GPII 1985 Insegnamenti - All'Unione europea di radiodiffusione - Città del Vaticano (Roma)

All'Unione europea di radiodiffusione - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I mass-media al servizio dei valori umani e spirituali

Signore e signori.

E' un piacere salutare i partecipanti al XXI simposio amministrativo dell'Unione europea di radiodiffusione. Siete venuti a Roma in questi giorni per studiare i problemi economici e organizzativi relativi alla radiodiffusione. Allo stesso tempo avete voluto includere tra le vostre attività questo incontro con il Papa, il pastore universale della Chiesa cattolica. Io sono onorato della vostra presenza e vi do il più cordiale benvenuto qui in Vaticano.


1. Mentre ci troviamo qui oggi, sono consapevole del tremendo potenziale di bene che la radio e la televisione possiedono, e che aumenta costantemente. D'altra parte so anche che esiste la possibilità opposta, la ancora più grande capacità di male causata dalla tentazione di utilizzare questi sofisticati mezzi di comunicazione sociale in modi che distorcono la verità o che offendono la dignità e la libertà della persona umana.

Dunque una responsabilità davvero grossa pesa sulle vostre spalle. Voi avete una posizione privilegiata nella nostra società tecnologica. Le vostre decisioni e la vostra attività hanno il potere di formare l'educazione e lo sviluppo culturale di un vasto numero di persone. Potete influenzare in modo significativo la mentalità e i modi di lavoro e divertimento delle generazioni presenti e future.


2. La trasmissione delle informazioni e persino i programmi che si propongono come scopo principale il piacere e il divertimento, hanno sempre un impatto sui valori morali e spirituali della persona. Ecco perché quest'anno, in un recente messaggio per la XIX giornata mondiale delle comunicazioni, io ho affermato: "L'informazione non può rimanere indifferente ai valori che toccano l'esistenza umana alle sue radici, quali il primato della vita sin dal momento del concepimento, la dimensione morale e spirituale, la pace e la giustizia. L'informazione non può essere neutrale di fronte a problemi e situazioni che a livello nazionale e internazionale danneggiano il tessuto connettivo della società, quali la guerra, la violazione dei diritti umani, la violenza e la droga" (n. 20).

La vostra richiesta di un'udienza come l'odierna testimonia che riconoscete l'impatto della radio e della televisione sulle menti e sui cuori e di ascoltatori e spettatori. Vi esorto a cercare sempre di porre i mezzi elettronici al servizio dell'umanità e del bene comune. Siate attenti ai valori culturali e religiosi profondamente radicati nel vostro pubblico, poiché essi hanno un'influenza primaria sul carattere sociale e interpersonale dell'esistenza umana.

Essi hanno un ruolo importante nel determinare l'unità e l'armonia della società; se i vostri sforzi serviranno a rafforzare questi valori, voi avrete offerto un servizio inestimabile all'umanità.


3. Noi che apparteniamo alla Chiesa cattolica cerchiamo in ogni tempo di proclamare la buona novella del nostro Signore Gesù Cristo. E cerchiamo strumenti sempre più efficaci per compiere questa missione nel mondo. Voi potete perciò facilmente comprendere perché abbiamo un così grande interesse verso i più recenti sviluppi della radio e della televisione. Noi abbiamo molto da apprendere da voi.

E' nostra convinzione che i mezzi di comunicazione di massa possano e debbano essere impiegati nell'opera pastorale della Chiesa. Questo è il motivo per cui, più di cinquant'anni orsono, con l'aiuto di Guglielmo Marconi fu istituita la Radio vaticana, che ha costantemente aumentato la sua influenza e migliorato i suoi servizi nel corso degli anni. Anche molte Chiese locali nel mondo hanno sfruttato le risorse della radio e della televisione per proclamare il Vangelo di salvezza e per servire il popolo di Dio in verità e libertà. In conformità alla missione derivatagli da Cristo, la Chiesa accoglie felicemente l'opportunità di incontrare dei professionisti della radio e della televisione e di collaborare con loro per il bene di tutti.

Desidero quindi cogliere questa occasione per dimostrare il profondo interesse che nutro per il vostro lavoro e per il vostro impegno a promuovere la comunicazione. Come voi ben sapete, la comunicazione è qualcosa di più del processo di trasferimento delle informazioni o della capacità di evocare emozioni.

Nel suo significato più profondo essa è un atto d'amore, una generosa donazione di sé, mente e cuore.

Dio vi conceda la grazia di essere dei buoni divulgatori, la cui opera contribuisce all'unità e alla pace. E abbondi inoltre nelle benedizioni a voi e alle vostre famiglie.

