GPII 1985 Insegnamenti - Messaggio all'Unesco sui giovani - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio all'Unesco sui giovani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Avere il coraggio di proporre ai giovani mete elevate

All'eccellentissimo signor Amadou Mathar M'Bow, direttore generale dell'Unesco.

Nell'ambito della cooperazione che, da dieci anni, la Santa Sede ha stabilito con l'Unesco, ho ricevuto con gioia e speranza la notizia del congresso mondiale sulla gioventù che si terrà a Barcellona dall'8 al 15 luglio. Perciò, rispondendo con piacere al desiderio manifestato da vostra eccellenza, invio al congresso il mio messaggio.

In molte circostanze ho incoraggiato a prendere in considerazione la causa dei giovani. L'ho ricordato, innanzitutto, ai giovani stessi, nei graditi incontri che ho avuto con loro nelle diverse parti del mondo. Essi sono i primi protagonisti della loro vita nell'avventura affascinante del crescere come uomini.

Soltanto infondendo loro fiducia in se stessi e negli adulti, capacità di saper sperare, impegno e senso di responsabilità, possiamo farli incamminare verso un futuro che stimoli la loro creatività e ravvivi il loro entusiasmo. L'ho ricordato anche ai padri, agli educatori, agli uomini di cultura e ai governanti. A loro spetta il compito, per diversi motivi, di assicurare le condizioni familiari, culturali e l'istruzione necessaria per un futuro di giustizia, di pace, di rispetto e di promozione dei diritti e della vita di tutti.

Con particolare e comprensibile insistenza ho ricordato questo gioioso e sublime dovere a tutti coloro che, nella Chiesa, vivono la loro fede in Gesù Cristo. Ai miei fratelli nel sacerdozio ministeriale ho chiesto recentemente di rinnovare, insieme con i giovani della nostra epoca, il gesto, ricco di suggestiva umanità e di zelo apostolico, che ha avuto Gesù verso il giovane nel Vangelo: "Fissatolo, lo amo" (Mc 10,21). Spesso ho sottolineato la ragione di questo compito, interpretando una preoccupazione diffusa e crescente, che concerne tutti gli uomini di buona volontà: "La gioventù è una tappa chiave nella vita di ogni uomo".

E' nei giovani la speranza dell'umanità; e la speranza, che è legata al futuro, è attesa dei "beni futuri". Quale virtù cristiana, essa è unita all'attesa, attiva e impegnata, di quei beni eterni che Dio stesso ha promesso all'uomo in Gesù Cristo. E, nello stesso tempo, essa, quale virtù umana e cristiana, è attesa di quei beni che l'uomo deve raggiungere utilizzando i talenti che la Provvidenza gli ha dato.

Ma oggi la gioventù è minacciata, proprio in quanto speranza dell'umanità e del suo futuro. I modi sono differenti, ma i risultati continuano ad essere ugualmente tristi e preoccupanti. Molti giovani si trovano in situazioni di disperazione tale che arrivano perfino ad escludere ogni prospettiva ragionevole di un futuro promettente. Altri sentono ricadere sulla propria persona, in forma drammatica, i timori dell'umanità: guerre, sterminio, fame, manipolazioni, violenze e ingiustizie aberranti. Nelle società occidentali alcuni giovani, disorientati dall'abbondanza imprevista e incontrollata di opportunità, di messaggi non di rado contrastanti, vivono un'intensa crisi di identità e di significato della vita. Le domande fondamentali dell'esistenza rimangono senza una risposta sicura e tranquillizzante. Talvolta, queste domande sono eluse anche dagli educatori, perché prevale un deprimente scetticismo di fondo o una prassi di vita frustrata. Un individualismo esasperato, che paradossalmente convive con una società massificata, finisce talvolta per togliere consistenza e interiorità alla vita personale del soggetto, arrivando a spezzare la sua esistenza o degradandola in un conformismo mediocre. Questa crisi minacciosa rende molti giovani prigionieri di un presente senza orizzonti e li spinge a cercare vie d'uscita che sono soltanto fughe esistenziali, che feriscono l'umanità e che, spesso, sfociano tragicamente nella morte.

Ma esistono anche, fortunatamente, molte reazioni positive e molti segni di speranza. I numerosi giovani che ho incontrato nei miei viaggi apostolici, e i molti altri giunti a Roma per celebrare con me l'Anno Santo di riconciliazione e il presente Anno internazionale della gioventù, alimentano la mia speranza. Sono certamente molti e ricchi di grandi qualità i giovani impegnati attualmente nel rinnovare la società, nel costruire la "civiltà dell'amore", appassionati di Gesù Cristo, al quale felicemente hanno aperto le porte del loro cuore; essi formano una lunga catena che porta a un futuro già vicino. Il mio sguardo, tuttavia, non può soffermarsi su questi giovani senza preoccuparmi, con cuore paterno, anche di tutti gli altri.

