ordine serafico ha donato alla Chiesa, per rendersi conto della meravigliosa fioritura della santità francescana.

Io stesso ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari il beato Pedro de Betancur, l'apostolo del Guatemala e dell'America Centrale; i beati Salvatore Lilli e 7 soci martiri; la beata Caterina Troiani, fondatrice delle suore francescane missionarie del Cuore immacolato di Maria e, il 9 marzo scorso, ho approvato il decreto sull'eroicità delle virtù del grande apostolo del Messico e della California il venerabile Junipero Serra.

Sono questi i luminosi campioni della grande vitalità religiosa da voi ereditata: le glorie del passato indicano la via che l'Ordine deve continuare a percorrere in avvenire.


3. Le scelte di san Francesco devono essere le vostre scelte; fin da principio egli seppe leggere il Vangelo con occhio limpido e si propose di attuarlo con lo sguardo fisso sul Verbo di Dio fattosi uomo e nostro fratello.

I santuari di Greccio e della Verna stanno a ricordarci che il santo di Assisi volle modellare la propria vita sull'esempio di quella del Redentore, da Betlemme al Calvario. Non volle altri maestri; ma segui l'unico Maestro con tutto il suo amore, con invitta fedeltà e con totale rinunzia di sé, impegnandosi nella pratica più rigorosa della povertà e nella completa disponibilità al servizio di Dio e dei fratelli.

Per essere sicuro delle sue scelte nella fondazione dell'Ordine, si porto da Assisi a Roma, per chiedere l'approvazione del Vicario di Cristo, e nel primo capitolo della Regola bollata scrisse: "Frate Francesco promette obbedienza e riverenza al Signor Papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti" (Regola bollata, capitolo I).

Caratteristica eminente della sua spiritualità fu la filiale devozione alla Vergine santissima. Già prima di fondare l'Ordine dei Frati Minori, egli si recava a pregare nella chiesetta di Santa Maria degli Angeli, nella Porziuncola, e ai piedi dell'altare dedicato alla Madonna fondo il Primo, il Secondo e il Terzo ordine.

Tre sono, quindi, i capisaldi della spiritualità francescana: fedeltà a Cristo e al Vangelo, vissuto nell'amore e nella povertà; devozione filiale verso la Madre di Dio; fedeltà alla Chiesa.


4. La società moderna ha tuttora bisogno della presenza di san Francesco, perché ha bisogno di Cristo, del quale il Poverello ha saputo riproporre in se stesso, con straordinaria efficacia, i tratti più caratteristici. Il "francescanesimo" è essenzialmente "imitazione di Cristo", per l'annunzio del Vangelo, per la conversione degli uomini all'unica verità rivelata, per la salvezza delle anime nella prospettiva dell'eternità.

Perciò la vostra è una presenza, prima di tutto, di fede convinta e sicura e cioè di fedeltà all'intero messaggio di Cristo e al magistero della Chiesa da lui voluta e fondata su Pietro e sugli apostoli. Sentite nei vostri animi l'assillo dell'unità nella verità e nella disciplina, seguendo in questo l'esempio mirabile del vostro fondatore. Mai egli si promise di scostarsi dall'insegnamento e dalle direttive di coloro che egli riconosceva messaggeri di Dio nella Chiesa! Ebbe anche le sue sofferenze; non gli fu risparmiata l'amarezza dei contrasti e delle incomprensioni; ma seppe guardare sempre oltre i limiti delle singole persone e dei procedimenti contingenti; seppe vedere la persona del divin Maestro e sentire la sua voce: "Consacrali nella verità. La tua parola è verità..." (Jn 17,17). Seguire la dottrina autenticamente insegnata dalla Chiesa significa anche evitare confusioni e turbamenti, sempre dannosi per la sua unità.

San Francesco vi illumini e vi dia la forza interiore necessaria per essere sempre fedeli a Cristo e alla Chiesa nelle presenti vicende della società, così da proporre agli occhi degli uomini d'oggi l'autentica immagine di colui che apparve ai contemporanei come "vir catholicus, totus apostolicus" (Giuliano da Spira, "Vita", 28).