Data: 1985-10-03 Data estesa: Giovedi 3 Ottobre 1985





Nella Biblioteca privata - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Visita del presidente della Repubblica italiana

Signor presidente.


1. Le sono vivamente grato per la visita con cui ella oggi mi onora. Essa si svolge nel contesto della tradizione di buoni rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia, che la recente revisione dei Patti lateranensi ha confermato. Ella, signor presidente, ha voluto riservarmi la sua prima visita ufficiale fuori dei confini dello Stato italiano; è un'attenzione che ho molto apprezzato e di cui la ringrazio.

Ella è oggi qui in nome del popolo italiano, i cui legittimi rappresentanti nel giugno scorso si sono trovati a larga maggioranza concordi nel designarla alla suprema carica dello Stato. Nel porgerle, anche in questa circostanza, le mie felicitazioni per l'alta investitura conferitale, desidero far giungere attraverso la sua persona a tutti i cittadini italiani, che ella degnamente rappresenta, una speciale parola di saluto e di augurio. L'ormai settennale permanenza in Roma e i viaggi pastorali che in questi anni ho potuto compiere nelle varie regioni d'Italia - tra qualche giorno, come lei sa, conto di recarmi pure nell'isola illustre che le ha dato i natali - mi hanno consentito di conoscere sempre più a fondo e di amare con intensità crescente questa terra a Dio particolarmente cara.

Con profondo affetto esprimo, perciò, l'auspicio che l'Italia abbia sempre chiara coscienza dell'incomparabile patrimonio, umano e cristiano, che ne ha reso ammirato il nome fra i popoli. Sappia essa vedere nelle tradizioni civili e religiose, che formano la trama della sua storia, una fonte sempre fresca di nuove energie per ulteriori progressi sulla via della civiltà e della pace.


2. Nel formulare questo augurio il pensiero va spontaneamente alla figura luminosa di quel figlio della terra italiana che il calendario oggi ricorda: san Francesco d'Assisi! E' un pensiero che si trasforma in augurio per lei, signor presidente, che di questo santo porta il nome. Ed è pensiero che si allarga, inoltre, ad abbracciare tutti gli italiani. Difficilmente si potrebbe trovare un'altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico.

ln un tempo in cui l'affermarsi dei liberi comuni andava suscitando fermenti di rinnovamento sociale, economico e politico, che sommuovevano dalle fondamenta il vecchio mondo feudale, Francesco seppe elevarsi tra le fazioni in lotta, predicando il Vangelo della pace e dell'amore, in piena fedeltà alla Chiesa di cui si sentiva figlio, e in totale adesione al popolo, di cui si riconosceva parte.


3. Alla fascinosa figura dell'assisiate desidero oggi fare riferimento, signor presidente, perché in lui vedo il sicuro interprete e il valido assertore di quei valori spirituali che del popolo italiano costituiscono l'anima vera e la durevole ricchezza.

Certo, il contesto dei rapporti sociali e, in particolare, quello delle relazioni fra istanze religiose e civili, fra Chiesa e Stato, sono, dai tempi di Francesco, notevolmente cambiati. Oggi si sottolinea giustamente l'autonomia dello Stato, nel quale devono potersi pienamente riconoscere tutti i cittadini, nonostante le loro differenti convinzioni religiose e ideologiche. Parimenti, oggi si afferma con rinnovata consapevolezza la libertà della Chiesa, che il Concilio Vaticano II qualifica come il "principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e le potestà pubbliche" (DH 13).

Oggi, pero, non meno di ieri, la comunità politica e la Chiesa, pur "indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo", devono sentirsi "tutte e due, anche se a titolo diverso... a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane". Per parte sua la Chiesa è pienamente convinta che "predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell'attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani", contribuisce a far rispettare e a promuovere "anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini" (GS 76).

Se essa, pertanto, rivendica la propria libertà, non lo fa in disconoscimento delle legittime competenze dell'autorità civile, che essa anzi doverosamente riconosce e rispetta. Nell'affermare la propria libertà, la Chiesa non intende chiedere privilegi, ma solo di poter liberamente servire il bene della nazione, come sottolineavo in occasione del convegno di Loreto (12 aprile 1985), ricordando il contributo che la Chiesa "può e deve dare, nel Paese d'Italia, alla costruzione della "comunità degli uomini", adempiendo ad una componente irrinunciabile della sua missione". L'unica preoccupazione della Chiesa è di tutelare la possibilità di riferirsi, in piena autonomia da ogni istanza terrena, a Cristo e all'uomo: sono questi, infatti, i due "poli" tra i quali si muove tutta la sua azione nel mondo e nella storia.

