GPII 1985 Insegnamenti - Al mondo del lavoro - Miniera di Monteponi (Cagliari)

Al mondo del lavoro - Miniera di Monteponi (Cagliari)

Titolo: Il valore del lavoro non è semplice processo di produzione




1. Vi saluto di gran cuore, carissimi minatori, lieto di essere in mezzo a voi per questo incontro che mi è particolarmente caro. Il vostro lavoro rappresenta una tradizione che risale lontano nei secoli, perché il suolo della vostra isola nasconde sue specifiche ricchezze. Questa vostra miniera, che saro lieto di visitare tra poco, risale al tempo dei fenici.

Una testimonianza della mia pastorale sollecitudine per voi minatori, che vi trovate non di rado ad agire in condizioni eccezionalmente dure, è il fatto che, nel comporre l'enciclica "Laborem Exercens" (cfr. LE 9), destinata all'esame dei problemi del lavoro, ho voluto riservarvi una speciale menzione. Con pari affetto saluto i lavoratori delle industrie metalmeccaniche e, più in generale, i rappresentanti delle varie categorie di lavoratori qui convenuti da tutta l'isola.

Ho ascoltato con vivo interesse le parole che uno di voi mi ha rivolto, e assicuro che le preoccupazioni da lui espresse a nome di tutti trovano nel mio animo eco sentita e profonda. Ringrazio anche il presidente dell'Eni, professor Francesco Reviglio, per l'indirizzo che mi ha gentilmente rivolto.

Il mio pensiero va anche alle vostre amate famiglie, cari lavoratori: alle vostre spose e ai figli, per il cui benessere voi spendete generosamente le vostre energie. Ritornando a casa, portate loro il mio saluto cordiale.

Ho desiderato che uno dei primi incontri del mio viaggio pastorale in questa forte terra di Sardegna fosse dedicato a voi, per darvi un segno dell'importanza che la Chiesa annette alla vita del mondo operaio. Vengo a voi, cari fratelli, spinto dal sentimento più vivo di fraterna solidarietà e mosso dalla convinzione che, nonostante difficoltà di ogni genere, anche un tipo di attività come la vostra non deve essere di ostacolo alla realizzazione dei grandi obiettivi che danno senso e dignità alla vita. Prima dell'avvento del cristianesimo, la fatica fisica, come ogni altra forma di sacrificio e di sofferenza, era considerata soltanto una fatalità insopprimibile della nostra esistenza, priva di orizzonti di luce. Gli antichi romani consideravano, in particolare, la miniera un luogo di condanna e, con la crudezza della stessa espressione latina "damnare ad metalla", già significavano una sorte senza ritorno. Mi piace ricordare, a questo punto, che uno dei miei predecessori, il papa san Ponziano, il primo pontefice che abbia messo piede sul suolo sardo, diciassette secoli or sono, vi fu inviato quale condannato alla miniera a motivo della sua impavida professione cristiana. E oggi la Chiesa, venerandolo come martire, intende rendere omaggio a un uomo che ha testimoniato la fede fino all'ultimo sacrificio.

Le condizioni nelle quali si svolge oggi il vostro lavoro non sono più, per fortuna, quelle di allora. Esse restano, tuttavia, molto pesanti e questo vi addita a una speciale riconoscenza da parte dell'intero corpo sociale. Grazie, infatti, al lavoro oscuro portato avanti nelle profondità della terra, la comunità può far proprie nuove ricchezze, ivi nascoste, ed elaborarle per il sostentamento e lo sviluppo di tutta la famiglia umana.

Questo è infatti il disegno di Dio: chiamare l'uomo a collaborare, mediante l'impegno della mente e del braccio, nell'opera grandiosa di "soggiogare la terra". E allora, cari lavoratori della Sardegna, voi siete sempre presenti al cuore della Chiesa, che, in forza della sua fedeltà a Cristo, vi guarda con occhi di particolare amore e di sincera sollecitudine.


2. Fin dal primo sorgere della cosiddetta "questione sociale", nel secolo scorso, come conseguenza del fenomeno della grande industrializzazione, la Chiesa si è impegnata a seguirne passo passo il cammino, scegliendo di restare vicino a chi più soffre ed è indifeso ed elevando tempestivamente la propria voce contro le sistematiche violazioni della dignità della persona umana, lo sfruttamento dell'operaio, il manifestarsi di crescenti fasce di miseria e addirittura di fame.

Nel corso dei passati decenni, la Chiesa con molteplici interventi ha rivendicato per l'operaio il diritto a un lavoro dignitoso, equamente retribuito per sé e per la famiglia, e ha fatto appello a "nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro" (LE 8).

