GPII 1985 Insegnamenti - Ai sacerdoti neocatecumenali - Città del Vaticano (Roma)

Ai sacerdoti neocatecumenali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rafforzare il legame vitale con tutta la cattolicità

Carissimi!


1. Ho ascoltato con vivo interesse le parole, che a nome di tutti voi, mi ha rivolto Kiko Argüello, il quale ha voluto descrivere come tutte le Comunità del "Cammino neocatecumenale", sparse nelle varie Nazioni, si siano impegnate nella continua preghiera e meditazione per il Sinodo straordinario, che si è celebrato a 20 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II.

La vostra partecipazione spirituale alla preparazione e la vostra presenza alla cerimonia conclusiva del Sinodo hanno voluto essere una manifestazione significativa e solenne della vostra fedeltà a Cristo Redentore e alla Chiesa pellegrina, che trasmette agli uomini la grazia, in particolare nei segni sacramentali, che fanno memoria e rendono attuale l'efficacia della Redenzione.

Mi è gradito in questa udienza ricordare i tanti incontri, che ho avuto con varie vostre Comunità, in particolare nelle visite pastorali nella mia diocesi di Roma, incontri nei quali ho incoraggiato la vostra esperienza spirituale, che si fonda sul valore basilare del sacramento del Battesimo, nella consapevolezza che realizzare la dimensione battesimale significa, principalmente, vivere l'identità autentica dell'essere cristiani: significa unirsi intimamente a Cristo Eucaristia; significa amare concretamente ed efficacemente tutti gli uomini come fratelli in Cristo; significa impostare e indirizzare le proprie scelte morali in conformità e in sintonia con le promesse battesimali. "Questo cammino, cammino della fede, cammino del Battesimo riscoperto - ho detto ai vostri amici della parrocchia dei Santi Martiri Canadesi in Roma - deve essere un cammino dell'uomo nuovo; questi vede qual è la vera proporzione, o meglio, la sproporzione della sua entità creata, della sua creaturalità rispetto al Creatore, alla sua maestà infinita, al Dio redentore, al Dio santo e santificante, e cerca di realizzarsi in quella prospettiva".


2. La maggior parte di voi è costituita da un numeroso gruppo di parroci e sacerdoti, che lavorano nell'ambito del "Cammino neocatecumenale". Il Concilio Vaticano II ha dedicato la sua attenzione e le sue cure anche al ministero e alla vita sacerdotale nel decreto "Presbyterorum Ordinis", solennemente approvato il 7 dicembre 1965. In tale importante documento - che vi invito a rimeditare - il Concilio, basandosi sulla Parola di Dio, sull'insegnamento dei Padri, del magistero e sulla viva tradizione del Popolo di Dio, sottolineava che i presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai vescovi, "sono promossi al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Tempio dello Spirito Santo" (PO 1).

Voi, parroci e sacerdoti presenti, desiderate certamente anche una parola del Papa per comprendere ancor meglio quello che la Chiesa oggi attende da voi. Lo faccio ben volentieri, perché sono certo che la mia esortazione non potrà non avere un influsso positivo e benefico anche sulle vostre Comunità e sui singoli, in ordine alla loro presenza nella realtà ecclesiale.


3. Gli obiettivi che si propongono le vostre Comunità neocatecumenali corrispondono certamente a uno degli interrogativi più angosciosi dei pastori di anime di oggi, specialmente nei grandi agglomerati urbani. Voi intendete raggiungere la massa di battezzati adulti, ma poco istruiti nella fede, per condurli, attraverso un cammino spirituale, a riscoprire le radici battesimali della loro esistenza cristiana e per renderli sempre più consapevoli dei loro doveri. In questo cammino l'opera dei sacerdoti rimane fondamentale. Di qui la necessità che sia ben chiara la posizione che a voi spetta come guide delle Comunità, affinché la vostra azione sia in sintonia con le reali esigenze della pastorale.

La prima esigenza che vi s'impone è di sapere mantener fede, all'interno delle Comunità, alla vostra identità sacerdotale. In virtù della sacra Ordinazione voi siete stati segnati con uno speciale carattere che vi configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in suo nome (cfr. PO 2).

Il ministro sacro quindi dovrà essere accolto non solo come fratello che condivide il cammino della Comunità stessa, ma soprattutto come colui che, agendo "in persona Christi", porta in sé la responsabilità insostituibile di Maestro, Santificatore e Guida delle anime, responsabilità a cui non può in nessun modo rinunciare. I laici devono poter cogliere queste realtà dal comportamento responsabile che voi mantenete. Sarebbe un'illusione credere di servire il Vangelo, diluendo il vostro carisma in un falso senso di umiltà o in una malintesa manifestazione di fraternità. Ripetero quanto già ebbi occasione di dire agli assistenti ecclesiastici delle associazioni internazionali cattoliche: "Non lasciatevi ingannare! La Chiesa vi vuole sacerdoti, e i laici che incontrate vi vogliono sacerdoti e niente altro che sacerdoti. La confusione dei carismi impoverisce la Chiesa, non la arricchisce" (13 dicembre 1979).