Ma proprio per questo costante riferimento all'uomo nella concretezza del suo esistere, la Chiesa sa che il suo cammino non può non incontrarsi con quello di altre istanze umane e, in particolare, col cammino percorso dallo Stato.

E' quindi in vista dell'uomo e del servizio da rendere al suo pieno benessere che la Chiesa offre e chiede collaborazione: ciò, ovviamente, nel leale rispetto della reciproca indipendenza e dei rispettivi ruoli.


4. Un campo nel quale tale collaborazione sembra oggi presentare prospettive particolarmente promettenti è quello del volontariato. Questo aprirsi ai bisogni dell'altro, in atteggiamento di gratuito dono del proprio tempo e delle proprie energie, ha per il cristiano motivazioni evangeliche molto chiare ed eloquenti.

L'esempio di Cristo, venuto "per servire e non per essere servito" (Mt 20,28), ha parlato al cuore dei credenti in ogni epoca della storia e ne ha ottenuto risposte tali da suscitare l'ammirazione anche di chi non condivideva la loro fede. La testimonianza di Francesco d'Assisi, per tornare a parlare di lui, si colloca precisamente in questa linea di servizio "volontariamente" prestato al fratello, al di fuori di ogni prospettiva di umana ricompensa.

Le presenti condizioni del vivere sociale, le nuove forme di povertà, i bisogni emergenti in vasti settori della popolazione, fino a ieri diversamente soddisfatti, sembrano rendere particolarmente utile anche per le strutture dello Stato questa forma di contributo da parte dei cittadini. Appare quindi molto importante che la pubblica amministrazione prenda atto delle disponibilità che si manifestano a livello di singoli e di gruppi, ne assecondi l'impegno, ne promuova il coordinamento con le iniziative già in atto, per favorirne l'armonico convergere là dove più urgenti sono i bisogni. Ciò suppone un effettivo rispetto per l'autonoma creatività delle forze che entrano in gioco, giacché solo nella libertà possono essere coltivati i valori caratteristici del volontariato.

Sono profondamente convinto, signor presidente, che la rigogliosa fioritura di iniziative, promosse dal volontariato anche in Italia, sia uno dei segni più incoraggianti per il futuro della Chiesa e della nazione. Per parte mia, sono lieto di assicurare la piena collaborazione delle forze animate dal fermento cristiano con quanto le strutture civili opportunamente disporranno soprattutto nel settore dei servizi sociali. E' da auspicare che il crescente affermarsi di questo stile di presenza del cristiano e del cittadino nel vasto campo del sociale valga a far maturare progressivamente nella pubblica opinione il senso della condivisione e della solidarietà per i molti problemi che non possono essere delegati, perché sono di tutti. In tal modo il volontariato, come esperienza di gratuità nell'accoglienza dell'altro e nel dono di sé, si pone come stimolo al cambiamento, anticipando spesso, per amore, nell'oggi degli emarginati e dei deboli ciò che la giustizia assicurerà loro soltanto in un non ancora precisato domani.


5. Ho accennato, signor presidente, a uno specifico campo di collaborazione fra la Chiesa e lo Stato. Il tempo non consente di fermare l'attenzione su altri settori, in cui la collaborazione si rivela non meno utile e urgente. Non pochi di essi, anche se certo non tutti, sono del resto indicati con valide direttive di azione nell'accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense e che attribuisce un significativo ruolo alla Conferenza episcopale italiana. Basti qui rilevare come l'odierno incontro costituisca di per se stesso un'importante manifestazione della volontà che ha guidato e guida le autorità dello Stato e della Chiesa nella costante ricerca delle opportune forme di intesa in tutto ciò che riguarda la promozione dell'uomo e il bene del Paese. Voglio augurarmi, e sono certo di interpretare in questo anche il suo desiderio, che i prossimi anni rechino confortanti conferme di questi intendimenti. Il popolo italiano non potrà trarre da ciò che sicuri vantaggi. Nella fedeltà al ricco patrimonio spirituale, che lo distingue, esso troverà infatti ispirazione e orientamento per risolvere, in unità e concordia, i problemi umani del presente e per camminare fiducioso sulla strada del proprio futuro, che invoco da Dio prospero e sereno.

E' questo l'auspicio che formulo per tutti i cittadini di questa amata nazione, e specialmente per lei, signor presidente, che con unanime plauso ha iniziato la sua missione a servizio del caro popolo italiano.