Evitando di dare al problema una visione riduttiva, la Chiesa vede il lavoro umano nell'insieme delle sue grandi componenti, sotto l'aspetto religioso, umano, familiare e sociale. Essa è consapevole che solo la fede dà un senso compiuto al lavoro collocando l'uomo - che per sua natura è lavoratore - al centro dell'universo, in rapporto con Dio. Solo così si pone il fondamento trascendente di una giustizia, che non è più lasciata all'arbitrio degli interessi di parte o al gioco delle interpretazioni ideologiche. L'attività umana di qualsiasi tipo diventa in tal modo fattore di umanizzazione, di evangelizzazione e di autentico progresso,


3. Carissimi lavoratori, in sintonia con l'insegnamento dei Papi che mi hanno preceduto, io non mi stanco di ripetere a tutti, ai gruppi dirigenti e alle forze sociali, che il valore del lavoro umano non può essere ridotto a semplice processo di produzione o considerato soltanto in rapporto alla sua finalità economica.

Concezioni di questo genere hanno creato, purtroppo, le premesse di grandi ingiustizie, con conseguenze assai negative nell'evoluzione morale e civile della società. Con tali impostazioni di fondo, infatti, si altera profondamente la vera nozione del lavoro, si priva il lavoratore delle prerogative sue proprie, si distorce la verità stessa dell'uomo, che resta umiliato nella sua dignità più profonda.

La persona umana non si esaurisce nella realtà temporale, tanto meno si esaurisce nel suo lavoro. Un segno di questa preminenza dell'uomo sulla logica della produzione è certamente da vedersi nel diritto al riposo festivo; da intendere non solo come interruzione del lavoro economico-produttivo e recupero delle forze fisiche, ma anche come tempo libero non finalizzato all'economia, che permette alla persona umana di curare di più la vita sociale, religiosa, di ritrovare se stessa, assumendo i valori superiori d'amore, d'amicizia, di preghiera, di contemplazione (cfr. GS 60-61; PP 20).


4. Tutti sappiamo che non è difficile per l'uomo degradarsi a causa del lavoro; tocchiamo ogni giorno con mano in concreto la dura realtà che vari sono i modi di sfruttare il lavoro umano per farne un mezzo di oppressione dell'uomo. Ma sappiamo pure che, al contrario, mediante il lavoro l'uomo, quando è posto nella sua giusta prospettiva di protagonista del mondo in cui opera, può realizzare se stesso come uomo e anzi, in certo senso, diventare più uomo (cfr. LE 9). La dignità dell'uomo non si misura da quello che egli fa, dalla sua capacità di trasformazione e di elaborazione dei prodotti della terra, dalla quantità del suo profitto materiale ma da quello che egli è.

Dico di più: mediante il lavoro egli può realizzare se stesso come cristiano e, in certo senso, essere più cristiano. Ciò diventa possibile quando l'uomo, dando al lavoro il significato che esso ha agli occhi di Dio, si lascia guidare dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Allora egli si avvicina a Dio, entra nell'opera della salvezza, e il suo lavoro diviene un esercizio di fede e uno stimolo di elevazione e di preghiera.

Questa considerazione non stupisce se si riflette che al lavoro partecipa l'uomo intero, il corpo e lo spirito, indipendentemente dal fatto che il lavoro svolto sia manuale o intellettuale. Giustamente, perciò, la Chiesa ricorda il dovere di elaborare una spiritualità del lavoro nel senso cristiano dell'espressione.

Ecco perché la Scrittura Santa presenta alla nostra considerazione due quadri assai ricchi di contenuto, che io voglio qui soltanto richiamare. Nel giardino della Genesi il primo uomo, creato da Dio, fu anche il primo lavoratore.

Nella nuova alleanza a Nazaret, accanto alla casa di Maria, c'era un'officina di falegname, dove prima Giuseppe operaio, poi Gesù, divenuto operaio anche lui, lavoravano per guadagnarsi il pane quotidiano, come voi, come tutti i lavoratori del mondo, col sudore della propria fronte, per il sostentamento della famiglia.

La famiglia! Essa rappresenta il legame vitale, che dà al lavoro la sua carica di amore. Motore universale, l'amore anima la finalità sociale del lavoro e lo trasforma in servizio per la costruzione di una società di fratelli: la civiltà, appunto, dell'amore.


5. Cari fratelli operai, debbo ancora richiamare un altro aspetto di questo problema, per arricchire il quadro che ne propone la visione cristiana. Il libro della Genesi insegna che l'esperienza dolorosa di un lavoro eseguito "col sudore della fronte" (Gn 3,19) è conseguenza del peccato commesso all'inizio dall'uomo.