5. La vostra presenza di figli di san Francesco deve poi esprimersi in un serio impegno di personale santificazione. Voi siete pienamente convinti che è la grazia divina a operare nelle anime; e sapete pure che si può dare soltanto ciò che si possiede. Il vero "francescanesimo" esige la completa umiltà, un totale abbandono alla Provvidenza mediante l'ubbidienza alla Chiesa e ai propri superiori, un prefetto distacco dai beni terreni mediante la povertà e la castità. Si tratta indubbiamente di una forma di vita che richiede eroismo. Essa pero si fonda su di una speciale vocazione, può contare su particolari doni dello Spirito ed è fonte di consolazioni superne, che alimentano quella soavissima gioia, che brillava sul volto di Francesco e dei suoi primi compagni, secondo la testimonianza dell'antico cronista: "Erat eis exultatio magna" (Celano, "Vita", 35).


6. Infine la vostra presenza di Frati minori francescani nella società moderna deve attuarsi nel servizio e nell'amore agli uomini, sull'esempio del Poverello.

Insisto: sull'esempio del Poverello. La sua testimonianza infatti conserva un'incomparabile originalità, che la distingue da altre proposte in questa materia e ne spiega al tempo stesso il fascino sempre attuale. E' un fatto assai significativo che, dopo otto secoli, san Francesco nulla abbia perso della sua freschezza: si potrebbe dire che egli fa parte della "coscienza" universale. Da Dante a Goethe, da Giotto a Murillo, da san Bonaventura ad Alessandro Manzoni, egli è stato ed è fonte di ispirazione e di riflessione per l'intera umanità.

Perché tanta presa sul cuore umano? Per il sapore autenticamente evangelico che il suo messaggio anche sociale conserva. Egli, pur predicando la necessità della giustizia e della condivisione, faceva insieme comprendere il valore inderogabile e perenne delle "beatitudini". Infatti le "beatitudini" non si possono eliminare né dalla struttura della storia né tanto meno dal contesto del Vangelo. Amare e servire gli uomini d'oggi significa certamente operare per lo sviluppo e il progresso della società e per il raggiungimento di condizioni umane più giuste e più dignitose; ma significa anche non illudere mai nessuno circa il vero senso del pellegrinaggio terreno, la cui meta ultima trascende il tempo e non può essere raggiunta senza l'esercizio di un illuminato distacco dai beni materiali e senza la pratica della carità che comprende e perdona: "Laudato sii, mi Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore et sostengono infirmitate et tribulatione...".


7. Davanti a voi, figli di san Francesco, mi piace ripetere la preghiera che mi sgorgo dal cuore ad Assisi, all'inizio del mio pontificato, quando, compiendo il mio primo pellegrinaggio volli andare ad inginocchiarmi presso la tomba del vostro fondatore: "Tu, che hai tanto avvicinato il Cristo alla tua epoca, aiutaci ad avvicinare Cristo alla nostra epoca, ai nostri difficili e critici tempi. Tu che hai portato nel cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, con il cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca. I difficili problemi sociali, economici, politici, i problemi della cultura e della civiltà contemporanea, tutte le sofferenze dell'uomo di oggi, i suoi dubbi, le sue negazioni, i suoi sbandamenti, le sue tensioni, i suoi complessi, le sue inquietudini... Aiutaci a risolvere tutto in chiave evangelica, affinché Cristo stesso possa essere "via-verità-vita" per l'uomo del nostro tempo".

Portate ai vostri confratelli sparsi nel mondo la certezza che il lavoro apostolico da loro compiuto, anche se umile e nascosto, è grande davanti a Dio, è prezioso per la Chiesa ed è vantaggioso per la società. Portate al mondo d'oggi la pace e la gioia di san Francesco! E vi sia propizia anche la mia benedizione, che ora vi imparto di gran cuore e che estendo con affetto all'intero Ordine dei Frati Minori.