Data: 1985-10-04 Data estesa: Venerdi 4 Ottobre 1985





Ai vescovi del sinodo ucraino - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La comunità cattolica ucraina ha diritto alla libertà religiosa

Signor cardinale, venerati fratelli!


1. Dal profondo del mio cuore saluto il cardinale Myroslav Ivan Lubachivsky, arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini, e tutti i gerarchi, radunati qui a Roma, presso la tomba di san Pietro, principe degli apostoli, per la sessione del IV sinodo episcopale.

ln conformità alle norme del regolamento del sinodo, voi siete venuti per le consultazioni comuni, che si riferiscono alle importanti questioni della Chiesa cattolica ucraina, la quale già da quasi 400 anni è saldamente unita a questa sede apostolica. La comunione della vostra Chiesa con la Chiesa universale, attorno al successore di Pietro, è all'origine del fecondo sviluppo da essa sperimentato nel corso della sua storia.

Nello sforzo unionistico del secolo XVI la vostra Chiesa ha avuto un ruolo immenso. Questo potrebbe essere per voi motivo di orgoglio e nello stesso tempo dovrebbe essere di stimolo a una sempre più stretta unione con la sede di Pietro. Anche oggi la Chiesa desidera ardentemente l'unione dei cristiani. Il Concilio Vaticano II, che ci apprestiamo a rivivere nel prossimo Sinodo straordinario attualizzandone lo spirito e gli insegnamenti, ha individuato nel ristabilimento della piena comunione fra tutti i cristiani uno dei compiti principali della Chiesa; e ha conseguentemente indicato gli orientamenti da seguire nel cammino verso questa meta.

Non dimentichiamo con vivo dolore che la Chiesa, che voi rappresentate in questo Sinodo, per l'appartenenza alla Chiesa Cattolica, alla comunione di Pietro, è stata - ed è - trattata ingiustamente e perseguitata. Queste dolorose prove sono state sempre ben presenti ai miei predecessori nella sede apostolica e io le sento profondamente nel mio animo. Perciò ho auspicato ripetutamente che detta comunità cattolica possa godere della libertà religiosa, cui ha diritto come altre confessioni religiose. E così i rappresentanti della Santa Sede hanno chiesto, in varie riunioni della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa di Helsinki, che ad essa venga riconosciuta la legittimità civile ad esistere.

E' un dolore comune per voi, fratelli nell'episcopato, e per me, vostro fratello, primo Papa di origine slava. Da qui deriva la mia particolare sollecitudine per la salvezza di ogni singola anima nella patria di san Vladimiro e fuori di essa, nella diaspora. La sede apostolica ha dato tante prove di questa sollecitudine, creando - nei Paesi di entrambe le Americhe, Australia, Francia, Gran Bretagna e Germania - le eparchie e gli esarcati, che voi in questo sinodo rappresentate. Ma, elaborando la storia futura della Chiesa ucraina, non si può prescindere dalle radici dalle quali essa è sorta e dagli eminenti e illustri gerarchi di questa Chiesa.

Venerati fratelli! "E' indispensabile risalire al passato per comprendere alla sua luce la realtà attuale e presagire il domani. La missione della Chiesa è, infatti, sempre orientata e protesa con indefettibile speranza verso il futuro" ("Slavorum Apostoli", 31). Un giorno verrà, lo speriamo - e per questo preghiamo nell'offerta del nostro comune dolore, vostro e mio - verrà un giorno in cui la piena comunione fra tutti i figli di san Vladimiro potrà vedere la luce.


2. E come non ricordare l'importante avvenimento che segno la vostra storia, quando nell'anno 1595 i vescovi ucraini emanarono la famosa Dichiarazione sulla necessità del ripristino della comunione della sede metropolitana di Kiev con la Santa Sede! Subito dopo il vescovo di Lutzk, esarca del patriarca di Costantinopoli, Cirillo Terletzkyj, e il vescovo di Volodomyr Ipozio Potij, come rappresentanti degli altri vescovi, intrapresero il viaggio verso Roma per manifestare personalmente al successore di Pietro che la Chiesa Ucraina era pronta all'unione.


3. Il mio predecessore Clemente VIII con la bolla pontificia "Magnus Dominus et laudabilis nimis", proclamo questa consolante notizia. Dalla lettera apostolica "Benedictus sit pastor", del 7 febbraio 1596, appare con evidenza con quale gioia e trepidazione la Chiesa di Roma accolse nel suo seno la nazione Ucraina.