Il peccato, carissimi, è una tragica realtà da non dimenticare: esso sta all'origine dei mali della società e delle sofferenze dell'uomo. La Chiesa, impegnata a favorire l'eliminazione delle ingiustizie dal mondo del lavoro, non è meno impegnata, sotto la guida di Dio, a combattere il peccato e a ridurne le conseguenze. Tuttavia essa è realisticamente consapevole che, nonostante gli sforzi, il dolore continua a far parte della vita del mondo. Leone XIII, il grande pontefice, che con tanta lungimiranza analizzo i problemi del lavoro, scrisse in proposito parole che oggi, alla luce della verità storica, appaiono profetiche.

Egli raccomando di non lasciarsi ingannare da chi vuol "togliere del tutto le sofferenze del mondo. Coloro che dicono di poterlo fare e promettono alle misere genti una vita scevra di dolore e di pene, tutta pace e diletto, illudono il popolo e lo trascinano per una via che conduce a dolori più grandi di quelli attuali" ("Rerum Novarum", 14).

Il cristiano accetta il peso e la pena della fatica anche come espiazione della colpa, purificazione dell'anima, ritorno all'innocenza perduta.

Ma questa concezione penitenziale del lavoro, che pure riveste la sua non trascurabile importanza, non significa rinunzia allo sforzo di cambiare le situazioni d'ingiustizia, né disimpegno dal dovere di migliorare in concreto la società.

Essa vuol dire semplicemente inserimento consapevole nel mistero di un disegno divino di amore che chiede la collaborazione dell'uomo per la salvezza di tutta l'umanità e l'elevazione del mondo, trasformando l'elemento comune e diffuso del dolore in strumento di grazia. Senza questa prospettiva evangelica è impossibile comprendere il sacrificio della croce e associarsi al suo valore immenso.


6. Nel parlare a voi, cari lavoratori, convenuti così numerosi da vari settori della Sardegna per riascoltare alcune linee importanti dell'insegnamento sociale della Chiesa, così ricco di fermenti e di potenzialità, è chiaro che io auspico per voi, per tutti i lavoratori sparsi nell'isola, nell'Italia e nel mondo, e in particolare per quelli che, come voi minatori, affrontano situazioni ambientali più dure, un miglioramento delle condizioni di vita e una legislazione coraggiosa, che liberi sempre più dal pericolo di asservimento al lavoro strettamente produttivo. Vi assicuro che questa prospettiva, per me, che sono stato operaio come voi, fa parte delle mie preghiere quotidiane e della mia costante sollecitudine pastorale. E desidero vivamente che la mia esortazione vi spinga a impegnarvi a crescere umanamente e spiritualmente.

Tuttavia, mentre il mio sguardo si posa su vari settori di questa vostra assemblea, il pensiero non può fare a meno di correre verso un altro scenario, che tanto rattrista il cuore di tutti noi. E' lo spettacolo, efficacemente evocato da chi ha parlato a nome vostro, di una massa di giovani di quest'isola tenace e laboriosa i quali, per mancanza di lavoro, sono costretti ad incrociare le braccia. Si sa che il fenomeno della disoccupazione colpisce oggi in percentuali crescenti quasi tutti i Paesi della società più industrializzata. Ma costituisce motivo di grande dolore e preoccupazione constatare, scorrendo le statistiche, che la Sardegna risulta essere una delle aree più colpite.

Senza dubbio, come ho più volte rilevato, il fenomeno può essere risolto in maniera soddisfacente solo con una giusta e razionale coordinazione di iniziative nell'ambito della comunità nazionale e anche col ricorso a trattati e accordi di collaborazione internazionale (cfr. LE 18). In questo momento, pero, desidero rivolgere il mio appello a tutte le autorità nazionali e regionali, a tutte le forze politiche e sociali che hanno a cuore il vero bene dell'uomo, perché, con impegno prioritario, moltiplichino i loro sforzi allo scopo di suscitare iniziative, di razionalizzare la coordinazione, perché la piaga diffusa della disoccupazione venga efficacemente affrontata, in tempi brevi ridotta, e via via definitivamente eliminata. Sono sicuro che le organizzazioni ecclesiali, a ogni livello, sono disponibili ad offrire la loro piena collaborazione.

Con queste prospettive per l'immediato futuro, benedico di cuore tutti e ciascuno di voi, augurandovi un futuro sereno, allietato da un adeguato benessere, nel contesto di una società più giusta e concorde.

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985





Alla comunità ecclesiale - Iglesias (Cagliari)

Titolo: La carità pervade i cuori e si traduce in operosità

Carissimi fratelli e sorelle.


1. E' per me motivo di particolare soddisfazione, in questa prima tappa della mia visita pastorale in Sardegna, incontrare una compagine qual è la vostra, rappresentativa di tutte le componenti della famiglia diocesana.