Con questi sentimenti mi congratulo con l'Unesco per l'opportuna iniziativa di organizzare questo congresso mondiale, con la collaborazione di educatori impegnati e di illustri esperti.

E' stato per me motivo di ulteriore soddisfazione conoscere i temi da trattare nell'ordine del giorno. L'educazione, il lavoro, lo sviluppo culturale, la collaborazione internazionale rappresentano certamente problemi fondamentali della vita giovanile e punti nevralgici dei processi di trasformazione sociale.

Non pochi dei problemi esistenti, che preoccupano coloro che stimano la gioventù, incontrano qui la loro radice. Per esempio, come possono guardare con speranza al futuro quei giovani che vedono allontanarsi progressivamente la possibilità di guadagnarsi il pane e di crearsi una vita onesta attraverso un lavoro sicuro e gratificante? I giovani cercano una società in cui le differenze non ostacolino la collaborazione e in cui le barriere tra i diversi gruppi sociali o tra i popoli a causa di odi, di discriminazioni radicate, di sospetti nazionalisti o di pretese egemoniche, lascino il passo infine a una convivenza serena e costruttiva, orientata verso il bene e lo sviluppo umano integrale per tutti. Ma purtroppo essi incontrano ogni giorno notizie ed esperienze di guerra, di divisioni assurde, di giochi di potere che aumentano le distanze tra Paesi ricchi e Paesi poveri. La disperazione, che genera la violenza o che degenera in un consumismo sfrenato, nasce da cause più profonde e lontane, che conviene individuare con chiarezza e coraggio. Studiare questi problemi in tutte le loro dimensioni reali può dare a tutti una coscienza più critica, un motivato realismo e, nel medesimo tempo, può aprire prospettive nuove e audaci. Forse arriverete alla conclusione che esistono difficoltà che superano il vostro sforzo e che si dovrà aspettare ancora molto tempo prima di veder realizzate le nostre speranze. L'analisi di temi tanto importanti, la cui soluzione sfugge spesso alle possibilità di attuazione dei giovani, perché attiene a competenze e responsabilità più alte, potrebbe costituire anche un ulteriore motivo di disillusione, di scetticismo e anche di rottura tra generazioni. Il congresso, molto sapientemente, ha riservato all'educazione un'attenzione speciale.

Vorrei mettere in evidenza il fatto che l'educazione è molto più di una preparazione alla prassi; essa non può ridursi semplicemente all'acquisizione di una scienza o all'apprendimento di una tecnica. La vera educazione comporta ed assume certamente la scienza, la cultura e la tecnica ma è orientata all'obiettivo nobilissimo della formazione della persona, nelle sue dimensioni umane integrali e nella prospettiva dei suoi fini più elevati. L'educazione è, di conseguenza, proposizione e assimilazione di "valori", che sono fondamento dell'identità, della dignità, della vocazione e della responsabilità dell'uomo come persona e come membro della società. I giovani, con pieno diritto, desiderano avere educatori che siano autentici maestri, che sappiano orientarli verso ideali elevati e sappiamo darne loro l'esempio con la loro vita. Un atteggiamento e un clima di relativismo e di permissivismo, spesso sviluppatisi dalla perdita o dall'erosione di valori spirituali ed etici, non hanno certamente prodotto buoni frutti e non aiutano lo sviluppo dell'autentica personalità dei giovani. Vorrei dirvi: abbiate il coraggio di proporre ai giovani di oggi mete elevate e di chiedere loro - dandone le motivazioni - i sacrifici necessari per conseguirle. Questo stimolerà le energie, spesso latenti nel loro spirito, che sono in attesa di educatori convinti ed esperti che le facciano emergere e le orientino in maniera creativa. Su questa via si potranno rigenerare anche strutture e metodi di vita sociale sclerotizzati e restituire significato e gioia all'esistenza e al lavoro.

Eccellenza, nel rinnovare a lei e a tutti i partecipanti a questo importante congresso i miei sinceri e ferventi auguri, chiedo a Dio onnipotente che benedica gli sforzi di tutti coloro che lavorano per il bene della gioventù, che tanto profondamente apprezziamo.

Dal Vaticano, 1 luglio 1985

Data: 1985-07-01 Data estesa: Lunedi 1 Luglio 1985


Messaggio al congresso dell'UNESCO sui giovani - Barcellona (Spagna)

Titolo: Proporre ai giovani d'oggi mete elevate

All'eccellentissimo signor Amadou Mathar M'Bow, direttore generale dell'Unesco, Nell'ambito della cooperazione che, da dieci anni, la Santa Sede ha stabilito con l'Unesco, ho ricevuto con gioia e speranza la notizia del congresso mondiale sulla gioventù che si terrà a Barcellona dall'8 al 15 luglio. Perciò, rispondendo con piacere al desiderio manifestato da vostra eccellenza, invio al congresso il mio messaggio.