In questa lettera il romano Pontefice - dopo aver ringraziato il Signore, datore di ogni bene, per la conseguita unione - dichiara che le tradizioni della Chiesa ucraina e i suoi legittimi riti dovranno essere osservati senza alcun mutamento. Alla fine invita i vescovi a convocare il sinodo di tutta la provincia ecclesiastica, e a promulgare ufficialmente l'unione degli ucraini con la Chiesa cattolica universale.


4. A questo grande avvenimento dobbiamo oggi l'esistenza e lo sviluppo della vostra Chiesa con le sue varie attività salvifiche non soltanto in Ucraina, ma anche in molte regioni del mondo. Proprio voi, venerati fratelli, vi siete radunati anche questa volta insieme per esaminare e riflettere sugli importanti problemi di ordine ecclesiastico generale e particolare.


5. Le vostre premurose sollecitudini e le deliberazioni hanno questa volta uno scopo particolare, cioè la degna celebrazione del millennio del cristianesimo nella Rus'. Fra tre anni ricorrerà il grande giubileo millenario del cristianesimo nel vostro popolo.

Il vostro glorioso principe Volodomyr, che viene giustamente celebrato come promotore e artefice della conversione della Rus' alla fede cristiana, anche se ha preso dall'Oriente i riti liturgici e le sacre cerimonie, non solo rimase fino alla fine nell'unità di tutta la Chiesa cattolica, ma con sollecitudine cerco di mantenere amichevoli relazioni tra la sede apostolica e il suo Stato.

In conformità alle più antiche tradizioni della Chiesa ucraina si comporto Isidoro, metropolita di Kiev, quando nell'anno 1439 nel Concilio di Firenze sottoscrisse il decreto con cui la Chiesa bizantina concluse l'unione con quella latina.


6. Ma anche in tempi più recenti non manco l'occasione che vescovi e sacerdoti con il loro gregge dessero prova della loro forza d'animo per conservare la fede cattolica, difendendo la Chiesa nella sua libertà. Ci piace qui ricordare la figura ascetica del metropolita Andrea Szeptyckyj.

Quando infuriava la prima guerra mondiale, egli venne cacciato dalla sua sede e confinato nell'estremo Oriente europeo. Li egli trascorse molto tempo sotto stretta vigilanza e non desiderava altro se non manifestare la sua fedeltà e devozione verso la sede apostolica ed era pronto, se fosse capitata la possibilità, di soffrire con la grazia di Dio anche il martirio per la conservazione della fede e per il suo gregge. Le sue orme sono state seguite poi - quaranta anni or sono - da tutti i vescovi dell'Ucraina occidentale con a capo il cardinale Josyf Slipyj di venerata memoria. Ricordiamo oggi la sua nobile figura nel primo anniversario della sua morte con particolare stima e ammirazione.


7. Frattanto, cari fratelli, vi fortifichi nel vostro lavoro e nelle vostre sollecitudini la parola dell'Apostolo delle genti: "Certa è questa parola: se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se invece lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli pero rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso" (2Tm 2,11-13).

Questo nostro incoraggiamento, cari fratelli, non possiamo corroborarlo e terminarlo in modo più adatto, se non con l'ammonimento dello stesso Apostolo delle genti: "Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti!" (1Co 16,13). Rendete coraggiosa testimonianza alla vostra fede davanti a tutti coloro che in qualsiasi modo cercano di farla vacillare, "cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione" (Ep 4,3-4).

Ricordate, fratelli, che, "per la piena cattolicità, ogni nazione, ogni cultura ha un proprio ruolo da svolgere nell'universale piano di salvezza. Ogni tradizione particolare, ogni Chiesa locale deve rimanere aperta e attenta alle altre Chiese e tradizioni e, nel contempo, alla comunione universale e cattolica; se rimanesse chiusa in sé, correrebbe il pericolo di impoverirsi anch'essa" ("Slavorum Apostoli", 27).

E in piena fiducia in voi, che con coraggio e gioia risponderete a questa nostra esortazione con l'aiuto della grazia divina, auguriamo tempi migliori e più tranquilli per voi e per la vostra chiesa da parte del Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione.

Dopo avervi esposto alcuni miei pensieri, prima di concludere, ritengo opportuno ringraziare tutti i confratelli nell'episcopato per il contributo che hanno dato allo svolgimento di questo IV Sinodo della Chiesa cattolica ucraina. E contemporaneamente dalla sovrabbondanza del mio cuore imparto a tutti voi e ai vostri fedeli, particolarmente ai sacerdoti, monaci e suore, la benedizione apostolica.