Saluto il vescovo, monsignor Cogoni, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi, testimoniando i sentimenti di profonda comunione che legano questa Chiesa con la Sede apostolica. Ringrazio anche il signor sindaco, che nel suo nobile indirizzo ha presentato con grande vivezza i problemi della città e della zona, quale interprete autorevole delle comuni preoccupazioni e speranze. Saluto le autorità civili e religiose presenti e in particolar modo tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, che siete qui convenuti e vi ringrazio sentitamente per la calorosa accoglienza, mentre rivolgo il mio pensiero, altrettanto cordiale, a tutti i fedeli della diletta Chiesa iglesiente, con accenti preferenziali per i bambini, gli anziani, gli ammalati, gli emigrati, e quanti hanno maggior bisogno dell'aiuto celeste.


2. La mia parola si dirige dapprima a voi, cari confratelli nel presbiterato. In piena effusione di cuore, saluto in voi "i dispensatori dei misteri di Dio" (1Co 4,1), gli insostituibili servitori della comunità cristiana, presi fra gli uomini e costituiti per il bene degli uomini stessi nelle cose che riguardano Dio (cfr. He 5,1), i qualificati "cooperatori dell'ordine episcopale" (PO 2): sono certo che la cristallina fedeltà alla vocazione e la coerente consapevolezza della vostra missione vi sono di crescente sostegno e luce nel fecondo e difficile momento in cui, secondo le impegnative indicazioni del Concilio, tutti siamo chiamati a un rinnovato e più maturo senso di responsabilità ecclesiale.

Tappe, per taluni aspetti, incessantemente nuove caratterizzano quest'ora densa di fermenti e di attese; un'ora che noi dobbiamo registrare sul quadrante di Dio, in conformità con i suoi provvidenziali disegni. Proprio questo rende particolarmente urgente l'impegno di santificazione e di progresso spirituale di coloro che hanno il compito di essere la "voce" che chiama tutti alla santità.


3. La diligente riscoperta dell'identità del sacerdozio di Cristo, e lo sforzo generoso per tradurne nella propria vita i tratti caratteristici costituiscono oggi il fondamentale presupposto per la fecondità del ministero presbiterale. E' significativo che tale riscoperta e tale sforzo esercitino anche un'attrattiva singolare sulle nuove leve, segnalando così un non trascurabile elemento della pastorale vocazionale, che, come ho appreso con vivo compiacimento, si è da voi notevolmente intensificata e sta dando buoni frutti. L'incontaminata identità sacerdotale è il luminoso punto di irradiazione nelle esigenze che sgorgano dagli sviluppi della vita diocesana e nei vari problemi che richiedono energie e dedizione senza limiti.

Una riflessione analoga mi è caro di offrire a voi, carissimi religiosi e carissime religiose, riproponendovi l'ideale di una lineare fedeltà alla vocazione religiosa e al peculiare carisma del vostro istituto.

Iglesias ha al proprio attivo una tradizione francescana, dovuta anche al fatto, piuttosto inconsueto, che la Chiesa cattedrale è dedicata a santa Chiara d'Assisi. Ma, accanto alla rigogliosa pianta del francescanesimo, sono germogliate, e hanno fruttificato, in tempi antichi e in tempi recenti, altre famiglie religiose, bene operanti nel tessuto della comunità diocesana, specialmente nei rami femminili. Tutto questo è motivo di rallegramento ed è presagio di speranza per l'incremento e il progresso, a cui la Chiesa locale di Iglesias fervidamente aspira.


4. Affetto e considerazione mi è caro esprimere a voi, carissimi fratelli e sorelle, che costituite la vasta compagine del laicato cattolico, e siete chiamati, come afferma il Concilio, "a illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore" (LG 31).

Si tratta di una missione vera e propria, alla cui radice sta la dignità di appartenenti al popolo di Dio, dignità comune ai membri dell'ordine sacerdotale e dello stato religioso. Tale dignità comporta una presenza e una partecipazione essenzialmente attiva alla vita ecclesiale, così che ogni fedele, in virtù del Battesimo e della Confermazione, è naturalmente apostolo del regno di Dio e un portatore della buona novella con la testimonianza e con le opere, sia a livello individuale, sia nelle forme associative dell'apostolato.

A questo riguardo desidero riservare una speciale parola di lode e di incoraggiamento alle associazioni e ai movimenti che nella vostra diocesi vanno fervorosamente lavorando per promuovere la cultura cattolica, la formazione catechistica, le opere di carità, e parimenti la crescita dell'impegno civile, soprattutto in rapporto al conseguimento della giustizia in campo sociale ed economico; settore, questo, di grande rilievo qui, per l'incidenza di cospicue attività industriali e, in specie, minerarie.


