GPII 1985 Insegnamenti - Omelia per il giubileo cirillo-metodiano - Città del Vaticano (Roma)

Omelia per il giubileo cirillo-metodiano - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un ricordo e una sfida per l'evangelizzazione dell'Europa




1. "Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra" (Ac 13,47).

La coscienza apostolica, la coscienza missionaria deriva dalla divina vocazione, deriva da quanto Dio pone nell'uomo, per l'uomo. Ne sono testimonianza - come abbiamo ascoltato nella prima lettura della Messa odierna - Paolo e Barnaba nel periodo di cui parlano gli Atti degli apostoli. Ne sono testimonianza i fratelli di Tessalonica Cirillo e Metodio, nel periodo del IX secolo dopo Cristo.

Vi ho posti come luce, perché portiate la salvezza. Questa particolare vocazione divina, che costituisce alcuni come apostoli, si svolge sempre e ovunque sotto lo sguardo di una presenza, quella del Buon Pastore, il quale dice: "E ho altre pecore... anche queste io devo condurre" (Jn 10,16). La figura del Buon Pastore aleggia sulla liturgia dell'odierna festività, così come nel IX secolo aleggiava sulla missione dei due fratelli.


2. Oggi siamo qui riuniti presso la tomba di san Pietro, per innestarci nel ritmo dell'anno "cirillo-metodiano", che ha suscitato in tutta la Chiesa echi di gioiosa e intensa partecipazione. Ne ho voluto come inaugurare a Roma la celebrazione, recandomi il 14 febbraio scorso nella basilica di San Clemente, ove riposano le spoglie mortali di san Cirillo e ho altresi desiderato sottolineare il significato che la figura e l'opera dei due santi fratelli rivestono per l'intera comunità ecclesiale pubblicando una speciale Lettera enciclica, la "Slavorum Apostoli". Nel mese di luglio il mio cardinale segretario di Stato si è recato a Djakovo in Jugoslavia e a Velehrad in Cecoslovacchia, perché mi rappresentasse alle celebrazioni che colà si tennero con grande e fervorosa partecipazione di fedeli.

In molte Chiese locali questo centenario è stato ricordato dai vari episcopati con opportune iniziative a testimonianza della devozione che il popolo cristiano riserva in ogni parte del mondo ai due santi fratelli. Sono passati 1100 anni dalla morte del maggiore dei fratelli, Metodio, avvenuta a Velehrad in Moravia. Il secondogenito, Cirillo, è stato chiamato prima alla "casa del Padre" e ciò ebbe luogo durante il soggiorno di ambedue i fratelli a Roma. E benché la morte li abbia separati già nell'anno 869, tuttavia continua a durare la loro comune opera, alla quale si sono insieme dedicati; l'opera della proclamazione del Vangelo tra i popoli slavi; da quelli geograficamente a noi più vicini, come i croati e i serbi e gli altri popoli slavi della penisola balcanica, fino alle popolazioni slave che abitano le estreme regioni orientali del continente: e anche tra altri popoli che vissero in quei tempi in Europa.


3. L'inizio di quest'opera ci conduce alla città ben nota dalle lettere di Paolo: a Salonicco, il cui nome antico è Tessalonica. E ci conduce anche a Costantinopoli, capitale dell'impero e sede patriarcale. Proprio là ambedue i fratelli hanno sentito la chiamata: "Attingi forza nella grazia... e le cose che hai udito trasmettile" (2Tm 2,1-2). E più ancora: "Prendi anche tu la tua parte di sofferenze, come un buon soldato di Cristo" (2Tm 2,3). Questa chiamata è contenuta nella seconda Lettera di san Paolo a Timoteo. Quando giunse la delegazione di Ratislav, principe della Grande Moravia, ambedue i fratelli intesero fino in fondo la loro vocazione: bisognava che la parola di Dio si diffondesse per tutta quella regione.


4. Tutti e due erano da molto tempo amanti di questa parola. Avevano conosciuto il suo mistero e la sua potenza. Sapevano che essa è "luce per le genti". Sapevano che essa, la parola di Dio, non può essere incatenata (cfr. 2Tm 2,9). All'inizio della nuova missione essi si resero conto della necessità di "svincolare" il dinamismo salvifico di questa parola, perché potesse con energia espandersi nella mente e nel cuore dei popoli slavi.

Ai santi Cirillo e Metodio la Chiesa deve l'opera dello "slegare" la parola del Vangelo, proprio per il bene di questi popoli. Questo comporto un intenso lavoro sulla lingua, che approdo alle prime traduzioni della Sacra Scrittura in lingua paleoslava, E da allora in poi le labbra dei nostri avi, nella parte slava dell'Europa, appresero a pronunciare la parola del Vangelo, parola che porta in sé la salvezza.


5. Un grande lavoro avente per oggetto la lingua tocca, ad un tempo, le radici stesse della cultura. I popoli, che al lavoro dei due fratelli di Tessalonica debbono gli inizi della loro identità culturale, se ne rendono ben conto. Nel corso dell'odierna festività, ci sentiamo particolarmente legati con questi popoli, con queste nazioni. "Inculturazione" ha significato sempre e significa l'ingresso del Vangelo in una cultura e nel contempo della cultura nel Vangelo.

Particolarmente mediante la lingua.


6. L'opera missionaria dei santi Cirillo e Metodio svela un particolare capitolo nella storia della missione di Cristo nella Chiesa. Le parole del Buon Pastore: "E ho altre pecore... anche queste io devo condurre" (Jn 10,16) hanno fruttificato nel secolo IX mediante il servizio dei due fratelli.