Data: 1985-06-22 Data estesa: Sabato 22 Giugno 1985





Alla comunità dell'ospedale "Miulli" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'affetto dei fratelli è diritto del sofferente

Signori dirigenti, medici, infermieri, addetti ai servizi dell'ospedale "Miulli" di Acquaviva delle Fonti e del reparto di Gioia del Colle, cari malati.


1. La vostra visita mi è particolarmente gradita, perché insieme con il clima di amicizia che l'accompagna, mi offre la possibilità di incontrarmi con alcuni malati della colonia hanseniana e con tutti voi che generosamente e attentamente operate nel campo di una malattia, la lebbra, tuttora presente, nonostante i grandi progressi della medicina moderna, in tanta parte dell'umanità. Vi saluto tutti con sincero affetto, rivolgendo un particolare pensiero a monsignor Tarcisio Pisani, che ringrazio per le parole rivoltemi.

La vostra presenza mi dice quanto voi vogliate rendere noto al mondo che ogni uomo, anche nella più difficile condizione di sofferenza, ha diritto alla considerazione, alla stima, all'affetto, alla cordialità dei fratelli.

Un tempo questo male emarginava completamente l'uomo dalla società, come ben sapete e ricordate. Oggi voi insegnate, con la vostra scelta e il vostro comportamento, che anche nel ricovero che la malattia impone ci può essere affettuosa amicizia e calore umano. Questo atteggiamento ripete, con chiara evidenza, il gesto di Gesù. Egli tocca il malato per guarirlo, e lo sana a motivo dell'affetto e della compassione che lo conduce verso il sofferente.


2. Mi compiaccio con voi perché il complesso sanitario che avete realizzato si dimostra singolarmente efficace nel garantire adeguate e specifiche cure ai pazienti. Voi vi siete anche preoccupati di attrezzare una struttura in grado di assicurare una dignitosa e confortevole qualità di vita per i ricoverati. Desidero perciò sottolineare il grande valore degli sforzi che compite per creare, durante la degenza, che spesso è lunga, un ambiente familiare ricco di affetto, di premure, di calore, affinché nello spirito del malato non rimanga l'impronta dolorosa di un forzato isolamento spirituale, connesso con quello fisico e terapeutico.

Esprimo poi il mio sentimento di sincera ammirazione per l'insistente e tenace vostra ricerca scientifica, intesa a debellare definitivamente questo male.

Molto è stato compiuto per la prevenzione e la sconfitta del morbo. Voi attestate che sono quasi scomparse, nel corso degli ultimi anni, le tipiche forme deturpanti che maggiormente affliggono; già ottenete risultati confortevoli e brillanti con gli interventi di chirurgia plastica, ora in grado di ridare al paziente il conforto di un dignitoso reinserimento nella comunità sociale, con piena valorizzazione della sua persona. Aperta, invece, è ancora per voi la speranza di arrivare a un vaccino che vi consenta di debellare in radice il morbo di Hansen. Io prego il Signore che voglia assistere e coronare di successo i vostri studi.

Sono certo che voi continuerete a cercare la collaborazione con tutti gli istituti analoghi al vostro, per raggiungere, a livello internazionale, un'intensa comunicazione di dati, di ricerche, di risultati, al fine di accelerare la scoperta di quanto ritenete risolutivo per raggiungere il vostro scopo. Vi chiedo, se fosse necessario, di contribuire a far si che ogni ospedale o casa di cura possa uscire da eventuali situazioni di indigenza e di isolamento come quelle che sembrano affliggere talvolta alcune istituzioni nei territori del mondo più poveri e abbandonati.


3. E voi, cari malati, abbiate sempre vivo davanti agli occhi l'atteggiamento frequente di Gesù, commosso dal gesto implorante del lebbroso: "Se vuoi, puoi guarirmi" (Mc 1,40), e ricordate che Gesù, come attestava in un discorso Paolo VI, "chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù - che vanno dalla pazienza all'eroismo e alla sapienza - ma altresi alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante" (27 marzo 1964).