5. "Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a proprio modo, partecipano all'unico sacerdozio di Cristo. Il sacerdozio ministeriale forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia ed esercitano il sacerdozio con la partecipazione ai sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l'abnegazione e l'operosa carità" (LG 10).

Questo passo della "Lumen Gentium" propone l'idea-madre dei rapporti che intercorrono tra il sacerdozio ministeriale e il sacerdozio comune dei fedeli.

Rapporti di reciprocità, in una netta distinzione di natura e di ruoli, che non consente confusioni né sostituzioni, e invece favorisce quel processo vasto e profondo, che non è pura e semplice collaborazione, ma va sotto il nome grande e profondo di comunione.

Anima di tale comunione è la carità di Cristo, che pervade i cuori e si traduce in fervente operosità. E' la prospettiva che associa tutti, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, in un impegno di azione coordinata e solidale, che forma una delle urgenze ecclesiali dell'ora presente, intimamente connessa con la ricerca della santità personale, come cammino di conversione e di rinnovamento nello spirito del Vangelo.

Un altro compito urgente che mi preme di indicarvi è la tutela degli istituti del matrimonio e della famiglia cristiana contro le forze disgregatrici che in molti modi li insidiano. Occorre individuare le vie concrete per garantirne la stabilità sulle solide basi stabilite da Dio e dal Signore Gesù, rafforzate mediante la grazia del sacramento. Le vostre secolari tradizioni cristiane non possono essere smentite in un momento storico di trapasso di civiltà, che annovera tra le sue ombre la decadenza, per molti aspetti, dell'istituto matrimoniale e familiare. Sarà necessario, tra l'altro, intensificare la catechesi sulle verità della fede per alimentare il senso soprannaturale della vita, che è la radice anche del genuino senso morale.

Permettetemi di ricordare infine, come obiettivo parimenti importante, l'unione delle forze per trovare un'equa soluzione dei problemi di promozione umana e di giustizia sociale, banco di prova, in certo senso, della credibilità della testimonianza cristiana.


6. Per il conseguimento di questi traguardi vi sostiene l'esempio del martire sant'Antioco, valoroso combattente della fede, che "tutto reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù Cristo, suo Signore" (cfr. Ph 3,8). Egli vi ottenga dallo Spirito Santo la sapienza e la fortezza necessarie per camminare speditamente, senza deviare, come indico Mosè al popolo eletto, "né a destra né a sinistra" (Dt 5,32) nella piena obbedienza ai comandi del Signore.

Continuate a onorare il vostro santo patrono, promovendo una devozione profonda nella luce di un autentico spirito pastorale e liturgico, pienamente consona al concetto cristiano della vita.

E insieme a sant'Antioco, non posso non ricordare la Vergine santissima, che voi invocate in modo speciale sotto il titolo di "Madonna delle grazie" in un celebre santuario che commemora quest'anno il 250° anniversario del voto fatto dalla comunità iglesiente per essere liberata da una grave calamità. Veramente bella e commovente la vostra fedeltà a tale voto dopo tanto tempo! Voglia la Madre celeste vedere in questo gesto, che si ripete ogni anno, il segno di un'immutata e immutabile fedeltà a lei e al suo Figlio divino. Voglia essa continuare a mostrarsi, come per il passato, tenera Madre e sollecita consolatrice, nonché potente avvocata dei più poveri, degli oppressi e degli infelici al fine di condurli alla pienezza della loro dignità umana e alla gloria della figliolanza divina.

E la mia affettuosa benedizione sia con tutti voi!

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985





Alla cittadinanza - Oristano

Titolo: Conservate l'eredità di fede e impegno per la giustizia




1. Ho ascoltato con viva gratitudine le eloquenti espressioni con le quali ella, signor sindaco, rendendosi qualificato interprete dell'intera città di Oristano, ha voluto porgermi il benvenuto in questo storico luogo, ricco di attrattive naturali, posto com'è a specchio dall'omonimo golfo, nel bel mezzo della fertile pianura dell'Arborea.

Il mio ringraziamento si estende a tutti i membri del Consiglio comunale, alle personalità civili e religiose, e a quanti sono qui convenuti, anche dai paesi limitrofi, per dare calorosa espressione al loro innato senso di quell'accoglienza e ospitalità, che tanto distingue il popolo arborense, ben noto per il suo temperamento forte e gentile, discreto e generoso.