Oggi noi qui riuniti ci rendiamo nuovamente conto, dopo undici secoli, dell'alto significato della loro opera. ln questo XX secolo - nel quale l'Europa si presenta come un continente diviso fra la sua parte orientale e quella occidentale - in questo XX secolo la consapevolezza della sua unità sorgiva nella parola del Vangelo, acquista per noi, oggi, un'importanza fondamentale.

Lo sguardo di Cristo presente, la sua sollecitudine di Buon Pastore penetrano le frontiere di ogni divisione. "Il Buon Pastore offre la vita per le pecore" (Jn 10,11). E anche le pecore offrono la loro vita. Il Buon Pastore vede venire il lupo, e non fugge. Rimane con le pecore. ln questo modo conosce le sue pecore e le pecore lo conoscono (cfr. Jn 10,14).


7. In questa prova del tempo - per la quale l'opera del Vangelo attraversa tutto il continente europeo in Occidente e in Oriente - i santi Cirillo e Metodio sono per noi tutti non soltanto un ricordo, ma anche una sfida. Noi non soltanto ci richiamiamo alla loro missione, ma anche ci affidiamo alla loro intercessione.

Dopo undici secoli, essi sembrano dire a noi contemporanei: "Prendete anche voi la vostra parte di sofferenze del Vangelo", delle quali abbonda il secolo presente. L'Europa non ha forse bisogno di una nuova evangelizzazione? Cristo non ripete, forse, sempre di nuovo, anche per questo continente, le parole: "E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre"? 8. Ci rivolgiamo ai due fratelli come a patrocinatori dell'unità. Sappiamo che al tempo in cui si svolse la loro missione la cristianità non aveva subito una divisione: Roma e Costantinopoli non erano separate. Vi erano differenze, ma non c'era divisione. Tra le due parti della Chiesa - fra le due grandi tradizioni di cristianesimo, nelle quali in modo meravigliosamente diverso e complementare si è storicamente incarnata l'unica fede - tra la parte orientale e quella occidentale dell'unica Chiesa vi erano certo tensioni, incomprensioni, ma non ancora divisione.

Gli apostoli degli slavi hanno proclamato il Vangelo nel nome della Chiesa non divisa. Poi venne la divisione. Oggi viviamo con una nuova speranza dell'unione. Preghiamo e lavoriamo in favore dell'unità dei cristiani. E perciò ambedue i santi fratelli hanno per noi una tale eloquenza.

Da una profondità di undici secoli ci giunge, più luminosa che mai, la loro testimonianza dell'unità cristiana: e in essi si specchia, oggi, la nostra speranza di giungere alla meta. Cristo desidera l'unità dell'Oriente e dell'Occidente, 9. La concelebrazione odierna è resa particolarmente solenne dalla partecipazione di numerosi fratelli nell'episcopato e anche di numerosi sacerdoti. Sono largamente rappresentate le Chiese dell'Europa occidentale; meno nutrita invece, purtroppo, è la rappresentanza di quelle dell'Europa orientale. Li saluto tutti con grande intensità di sentimento.

Alla celebrazione di oggi sono presenti, per pregare con noi, anche distinti rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane d'Oriente e d'Occidente, non ancora pienamente unite con la Chiesa cattolica. Li saluto con affetto nel Signore, con profonda stima e con sentimenti di sincera gratitudine.

Questa molteplice presenza testimonia la comune venerazione verso due grandi missionari che hanno divulgato il Vangelo di Cristo con amore, con perseveranza, con intelligenza, nello spirito di unità e di universalità della Chiesa.

Oggi i santi Cirillo e Metodio gioiranno nell'alto dei cieli e intercederanno per tutti noi. La loro opera compiuta nel periodo in cui Oriente e Occidente, nonostante le incipienti tensioni vivevano nella piena unità della fede, stimola i cristiani di oggi a ricomporre la piena unità, in piena obbedienza alla volontà del Signore e per un'evangelizzazione concorde nel nostro tempo. Il comune Signore ha pregato per i suoi discepoli di ogni tempo "che siano una cosa sola affinché il mondo creda" (Jn 17,21).


10. Cristo Buon Pastore dice: "Diventeranno un solo gregge" (Jn 10,16). Venti anni dopo il Concilio Vaticano II, dopo la costituzione "Lumen Gentium" la Chiesa prega, per intercessione dei santi Cirillo e Metodio, apostoli slavi, affinché lui stesso, il Buon Pastore, il Signore della storia, ci mostri, mediante lo Spirito di verità, le vie per le quali dobbiamo camminare, perché si possa compiere la sua parola: "Un solo gregge".

Che questa parola si faccia carne, così come si fece carne, nel seno della Vergine, lui stesso; lui che è Verbo del Padre, "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32). Lui: il Buon Pastore. "Bonus pastor, unus pastor".


Amen. Data: 1985-10-13 Data estesa: Domenica 13 Ottobre 1985





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rinnovato ascolto del Concilio




1. Abbiamo vissuto l'odierna liturgia festiva nella memoria dei santi Cirillo e Metodio. Questa memoria è inseparabile, per il significato dell'opera dei sue santi fratelli, da una grande "nostalgia dell'unione" tra le Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente.