Ogni volta che ritorno con il pensiero alle vaste regioni dell'America Latina, si rinnova nel mio cuore il sentimento che questo giovane ed incantevole continente sa risvegliare, come qualcosa che gli appartiene: il sentimento della speranza.

La vostra deferente visita di oggi riporta al mio spirito questo peculiare sentimento ed un'intima compiacenza, conoscendo l'ideale che vi ha riunito a Roma: l'ideale di amicizia fra le vostre nazioni e di unità latinoamericana. Un ideale degno di ogni sforzo e sacrificio, di offerte e rinunce.

Anche la Chiesa lo vive, e molto profondamente, in America Latina.

Durante le Conferenze generali del suo Episcopato, celebrate a Medellin ed a Puebla de Los Angeles, ho tracciato un piano di azione apostolica e pastorale di vaste e profonde dimensioni, orientato fondamentalmente a rafforzare spiritualmente la fraternità e l'unità di tutti i popoli del vostro continente, che si basa su di un comune sostrato culturale, storico e religioso.

Molte circostanze del momento attuale esigono che si fomentino e rinnovino gli incontri orientati non solo a conservare ciò che è il fondamento dell'unità dell'America Latina, ma a proiettarla più compiutamente nel futuro, in accordo con i principi di reciprocità, solidarietà e collaborazione effettiva. C'è un fatto che ha acquistato particolare rilievo in questi ultimi anni: il ritorno di vari paesi latino-americani al regime democratico costituzionale. Permettetemi di esprimere a questo riguardo, il desiderio che questo fatto rivesta nella storia dell'America Latina un significato nuovo e più profondo, nel senso che questa transizione porti a dare vigore ed a consolidare i vincoli di unità culturale, politica ed economica fra i vostri paesi, e che nasca così una cooperazione più efficace per far fronte al grave problema dell'ingiustizia e della miseria allo stesso tempo si favorisca la promozione integrale della persona umana, tutelando i suoi diritti e rispettando sempre la sua dignità.

Un fattore di ordine economico che oggi aggrava la situazione di povertà e di disequilibrio sociale in ampi settori del mondo latino-americano, è quello dell'indebitamento con l'estero. Su questa preoccupante questione desidero ripetere quello che dissi all'Assemblea Generale dell'Onu, riunitasi in occasione del 40° anniversario dell'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite. La questione del debito con l'estero "è diventata soprattutto un problema di cooperazione politica e di etica economica. Il costo economico, sociale ed umano di questa situazione, frequentemente è tale per cui mette paesi interi sull'orlo della rottura. Per altro né i paesi creditori, né quelli debitori guadagnano qualcosa, se si producono situazioni di disperazione che sfuggirebbero a qualsiasi controllo. La giustizia e l'interesse di tutti esigono che, a livello mondiale si esamini la situazione nella sua globalità ed in tutte le sue dimensioni, non solamente economiche e monetarie, ma anche sociali, politiche ed umane" (n. 5).

Perciò per far fronte alla gravità di questo problema, è necessario dar maggiore vigore ed efficacia al principio dell'unità ed integrazione latino-americana. E' questo un nobile ideale che esige lo sforzo concorde di tutti per trovare rimedi ai mali che affliggono tante persone in quel continente. Penso alla famiglia ed ai diversi condizionamenti di ordine strutturale e di educazione che impediscono la sua unità e stabilità. Penso a tanti giovani a cui si presenta un futuro oscuro e carente di autentici valori spirituali, se poi non vengono indotti al terribile male della droga. Anche in questo campo si impone la necessità di seguire un piano di leale cooperazione regionale e continentale, affinché i mezzi che si attuano per combattere il traffico di narcotici, abbiano la debita efficacia.

Durante i miei viaggi apostolici nelle vostre nazioni, mi sono reso conto della profondità della crisi sociale che le affigge e del pericolo che corrono, se una politica sociale sbagliata cercherà di uscire da questa crisi attraverso il cammino della violenza, a cui ricorrono già in alcune regioni certi gruppi e movimenti, lasciando una scia di morte e di dolore dove passano. Ma in questi stessi viaggi mi sono convinto anche che è necessariamente l'America Latina la regione del mondo in sviluppo, che ha una realtà spirituale, sociale e culturale i cui valori rendono possibile il superamento della crisi attraverso il cammino che la Chiesa ispira con la sua dottrina sociale. Voglia il cielo che questa prospettiva di speranza rivolta ad una pace frutto della giustizia, trovi spazio nelle intenzioni degli uomini di governo e leaders politici, e li induca a mettere in pratica quei mezzi indispensabili per distruggere all'origine la spirale della violenza.