Vi chiedo di portare il mio saluto e il più vivo augurio ai vostri amici, che non sono potuti venire qui con voi.

Sia propizia a tutti la Vergine santa. Lei che conobbe ed osservo le sofferenze con gli occhi e i sentimenti misericordiosi del figlio suo Gesù, a tutti schiuda gli ampi orizzonti della speranza, fondata sulla via regale della croce.

Vi conforti e vi sostenga la mia benedizione.

Data: 1985-06-22 Data estesa: Sabato 22 Giugno 1985





Beatificazione di Benedetto Menni e Pietro Friedhofen - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Spinti dall'amore di Cristo al servizio dei più deboli




1. "L'amore di Cristo ci spinge" (2Co 5,14).

Queste parole di san Paolo, nelle quali egli ci apre tutto il suo cuore, fanno comprendere qual era la molla segreta della sua vita di santo, di pastore e di apostolo. Esse possono essere pronunciate da tutti coloro che vogliono vivere fino in fondo l'amore di Cristo, e quindi sono state profondamente condivise anche dai due nostri fratelli nella fede che oggi ho elevato agli onori degli altari col titolo di "beati": il padre Benedetto Menni e fra Pietro Friedhofen. Che cosa portava san Paolo a sentirsi afferrato e totalmente posseduto dall'amore di Cristo? Come questo amore aveva potuto diventare in modo così totale il centro propulsore di tutto il suo agire? Lo dice egli stesso nelle parole seguenti: si sentiva così "spinto" in modo quasi irresistibile "al pensiero che uno" - cioè Cristo - "è morto per tutti".


2. Cristo, Agnello innocente, col sacrificio di se stesso, ha dato la vita all'intera umanità morta per il peccato. Se "uno è morto per tutti", dunque "tutti sono morti"; e grazie alla morte di questo "uno", essi ricuperano la vita.

Come Cristo è morto per noi, così anche noi dobbiamo essere "morti": "morti al peccato" (Rm 6,11), conformi a Gesù nella morte (cfr. Ph 3,10 2Co 4,10), "sepolti insieme con lui nel Battesimo" (cfr. Col 2,12 Rm 6,4). Morire al peccato vuol dire che non dobbiamo più vivere per noi stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per noi (cfr. 2Co 5,15). Il ripiegamento egoistico su noi stessi è un modo illusorio per difendere i nostri interessi vitali, i quali viceversa sono veramente garantiti proprio nel momento in cui, in Cristo, noi "moriamo" per i fratelli.


3. La vita di entrambi i beati che oggi brillano davanti a tutta la Chiesa si è formata proprio sotto l'influsso di questo amore impellente e totalizzante, oblativo e universale.

Padre Menni comprese a fondo questa esigenza di dedicare la propria vita a Cristo. Egli aveva lette e fatte sue le parole del divino Maestro, che sono state annunciate nel Vangelo di questa celebrazione eucaristica: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Tra "queste cose" che il Signore considera fatte a sé, padre Menni scelse in modo particolare la cura amorosa degli ammalati, soprattutto fanciulli e infermi di mente.

Nutrendosi profondamente della spiritualità dell'Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio, nel quale era entrato ancor giovane, egli ne fu il restauratore dopo il triste periodo delle soppressioni napoleoniche e dei regimi politici anti-ecclesiastici, che si erano succeduti fino ai suoi giorni. Egli è pertanto una gloria dell'Ordine dei fatebenefratelli, i quali hanno in lui un esempio luminoso nel servizio dell'ammalato, identificato con Cristo.

Padre Menni, inoltre, seppe far fruttare meravigliosamente alcune virtualità insite nella spiritualità del suo Ordine, facendosi fondatore di una nuova congregazione di religiose dedite alla cura delle donne malate di mente: le Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, le quali oggi esultano nel vedere solennemente riconosciute dalla Chiesa - nel mese dedicato al culto del cuore divino a cui sono consacrate - le virtù di colui che venerano come padre e maestro. La beatificazione del loro fondatore, da esse ardentemente auspicata, valga a stimolare l'impegno di servizio a Cristo nella persona delle malate, secondo il carisma proprio dell'Istituto.