Chiamiamo nostalgia il dolore acuto che avvolge il ricordo della patria lontana, e che spinge irresistibilmente a ritrovarla. Tale nostalgia, affiorata più vivamente alla coscienza grazie a una comprensione approfondita del mistero della Chiesa, è l'anima dello sforzo ecumenico, teso a incarnare l'originaria e originale concezione sinfonica dell'unità maturata nel Concilio Vaticano II, del quale oggi vogliamo ricordare l'inaugurazione avvenuta 23 anni or sono, il giorno 11 di ottobre.

L'unità, come la verità, è sinfonica: il Concilio opportunamente lo ha messo in evidenza.


2. I santi fratelli di Tessalonica, con uno spirito profetico del quale, ora, dopo undici secoli, avvertiamo tutta la profondità, compresero che il dinamismo di incarnazione della fede cristiana nel vivente tessuto dei nuovi popoli sarebbe stato adeguatamente garantito dalla piena comunione tra Roma e Costantinopoli, le due grandi correnti di tradizione cristiana sorte nel seno dell'unica Chiesa. La loro missione, come in uno splendido mosaico, avrebbe arricchito di nuove magnifiche tessere, l'unico corpo di Cristo.

Essi annunciarono il Vangelo nel nome della Chiesa indivisa. Il loro lavoro fu benedetto: l'intero mondo slavo, in modo diretto o indiretto, ne fu toccato. Attraverso l'antica Kiev il Vangelo, proclamato in lingua slava, ha in seguito progressivamente raggiunto le estreme regioni orientali del nostro continente. Le care popolazioni cristiane che oggi vivono in quelle regioni, i bielorussi, i russi, gli ucraini, si apprestano a celebrare fra tre anni il grande giubileo del loro battesimo. Il Vangelo è la vera lingua materna dell'uomo, destinata a sbocciare nella varietà dei linguaggi propri dei diversi popoli.

Vediamo bene, e oggi più che mai, come lo sforzo missionario della Chiesa sia intimamente congiunto con quello ecumenico, quasi il duplice versante di un medesimo compito.


3. Nell'antica lingua slava vi sono due parole che significano mondo: "svet" e "mir". La prima significa sia mondo che luce. La seconda significa, insieme, mondo e pace. Queste semplici parole, con le loro ondulazioni allusive, esprimono la coscienza e l'attesa della pace luminosa, del pacificante splendore dell'essere che irradia il suo bene.

Le cose sono fatte per esistere nella pace e nella luce. L'attesa iscritta in queste parole, se consapevolmente aperta al compimento che è Cristo, nostra pace e nostra luce, porta alla guarigione dall'ideologia, cioè alla guarigione da quella tentazione particolare che nel corso degli ultimi secoli, nella molteplicità delle sue forme storiche, ha tanto suggestionato, fin quasi a farlo soccombere, l'uomo del continente europeo.

Il ricordo dei santi Cirillo e Metodio pone davanti al nostro sguardo, come una realtà inseparabile dalla loro memoria, il traguardo della piena comunione che permetterà alla Chiesa, nuovamente, di respirare con i suoi due polmoni, quello orientale e quello occidentale, e insieme di offrire con efficacia rinnovata all'uomo contemporaneo la verità salvatrice del Vangelo.

Affido all'intercessione di Maria, madre della Chiesa, il desiderio che nel prossimo sinodo straordinario divenga più chiara, in un rinnovato ascolto del Concilio, la consapevolezza del compito che attende la Chiesa alle soglie di una nuova epoca.

[Dopo l'Angelus:] In questo giorno ricordo con affetto in Cristo l'Angola: a Luanda, nella parrocchia di Nostra Signora di Fatima, per il decimo anniversario dell'indipendenza i miei confratelli vescovi, li riuniti, proclamano solennemente patrona della nazione angolana Maria santissima, invocata col titolo di Cuore immacolato. L'atto di consacrazione dell'Angola al Cuore immacolato di Maria, con cui viene ella proclamata patrona di questo amato Paese, è motivo di grande gioia e di rinnovata speranza. I pastori della Chiesa affidano a Nostra Signora la nazione intera, nella certezza di poter contare sulla sua intercessione, col suo divin Figlio Gesù Cristo, redentore dell'uomo. Che Maria santissima protegga l'Angola, guidi maternamente i suoi abitanti per il cammino della concordia, della pace e del progresso.

Invito tutti a pregare per questa amata nazione e per il continente africano, che serbo nel cuore.

Data: 1985-10-13 Data estesa: Domenica 13 Ottobre 1985





All'Assemblea generale dell'Onu - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Intensificare il servizio alla pace e alla fraternità

A sua eccellenza signor Jaime de Piniès, presidente della XL assemblea generale delle Nazioni Unite, in occasione del 40° anniversario dell'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite.

Associandosi alla celebrazione del 40° anniversario dell'entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco, la Santa Sede desidera riaffermare il suo sostegno morale e la sua offerta di collaborazione ai nobili obiettivi che "i popoli delle Nazioni Unite" si sono fissati all'indomani del secondo conflitto mondiale, e incoraggiarli a rilevare, grazie agli insegnamenti dell'esperienza accumulata e a una migliore conoscenza delle difficoltà ancora da superare, i nuovi deficit della cooperazione internazionale.


1. Dopo i miei predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, ho già avuto l'onore indirizzandomi personalmente, il 2 ottobre 1979, a questa eminente assemblea, di ricordare tutta la stima con la quale la Santa Sede accompagna le attività che la Carta del 26 giugno 1945 assegna alle nazioni che hanno "deciso di unire le loro forze" per promuovere i beni supremi che sono la pace, la giustizia e la solidarietà tra loro.