Data: 1985-10-05 Data estesa: Sabato 5 Ottobre 1985





Al Gruppo misto di lavoro cattolico-ecumenico - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La priorità della collaborazione nel cammino ecumenico

Cari fratelli e sorelle, membri del Gruppo misto di lavoro fra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese.

Vi saluto nel nome del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo: "Pace a voi" (Jn 20,26).


1. Un caloroso ringraziamento per avermi voluto incontrare in occasione della vostra riunione di Riano. Io apprezzo grandemente la vostra visita, soprattutto perché quest'anno ricordo il ventesimo anniversario della fondazione del Gruppo misto di lavoro, e vorrei unirmi a voi nel ringraziare Dio per quanto è stato fatto finora e nel rinnovare il desiderio di proseguire lungo la via che egli ci indicherà. Come sapete, io sono convinto che la Chiesa cattolica debba avere un suo posto specifico nel rapporto di collaborazione con il Consiglio ecumenico delle Chiese, e ho ripetutamente chiesto che esso venga migliorato laddove sia possibile. Per questa ragione lo scorso anno incontrai il Consiglio nel suo Centro ecumenico di Ginevra. Io considero quella visita come una tappa importante del compito pastorale, che mi offre una posizione privilegiata al servizio della comunità e dell'unità. Vorrei che l'impulso positivo dato da quella visita si traducesse in azione a beneficio della nostra collaborazione e del movimento ecumenico in generale.

Nei vent'anni già trascorsi, il Gruppo misto di lavoro ha portato avanti il suo compito con modestia e discrezione e forse per questa ragione la sua importanza non è stata apprezzata appieno. Esso si è impegnato a fondo per mantenere viva tale collaborazione e incoraggiarla, e lo ha potuto fare grazie alla fiducia accordata dalle sue autorità. Il lavoro del Gruppo è tale da rendervi orgogliosi di farne parte. Esso ha bisogno delle vostre doti migliori, la creatività, il coraggio e un profondo senso di responsabilità. E' un servizio che voi offrite a tutto il movimento ecumenico, infatti la collaborazione fra la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese ha un'importanza sia pratica che altamente simbolica per quel movimento.


2. Quando il Gruppo misto di lavoro fu fondato, il Consiglio ecumenico delle Chiese e la Chiesa cattolica vennero chiaramente riconosciuti come due organismi non paragonabili fra loro. Da una parte c'è il Consiglio, composto da molte Chiese e comunità ecclesiali di diverse tradizioni confessionali. Dall'altra c'è la Chiesa cattolica, con tutta la sua responsabilità pastorale di Chiesa. Tutto ciò pone particolari problemi alla collaborazione. Inoltre, la Chiesa cattolica e il Consiglio ecumenico delle Chiese non hanno sempre un uguale approccio alle diverse questioni. Ne segue quindi necessariamente che la via alla collaborazione è a volte limitata. Ciò rende il vostro compito più difficile, sebbene non impossibile né meno importante. Questo significa che voi state operando dentro i problemi reali delle nostre divisioni, problemi che il movimento ecumenico, con la grazia di Dio, ci rende capaci di affrontare con speranza e determinazione.

Fra i vari aspetti del vostro impegno, primo fra tutti è la collaborazione dei partner più appropriati dell'area cattolica con le diverse sottounità e con i programmi del Consiglio. Ho affermato, in un mio recente discorso, che una collaborazione fruttuosa si è sviluppata sin dal 1965 "nel campo sociale e in quello della promozione della pace e della giustizia; sui problemi della missione e dell'evangelizzazione, così come nel dialogo con le altre religioni" (discorso alla Curia romana, 28 giugno 1985). Deve essere vostro compito prestare attenzione ad ogni possibilità in questo senso e incoraggiarla con saggezza.

Il Gruppo misto di lavoro ha anche un ruolo particolare nella ricerca di aree promettenti per lo studio e l'approfondimento della questione dell'unità. In questo ambito, esso può sostenere e integrare l'importante opera svolta insieme nella Commissione per la fede e l'ordine. Dal momento che guarda soprattutto alla collaborazione, il Gruppo misto di lavoro deve sempre focalizzare la propria attenzione sull'unità visibile, che è la meta del movimento ecumenico. C'è inoltre spazio perché esso si occupi delle ampie questioni che si pongono ai cristiani nella loro missione nel mondo.