In molte circostanze ho incoraggiato a prendere in considerazione la causa dei giovani. L'ho ricordato, innanzitutto, ai giovani stessi, nei graditi incontri che ho avuto con loro nelle diverse parti del mondo. Essi sono i primi protagonisti della loro vita nell'avventura affascinante del crescere come uomini.

Soltanto infondendo loro fiducia in se stessi e negli adulti, capacità di saper sperare, impegno e senso di responsabilità, possiamo farli incamminare verso un futuro che stimoli la loro creatività e ravvivi il loro entusiasmo. L'ho ricordato anche ai padri, agli educatori, agli uomini di cultura e ai governanti. A loro spetta il compito, per diversi motivi, di assicurare le condizioni familiari, culturali e l'istruzione necessaria per un futuro di giustizia, di pace, di rispetto e di promozione dei diritti e della vita di tutti.

Con particolare e comprensibile insistenza ho ricordato questo gioioso e sublime dovere a tutti coloro che, nella Chiesa, vivono la loro fede in Gesù Cristo. Ai miei fratelli nel sacerdozio ministeriale ho chiesto recentemente di rinnovare, insieme con i giovani della nostra epoca, il gesto, ricco di suggestiva umanità e di zelo apostolico, che ha avuto Gesù verso il giovane nel Vangelo: "Fissatolo, lo amo" (Mc 10,21). Spesso ho sottolineato la ragione di questo compito, interpretando una preoccupazione diffusa e crescente, che concerne tutti gli uomini di buona volontà: "La gioventù è una tappa chiave nella vita di ogni uomo".

E' nei giovani la speranza dell'umanità; e la speranza, che è legata al futuro, è attesa dei "beni futuri". Quale virtù cristiana, essa è unita all'attesa, attiva e impegnata, di quei beni eterni che Dio stesso ha promesso all'uomo in Gesù Cristo. E, nello stesso tempo, essa, quale virtù umana e cristiana, è attesa di quei beni che l'uomo deve raggiungere utilizzando i talenti che la Provvidenza gli ha dato.

Ma oggi la gioventù è minacciata, proprio in quanto speranza dell'umanità e del suo futuro. I modi sono differenti, ma i risultati continuano ad essere ugualmente tristi e preoccupanti. Molti giovani si trovano in situazioni di disperazione tale che arrivano perfino ad escludere ogni prospettiva ragionevole di un futuro promettente. Altri sentono ricadere sulla propria persona, in forma drammatica, i timori dell'umanità: guerre, sterminio, fame, manipolazioni, violenze e ingiustizie aberranti. Nelle società occidentali alcuni giovani, disorientati dall'abbondanza imprevista e incontrollata di opportunità, di messaggi non di rado contrastanti, vivono un'intensa crisi di identità e di significato della vita. Le domande fondamentali dell'esistenza rimangono senza una risposta sicura e tranquillizzante. Talvolta, queste domande sono eluse anche dagli educatori, perché prevale un deprimente scetticismo di fondo o una prassi di vita frustrata. Un individualismo esasperato, che paradossalmente convive con una società massificata, finisce talvolta per togliere consistenza e interiorità alla vita personale del soggetto, arrivando a spezzare la sua esistenza o degradandola in un conformismo mediocre. Questa crisi minacciosa rende molti giovani prigionieri di un presente senza orizzonti e li spinge a cercare vie d'uscita che sono soltanto fughe esistenziali, che feriscono l'umanità e che, spesso, sfociano tragicamente nella morte.

Ma esistono anche, fortunatamente, molte reazioni positive e molti segni di speranza. I numerosi giovani che ho incontrato nei miei viaggi apostolici, e i molti altri giunti a Roma per celebrare con me l'Anno Santo di riconciliazione e il presente anno internazionale della gioventù, alimentano la mia speranza. Sono certamente molti e ricchi di grandi qualità i giovani impegnati attualmente nel rinnovare la società, nel costruire la "civiltà dell'amore", appassionati di Gesù Cristo, al quale felicemente hanno aperto le porte del loro cuore; essi formano una lunga catena che porta ad un futuro già vicino. Il mio sguardo, tuttavia, non può soffermarsi su questi giovani senza preoccuparmi, con cuore paterno, anche di tutti gli altri.