In questa fine del secondo millennio, quando ci prepariamo a commemorare il V° centenario dall'inizio dell'evangelizzazione dell'America Latina, faccio voti affinchè i figli di quell'amato continente della speranza, fedeli alle loro tradizioni più nobili ed alle proprie radici cristiane, avanzino sul cammino della riconciliazione e della fraternità, in uno sforzo comune volto al superamento delle divisioni a favore dell'unità attesa tanto ansiosamente. Eccellenze, ringraziandovi per questa visita, vi esprimo i miei più vivi auguri per una felice riuscita delle opere che state realizzando, mentre invoco su ciascuno di voi, dei vostri collaboratori, famiglie e sulle nazioni che rappresentate, la benedizione del Signore.

Voglio aggiungere ancora: buon Natale a tutti.

Ho trovato tra voi molti sacerdoti, ma anche tanti laici, tanti sposi itineranti. Devo dirvi che i primi che sono andati a Betlemme, che hanno riconosciuto il mistero dell'Incarnazione, erano itineranti: erano pastori. Poi lo stesso Gesù si è fatto itinerante a trent'anni, cominciando con la dichiarazione messianica a Nazaret. Egli, inoltre, fece itineranti tutti i suoi apostoli, inviandoli in tutto il mondo. La Chiesa, pertanto, è certamente itinerante, in cammino, e possiamo dire che anche il Papa cerca sempre più di essere itinerante, anche se con metodi più "sofisticati" e, forse, meno autentici dei vostri, perché voi siete itineranti poveri, senza aerei. Ma auguriamo a tutti noi, Papa incluso, di essere sempre, con tutti i mezzi possibili, itineranti del Vangelo, cioè itineranti del mistero, di questo mistero che ci è stato rivelato dalla nascita di Gesù, dall'incarnazione del Figlio di Dio, e, poi, dalla sua missione, dalla sua morte sulla croce e dalla sua risurrezione. così ci è stata rivelata una vita, una vita nuova, una vita divina, una vita eterna. Noi siamo itineranti di questa vita.

Non sarebbe possibile per noi essere itineranti di questa vita, della vita eterna, se la stessa vita non ci fosse stata data prima. Noi abbiamo già questa vita e questa vita ci spinge, questa vita ci viene da Gesù Cristo, questa vita ci viene tramite Gesù Cristo dallo Spirito Santo. Lui è sorgente della vita divina nelle creature, è sorgente della vita divina in noi uomini. E' lui che ci spinge. Ci spinge Gesù Cristo itinerante, itinerante del Padre, perché è il Padre che lo ha inviato e che lo ha fatto itinerante tra noi.

Ci spinge, dunque, Gesù Cristo itinerante, inviato, missionario, perché Verbo di Dio nella missione, "missiones divinarum personarum" - così ho imparato da san Tommaso. "Missio" vuol dire "essere mandati" e perciò essere itineranti.

Cristo ci spinge nello Spirito Santo, perché anche lo Spirito è inviato, inviato in modo diverso, non come Cristo, non in forma visibile, umana, incarnata, uno Spirito Santo non incarnato, ma inviato. La sua missione si può dire ancora più penetrante, perché scende su ciò che è più intimo nell'uomo, in ogni creatura.

Come diceva sant'Agostino "Intimior intimo meo". Ecco la missione dello Spirito Santo, dello Spirito inviato. E voi vi fate itineranti con la forza di quel Figlio incarnato, che ci ha dato esempio della missione visibile. E voi vi fate itineranti con la forza dello Spirito Santo della missione invisibile. Grazie alla missione del Figlio e dello Spirito Santo, avendo quella vita che tramite loro viene dal Padre, voi divenite itineranti. Come diceva san Paolo, la missione ci spinge: guai a me se non evangelizzassi.

Vi auguro questo gaudio che è proprio delle feste natalizie, vi auguro il gaudio dei pastori itineranti che hanno trovato la via verso Betlemme. Vi auguro il gaudio che viene da coloro che si convertono. Tra voi ci sono molti convertiti che hanno ritrovato Cristo, hanno ritrovato Dio venendo molte volte dalla sponda contraria. Vi auguro ancora il gaudio che viene dalla conversione delle persone, delle anime. Come ci ha detto Cristo, vi è gioia più grande in cielo per un peccatore che si converte che non per novantanove giusti. Vi auguro questo gaudio e che così sia ricompensata la vostra itineranza e il vostro cammino neocatecumenale.

Di nuovo vi auguro "Buon Natale". Lo dico in italiano per facilità, ma lo si dovrebbe dire in tante lingue. Voglio estendere questo augurio di Buon Natale a tutte le comunità, a tutti i popoli dai quali provenite, ai vostri parrocchiani, ai vostri confratelli, alle vostre famiglie.