Senza essere membro della vostra organizzazione, per ragioni ben comprensibili, la Santa Sede è unita ai suoi lavori e agli obiettivi che essa persegue, nella misura in cui questi si accordino con le esigenze della sua missione nel mondo. La sua presenza attraverso la mediazione di un osservatore permanente alla sede di New York e a Ginevra come presso gli organismi speciali di Roma, Parigi e Vienna, attesta il suo interesse per i lavori delle Nazioni Unite e sottolinea la convergenza di fini che mirano, ciascuno sul terreno che gli è proprio, la vostra organizzazione che vuol essere mondiale da una parte e la comunità religiosa a vocazione universale, che è la Chiesa cattolica, dall'altra.

Questa è ben cosciente della specificità del suo eventuale contributo, che è essenzialmente fare appello alla coscienza dell'umanità davanti alle forze che dividono gli uomini e le nazioni, per cercare instancabilmente nuove vie di pace, d'intento e di cooperazione fra le persone e le comunità.

Fra la vostra organizzazione e la Chiesa cattolica la collaborazione è d'altronde più favorita e fruttuosa per il fatto che si riferiscono l'una e l'altra al principio fondamentale, solennemente affermato nel preambolo della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948, e che la Santa Sede indica con forza, secondo il quale "il riconoscimento della dignità personale e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo".


2. La Santa Sede, voi lo sapete, ha considerato l'Organizzazione delle Nazioni Unite, sin dall'inizio, come un'istituzione insostituibile nella fase attuale della storia dell'umanità. Il mio predecessore Paolo VI non esitava a vedere in essa "il cammino obbligato della civilizzazione moderna e della pace mondiale", arrivando sino a chiamarla "l'ultima speranza della concordia e della pace" (discorso alle Nazioni Unite, AAS 57 [1965], 878-879). Questo sostegno costante da parte della Santa Sede è nato dalla convinzione della Chiesa secondo la quale le nazioni formano un'unità solidale e hanno il dovere, malgrado e anche a causa degli errori ripetuti nel passato e nel presente, di scoprire e di perfezionare sempre di più i meccanismi istituzionali che assicurano i loro pacifici rapporti.

Già nell'agosto 1917, Benedetto XV, nel suo appello rimasto celebre ai belligeranti, proponeva un disarmo generale e la costituzione di un'autorità internazionale capace di giocare un ruolo di arbitro e di imporre delle sanzioni.

Sempre in un contesto di guerra, Pio XII auspicava dal 1939 un'organizzazione internazionale veramente adatta a elevarsi contro l'arbitrio degli Stati. Nel suo messaggio di Natale, dello stesso anno, indicava le condizioni alle quali il peggio poteva ancora essere evitato e come fosse possibile una pace durevole; una di queste condizioni era la creazione di una nuova organizzazione mondiale, sulla base del diritto internazionale. Giovanni XXIII, nella sua indimenticabile enciclica "Pacem in Terris", affermava che l'ordine morale naturale esige che sia istituita "un'autorità pubblica di competenza universale" per stimolare "il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona" in tutto il mondo. Una tale autorità, precisava, non potendo essere imposta con la forza, doveva essere liberamente instaurata e consentita dagli Stati sovrani. La sua finalità è servire il bene comune universale, cioè gli interessi supremi della comunità mondiale in quanto tale, di cui il criterio ultimo resta sempre il rispetto e la promozione dei diritti universali e inalienabili della persona umana. La vostra Organizzazione sembra riunire tutte le condizioni per costituire in modo sempre più efficace questa autorità regolatrice e necessaria. E' ciò che il mio predecessore Paolo VI e io abbiamo avuto occasione di sottolineare innanzi alla vostra assemblea.


3. Quarant'anni sono senza dubbio pochi, quando si tratta di invertire la tendenza atavica degli uomini e dei popoli a regolare i loro conflitti con la forza e a difendere i loro interessi con la violenza. E' poco ancora, purtroppo, rispetto al fine ultimo perseguito: una civiltà della pace. Gli egoismi nazionali, gli indurimenti ideologici, il ripiegamento su se stessi, le esitazioni o anche il rifiuto a ricorrere a istanze internazionali in caso di crisi, la sensazione di strumentalizzare queste stesse istanze a fini di propaganda interessata, sono degli scogli ancora molto difficili da superare. Ma quarant'anni di esperienza hanno mostrato come gli obiettivi che sono comuni alla Santa Sede e alle Nazioni Unite debbano assolutamente essere perseguiti, malgrado le possibili sconfitte e le numerose delusioni. La nostra fede nel Dio della Bibbia, ricordandoci che la perfezione della pace e della giustizia non può essere raggiunta sulla terra col solo sforzo degli uomini, ci assicura che è giusta la permanente tensione verso questa mira ultima, che dà senso e grandezza a tutta l'avventura umana.

Sarebbe ingiusto passare sotto silenzio tutto ciò che le Nazioni unite hanno compiuto in questo primo periodo della loro esistenza. Dobbiamo porci la domanda di ciò che avrebbe potuto essere la storia del mondo senza la vostra organizzazione, durante i quarant'anni che hanno seguito la seconda guerra mondiale: questi esempi così ricchi e tumultuosi, insieme promettenti e pieni di interrogativi, che hanno conosciuto la fine quasi totale del colonialismo e un accrescimento senza pari delle nazioni che hanno raggiunto l'indipendenza, che hanno visto svilupparsi tanti progressi nel mondo della scienza e della tecnica, a fianco di tante tensioni pericolose - in modo particolare la profonda divisione ideologica del pianeta - tensioni e divisioni che non sono certo frutto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, ma di cui quest'ultima ha saputo contenere gli sviluppi più pericolosi. Le disfunzioni, difficilmente evitabili ma sempre superabili, non devono essere motivo di scoraggiamento ma indicazioni della direzione degli sforzi e delle correzioni da intraprendere.