Con questi sentimenti mi congratulo con l'Unesco per l'opportuna iniziativa di organizzare questo congresso mondiale, con la collaborazione di educatori impegnati e di illustri esperti. E' stato per me motivo di ulteriore soddisfazione conoscere i temi da trattare nell'ordine del giorno. L'educazione, il lavoro, lo sviluppo culturale, la collaborazione internazionale rappresentano certamente problemi fondamentali della vita giovanile e punti nevralgici dei processi di trasformazione sociale. Non pochi dei problemi esistenti, che preoccupano coloro che stimano la gioventù, incontrano qui la loro radice. Per esempio, come possono guardare con speranza al futuro quei giovani che vedono allontanarsi progressivamente la possibilità di guadagnarsi il pane e di crearsi una vita onesta attraverso un lavoro sicuro e gratificante? I giovani cercano una società in cui le differenze non ostacolino la collaborazione e in cui le barriere tra i diversi gruppi sociali o tra i popoli a causa di odi, di discriminazioni radicate, di sospetti nazionalisti, o di pretese egemoniche, lascino il passo infine ad una convivenza serena e costruttiva, orientata verso il bene e lo sviluppo umano integrale per tutti. Ma, purtroppo, essi incontrano ogni giorno notizie ed esperienze di guerra, di divisioni assurde, di giochi di potere che aumentano le distanze tra paesi ricchi e paesi poveri. La disperazione, che genera la violenza o che degenera in un consumismo sfrenato, nasce da cause più profonde e lontane, che conviene individuare con chiarezza e coraggio. Studiare questi problemi in tutte le loro dimensioni reali può dare a tutti una coscienza più critica, un motivato realismo e, nel medesimo tempo, può aprire prospettive nuove e audaci. Forse arriverete alla conclusione che esistono difficoltà che superano il vostro sforzo e che si dovrà aspettare ancora molto tempo prima di veder realizzate le nostre speranze. L'analisi di temi tanto importanti, la cui soluzione sfugge spesso alle possibilità di attuazione dei giovani, perché attiene a competenze e responsabilità più alte, potrebbe costituire anche un ulteriore motivo di disillusione, di scetticismo e anche di rottura tra generazioni. Il congresso, molto sapientemente, ha riservato all'educazione un'attenzione speciale.

Vorrei mettere in evidenza il fatto che l'educazione è molto più di una preparazione alla prassi; essa non può ridursi semplicemente all'acquisizione di una scienza o all'apprendimento di una tecnica. La vera educazione comporta ed assume certamente la scienza, la cultura e la tecnica ma è orientata all'obiettivo nobilissimo della formazione della persona, nelle sue dimensioni umane integrali e nella prospettiva dei suoi fini più elevati. L'educazione è, di conseguenza, proposizione e assimilazione di "valori", che sono fondamento dell'identità, della dignità, della vocazione e della responsabilità dell'uomo come persona e come membro della società. I giovani, con pieno diritto, desiderano avere educatori che siano autentici maestri, che sappiano orientarli verso ideali elevati e sappiamo darne loro l'esempio con la loro vita. Un atteggiamento e un clima di relativismo e di permissivismo, spesso sviluppatisi dalla perdita o dall'erosione di valori spirituali ed etici, non hanno certamente prodotto buoni frutti e non aiutano lo sviluppo dell'autentica personalità dei giovani. Vorrei dirvi: abbiate il coraggio di proporre ai giovani di oggi mete elevate e di chiedere loro - dandone le motivazioni - i sacrifici necessari per conseguirle. Questo stimolerà le energie spesso latenti nel loro spirito, che sono in attesa di educatori convinti ed esperti che le facciano emergere e le orientino in maniera creativa. Su questa via si potranno rigenerare anche strutture e metodi di vita sociale sclerotizzati e restituire significato e gioia all'esistenza e al lavoro.

Eccellenza, nel rinnovare a lei e a tutti i partecipanti a questo importante congresso i miei sinceri e ferventi auguri, chiedo a Dio onnipotente che benedica gli sforzi di tutti coloro che lavorano per il bene della gioventù, che tanto profondamente apprezziamo.

Dal Vaticano, 1° luglio 1985.

Data: 1985-07-01 Data estesa: Lunedi 1 Luglio 1985











A un complesso musicale islandese - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La vostra arte accresce la sensibilità per i valori nobili

Cari amici provenienti dall'Islanda, sono molto lieto di avere quest'occasione per dare il benvenuto in Vaticano a voi, membri del coro polifonico islandese e dell'orchestra da camera di Reykiavik.

La vostra arte è un mezzo che indubbiamente accresce la vostra sensibilità per i valori e i sentimenti umani più nobili. Sono certo, perciò, che la vostra visita a Roma e il vostro contatto con le molte ricchezze culturali di questa città costituisce per ognuno di voi un momento di particolare gioia e un'esperienza che rafforzerà ulteriormente la vostra decisione di porre i vostri talenti al servizio del vostro prossimo.

Molte vostre esecuzioni hanno un significato profondamente religioso.

Prego perché in tutto ciò voi innalziate i vostri cuori alla contemplazione della paternità di Dio, la cui Provvidenza guida la vostra vita e benedice i vostri sforzi. La pace di Cristo vi sostenga.

Vi chiedo di portare i miei cordiali saluti ad ogni membro delle vostre famiglie e a tutti i vostri concittadini. Vi assicuro che l'Islanda occupa un posto speciale nel mio cuore e nelle mie preghiere.