Data: 1985-12-09 Data estesa: Lunedi 9 Dicembre 1985











Omelia agli Universitari romani - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Venga colui che porta la giustizia di Dio nella storia umana




1. "Stillate dall'alto, o cieli la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto" (Is 45,8). Si può dire che questa invocazione del profeta Isaia è la più significativa dell'Avvento. Nella sua versione originale ci introduce in modo completamente autentico in ciò che fu l'essenziale contenuto del primo Avvento.

Israele aspetta il Giusto così come la terra aspetta la pioggia: "Le nubi facciano piovere... si apra la terra e produca la salvezza" (Is 45,8).

Conviene soffermarci su questa metafora. La terra aspetta la pioggia.

Questa attesa della terra è un tempo particolarmente drammatico, come per esempio in quella zona africana colpita dalla siccità qual è il territorio dei paesi situati nel Sahel. La terra aspetta la pioggia, ma il dramma di questa aspettativa si svolge nel cuore dell'uomo. Infatti dalla pioggia dipende la fertilità della terra e, insieme con essa, la possibilità di sopravvivenza come pure dell'esistenza da parte dei suoi abitanti.


2. Ecco allora che quella dimensione ambientale - e insieme economica - del testo di Isaia è molto significativa. Essa appare in diversi brani del libro di Isaia tra cui quello della prima lettura della liturgia odierna.

"I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n'è, / la loro lingua è riarsa per la sete; / io, il Signore, li ascoltero, / io, Dio di Israele, non li abbandonero. / Faro scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli. / Cambiero il deserto in un lago d'acqua, / la terra arida in sorgenti. / Piantero cedri nel deserto, / acacie, mirti e ulivi; / porro nella steppa cipressi, / olmi insieme con abeti..." (Is 41,17-19).

L'uomo che abita nel Sahel, o in altre simili regioni del mondo colpite dalla siccità, comprende questo quadro biblico certamente meglio di noi oggi qui riuniti. Egli lo comprende in base alla propria esperienza; ma dobbiamo dar fede a questa esperienza che si manifesta nelle parole di Isaia. E così - con la similitudine dell'attesa di pioggia da parte della terra arida - ci diventa comprensibile l'attesa dell'Avvento di Israele.


3. Chi è il Giusto? E' colui che deve fare felici i cuori, così come la pioggia porta con sé la fertilità della terra.

Il profeta prega per la sua venuta. E la venuta è attesa tanto da parte del "cielo": "stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada, e dalle nubi scenda a noi il Giusto"; quanto da parte della "terra": "si apra la terra e produca la Salvezza". Mediante ciò il profeta coglie il nucleo stesso del mistero dell'Incarnazione, della divina natività: l'adempimento del primo Avvento.

Colui che è atteso da Israele, e in esso dall'umanità dopo il peccato originale, è il Salvatore. E' il Salvatore per il fatto che egli è il "Giusto". La Salvezza si unisce alla Giustizia. Che cosa vuol dire Giustizia? 4. Qui ci troviamo dinanzi all'espressione, al concetto che ha acquistato ampia cittadinanza nella storia dell'umanità, nell'ethos umano. Ha acquistato cittadinanza pure - e forse soprattutto - mediante l'esperienza di ciò che è ingiusto. Quando l'uomo esperimenta ciò che è giusto, fa riferimento alla giustizia. così fu ai tempi di Israele. così fu ai tempi di Cristo. E così è pure ai nostri tempi. Ci richiamiamo alla giustizia, sperimentando ciò che è ingiusto, ciò che - in diversi modi e in diversa misura - è ingiusto. Questo può accadere nella relazione tra uomo e uomo, può accadere a livello sociale nei rapporti reciproci dei gruppi o degli strati della stessa società. Oppure nei rapporti tra coloro che esercitano il potere e quelli che sono loro sottomessi.

Più spesso l'esperienza dell'ingiustizia si collega con la disuguale, sproporzionata divisione dei beni materiali. Esiste tuttavia un'altra esperienza di ingiustizia, quando, per esempio, un gruppo, che esercita il potere politico, priva i cittadini dei loro giusti diritti, come il diritto di partecipare alla decisione sui problemi essenziali della vita nazionale, o come il diritto alla libertà religiosa e di coscienza! Molto vasta e diversificata è l'esperienza dell'ingiustizia nella storia dell'umanità. A volte essa contribuisce a scavare quasi un "abisso" tra un ristretto gruppo di persone, economicamente o politicamente privilegiate, e un largo cerchio di uomini privi dei diritti che loro competono, oppure mancanti dei beni loro necessari. Il problema della giustizia si collega strettamente con il problema della pace: "iustitia et pax". La pace infatti può crescere solo sul terreno della giustizia: interpersonale, sociale, internazionale.

Opus iustitiae pax! 5. Il grido dell'Avvento che invoca il Salvatore, il Giusto racchiude in sé il riferimento a tutte queste forme, a tutte queste dimensioni dell'ingiustizia. Il Giusto è colui che indica la strada per superarla; è colui che libera dalla ingiustizia.