4. L'opera realizzata da padre Menni per alleviare le sofferenze di tante persone ha avuto una grande attualità nei diversi Paesi nei quali esercito la sua attività caritativa; e particolarmente in Spagna, dove trascorse una parte importante della sua vita. Ma anche ai nostri giorni, la sua opera continua ad essere benemerita e provvidenziale in una società in cui, purtroppo, frequentemente si emarginano i più deboli e coloro che soffrono.

Il beato che oggi veneriamo - come tutti i seguaci di Cristo - non sfuggi le incomprensioni e le sofferenze, perfino da parte di persone molto vicine a lui. Ma padre Menni, convinto delle sue buone ragioni e confortato dalla sua profonda comunione con Cristo e con la Chiesa, seppe resistere agli attacchi e portare avanti la sua feconda opera di servizio alla società e al regno di Dio.

La sua straordinaria attività fu costantemente sostenuta e animata da una devozione intima e profonda al Sacro Cuore di Gesù e da una particolare venerazione alla Madre di Dio, specialmente sotto il titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù.

La sua esemplare umiltà lo collocava in un costante atteggiamento di conversione e di fiducia senza limiti nella potenza della divina Provvidenza. Fu instancabile nel suo sforzo di seguire le orme di Cristo, buon samaritano, imitando in modo singolare la misericordia verso la persona che soffre, senza discriminazione di classe e di condizione, poiché vedeva in essa sempre uno di quei fratelli "più piccoli" nei quali si nascondeva il divino Salvatore.

"Preghiamo Gesù - scriveva in una sua lettera - perché ci infiammi del suo amore.

Preghiamo la Regina dell'amore, la Vergine immacolata, che incendi in noi questo fuoco divino".

Senza questo "fuoco divino", cioè, il fuoco dello Spirito Santo, il beato non avrebbe potuto fare tutto ciò che porto a termine in modo tanto meraviglioso.


5. Padre Menni non si limito a conoscere Cristo "secondo la carne" (2Co 5,16), cioè secondo un parametro umano e terreno, ma seppe e volle farsi illuminare dal mistero divino che si cela nell'umanità di Cristo, volle conoscerlo "secondo lo Spirito", facendosi in questo modo purificare e guidare dalla forza di questo Spirito, che ci induce a riprodurre in noi stessi l'opera redentrice di Cristo come mistero di morte e risurrezione, che ci aiuta a essere "creature nuove" morendo al peccato e dando la vita per i fratelli.

Arrivare ad essere santi significa raggiungere le condizioni di questa "creatura nuova" rinnovata e rigenerata dallo Spirito di Cristo; "creatura nuova" che ha realizzato la sua vita perché l'ha donata, con cuore sincero, anche a "uno dei fratelli più piccoli" di Cristo (cfr. Mt 25,40).

Preghiamo, con l'intercessione del nuovo beato, perché anche noi possiamo aprire senza riserve il nostro cuore all'amore di Cristo. Che quest'amore ci spinga e ci riempia totalmente in modo che, morti al peccato, possiamo dedicare la nostra vita a Cristo e ai fratelli e fare di questo mondo un mondo rinnovato e libero dal peccato e dalla morte.


6. "L'amore di Cristo ci spinge", questo dice di sé l'apostolo Paolo. Lo stesso amore di Cristo era ciò che spinse il nuovo beato Pietro Friedhofen, all'età di trent'anni, a dedicare totalmente la sua vita a Dio e al servizio agli ammalati.

Egli stesso, povero e debole di salute, abbandono la sua professione di spazzacamino per tentare un nuovo inizio a partire dalla sua convinzione religiosa e dal suo ardente amore per il prossimo.