Esprimo la mia riconoscenza per l'invito che mi è stato rivolto a visitare questo lembo della terra sarda segnata da vicende storiche, religiose e artistiche. Per averne una prova, basterebbe solo accennare ai fitti scambi culturali e commerciali che Oristano, per una ragione o per un'altra, ha intrecciato attraverso i secoli con i popoli mediterranei, dai cartaginesi ai romani, dai longobardi agli aragonesi e alle Repubbliche marinare del continente.

Quello del Medioevo fu certamente un periodo illustre per la città di Oristano non solo per il suo sviluppo economico e sociale, ma anche e, direi soprattutto, per quello civile e culturale che raggiunse il suo vertice nella promulgazione della famosa "Carta De Logu", avvenuta durante il giudicato dell'eroina Eleonora d'Arborea. Tale carta, considerata un monumento di saggezza giuridica, assicuro ad Oristano e all'intera isola una solida base per la costruzione di una civile convivenza, fondata sulla giustizia e sul rispetto della persona umana.


2. La nobiltà di spirito e la forza d'animo di questa illustre figlia di Oristano hanno plasmato attraverso i secoli coscienze adamantine, che hanno saputo assicurare una continuità nella promozione di quei valori umani e sociali, dei quali il popolo arborense va giustamente orgoglioso. La difficile e faticosa opera di bonifica della pianura di Arborea e di quella di Campidano ne è una prova significativa. A quale tremenda desolazione sono state sottratte queste terre dall'invincibile tenacia e dal duro lavoro di questo popolo! Dove era una landa ricoperta da paludi malariche, che decimavano gli abitanti del luogo, oggi, grazie soprattutto alla costruzione della gigantesca diga sul Tirso, è dato ammirare un territorio fiorente per le sue ricche coltivazioni e per le industrie dei prodotti agricoli. Queste affermazioni in campo sociale onorano quanti vi hanno dedicato le proprie energie e costituiscono un motivo di vanto. Ad essi desidero rivolgere un particolare saluto e una parola di plauso, ben conoscendo i duri sacrifici da essi compiuti nel passato e quelli che essi compiono oggi. Desidero inoltre esprimere l'auspicio che leggi adeguate sostengano gli sforzi dei coltivatori e che si attuino quelle necessarie riforme che assicurino alla gente dei campi dignità, prosperità e serenità per l'avvenire.


3. Carissimi fratelli e sorelle di Oristano, so che la storia della vostra città è profondamente contrassegnata dalla tradizione religiosa, di cui danno splendida testimonianza i monumenti sacri, edificati dai vostri antenati; mi piace menzionare in proposito la suggestiva cattedrale, fatta erigere nel 1228 con elementi decorativi presi dalla vicina e antica Tharros; la bella chiesa romanica di Santa Giusta e il santuario della Madonna del Rimedio, edificato in tempi a noi più vicini. Sono questi segni manifesti della continua e operosa presenza della Chiesa accanto al popolo. Insigni e benemeriti pastori si sono succeduti in questa Chiesa oristanese, i quali si sono prodigati non solo per l'animazione cristiana del popolo di Dio, ma anche per la promozione della dignità umana e per l'affrancamento da ogni forma di ingiustizia, di prevaricazione e di discriminazione sociale e spirituale.

Questa circostanza così importante vi sia di stimolo per riflettere sulla necessità di custodire sempre gelosamente questa preziosa eredità a voi lasciata dagli antenati. Ricorderete come Eleonora d'Arborea nel 1395, consegnando al popolo la raccolta delle menzionate norme giuridiche, vi apponeva una significativa dedica: "Ad onori de Deus, onnipotente e de sa gloriosa Virgini Santa Maria Mamma sua". Tenete sempre viva tale fede e non abbiate timore di trasmetterla ai vostri figli e ai vostri nipoti. Restate sempre fedeli alla Chiesa, che è stata ed è sempre vicina a voi. Maria santissima, che voi venerate sotto il titolo di Nostra Signora del Rimedio, specialmente in questo mese di ottobre dedicato alla pia pratica del Rosario, vi assista e vi ottenga dal suo figlio Gesù la continua protezione celeste.

Con questi voti nel cuore vi benedico tutti nel nome del Signore.

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985





Omelia della celebrazione eucaristica - Oristano

Titolo: Cristiani apostoli, testimoni e diffusori della fede




1. "Ti lodino, Signore, tutte le tue opere / e ti benedicano i tuoi fedeli. / Dicano la gloria del tuo regno / e parlino della tua potenza" (Ps 14410-11).

Con queste parole dell'odierna liturgia desidero glorificare Dio insieme con voi, cari fratelli e sorelle! Abitanti di Oristano e di tutta la Sardegna! Desidero glorificare Dio uno e trino, che è l'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Desidero glorificare Dio creatore, Dio redentore, Dio che tutto vivifica e tutto rinnova.