Quanto eloquenti sono le parole di Isaia: "Si apra la terra e produca la salvezza". E contemporaneamente il profeta prega: "Stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenderà a noi il Giusto". In questo modo egli diventa il testimone e l'espressione del desiderio che risale al di là, oltre le dimensioni umane della giustizia, oltre il suo senso puramente "orizzontale".

Isaia il profeta: uno che parla in nome di Dio, che è testimone della Rivelazione data a Israele. Egli ci trasmette l'espressione della Giustizia che è da Dio. Della Giustizia che è solo Dio! Non è forse egli tante volte - e insieme con altri profeti - il denunziatore dell'infedeltà del suo popolo nei confronti di Jahvè? Non sono forse i profeti diventati il portavoce della difesa di Dio, e insieme del dolore nel suo amore tradito? (cfr. Is 5 Os 10,1 Os 11,8-9 Jr 2,21 Jr 6,9 Jr 31,1-21 Ez 16,1-62). Perciò esiste anche una tale dimensione dell'ingiustizia! Non vi è solo il torto dell'uomo nei confronti dell'altro uomo.

Non vi è solo il sopruso di una creatura nei confronti di un'altra. Ma esiste l'offesa della creatura nei confronti del Creatore.


6. può essere l'uomo "ingiusto" nei confronti di Dio? Se la giustizia si riferisce solo a due soggetti, che sono uguali allora evidentemente: no.

Se tuttavia giustizia significa rendere ciò che compete ad un altro, e, in questo caso, rendere ciò che compete a Dio da parte della creatura, da parte dell'uomo, allora: si. In tal caso, infatti, entriamo in un'altra esperienza di ingiustizia. E insieme entriamo in una necessità ancor più profonda della Giustizia.

Isaia, gli altri profeti e custodi della verità divina, conoscono questa dimensione. Conoscono pure questo bisogno. Questa dimensione e questa necessità risalgono al Principio stesso. Si radicano nella disobbedienza originaria nei confronti del Creatore e Padre. Disobbedienza è uguale a ingiustizia? 7. In ogni caso il grido d'avvento verso il giusto si pone in questa dimensione.

Il Redentore verrà come l'"obbediente fino alla morte" (cfr. Ph 2,8) e, in pari tempo, come colui che "giustificherà". Giustificherà l'uomo dinanzi a Dio.

Il grido d'avvento verso il Giusto suona "stillate dall'alto, o cieli, la vostra rugiada, e dalle nubi scenda a noi il Giusto"; in pari tempo "si apra la terra e produca la salvezza". Che venga da Dio e nasca dalla terra! Infatti è necessario che abbracci tutta la ingiustizia della terra, e la riferisca al Principio stesso. E' necessario che abbracci quella ingiustizia, che pervade la storia dell'uomo, che si radica nel suo cuore, e che la rialzi "al livello" di Dio.

L'Uomo che si è privato dell'eredità "della giustizia originaria", la quale - insieme con l'essere a immagine e somiglianza di Dio - fu dono del Creatore, può venire "giustificato" solo con tale Giustizia, che è da Dio.


8. Il "Giusto", verso il quale la Chiesa prega nel tempo di Avvento, è proprio colui che apporterà questa giustizia e la radicherà nei cuori degli uomini. La radicherà nella storia dell'uomo. La renderà una eredità nuova, salvifica della famiglia umana, perché superi gradatamente e durevolmente ogni ingiustizia, che ha riempito la storia dell'uomo, che si nasconde nel cuore. Infatti ogni ingiustizia, nelle relazioni interpersonali, sociali e internazionali (ingiustizia nel significato orizzontale) ha il suo inizio e la sua fonte in quella primigenia "ingiustizia" (che possiamo chiamare "verticale"), la quale è disobbedienza, è peccato.

Ogni ingiustizia dell'uomo nei confronti dell'uomo, della nazione nei confronti di un'altra nazione, dei possidenti nei confronti dei non-possidenti, di coloro che esercitano il potere nei confronti degli oppressi è contemporaneamente "ingiustizia" nei confronti di Dio. E' disobbedienza. E' peccato.

Non ne rendono testimonianza Isaia e gli altri profeti? Certamente.

Quante volte! E Cristo non dice forse: "ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me... Ogni volta che avete fatto queste cose l'avete fatto a me" (Mt 25,4 Mt 5 Mt 25,40)? Questo egli afferma.