Più i vecchi riflessi del ricorso alla forza restano all'ordine del giorno, più diventa chiaro che si rischia di andare verso la sconfitta totale, non solo della cooperazione internazionale, che ci si sforza pazientemente di ricostruire da quarant'anni, ma della civiltà umana tout court. Già Pio XII, alla vigilia della seconda guerra mondiale, ricordava solennemente che, "con la pace niente è perduto, tutto può esserlo con la guerra". Oggi la prospettiva di ciò che sarebbe una guerra nucleare non ci lascia scelta. Essa ci obbliga, alcuni direbbero ci condanna, a creare un avvenire dove le soluzioni di diritto e di giustizia siano basate sulla legge del più forte. Quarant'anni dopo la firma della Carta delle Nazioni Unite, le poste in gioco della pace e dei diritti dell'uomo devono essere trattate con un senso di responsabilità più acuto rispetto a prima.

Gli impegni solennemente contratti dai firmatari di tale Carta devono essere rispettati ed eseguiti secondo lo spirito della sua lettera.

Mi piace ricordare a titolo particolare, in questo contesto, il vasto lavoro della vostra organizzazione, da quarant'anni, nell'elaborazione di strumenti giuridici che esplicitino e sviluppino la tutela dei diritti fondamentali della persona umana. Sia in questo campo che in quello della creazione di una vera giurisprudenza dei diritti dell'uomo e della giustizia internazionale, sono stati realizzati importanti progressi. In questo lungo e paziente lavoro di risveglio della coscienza universale e dell'edificazione progressiva di un ordine morale più giusto, la Santa Sede e la Chiesa cattolica, voi lo sapete bene, non hanno mancato di offrire il loro contributo.


4. La vostra organizzazione non è un governo mondiale; non dispone di una vera sovranità. Ella vuole essere un'associazione di Stati sovrani. Se non ha potere di costrizione, ella è tuttavia rivestita di un'autorità appoggiata ai più alti valori morali dell'umanità e al diritto. Gli avvenimenti degli ultimi quarant'anni sembrano confermare la necessità che una tale autorità sia dotata di mezzi giuridici e politici che le permettano di promuovere sempre più effettivamente il bene comune e universale e di far trionfare le soluzioni del diritto e della giustizia quando conflitti minacciano di scoppiare tra le nazioni. La Santa Sede non potrebbe che incoraggiare le Nazioni Unite a intensificare questo ruolo di servizio alla pace che è la loro ragion d'essere e a ricercare, di comune accordo, mezzi appropriati di dissuasione e di intervento quando degli Stati membri sono tentati di ricorrere, o, purtroppo, ricorrono alla forza delle armi per regolare i loro conflitti. La vostra organizzazione è, per natura e per vocazione, il foro mondiale in cui i problemi devono essere esaminati alla luce della verità e della giustizia, rinunciando agli egoismi stretti e alle minacce di ricorso alla forza.


5. E' un problema di attualità internazionale sul quale la Santa Sede condivide le preoccupazioni dei membri della vostra organizzazione, poiché esso presenta un aspetto etico e umanitario: è la questione del debito verso l'estero del Terzo mondo, in particolare dell'America Latina. Esiste oggi un consenso sul fatto che l'indebitamento globale del Terzo mondo, e i nuovi rapporti di indipendenza che esso crea, non può porsi soltanto in termini monetari ed economici. E' divenuto più ampiamente un problema di cooperazione politica e di etica economica.

Il costo economico, politico, sociale e umano di questa situazione è sovente tale che pone interi Paesi sull'orlo della rottura. Del resto, né i Paesi creditori né quelli debitori hanno niente da guadagnare di fronte al fatto che si sviluppino delle situazioni di disperazione che sfuggirebbero ad ogni controllo.

La giustizia e l'interesse di tutti esigono che a livello mondiale la situazione sia vista nella sua globalità, in tutte le sue dimensioni non soltanto economiche e monetarie, ma anche sociali, politiche e umane. La vostra organizzazione ha certamente un ruolo di primo piano da giocare nel coordinamento e nell'animazione dello sforzo internazionale che la situazione richiede, in uno spirito di equità ben compreso che si accordi con l'apprezzamento realistico delle cose.


6. Concludendo sottolineerei che la Santa Sede divide con la vostra organizzazione il sentimento che gli obiettivi prioritari dell'azione comune debbano essere: nell'immediato, l'intensificazione del processo di disarmo generale equilibrato e controllato; il rafforzamento dell'autorità giuridica delle Nazioni Unite per la salvaguardia della pace e la cooperazione internazionale, in favore dello sviluppo di tutti i popoli; l'esecuzione degli accordi firmati e la difesa dei diritti fondamentali della persona umana; il riconoscimento effettivo da parte di tutti gli Stati membri dei principi di diritto e delle regole del gioco contenute nella Carta del 1945, la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" del 1948 e gli altri strumenti giuridici internazionali.