Senza stare a ripetere ciò che è già stato fatto dai vari gruppi cattolici o da quelli del Consiglio ecumenico, sembra essere rimasto spazio anche per una discussione ecumenica più sistematica di questioni quali la diffusione della fede oggi, la natura della secolarizzazione e le sue conseguenze, i problemi della cultura e della pace mondiale. "C'è bisogno soprattutto di essere sempre docili allo Spirito Santo e al modo con cui lo Spirito Santo parla alle Chiese oggi (cfr. Ap 2,7). Occorre avere interesse, in ogni cosa e ovunque sia possibile, a dare comune testimonianza a Cristo e al suo Vangelo nel nostro mondo, così ricco oggi di possibilità, ma anche afflitto da così tanti mali" (discorso alla Curia romana, 28 giugno 1985).


3. Quando il Gruppo misto di lavoro fu fondato, il cardinal Bea disse che uno dei suoi compiti sarebbe stato il dialogo. Ciò non fa riferimento unicamente alla discussione teologica che ha luogo all'interno di Fede e Ordine.

Il termine dialogo implica anche una continua relazione fra Chiesa cattolica e Consiglio ecumenico delle Chiese, la quale, come ogni relazione, richiede un'incessante comunicazione, gesti di amicizia e di cortesia, attenzione reciproca, interessamento alle gioie, ai dolori e alle grandi occasioni dell'altro. Questa dimensione di dialogo può essere facilmente sminuita, sotto la pressione del lavoro quotidiano, ma certo è estremamente necessaria in questi tempi in cui il momento ecumenico è cresciuto tanto da arrivare ad affrontare alcune delle questioni più importanti di divisione.

Nondimeno il Gruppo misto di lavoro farà da interprete alla Chiesa cattolica e al Consiglio ecumenico delle Chiese; tradurrà ciò che sta accadendo a livello internazionale in termini di impegno locale; sarà interprete del movimento ecumenico presso un pubblico più ampio. Per il momento esso ha accumulato una certa saggezza che lo rende capace, di tanto in tanto, di dare chiara espressione ad alcuni aspetti della collaborazione o del movimento ecumenico. Il suo ruolo può essere quello di risvegliare la creatività, di interpretare, di stimolare, di dare consigli che consolideranno i passi finora mossi verso l'unità.

Le mie speranze per la vostra opera sono grandi e perciò vi incoraggio in essa. Prego Dio che vi dia l'intuito, la perseveranza, la pazienza e la profondità di visione necessari al vostro compito. Egli benedica voi e le vostre famiglie e tutti coloro di cui siete responsabili. "Grazia e pace vi siano moltiplicate nella conoscenza di Dio e di Gesù, nostro Signore" (2P 1,2).

Data: 1985-10-05 Data estesa: Sabato 5 Ottobre 1985





Alla Commissione teologica internazionale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I teologi devono operare al servizio del Magistero

Eminentissimi, eccellentissimi, reverendi signori.

La costituzione della Commissione teologica internazionale risale a quindici anni fa, ad opera del mio predecessore papa Paolo VI di beata memoria.

Viene offerta così al successore dell'apostolo Pietro la felice occasione di salutare l'eminentissimo presidente, i vescovi e gli altri membri della Commissione con profonda gioia e pari deferenza, di ringraziare Dio per il lavoro svolto e di esprimere voti per il prossimo quinquennio. Ci sembra sia l'occasione propizia per poter ricordare l'opera compiuta e invitare alla riflessione su questa forma di collaborazione tra il Magistero della Chiesa e i professori di teologia.


1. Ringraziamo Dio che questi quindici anni di lavoro della Commissione teologica internazionale non sono stati infruttuosi. "La grazia di Cristo in voi non fu vana". Sotto la guida dei cardinali Seper e Ratzinger, i membri della Commissione teologica internazionale hanno lavorato in collaborazione con i diversi dicasteri della Curia romana: la segreteria di Stato, la Congregazione per la dottrina della fede, il Sinodo dei vescovi, la Pontificia commissione per la famiglia, la Commissione "Iustitia et Pax", eccetera.

a) Molti studi e pubblicazioni riguardano la teologia dogmatica: si vedano gli studi sull'apostolicità della Chiesa, sulla collegialità, sul pluralismo teologico legittimo e illegittimo nella Chiesa, sulle relazioni tra il Magistero e i teologi. In particolare, molto felicemente, per tre volte avete dedicato la vostra attenzione al "centro della nostra confessione": Cristo Signore. Questi studi della Commissione sono già noti e segnalati: "Questioni scelte di cristologia" (1979), "Teologia, cristologia, antropologia" (1981). Avete iniziato anche gli studi di scienza umana su Gesù, su invito del carissimo maestro e amico Rozycki.

b) Riguardano la teologia sacramentale le cose che avete detto sul sacerdozio ministeriale in sé e sul suo nesso con il sacerdozio cristiano comune, già all'inizio dei lavori della Commissione, in unità con il Sinodo, nel 197


1.