9. Occorre che meditiamo bene, noi uomini del XX secolo, che sta per giungere alla fine, e il mio invito si rivolge, oggi, particolarmente a voi professori e studenti degli atenei romani: meditiamo con attenzione: Qual è il pieno significato di questo grido d'avvento? Qual è la sua portata? Qual è la sua eloquenza dinanzi al mondo contemporaneo, nel secondo millennio dopo Cristo, che sta per finire? Questo grido d'avvento verso il Giusto si riferisce pure a me? A ciascuno di noi? Ognuno di noi non ha forse "bisogno" - e non desidera! - questa Giustizia che porta Cristo? Noi, uomini del progresso unilaterale, non abbiamo forse perduto le proporzioni più essenziali, dalle quali dipende l'equilibrio più profondo del mondo umano? E l'equilibrio dell'intimo umano? Ognuno di noi, dalla profondità dell'esperienza della molteplice ingiustizia, non deve forse gridare verso il Giusto proprio come grido Isaia? Come grida la Chiesa nel tempo d'Avvento? Gridare verso colui che è capace di convertire l'uomo dalla disobbedienza e dal peccato alla "giustizia". Verso colui che porta la Giustizia più grande; più profonda di qualsiasi giustizia umana? (la quale tante volte si collega con l'ingiustizia!).

Verso colui che porta la Giustizia di Dio, e la innesta nei cuori umani, nella storia umana?


10. Il Vangelo odierno indica con estrema chiarezza che l'uomo è "misurato" dagli occhi di Dio con il metro del "Regno dei cieli": del Regno di Dio. Le parole, che pronunzia Cristo su Giovanni Battista, lo indicano espressamente.

Il nostro incontro d'Avvento serve proprio perché noi ci ricordiamo questo "metro". Perché noi desideriamo questa definitiva Giustizia, che è da Dio.

Questa giustizia che Cristo porta.

Preparatevi al Natale nel sacramento della Riconciliazione e della Comunione, che riporta questa Giustizia alle nostre anime e introduce nella vita.


11. Voglio concludere ricordando - vent'anni dopo il termine del Concilio Vaticano II - alcune parole che, nel giorno della chiusura, l'8 dicembre 1965, nella solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, i Padri conciliari indirizzarono alla gioventù: la Chiesa "ha fiducia che... voi saprete affermare la vostra fede nella vita e in quanto dà senso alla vita: la certezza dell'esistenza di un Dio giusto e buono. E' a nome di questo Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo ad ampliare i vostri cuori secondo le dimensioni del mondo, a intendere l'appello dei vostri fratelli, e a mettere arditamente le vostre giovani energie al loro servizio".

E ai professori, ai rappresentanti del mondo della cultura e della scienza si sono rivolti con queste parole: "Continuate a cercare, senza mai rinunciare, senza mai disperare della verità... Forse mai come oggi, grazie a Dio, è apparsa così bene la possibilità di un accordo profondo fra la vera scienza e la vera fede, entrambe al servizio dell'unica verità. Non disperdete questo incontro prezioso! Abbiate fiducia nella fede, questa grande amica dell'intelligenza!".

Venite adoriamo il Signore. il Re che sta per venire, "il solo che ha potuto dire e può dire "Io sono la luce del mondo, io sono la via, la verità e la vita"".

Data: 1985-12-12 Data estesa: Giovedi 12 Dicembre 1985





Lettera all'arcivescovo di Hanoi, presidente della Conferenza Episcopale Vietnamita

Titolo: Voti di serenità, pace e prosperità per il diletto popolo vietnamita

A Sua Eminenza il Cardinale Joseph-Marie Trinh-van-Can Arcivescovo di Hainoi Presidente della Conferenza Episcopale del Vietnam Desidero innanzitutto esprimere la gioia intima che provo nel ricevervi con Monsignor Paul Huynh dong Cac, Vescovo di Qui-Nhon. Secondo un'antica norma canonica della Chiesa, siete venuti a Roma per visitare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, ed incontrare il Successore di Pietro per confidargli le vostre preoccupazioni pastorali, per metterlo al corrente delle attività e dei progetti apostolici delle vostre comunità, esprimendo così, in modo ancora più completo, il profondo legame di comunione che vi unisce al Papa e, attraverso lui, a tutta la Chiesa cattolica.

Sono certo che i due Apostoli, "colonne e fondamenta" della Chiesa di Roma, avranno accolto le espressioni della vostra fede formulate nel segreto del vostro cuore, le vostre preoccupazioni, le vostre sofferenze più nascoste e l'amore sincero e concreto che nutrite per il vostro Popolo.

Sono ugualmente persuaso che vi siete fatti interpreti fedeli di tutti i vostri Confratelli nell'Episcopato, ai quali non è stata offerta la possibilità di unirsi a voi per condividere questo momento di gioia e comunione fervente con la Chiesa universale.

In questa circostanza, desidero confidare a Vostra Eminenza, in qualità di Presidente della Conferenza Episcopale del Vietnam, l'incarico di esprimere a tutti i Vescovi l'affetto che nutro per ognuno di loro.

Vostra Eminenza vorrà sicuramente dir loro che il Papa è loro vicino nel loro delicato ministero e che sa bene con quale zelo e quale devozione guidino le loro truppe, spesso fra privazioni e sofferenze, ma sempre convinti che, nella misura in cui partecipano alle sofferenze di Cristo, ne condivideranno anche, al momento della rivelazione della Sua gloria, la gioia e l'allegria (cfr. 2P 4,13-14).