La comunità internazionale non può tollerare che gli Stati membri di questa organizzazione violino sistematicamente e apertamente i diritti fondamentali dell'uomo, praticando la discriminazione razziale, la tortura, la repressione politica e ideologica, il soffocamento delle libertà d'opinione e di coscienza. Ne va non solo dell'interesse degli individui e dei popoli, ma, anche della causa della pace nelle differenti parti del mondo.

Per raggiungere questi risultati è indispensabile che si instauri una maggior confidenza tra le nazioni dei differenti sistemi sociali e politici, e innanzitutto tra le grandi potenze che hanno, a questo riguardo, una responsabilità particolare.

Le Nazioni Unite compiranno allora più efficacemente la loro alta missione nella misura in cui, negli Stati membri e presso i loro dirigenti, si svilupperà la convinzione che governare gli uomini è servire un disegno che li oltrepassa. La piena visione di speranza e di coraggio dei redattori della Carta del 1945 non è stata sminuita dalle difficoltà e dagli ostacoli e non può esserlo fino a che tutti i popoli del mondo saranno decisi a superarli insieme. E' l'incoraggiamento che vi rivolgo; è il voto ardente che formulo di tutto cuore e che affido alla protezione di Dio.

Dal Vaticano, 14 ottobre 1985

Data: 1985-10-14 Data estesa: Lunedi 14 Ottobre 1985





Ai cattolici delle Isole Azzorre - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Messaggio per i 450 anni della diocesi di Angra

Carissimi fratelli e sorelle delle Azzorre! Sia lodato nostro Signore Gesù Cristo!


1. Chiudiamo oggi, festosamente, le solenni commemorazioni dei 450 anni di vita della vostra diocesi di Angra che seguo con interesse. In questo giorno è con gradita soddisfazione che mi associo al giubilo spirituale della vostra comunità diocesana, accompagnando e vivendo con il beneamato popolo delle Azzorre le sue vicissitudini storiche: condividendo le sue speranze e le sue gioie, così come i suoi dolori e le sue ansie. così, fu fin dalla scoperta e dal popolamento, da parte di genti venute dal Portogallo e dalle Fiandre, ben presto integrate in un'unica famiglia, unita, fra l'altro, dalla comune adesione a Cristo Signore e alla sua Chiesa. Fu proprio un mio predecessore, Paolo III, che 450 anni fa, precisamente il 3 novembre 1534, creo il vescovato di Santo Salvador, con sede ad Angra, con la Bolla "Aequum reputamus".

Furono altri miei predecessori che, nel tempo, provvidero ininterrottamente questa diocesi di vescovi, successori degli apostoli, voluti dallo Spirito Santo a reggere pastoralmente la Chiesa di Dio (cfr. Ac 20,28).

Altri Pontefici romani resero onore a diversi membri del vostro clero, chiamandoli all'episcopato e al cardinalato, o nominandoli prelati e funzionari onorifici della Santa Sede. E quanti contatti, per l'esigenza di una comunione ecclesiale e secondo le norme del diritto, furono stabiliti fra la vostra Chiesa particolare delle Azzorre e questa Sede di San Pietro a Roma, centro della cristianità! Oggi ho il piacere di associarmi e confermare la mia presenza nella vita di questa comunità, partecipando di buon grado, sebbene solo con questo messaggio, alle vostre commemorazioni diocesane.


2. Desidero, prima di tutto, salutare il vostro Pastore, dom Aurélio Granada Escudeiro, e con lui gli altri fratelli vescovi che sono qui presenti in questo giorno di festa e vogliono rendere manifesta la comunione delle Chiese particolari che rappresentano, nel giubilo di questa comunità diocesana, testimoniando la trasmissione della carità di Cristo nella Chiesa universale durante la celebrazione di un'effemeride che si integra nella storia della diletta Nazione portoghese, la cui fedeltà alla Sede apostolica di Roma è condivisa dall'amato popolo delle Azzorre.

Saluto le eccellentissime autorità che partecipano alle cerimonie, identificati nel proprio dovere di servire e rappresentare la collettività, sempre nel rispetto del carattere peculiare delle legittime forme di cultura, in senso ampio nel caso particolare, più ancora che nel rispetto della libertà religiosa della comunità di cui fanno parte, dividendo con quest'ultima il dovere di osservare i diritti superiori di Dio, da cui proviene ogni potere (cfr. Jn 19,11).

Allo stesso modo, e con particolare intensità d'affetto, saluto tutti i figli della Chiesa delle Azzorre. In questa data festiva, giunga a ciascuno di voi - sacerdoti consacrati, laici impegnati, insomma a tutti i membri del Popolo di Dio - il saluto caloroso del successore di Pietro, a cui benevolmente date continuamente prove di stima, tanto più apprezzate in quanto rivelatrici di spontaneità, e per cui pregate nelle vostre orazioni liturgiche, comunitarie e private. Che Dio vi ricompensi! Desidero infine salutare tutti voi delle Azzorre, dove vorrei che ci incontrassimo: voi, legati ai valori originari di quelle terre benedette, che oggi siete li presenti fisicamente, uniti nella gloria di Dio, e quanti si trovano laggiù solo con lo spirito, emigrati attraverso le terre, attraversando i mari e portando con sé verso regioni lontane la forza del proprio lavoro, la tradizione dei suoi usi e l'entusiasmo delle convinzioni religiose e forse molta nostalgia.


3. "Educato all'ombra della Chiesa, sul cui modello forgio la propria anima - mi confidava il vostro vescovo - il popolo delle Azzorre ha delle caratteristiche peculiari, come i salienti attributi di bontà, di provata sensibilità, amore per la sua terra, ricchezza di religiosità e di sentimenti cristiani, che costituiscono un mondo estremamente particolare".