Dio vi benedica tutti abbondantemente!

Data: 1985-07-05 Data estesa: Venerdi 5 Luglio 1985





La lettera di nomina a Legato pontificio per il Cardinale Joseph Cordeiro

Titolo: Dal congresso eucaristico internazionale la conferma e l'approfondimento della dottrina della fede

Al Venerabile Fratello Nostro Joseph di S.R.C. Cardinale Cordeiro Ogni quattro anni tutta la Chiesa di Dio sulla terra rivolge, con buon esito, tutto il suo animo, il suo fervore, tutta l'attenzione e la pietà ad un solo luogo di questo mondo, per un certo periodo di tempo; dove inoltre anch'essa, mediante i suoi pastori, rappresentanti di singole comunità, scelti gruppi di fedeli, desidera essere veramente ed essere pubblicamente veduta: quando, cioè, da tutte le genti viene celebrato un Congresso Eucaristico, con l'attenta trattazione di qualche dottrina, con la partecipazione alla sacra liturgia, con la cura dell'azione pastorale.

A questi desideratissimi congressi che i nostri predecessori, sia noi stessi quattro anni fa cercammo di essere presenti ad ogni costo, affinché fosse vista più chiaramente la loro universalità e anche l'utilità per infiammare salutarmente gli animi delle comunità cristiane, e con maggior certezza se ne sentissero pure i risultati per molti anni e si diffondessero fino agli estremi paesi della terra.

Così noi oggi pensiamo nel metterci davanti agli occhi, con la gioia più grande, un simile Congresso Eucaristico, che si svolgerà nel mese di agosto per un'intera settimana a Nairobi. Già fin d'ora volano là il nostro sentimento e il nostro affetto; già ci sembra di essere li, mentre con questa lettera parliamo un po' con te del medesimo argomento e ti manifestiamo il nostro pensiero sul tuo incarico in quel congresso.

Certo, crediamo che difficilmente sarebbe potuta capitare cosa più opportuna e più gradita dell'argomento e dell'assunto di questo quarantatreesimo Congresso Eucaristico Internazionale: ossia "Eucaristia e Famiglia Cristiana".

Nessuno può ignorare infatti con quanta insistenza finora, per tutto il tempo del nostro pontificato, abbiamo inculcato questi due insegnamenti della fede cattolica - sul culto della Santissima Eucaristia e sull'ideale della Famiglia Cristiana -; con quanta forza, anche, abbiamo predicato dovunque, sia con cerimonie pubbliche e documenti solenni, sia con continui discorsi ed iniziative d'ogni genere, questi elementi della nostra fede.

Perciò ci sta sommamente a cuore che il congresso, tanto diligentemente preparato e ricco di celebrazioni e discussioni, uffici e opere varie, avvenga assolutamente secondo il desiderio e corrisponda alla gioiosa attesa di tutti, per allietare profondamente tutta la Chiesa di Dio e confermarla ulteriormente nella conoscenza e nella pratica della dottrina eucaristica della famiglia.

Vogliamo e stabiliamo quindi che in luogo di noi, che da lontano seguiremo con animo attentissimo lo svolgimento di tutto il congresso e ogni giorno, perciò, pregheremo Dio Onnipotente, tu sia presente quale nostro inviato speciale al Quarantatreesimo Congresso Eucaristico Internazionale a Nairobi nel Kenia, venerabile fratello nostro, di cui già da tempo conosciamo l'integrità della dottrina e la solida pietà e fedeltà verso i misteri della fede cattolica e le norme tradizionali della morale cristiana.

A nome nostro, dunque, e con l'autorità nostra presiederai alle cerimonie nella basilica di Nairobi, dedicata alla Sacra Famiglia; e negli altri luoghi; secondo la nostra volontà renderai noti i saluti e comunicherai le istruzioni e le esortazioni, come faremmo noi se fossimo presenti. Con fiducia quindi ti affidiamo questo importante incarico, e domandiamo a Dio che tu possa assolverlo convenientemente, anche per un più felice esito del congresso stesso.

In luogo nostro, infine, comunicherai d'ufficio ai singoli cardinali e vescovi, ai sacerdoti e religiosi e a tutti i fedeli presenti alle celebrazioni, la Benedizione Apostolica, testimone del nostro benevolo interesse e auspice della grazia celeste, che con molto affetto trasmettiamo, affinché questo congresso sia realmente fecondo di frutti spirituali, i quali possano risolversi nel modo migliore anche in beneficio di tutta la terra d'Africa e di tutto il mondo.

Dai Palazzi Vaticani, il 5 luglio, l'anno 1985, settimo del nostro pontificato.