A tutti, voi avrete a cuore di trasmettere i miei sentimenti d'ammirazione per la fedeltà dimostrata, in molte occasioni, a Cristo e al Successore di Pietro, e per l'umile fierezza con cui dimostrano costantemente di appartenere alla Chiesa di Cristo.

Desideravo ardentemente poter incontrare in questa occasione - resa ancora più significativa perché sono passati venticinque anni esatti da quando è stata istituita la gerarchia in Vietnam - ognuno dei Vescovi del vostro paese.

Potete indovinare senza fatica quanto mi affligga il fatto che non sia stato loro concesso di realizzare un desiderio del loro cuore di Pastori e di conformarsi ad una norma che obbliga, in modo identico, tutti i Vescovi della Chiesa.

Inoltre, come non ricordare qui che non ho ancora avuto la gioia di conoscerli tutti personalmente, dato che un certo numero di essi non ha nemmeno potuto venire a Roma nel 1980, anno dell'ultima visita "ad limina", anche se allora più di venti prelati furono in grado di raggiungere la Città Eterna.

Voglio oggi ricordarmi di ognuno di quei Pastori vietnamiti che mi sono particolarmente cari. Vorrei in questo modo che siano loro manifesti il nostro affetto e la nostra vicinanza nella preghiera, che si estendono evidentemente anche ai sacerdoti, ai religiosi ed ai fedeli affidati alle loro cure.

Della Provincia Ecclesiastica di Hanoi, di cui Vostra Eminenza è il venerato Arcivescovo Metropolitano, nomino: Mons. Paul Joseph Pham Dinh Tung, Vescovo di Bac-Ninh; Mons. Dominique Marie Le Huu Cung, Vescovo di Bui-Chu e il suo ausiliare Mons. Joseph Vu Duy Nhat; Mons Joseph Nguyen Tung Cuong, Vescovo di Hai-Phong; Mons. Joseph Phan The Hinh, Vescovo di Hung-Hoa; Mons. Vincent Pham Van Du, Vescovo di Lang-son; Mons. Paul Bui Chu Tao, Vescovo di Phat-Diem; Mons. Joseph Dinh Binh, Vescovo di Thai-Binh; Mons. Pierre Pham Tan, Vescovo di Thanh-Hoa; Mons. Pierre Tran Xuan Hap, Vescovo di Vinh; e Mons. Francois-Xavier Nguyen Van Sang, vostro Ausiliare.

Per la Provincia Ecclesiastica del centro, oltre all'Arcivescovo di Hué, Mons. Philippe Nguyen Kim Diem, il cui zelo apostolico e il coraggio mi sono ben noti, voglio menzionare: Mons. Pierre Nguyen Huy Mai, Vescovo di Ban-Me-Thuot e il suo Ausiliare Mons. Joseph Trinh Chinh Truc; Mons. Pierre Marie Pham Ngoc Chi, Vescovo di Da-Nang e il suo Ausiliare Mons. Francois-Xavier Nguyen Quang Sach; Mons. Alexis Phan Van Loc, Vescovo di Kontum e il suo Ausiliare Mons. Pierre Tran Thanh Chung; Mons. Paul Nguyen Van Hoa, Vescovo di Nha-Trang; Mons. Paul Huynh Dong Cac, Vescovo di Qui-Nheon qui presente, ed il suo Ausiliare Mons. Joseph Phan Van Hoa.

Della Provincia ecclesiastica di Hochiminville, affidata alle cure pastorali del zelante Arcivescovo, Mons. Paul Nguyen Van Binh, oggi assente, ma che ho già incontrato personalmente, desidero citare: Mons. Jacques Nguyen Ngoc Quang, Vescovo di Can-Tho, ed il suo Ausiliare Mons. Emmanuel Le Phong Thuan; Mons. Barthélemy Nguyen Son Lam, Vescovo di Dalat; Mons. Michel Nguyen Khac Ngu, Vescovo di Long-Xuyen, ed il suo Ausiliare Mons. Jean-Baptiste Bui Tuan; Mons.

Joseph Tran Van Thien, Vescovo di My-Tho, ed il suo Ausiliare Mons. Andrén Nguyem Van Nam; Mons. Nicolas Huynh VAn Nghi, Vescovo di Phan-Thiet; Mons. Joseph Pham Van Thien, Vescovo di Phu-Cuong, ed il suo Ausiliare Mons. Louis Ha Kim Danh; Mons. Jacques Nguyen Van Mau, Vescovo di Ninh-Long, ed il suo Ausiliare Mons.

Raphael Nguyen van Diep; Mons. Dominique Nguyen Van Lang, Vescovo di Xuan-Loc, ed il suo Ausiliare Mons. Paul Nguyen Minh Nhat; e Mons. Louis Pham Van Nam, Ausiliare di Hochiminville.