Carissimi fratelli e sorelle. Avete voluto far coincidere la chiusura delle ultime commemorazioni con la riapertura al culto della vostra storica cattedrale, gloriosa, ma lungo i secoli vessata da intemperie e flagelli. Avete completato la sua ricostruzione proprio recentemente: la Sede del Santo Salvatore, ad Angra, chiesa madre delle altre chiese delle Azzorre. Che dirvi nel mio Messaggio di partecipazione? Vorrei dedicarvi una riflessione che vi rimanesse come ricordo delle celebrazioni diocesane, che oggi solennemente concludiamo.

Prendo questo pensiero da una predica del primo vescovo di Roma, san Pietro, e lo riassumo in queste parole: la costruzione continua, deve continuare! Ai cristiani del suo tempo il Principe degli apostoli scriveva: "E voi pure, come pietre vive, costruitevi in modo da formare una casa spirituale, un santo sacerdozio, per offrire dei sacrifici spirituali, graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5). Lo stesso vi dice, figli della Chiesa delle Azzorre, l'attuale Vescovo di Roma: la costruzione continua, deve continuare! Celebrare quattro secoli e mezzo di storia non deve essere semplicemente una rievocazione del passato, ma principalmente, partendo dagli effetti che causo, vuol dire progettare e iniziare la costruzione di un futuro migliore. L'appello a voi diretto oggi dal Papa è precisamente questo: preparate il vostro futuro nella fedeltà al vostro passato di lavoro, impegno ed iniziativa, all'insegna del coraggio e della speranza, e allo stesso tempo tanto religioso.


4. Le Cronache affermano che nel secolo XV le navi che si dirigevano verso le vostre Isole delle Azzorre, avevano dipinta sulle vele la croce di Cristo; fra i bagagli, insieme agli strumenti agricoli portavano quelli liturgici, e fra i futuri abitanti, coloni di quelle terre, recavano i sacerdoti. La vostra storia è uno scrigno di gesta, ma soprattutto di tenacia nel vivere un binomio: lavoro e fede. Ancora oggi i vostri villaggi, costruiti intorno alle chiese e alle cappelle, e i toponimi delle isole e dei centri abitati, danno testimonianza di questo binomio animatore del vostro glorioso e nobile passato. E' risaputo anche che i vostri avi, dove arrivarono, portarono, se non il primo annuncio del Vangelo, per lo meno una ventata di aria fresca nella pratica religiosa delle comunità, diffondendo per il mondo una radicata devozione al Signore, al Santissimo Salvatore e alla Vergine Santa Maria.


5. Alla luce di ciò, la costruzione continua, deve continuare! Prima di tutto all'interno della comunità diocesana, con un continuo risvegliare, ravvivare e approfondire la fede in Dio. Ciò vale a dire: edificare la Chiesa delle Azzorre e coltivare la volontà di vivere e testimoniare le ricchezze della fede ereditata dalla vostra nazione; significa riconoscere che questa vi inserisce nel Popolo di Dio che è in pellegrinaggio, che celebra Gesù Cristo, il Salvatore, con l'unione a lui attraverso la sacra liturgia, precisamente attraverso i Sacramenti e soprattutto con l'Eucaristia, memoriale e rinnovamento del Sacrificio sulla croce in ogni santa Messa, dove si attinge quell'amore fraterno che è parola di speranza.

La vostra adesione a Dio, a Cristo e alla sua Chiesa, implicherà una conversione continua, la rottura con le tenebre, con la menzogna e con il peccato, che apre la cristianità alla riconciliazione e alla forza interiore. Consiste in questo la base di un serio ed efficace impegno ecclesiale, che non si intimorisce né si smarrisce davanti ai mutamenti socio-culturali, le crisi e tutta la problematica sollevata negli ultimi tempi da un'ondata di materialismo, ispirata da correnti e ideologie che sembrano voler cancellare dalla convivenza umana i legittimi valori spirituali e morali. Il cristiano cosciente sarà sempre pronto a dare una risposta vittoriosa a quanti lo interrogano sulla speranza che lo anima (cfr. 1P 3,15).


6. E la costruzione continua, deve continuare, superiore a tutte le sfide che vengono lanciate alla pastorale della Chiesa delle Azzorre. La facilità di comunicazioni apre un mondo nuovo, spalanca vasti orizzonti alla gente delle vostre Isole, prospettando grandi possibilità di valorizzazione e di arricchimento. L'apertura necessaria e imprescindibile a questo mondo "nuovo" che si intromette e irreversibilmente invade la tradizionale tranquillità, causerà certamente uno scontro. Ma non abbiate paura! L'amore e la misericordia di Dio, che nella storia dell'uomo ha una forma e un nome e si chiama Gesù Cristo, nella risurrezione dello stesso Redentore dell'uomo si è rivelata più forte della morte, più forte del male o del peccato (cfr. DM 8). L'amore di Dio venne effuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo (cfr. Rm 5,5).

Conservate e coltivate, caro popolo delle Azzorre, i valori antichi della vostra fede, che deve essere continuamente illuminata, educata e rinforzata nei diversi ambiti delle fasce d'età: bambini, giovani, adulti. Per raggiungere questo fine sarà necessaria un'intensa catechesi, come avete lodevolmente fatto in questo anno di commemorazioni diocesane. Per questo scopo sarà necessaria anche la familiarità con il soprannaturale, prima di tutto con l'accostarsi di frequente ai Sacramenti: Sacramenti ben celebrati e vissuti con un comportamento cristiano coerente, per favorire l'integrità dei costumi, la stabilità e l'unità della famiglia in case sane, per ispirare gli orientamenti costruttivi delle meravigliose possibilità della scuola o del clima delle comunità umane e dei centri di incontro.