Questo infatti è il primo scopo della mia venuta fra voi e del mio pellegrinaggio per le strade della vostra isola. "Ti lodino, Signore, tutte le tue opere". Ti lodi quest'opera che porta il nome "Sardegna"; questa terra meravigliosa e gli uomini che la abitano; il passato e il presente: questa peculiare "piccola parte" della tua Chiesa. Tutto questo proclami attraverso il nostro comune servizio "la gloria del tuo regno".


2. "Luca è con me" scrive l'apostolo Paolo nella Lettera a Timoteo (2Tm 4,11).

Oggi Luca è con noi, è con tutta la Chiesa, perché la Chiesa universale dedica questa giornata proprio al ricordo di questo evangelista.

La comunità dei credenti in Cristo nutre una grande venerazione verso gli apostoli e gli evangelisti, perché ci hanno parlato molto della gloria del regno di Dio. Luca evangelista, discepolo e socio delle fatiche apostoliche di san Paolo, occupa tra di essi un posto particolare. A lui dobbiamo il terzo Vangelo e gli Atti degli apostoli. Possiamo quindi ripetere le parole che di lui dice san Paolo, tratte dalla prima lettura di oggi: "Il Signore... mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i gentili" (2Tm 4,17).


3. Luca evangelista non apparteneva al gruppo degli apostoli, ma possiamo ben vederlo tra quei settantadue discepoli, di cui parla l'odierno brano del suo Vangelo. Erano settantadue. Il Signore stesso designo questo numero, come leggiamo: "E li invio a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi" (Lc 10,1). Il Signore Gesù diede anche loro precise indicazioni su come dovevano comportarsi per la via, annunziando a tutti la buona novella del regno di Dio, ormai vicino.

Luca ci presenta il regno di Dio soprattutto come realtà in cammino, come via che il cristiano è chiamato a percorrere fino in fondo, fino cioè a condividere la Pasqua del Signore. Un cristianesimo in cammino con Cristo verso il Padre, cammino che viene simboleggiato nella salita verso Gerusalemme: "Ecco, saliamo a Gerusalemme e ivi si compirà tutto quello che è stato scritto dai profeti a riguardo del figlio dell'Uomo" (Lc 18,31),

4. Ai nostri tempi il Concilio Vaticano II è diventato luogo di un nuovo invio dei discepoli di Cristo per l'annunzio della buona novella del regno di Dio, che si è avvicinata al mondo nel mistero pasquale del Redentore. Il Concilio infatti ha riproposto con rinnovato vigore l'urgenza, sempre proclamata dalla Chiesa, della missione redentrice da realizzare con generosa dedizione in mezzo al popolo di Dio. Tale consegna è affidata anzitutto ai vescovi e ai sacerdoti che il Salvatore divino "ha reso partecipi della sua consacrazione e della sua, missione" (LG 28 PO 2), concedendo loro un ampio mandato, perché, come ha sottolineato quella grande assise ecumenica, "ogni ministero sacerdotale partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo agli apostoli" (PO 10). Ma essa viene estesa anche, a titolo diverso, a tutti i battezzati, che formano la comunità cristiana. Afferma infatti il Concilio: "I laici sono chiamati a collaborare, in diversi modi, con l'apostolato della gerarchia, a somiglianza di quegli uomini e donne che aiutavano l'apostolo Paolo nell'evangelizzazione... Grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare, affinché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra" (LG 33).

Ogni cristiano deve pertanto sentirsi un inviato e un apostolo, cioè un diffusore della fede. Egli deve sentirsi una persona in cui è stata accesa la fiaccola della fede che per sua natura è destinata a risplendere perché tutti possano attingervi luce e valore (cfr. Lc 11,33); deve sentirsi un apostolo e realizzarne in pienezza le esigenze con la preghiera, con l'esempio, con l'oblazione, con la sofferenza, con l'attività, con la disciplina e con la collaborazione. La giornata delle Missioni, che dopodomani si celebrerà in tutto il mondo, sia perciò per tutti uno stimolo a vivere sempre più profondamente questi ideali e un richiamo al dovere della cooperazione generosa per la diffusione della fede nell'affascinante visione del regno di Dio, in continua tensione verso il Padre.