Ancora nella prospettiva del Sinodo avete indirizzato la vostra attenzione agli aspetti dottrinali e pastorali del sacramento della Riconciliazione o Penitenza.

Le questioni dottrinali sul matrimonio cristiano, oggetto dei vostri studi, furono esposte al Sinodo nel 1980.

c) Per quanto riguarda la teologia morale avete studiato i fondamenti della prassi cristiana e le sue fonti bibliche, insistendo sulla permanente attualità delle norme morali del Nuovo Testamento. Avete indicato le responsabilità dei Pastori e di tutti i cristiani di tenere fisso lo sguardo sul duplice obiettivo, la salvezza operata da Cristo Gesù e la promozione umana.

Quanto alla promozione umana, negli ultimi anni avete curato tre pubblicazioni: una tesi sulla promozione umana e sui diritti umani, un opuscolo sugli aspetti attuali di questa urgentissima questione, in collaborazione con la Commissione pontificia "Iustitia et Pax", relazioni proprie di diversi collaboratori nel periodico "Gregorianum".

Infine, nell'ultima sessione di quest'anno avete portato a termine lo studio dei temi scelti di ecclesiologia, che in questo tempo postconciliare si sono fatti più urgenti, come per esempio la questione sulla fondazione della Chiesa da parte di Gesù Cristo, sulla Chiesa come "nuovo popolo di Dio", e sulla Chiesa come "mistero" e "soggetto storico", la relazione tra le Chiese particolari e la Chiesa universale, la questione sull'indole escatologica della Chiesa o del regno e della Chiesa. L'eminentissimo cardinale Joseph Ratzinger, presidente della vostra Commissione, mi ha preannunciato che il testo definitivo di questo studio è stato approvato e può essere pubblicato. Inoltre avete affrontato in questo tempo un altro argomento di grande importanza, cioè "la coscienza umana di Cristo". E il testo su questo argomento è stato approvato in parte dalla Commissione.


2. Considerando l'attiva operosità di tutti i membri, gli esperti, i collaboratori di questi quindici anni, voglio esprimere la mia gratitudine e il mio incoraggiamento. Tutta la vostra vita intellettuale e spirituale è coinvolta nella teologia, in particolare nella ricerca, nell'applicazione dei metodi scientifici; nella "fides quaerens intellectum".

Ci sono diversità di carismi, di ministeri, di opere, come ha scritto l'apostolo delle genti ai Corinzi (1Co 12,4-7): "Ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito per l'utilità comune". In questa enumerazione di carismi, di ministeri, di opere, mi sembra che in un certo senso già siano affermate la differenza e la collaborazione intima che devono esistere tra il Magistero e i teologi.

"Dio ha posto nella Chiesa come primo fondamento alcuni apostoli". I successori di Pietro e degli altri apostoli ricevettero un'unica responsabilità pastorale nella Chiesa. Certamente queste responsabilità devono essere esercitate in spirito di servizio, come si scriveva negli atti del Concilio Vaticano II, dai servi del popolo di Dio, come Cristo Signore fu servo di tutti. Ma lo stesso Signore proclama anche il suo potere (Mt 28,18), ne fa partecipi gli apostoli e i loro successori con la responsabilità e l'autorità di insegnare e di guidare i discepoli.

Certamente ci sono collaboratori e cooperatori degli apostoli, del Pontefice romano, dei vescovi, come appare già chiaro nelle epistole paoline.

Spesso, ma non sempre, vengono chiamati "presbyteroi". A volte viene fatta menzione di "doctores" (1Co 12,28). Questo aiuto e questa collaborazione vengono definiti di grande importanza per quanto riguarda i teologi in alcuni passi del testo della prima Lettera ai Corinzi. Paolo parla di dottori.

Con questa disposizione, io, successore dell'apostolo Pietro, saluto i maestri e dottori della scienza teologica. Ad essi e in particolare alla Commissione teologica internazionale sono riconoscente, e vi benedico con tutto il cuore. Felici e fruttuose siano le vostre prossime opere e ricerche.

Data: 1985-10-05 Data estesa: Sabato 5 Ottobre 1985






GPII 1985 Insegnamenti - All'Unione europea di radiodiffusione - Città del Vaticano (Roma)