[Traduzione dal latino]

Data: 1985-07-05 Data estesa: Venerdi 5 Luglio 1985





A un congresso di cosmologia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lo studio dell'universo aiuti alla conoscenza dell'uomo

Cari amici,


1. Rivolgo un saluto cordialissimo ai partecipanti alla Conferenza vaticana di cosmologia. Quest'anno, in cui ricorre il 50° anniversario della ricerca scientifica alla Specola vaticana, vorrei cogliere quest'occasione per estendere le mie vivissime congratulazioni e i migliori auguri a padre Coyne e all'intero personale dell'Osservatorio. Sappiate che il vostro diligente lavoro, specialmente nel campo dell'astrofisica, insieme con la vostra consacrazione ecclesiale, rende una splendida testimonianza al profondo interesse della Chiesa per il mondo della scienza e in particolare per tutti gli uomini e le donne impegnati nella ricerca scientifica.

Saluto cordialmente gli astronomi osservazionali e i teorici di fisica gravitazionale e di cosmologia, che hanno accettato l'invito a prendere parte a questo importante incontro. E' una gioia darvi oggi il benvenuto, insieme con i membri delle vostre famiglie.


2. Attraverso le scienze naturali, e la cosmologia in particolare, siamo diventati molto più consapevoli della nostra vera posizione fisica nell'universo, nella realtà fisica, nello spazio e nel tempo. Siamo fortemente colpiti dalla nostra piccolezza e apparente insignificanza, e ancor più dalla nostra vulnerabilità in un ambiente così vasto e apparentemente ostile. Tuttavia, questo nostro universo, questa galassia in cui è situato il nostro sole e questo pianeta in cui viviamo, sono la nostra dimora. E tutto in qualche modo serve a sostenerci, a nutrirci, ad affascinarci, a ispirarci, a farci uscire da noi stessi e a farci guardare ben oltre i limiti della nostra visione. Ciò che scopriamo attraverso il nostro studio della natura e dell'universo, in tutta la sua immensità e ricca varietà, serve da una parte a sottolineare la nostra fragile condizione e la nostra piccolezza e dall'altra a manifestare chiaramente la nostra grandezza e superiorità in tutta la creazione: la posizione profondamente elevata che noi godiamo nell'essere capaci di cercare, di immaginare e di scoprire tanto. Siamo stati fatti a immagine e somiglianza di Dio. così, siamo in grado di riconoscere e di capire sempre di più sull'universo e su tutto ciò che esso contiene. Possiamo raggiungere e afferrare i suoi intimi processi e disegni, scandagliando le sue profondità con riverenza desiderosa di conoscere e con immaginazione rispettosa.


3. Questa conferenza, mi è stato detto, ha tra i suoi temi principali la determinazione delle intrinseche limitazioni della competenza cosmologica e della sua verificabilità osservazionale: i limiti nel principio e nella pratica della verifica scientifica dei suoi prodotti teorici. Con una crescita graduale e costante dell'umile conoscenza di sé, noi siamo in grado di evitare gli estremi di una valutazione esagerata delle nostre abilità e capacità o una valutazione spregiativamente ristretta e superficiale. E questo è vero per ogni disciplina o campo di studio. Una valutazione equilibrata sia dei nostri limiti che dei nostri punti di forza ci dà la possibilità di pianificare attentamente i nostri progetti, di intrattenere adeguate relazioni con le realtà materiale, personale e divina, e di diventare sempre più sensibili ad ogni informazione valida che ci è resa disponibile dalla scienza moderna.


4. Più noi conosciamo a riguardo della realtà fisica, della storia e della struttura dell'universo, della costituzione fondamentale della materia e dei processi e schemi che stanno alle radici del mondo materiale, più noi possiamo apprezzare l'immensità del mistero di Dio, meglio siamo in condizione di comprendere il mistero di noi stessi, della nostra origine e del nostro destino.

La creazione, infatti, per quanto siamo arrivati a conoscerla, ci parla, in riflessi frammentari e tuttavia molto veri, del Dio che l'ha creata e la mantiene in esistenza.

Naturalmente, quel quadro deve rimanere sempre incompleto, in modo stimolante. Alcuni aspetti della nostra vita si innalzano e oltrepassano la dimensione materiale e, pur avendo radici profonde nella materia, sorpassano la comprensione che le scienze naturali sono in grado di fornire. Essi attirano la nostra attenzione al regno dello Spirito. Le creazioni umane dell'arte e della poesia, il nostro desiderio di giustizia, di pace e di totalità, ogni esperienza umana veramente autentica, ci portano a riconoscere che c'è una spiritualità nell'universo e particolarmente nella vita umana, una spiritualità che non può essere semplicemente ridotta alle caratteristiche della realtà di cui si occupano le scienze fisiche e naturali. Ci sono certamente contributi importanti ed essenziali che le scienze devono rendere, direttamente e indirettamente, a queste più interiori o spirituali caratteristiche della realtà.