Egli vide il bisogno di uomini sradicati, malati e bisognosi d'aiuto e riconobbe la sua vocazione apostolica e caritativa. così fondo, nel 1850, la Congregazione dei Fratelli della misericordia di Maria Ausiliatrice col compito di servire Dio nei poveri, nei malati e negli anziani.

La Provvidenza divina aveva preparato Pietro Friedhofen, attraverso una dura scuola di vita, a riconoscere i segni dei tempi nel grande rivolgimento sociale del XIX secolo e a rispondervi secondo lo spirito del Vangelo. Come orfano, egli dovette conoscere personalmente già nella sua infanzia il dolore e la necessità materiale. La sua casa paterna e la patria renana gli trasmisero una profonda religiosità, soprattutto una fervida venerazione per l'immacolata Vergine Maria. Già al tempo del suo addestramento professionale egli era animato da un grande ardore apostolico. Riuni giovani di idee affini intorno a sé nell'associazione di san Luigi per spronarli a una vita devota secondo il Vangelo.

In questo apostolato dei giovani, nella ricerca della santità personale e nella sollecitudine e nel soccorso al prossimo bisognoso, maturo a poco a poco la sua vocazione religiosa che si sviluppo pienamente nella fondazione della sua congregazione i cui ideali sono: seguire Cristo il più da vicino possibile, condurre gli uomini a Cristo, infondere l'amore a Maria nel cuore degli uomini e servire i malati con amore cristiano.


7. L'opera della fondazione del suo ordine fu accompagnata da grandi difficoltà e prove nelle quali il beato Pietro Friedhofen si rivelo uomo di fede e di fiducia incrollabili nella Provvidenza di Dio e nell'aiuto di Maria. In questa sovrannaturale sorgente di forza si fondavano la sua straordinaria risolutezza e la sua costanza, grazie alle quali, nonostante la malattia fisica in continuo peggioramento, realizzo il suo proposito e diede forma e direttiva spirituale al suo Ordine nel servizio al prossimo dettato dall'amore.

"Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Jn 12,24). La semina del beato Pietro Friedhofen, tra molte prove e sacrifici personali, è caduta in terra buona, tanto che essa porta ricchi frutti ben oltre la sua morte prematura - all'età di soli 41 anni - fino ai nostri giorni. Oggi i Fratelli della misericordia operano in diversi Paesi d'Europa, in Brasile e in Malesia. I loro ospedali e i loro ricoveri per anziani non sono soltanto espressione di solidarietà umana con i poveri e i bisognosi, ma sono segno della loro concreta sequela a Cristo il quale non è venuto per essere servito ma per servire (cfr. Mt 20,28), e che ritiene come fatto a sé ciò che facciamo a uno solo dei suoi fratelli più piccoli.

In Pietro Friedhofen la Chiesa venera oggi un uomo il cui programma di vita e di lavoro è sorprendentemente attuale, come lo è la buona novella di Gesù Cristo stesso. Come fratello della misericordia egli si chino per amore di Cristo sui bisognosi che avevano necessità del suo aiuto. La sua sollecitudine non si rivolgeva soltanto alla malattia fisica ma al bisogno dell'uomo nella sua integralità, soprattutto al suo bisogno morale e spirituale. Anche il nostro tempo ha bisogno di tali modelli e di uomini che si prendono cura in questo modo dei bisogni e delle infermità del prossimo e mostrano loro la via verso colui che ha sopportato tutti i nostri dolori e li ha redenti con la sua morte e risurrezione.

Che la vita e le opere del beato Pietro Friedhofen siano anche oggi di modello e di stimolo per molti uomini. Amen. "L'amore di Cristo ci spinge". Queste parole di san Paolo sono state profondamente condivise dai due nostri fratelli nella fede che oggi ho elevato agli onori degli altari col titolo di beati, il padre Benedetto Menni e fra Pietro Friedhofen. Dio sia benedetto. "Benedictus Deus in sanctis suis et Sanctus in omnibus operibus suis". Amen. Data: 1985-06-23 Data estesa: Domenica 23 Giugno 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Alle figlie della Carità - Città del Vaticano (Roma)