In ciò è incluso un appello ai genitori, agli educatori, ai professori, agli animatori di gruppi, ai professionisti, ai credenti e soprattutto ai catechisti, ai pastori e ad ogni battezzato cosciente della sua missione nel mondo e della sua corresponsabilità apostolica nella Chiesa. Tutti sono chiamati a impegnarsi attivamente nella Chiesa. Tutti sono chiamati ad impegnarsi attivamente per sviluppare, consolidare e rinforzare i principi della fede nella dimensione divina e umana del mistero della redenzione, a rendersi presenti in quella "vera religione, pura e senza macchia davanti a Dio" che naturalmente si trasforma in fratellanza umana, come scrive l'apostolo san Giacomo.


7. Parlare delle Azzorre vuol dire parlare d'emigrazione. Molti dei suoi figli emigrano: un motivo in più per l'"amore del regno dei cieli", pertanto si tratta di terre benedette con vocazioni alla consacrazione sacerdotale e missionaria; altri optano per quello che "sotto certi aspetti è un male necessario", come ci si abitua a dire "ossia lasciare la propria terra in cerca di migliori condizioni di vita in altri luoghi" (cfr. LE 23). Attualmente - mi informava il vostro vescovo - si trovano negli Stati Uniti e in Canada nativi delle Azzorre e i loro figli in numero tre volte maggiore di quanti vivano tuttora nelle Isole dell'Arcipelago.

Voglio rendere oggi un sentito omaggio ai numerosi e validi missionari che provennero da questo vivaio di vocazioni, indice di vitalità religiosa. In questo omaggio rivolgo anche un appello: custodendo un passato glorioso nell'opera di evangelizzazione - in terre brasiliane e bagnate dal Pacifico, in un primo momento, e in terre africane e orientali poi - badate anche ai campi che già imbiondiscono, pronti per la mietitura, badate alla messe abbondante e alla scarsità di operai (cfr. Jn 4,35 Lc 10,2).

Poco tempo fa i vescovi di Goa, Macau e Timor e parte del clero di queste diocesi erano figli generosi delle Azzorre. Affinché non si esaurisca questa spinta evangelizzatrice, continuate a promuovere le vocazioni! Insistete nella pastorale vocazionale! Sarà di beneficio per voi stessi, "che avete già gustato quanto è buono il Signore" e per "annunciare alle moltitudini le meraviglie di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile" (1P 2,3 1P 2,9).


8. E a voi, carissimi emigranti delle Azzorre, la cui laboriosità e l'amore per la propria terra sono ben noti, giungano i voti che anche per voi formulai in una lettera che scrissi a proposito del lavoro umano, la "Laborem Exercens" (cfr. LE 23): che continuino gli sforzi perché al male - spiegato nel senso materiale - non si aggiunga mai un danno maggiore nel senso morale; e, d'altro canto, che le difficoltà, di diversa natura, che bisogna affrontare, siano compensate, per quanto possibile, da un miglioramento nella vita personale, familiare e sociale.

Oggi ripeto anche a voi il messaggio di san Pietro: la costruzione continua, deve continuare! Con le stesse parole dell'apostolo vi dico: carissimi, vi prego che, come stranieri e pellegrini, ovunque vi troviate, vi comportiate nobilmente, come buoni cristiani impegnati nell'edificazione della Chiesa "affinché vedendo le vostre buone opere tutti siano portati a rendere gloria a Dio" (1P 2,12).


9. Molti altri temi sugli aspetti del vostro quotidiano meriterebbero di essere trattati e dovrei soffermarmi oltre sull'esortazione di san Pietro: la costruzione continua, deve continuare! Penso ad esempio alla famiglia, tradizionale fondamento sociale e religioso degli abitanti delle Azzorre; penso alla promettente gioventù, oggi tanto insidiata - come ho già detto - ma tanto generosa; penso al campo dell'educazione, ai problemi del lavoro, al settore della salute pubblica, ai mezzi di comunicazioni sociale; penso insomma a tutti i laici della comunità, chiamati ad assumere le proprie responsabilità di cristiani nell'ambiente familiare, professionale, sociale e politico, mantenendo la sua identità cristiana e realizzando una corresponsabilità nella Chiesa di cui fanno parte. Penso anche ai religiosi, alle religiose e alle altre persone consacrate; penso, con particolare stima, ai cari sacerdoti del presbiterio, corona del suo vescovo.

A tutti senza eccezione, affinché possano vincere i momenti di sconforto che si presentano loro, così come li vinsero altri in passato, ripeto, davanti alla loro cattedrale da poco ricostruita: voi stessi, carissime genti delle Azzorre, come pietre vive entrate a far parte della costruzione di un edificio spirituale: la Chiesa che è nelle Azzorre. La costruzione continua, deve continuare, per Gesù Cristo e con la mia affettuosa e propiziatrice benedizione apostolica, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Dal Vaticano, 14 ottobre 1985.

Data: 1985-10-14 Data estesa: Lunedi 14 Ottobre 1985







GPII 1985 Insegnamenti - Omelia per il giubileo cirillo-metodiano - Città del Vaticano (Roma)