Non posso non ricordare qui, con affetto particolare, il caro Mons. Francois-Xavier Nguyen Van Thuan, di cui conosco la fedeltà al Signore e l'amore perseverante verso la Chiesa.

E' a tutti questi Prelati che desidero far pervenire un saluto affettuoso, accompagnato da un pensiero particolare per quelli che, giunti ad un'età avanzata o provati dalla malattia e le sofferenze interiori, trovano un'occasione per scoprirsi sempre più profondamente simili a Gesù Cristo, Padre Eterno.

Vostra Eminenza che, in quanto Presidente della Conferenza Episcopale Vietnamita, ha preso parte ai lavori del Sinodo straordinario dei Vescovi appena concluso, apportandovi il prezioso contributo della sua ampia esperienza pastorale ispirata alle fonti stesse del Vangelo, potrà comunicare ai suoi Confratelli Vescovi la bellezza ed il valore dell'esperienza pastorale acquisita a contatto dei Rappresentanti dei diversi Episcopati e nel lavoro comune. Vostra Eminenza non mancherà inoltre di informare tutti i cattolici dell'interesse, affetto e ammirazione con cui i Pastori delle altre Chiese locali seguono la vita delle comunità cristiane in Vietnam come altrove, soprattutto quando esse sono chiamate a rendere testimonianza al Signore Gesù in situazioni che richiedono abnegazione e coraggio.

Vorrete ancora ricordare ai vostri Confratelli, Signor Cardinale, che tutti i loro sforzi devono tendere ad offrire ai loro concittadini, con generosa dedizione, l'annuncio della fede, della speranza e della carità che la Chiesa non cessa di proporre ad ogni uomo per condurlo a scoprire che Gesù è "via, verità e vita".

Sono convinto che in questa importante e delicata missione, questi Pastori potranno contare sulla collaborazione generosa e coerente di sacerdoti, religiosi, catechisti e di tutti i fedeli.

Il Concilio Vaticano II, come ci hanno tenuto a ricordare i Padri Sinodali nel loro recente messaggio al Popolo di Dio, "deve essere sempre meglio capito con cuore aperto e disponibile" e non potrà dare i suoi frutti che "grazie ad uno sforzo perseverante e sostenuto nel tempo".

E' con un affetto del tutto particolare che mi rivolgo ai sacerdoti che il signore ha chiamato con voi a servire il popolo di Dio. Che vogliano continuare, nella fedeltà e nella fiducia, ad accompagnare le comunità che sono state loro affidate nell'approfondimento delle esigenze concrete del mistero della Chiesa e della sua comunione! Che si considerino sempre come i servitori dei loro fratelli, soprattutto dei più poveri, dei piccoli, di quelli che soffrono e degli umili! Li incoraggio paternamente, come incoraggio voi stessi, a percorrere coraggiosamente, malgrado gli ostacoli, il cammino che conduce ad una società trasformata dall'amore, conservando allo stesso tempo l'unità ecclesiastica attorno ai pastori che voi rappresentate. In realtà, come ricordava il mio predecessore, Papa Paolo VI, "La forza dell'evangelizzazione risulterà molto diminuita se coloro che annunziano il Vangelo sono divisi tra di loro da tante specie di rottura" (EN 77).

Il mio ultimo pensiero, Signor Cardinale, è rivolto al popolo vietnamita tutto intero, che io amo profondamente e di cui ammiro la coraggiosa tenacia con cui sa vincere, nelle circostanze più diverse, gravi e dolorose difficoltà. Gli auguro un avvenire di pace e prosperità.

Sono sicuro che troverete il mezzo per far sapere a tutti che il Papa li segue con affetto e li accompagna con la sua preghiera nei loro generosi sforzi per il progresso e la prosperità del loro paese.

Salutandovi tutti "in vinculo pacis" (Ep 4,3) e "in osculo caritatis" (1P 5,14), vi confido con tutto il cuore, voi Pastori e Popolo fedele, a Maria, madre della Chiesa. Lo faccio animato di un'immensa fiducia, sicuro che essa saprà accogliere i vostri progetti, le vostre speranze più nascoste ed il vostro lavoro.

La sua intercessione potente e materna saprà ottenere per la Chiesa del Vietnam una nuova effusione dello Spirito che si tradurrà in una fede più solida e coraggiosa, in una speranza senza limiti ed in una carità vissuta nel contesto di una comunione ecclesiale più intensa.

Che la mia affettuosa Benedizione vi accompagni.

[Traduzione dal francese]

Data: 1985-12-13 Data estesa: Venerdi 13 Dicembre 1985





A corsisti sui metodi naturali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Annuncio integro della dottrina morale della Chiesa

Carissimi!


GPII 1985 Insegnamenti - Ai sacerdoti neocatecumenali - Città del Vaticano (Roma)