5. Con questi sentimenti rivolgo il mio saluto a tutti i membri di questa antica e illustre comunità diocesana di Oristano, di quelle di Ales e Terralba e di tutta la regione qui rappresentata nelle persone dei loro venerati pastori, ai quali va il mio cordiale saluto nel Signore. Rinnovo il mio abbraccio a monsignor Francesco Spanedda, arcivescovo di questa diocesi e presidente della Conferenza episcopale sarda. Il mio beneaugurante pensiero si rivolge parimenti a tutte le autorità civili e militari del Comune, della Provincia e della Regione. Un pensiero particolare va ai sacerdoti, ai religiosi e religiose e a tutte le organizzazioni cattoliche, che con la loro zelante opera non cessano di promuovere l'animazione cristiana tra il popolo di Dio in questo lembo di terra, che ha conosciuto la fede già fin dai primi secoli dell'èra cristiana, anche se l'istituzione giuridica dell'arcidiocesi risulta avvenuta in tempi posteriori, in seguito al trasferimento del vescovo e del suo popolo dall'antichissima sede di Tharros.


6. Fra gli avvenimenti che hanno segnato la vita cristiana di questa comunità, vorrei ricordare la celebrazione del Concilio sardo di Santa Giusta nel 1226, che rappresento per tutta l'isola una tappa importante nella formazione di una sempre più chiara coscienza ecclesiale, e lo svolgimento dell'assise dei vescovi sardi, tenuto ad Oristano nel maggio del 1924: esso servi a consolidare l'impegno pastorale per una più profonda e capillare evangelizzazione della regione.

Ma la stella che ha guidato attraverso questi secoli il cammino spirituale del vostro popolo è la devozione alla beata Vergine Maria. Il culto mariano nell'isola risalirebbe al tempo dei cristiani condannati "ad metalla", e si sarebbe poi esteso e rafforzato ad opera dei due papi sardi, sant'Ilario e san Simmaco, i quali non cessarono di inculcare nel popolo una tenera devozione a colei che viene qui chiamata popolarmente "Nostra Sennora", e che trova l'ideale punto di riferimento nel magnifico santuario della Madonna del Rimedio.


7. Ma, accanto a queste considerazioni tanto gratificanti, non posso non accennare anche ad alcuni problemi di carattere sociale, ancora in via di completa soluzione. Penso alle difficili situazioni in cui vivono tante famiglie a causa dell'emigrazione, della disoccupazione in cui lavorano i coltivatori dei campi, dove non sempre esiste un'adeguata assistenza sociale e la necessaria promozione culturale e spirituale. Vi esprimo perciò l'augurio che sappiate continuare a impegnarvi per migliorare le condizioni materiali ed economiche, e per superare certe forme di aggregazione che nuocciono all'ordinato progresso sociale e non tornano ad onore di questo popolo serio, laborioso e attaccato alla propria terra, a cui va tutta la mia affezione, la mia simpatia e la mia stima, e al quale ripeto con le parole del Vangelo odierno: "Pace a questa casa": pace cioè a questa eletta porzione del popolo di Dio, pace a tutti gli abitanti di questa isola, che sono fieri portatori di una fede robusta e di forti sentimenti umani.


8. All'antivigilia della Giornata mondiale missionaria, che è soprattutto giornata vocazionale, risuonano ben a proposito le parole del Vangelo: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe" (Lc 10,2). Oh, quanto attuali sono queste parole del Vangelo di Luca, quanto valide anche per oggi, benché pronunziate già al primo invio dei discepoli del Signore! Raccogliamo l'appello del Maestro per un'incessante preghiera secondo questa intenzione. Nessuno si senta estraneo alla causa delle vocazioni sacerdotali e religiose; ciascuno interroghi se stesso e si esamini davanti a Dio per vedere quali siano le proprie responsabilità. Salga incessante la fervida preghiera al Padre, affinché la Chiesa si accresca sempre più di uomini e donne che sappiano parlare di Cristo con la loro vita di consacrazione e di carità, perché il mondo intero creda.


9. "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi... perché andiate e portiate frutto" (Jn 15,16). Queste parole di Cristo sembrano messe dalla Chiesa sulla bocca di ogni fedele perché le ripeta a se stesso e agli altri, e ne tragga le conseguenze.

Fratelli e sorelle! Che queste parole ci ricordino costantemente la nostra scelta, la nostra vocazione cristiana. Tutti siamo chiamati - ciascuno in modo diverso - ad andare e a portare frutto. Proprio in questo si compie la gloria del regno di Dio in mezzo a noi.

I discepoli furono scelti dal Maestro, non si presentarono né furono dei volontari, almeno nella fase iniziale; poiché l'amicizia offerta da Gesù è nell'ordine della salvezza, essa è totalmente gratuita. Chi è entrato nel rapporto d'amore con Gesù è tenuto ad essere un discepolo fedele e operoso. In questo consiste il portare "frutto": nel collaborare alle finalità della missione di Gesù.

A tali condizioni; anche per questa comunità diocesana di Oristano si realizzeranno le beatificanti parole del Vangelo: "E' vicino a voi il regno di Dio" (Lc 10,9).

Così sia!

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985






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