Questi contributi devono essere fatti ma la loro ricerca e il loro studio richiedono altri metodi complementari e altre discipline, come quelli forniti dalle arti, dalle discipline classiche, dalla filosofia e dalla teologia.

A loro volta, questi metodi e queste discipline devono diventare consapevoli delle loro competenze essenziali e dei loro limiti.


5. Molto di ciò che l'astronomia moderna e la cosmologia investigano non trova diretta applicazione attraverso la tecnologia. Tuttavia ciò dà un contributo vitalmente importante. Infatti ci aiuta, perlomeno, a porre noi stessi e ogni altra cosa in una prospettiva più ampia, incoraggiandoci ad andare oltre i nostri interessi ristretti ed egoistici. La visione di noi stessi, di Dio e dell'universo è radicalmente diversa da quella della gente del Medioevo. Noi ci vediamo situati in un contesto molto più ampio, in un mondo e in un universo molto più vasti e molto più intricatamente, e anche delicatamente, complessi. Infatti per la prima volta ci siamo visti dall'esterno, dalla luna, e da altri punti favorevoli nel nostro sistema solare. E attraverso questa sensazionale prospettiva, ci rendiamo conto di dover essere più responsabili per noi stessi, per il nostro prossimo, per le nostre istituzioni e per il nostro pianeta, qualunque sia la nostra nazione, religione o posizione politica. Ci rendiamo conto sempre più profondamente della nostra piccolezza e della nostra fragilità, ma, nello stesso tempo, della nostra grandezza. Siamo più inclini a dire insieme al salmista dell'Antico Testamento: "I cieli narrano la gloria di Dio e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento" (Ps 18,1).

Data: 1985-07-06 Data estesa: Sabato 6 Luglio 1985





Concelebrazione in onore dei santi Cirillo e Metodio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Illuminare con la luce di Cristo tutti i popoli della terra

Caro signor cardinale, cari fratelli nel servizio episcopale, amati fratelli e sorelle! "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra" (Mt 28,18). Queste parole udirono già gli apostoli dalla bocca del Cristo risorto dopo averlo visto sulla montagna in Galilea e dopo averlo adorato.

Muniti di questo potere, Cristo li manda in tutte le parti del mondo, a tutti i popoli, per conquistarli a Cristo, per battezzarli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: per aprire i loro cuori alla verità del Vangelo, per procurar loro la vita divina, per renderli partecipi alla vita della santissima Trinità.

Con questa buona novella e con il potere concesso agli apostoli e ai loro successori sulla montagna in Galilea, i santi Cirillo e Metodio si recarono dai nostri antenati, insegnando loro a osservare tutto ciò che Gesù aveva comandato. Insegnavano ad amare il nostro Signore e Salvatore, avendo loro stessi provato e vissuto il fatto che colui che sa amare, anzi, come esige il comandamento più grande, colui che ama con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente (cfr. Mc 22,37) riesce a conoscere e a penetrare più profondamente di chiunque altro l'ineffabile mistero del Figlio di Dio, che per la nostra salvezza si è fatto uomo.

E' caratteristico il fatto che san Cirillo quando si prepara, insieme con Metodio, alla sua missione nella Grande Moravia, comincia a tradurre, in primo luogo, il Vangelo secondo san Giovanni. In tal modo la prima proposizione scritta nella lingua slava fu la seguente: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio" (Jn 2,21). Gli apostoli degli slavi non esitarono ad insegnare ai nostri antenati le verità più profonde. Si fidavano del potere di quell'amore che riesce a conoscere anche ciò che risulta inesprimibile con le parole, come pure della grazia e della bontà del Padre, Signore del cielo e della terra, che ha tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le rivelate ai piccoli (cfr. Mt 11,25).

Lo conferma pure la piccola croce di piombo della seconda metà del secolo IX d.C., trovata nella località di Sady, presso Uherské Hradisté, dove probabilmente nei tempi dei santi Cirillo e Metodio esisteva un monastero o una scuola. L'iscrizione greca è: "Gesù Cristo, luce, vita, vittoria". Questa potrebbe essere una sintesi delle prediche di Cirillo e di Metodio, di ciò che essi con insistenza trasmettevano spesso ai loro discepoli e ai nostri avi. Essa potrebbe essere una risonanza di quella profonda fede che viene dal prologo del Vangelo secondo san Giovanni, che diventa, in questo modo, l'inizio delle letterature slave.

Gesù Cristo: luce... vita. Colui che portava quella piccola croce di piombo confessava ciò in cui credeva. Predicava agli altri che la vedevano, e forse anche baciavano, che "in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" (Jn 1,4). I santi Cirillo e Metodio vennero ad aprire ai nostri avi l'accesso verso la vita che è la luce, vennero a rendere testimonianza di quella luce, perché presi da Gesù che aveva detto: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita" (Jn 8,12). Gesù Cristo: luce, vita, vittoria. Come luce vinse le tenebre, come vita sconfisse la morte con tutto ciò che ad essa conduce.

I santi fratelli di Tessalonica portarono ai nostri antenati la luce della fede. Ma la fede vince il mondo. "E questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?" (1Jn 5,4). Possiamo aggiungere con l'apostolo Paolo: "La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov'è, o morte la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato... Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo". Da qui parte anche l'incoraggiamento dell'apostolo: "Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore!" (1Co 15,55-58).

Prodigarsi nell'opera del Signore significa continuare l'opera iniziata dai nostri apostoli. E continuare l'opera del Signore significa quindi predicare il messaggio di Cristo, il messaggio di perdono e di salvezza, diffondendolo come la luce per ogni epoca, per ogni generazione, anche per la nostra. Ciò vuol dire seminare il buon seme in ogni terra, seminarlo sempre di nuovo consolidando così la Chiesa di Cristo nelle anime, e in ogni campo e, insieme ad essa, la vita nella grazia e nel regno dell'amore. Continuare l'opera del Signore significa illuminare con la luce di Cristo ogni popolo e ogni lingua, ogni cultura e ogni manifestazione di vita. così, in Gesù Cristo, tutti possiamo e dobbiamo incontrarci, essendo soltanto lui la via, la verità e la vita per l'uomo, per ciascun uomo (cfr. Jn 14,6). In tal modo Cristo diventa anche la nostra vittoria e noi vinciamo con lui.

Carissimi fratelli e sorelle! Ci siamo radunati qui oggi proprio nel momento in cui le folle dei fedeli stanno radunandosi a Velehrad per ricordare insieme e dignitosamente il 1100° anniversario, nella cattedrale della diocesi.

Anche i fedeli slovacchi in Canada festeggiano oggi lo stesso anniversario, nella cattedrale della diocesi greco-cattolica dei santi Cirillo e Metodio a Unionville presso Toronto. Tutti noi siamo spiritualmente uniti con loro. Sono unito spiritualmente anche con tutti i fedeli cechi e slovacchi che non solo ricordano, festeggiano l'anniversario della morte di san Metodio, ma che pure cercano nell'eredità spirituale di questi apostoli slavi e nella loro opera la via e l'incoraggiamento per la loro vita quotidiana. Il mio cuore trabocca di amore verso tutti voi e del desiderio di incontrare, di salutare e incoraggiare ciascuno di voi personalmente.

Questo nostro incontro odierno è quasi un segno di ciò a cui anela il cuore, ma che finora non riesce a raggiungere pienamente, anzi, nemmeno riesce a pronunciare perfettamente. Perciò le parole passano nella preghiera, giacché quello che non è possibile agli uomini è possibile a Dio. Concludo le mie parole con una parte della preghiera nella quale sbocca anche la recente enciclica "Slavorum Apostoli".

"O Dio grande, uno nella Trinità, io ti affido il retaggio della fede delle nazioni slave: conserva e benedici questa tua opera! Ricorda, o Padre onnipotente, il momento nel quale, secondo la tua volontà, giunse per questi popoli e per queste nazioni la "pienezza dei tempi" e i santi missionari di Salonicco adempirono fedelmente il comando che il tuo Figlio Gesù Cristo aveva rivolto ai suoi discepoli; seguendo le loro orme e quelle dei loro successori, essi recarono nelle terre abitate dagli slavi la luce del Vangelo, la buona novella della salvezza...

Esaudisci, o Padre, ciò che da te implora oggi tutta la Chiesa e fa' che gli uomini e le nazioni che, grazie alla missione apostolica dei santi fratelli di Salonicco, conobbero e accolsero te, Dio vero, e mediante il Battesimo entrarono nella santa comunità dei tuoi figli, possano continuare ancora, senza ostacoli, ad accogliere con entusiasmo e con fiducia questo programma evangelico e a realizzare tutte le proprie possibilità umane sul fondamento dei loro insegnamenti.

Possano essi seguire, in conformità alla propria coscienza, la voce della tua chiamata, lungo le vie indicate per la prima volta undici secoli or sono! La loro appartenenza al regno del tuo Figlio non possa esser considerata da nessuno in contrasto col bene della patria terrena! Possano rendere a te la lode dovuta nella vita privata e in quella pubblica! Possano vivere nella verità, nella carità, nella giustizia e nel godimento della pace messianica, che abbraccia i cuori umani, le comunità, la terra e l'intero cosmo! Consci della loro dignità di uomini e di figli di Dio, possano avere la forza di superare ogni odio e di vincere il male col bene! Amen! Amen!".

Data: 1985-07-07 Data estesa: Domenica 7 Luglio 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'eredità cristiana e culturale dei "padri" dei popoli slavi

Fratelli e sorelle carissimi!


GPII 1985 Insegnamenti - Messaggio all'Unesco sui giovani - Città del Vaticano (Roma)