GPII 1985 Insegnamenti - Agli ammalati e alle claustrali in cattedrale - Oristano

Agli ammalati e alle claustrali in cattedrale - Oristano

Titolo: Soffrendo e pregando si comprende il valore della croce

Carissimi ammalati.


1. Sono lieto di incontrarmi in questo grandioso e glorioso tempio di Oristano con voi e con coloro che vi amano e vi soccorrono. Anch'io amo con tutta la forza e la tenerezza del mio affetto, anche se non mi è possibile prestare concretamente il mio aiuto! Vedo in voi persone che soffrono con l'ineliminabile ansia e nostalgia della salute e del benessere fisico e che giustamente si aggrappano all'opera dei medici e ai ritrovati della scienza; vi amo, perché in voi c'è la presenza misteriosa ma vera di Cristo che disse: "Ero malato e mi avete visitato"; e perché sono convinto - come afferma san Paolo - che la vostra sofferenza, accettata con fiducia e rassegnazione, completa la passione del Divin Redentore per la salvezza dell'umanità. Non si può non essere sensibili dinanzi alla sofferenza.

Accogliete pertanto il mio saluto fraterno, che vi porgo con grande calore, e siate certi che fra i vari incontri programmati per questa visita pastorale alla Sardegna, tutti da me molto attesi, il vivo contatto con voi, malati, non è certamente tra i meno significativi.

E' per me motivo di gioia sapere che molti volontari offrono il loro aiuto ai malati. In diocesi operano da tempo l'Unitalsi, l'Oftal, i Volontari della sofferenza, l'Associazione diocesana assistenza sofferenti. Altre persone, uomini e donne, pur senza impegnarsi in organizzazioni, dedicano il loro tempo agli infermi. Recentemente per gli handicappati, in particolare, sono sorte due comunità: "Il Seme", ispirata e guidata dagli stessi handicappati, e "Il Gabbiano", curata dai religiosi concezionisti. Lodo queste iniziative benefiche, che trasformano la fede cristiana in carità vissuta e incoraggio tutti ad essere sempre e in ogni necessità come il buon samaritano del Vangelo, perché questa testimonianza di amore è quella di cui oggi ha maggiore bisogno il mondo.


2. Dopo aver ascoltato le parole del vostro arcivescovo, mi piace lasciarvi come ricordo alcuni pensieri, che sgorgano dalla considerazione della caratteristica di questo mese di ottobre dedicato alla Vergine santissima del Rosario. Esorto vivamente voi, malati, e voi tutti, amici, parenti, sacerdoti e religiosi, a pregare ogni giorno la Madonna con il santo Rosario.

Poiché la salute è un bene che fa parte del progetto primitivo della creazione, recitare il Rosario per i malati e con i malati, affinché possano guarire o almeno ottenere sollievo ai loro mali, è opera squisitamente umana e cristiana, sempre consolante ed efficace, poiché infonde serenità e forza d'animo.

E quando la malattia perdura e la sofferenza permane, il Rosario ci ricorda anche che la redenzione dell'umanità avviene per mezzo della croce. La meditazione sui "misteri" della salvezza, che ci è stata ottenuta dalla croce del Redentore, incarnato per amore nostro, ci fa comprendere a fondo il valore della sofferenza per la Chiesa, per il ritorno in grazia di chi vive nell'errore e nel peccato, per la conversione dei lontani da Dio, da Cristo o dalla Chiesa. Vale più la sofferenza silenziosa e nascosta di un malato che il rumore di tante discussioni e contestazioni. "Una scintilla di puro amore - scriveva san Giovanni della Croce - è più preziosa agli occhi di Dio e a quelli dell'anima di qualunque cosa; l'amore è lo scopo per cui fummo creati. Senza orazione e senza unione con Dio, tutto si ridurrà a un vano martellare e a far poco più che niente, e alle volte proprio niente, anzi non di rado anche danno". Si legge nella biografia di santa Bernadette che recitando il Rosario sottolineava particolarmente le parole: "prega per noi peccatori". A chi glielo faceva notare, rispondeva: "Oh, si! Bisogna pregare per i peccatori. E' una raccomandazione della santa Vergine. Non si farà mai abbastanza per la conversione dei peccatori". Poiché la malattia non la lasciava quasi mai, Bernadette diceva: "Il mio mestiere è di essere ammalata: soffrire è il mio dovere. La preghiera è la mia unica arma: non posso fare altro che pregare e soffrire!". Ed è questo anche il messaggio lasciato a Fatima dalla Madonna ai tre fanciulli: la sofferenza e il Rosario per la Chiesa e per i peccatori.

Le persone poi che assistono i malati, possono attingere dal Rosario la forza di essere sempre cordiali, amorevoli, pazienti verso chi soffre, rispettando il loro dolore.


3. Vorrei poi rivolgere una parola alle suore claustrali, che sono qui vicino a voi, cari ammalati. La loro presenza richiama, accanto al valore della sofferenza, quello della preghiera e della contemplazione.

Care sorelle claustrali, è per me fonte di gioia rivolgere la mia parola anche a voi, che vivete la vostra totale consacrazione a Dio in un servizio a lui dedicato, diligente e attento, e rispondete così, quotidianamente, all'infinito atto di amore del Redentore, donando a lui la vostra vita in sacrificio di lode.

E il gradimento di questo incontro è tanto più profondo e consolante perché a voi viene offerta l'occasione di esprimere in modo diretto l'impegno di fedele adesione a Cristo e alla Chiesa. Tale è il compito di chi ha ricevuto il grande dono della chiamata dell'amore incondizionato a Cristo nell'esigente vita del monastero: staccarsi totalmente dal mondo per avere solamente Dio da abbracciare e contemplare.

La vita, a cui generosamente e con dedizione vi siete consacrate, è una forma privilegiata di amore a Dio e all'uomo, perché, in un mondo il quale tiene in considerazione soprattutto quanto uno sa fare o quanto possiede, essa è la testimonianza che il valore della persona e della sua esistenza non sta in ciò che essa compie e ottiene materialmente, ma in quello che essa è, nel rapporto che ha con l'infinita, eterna bontà: con il Signore stesso. La vostra, quindi, è una testimonianza di carità, di quell'amore di figli che ha le sue radici e il suo fiore più bello in quello di Cristo.

Il mio augurio è che diventiate come la Vergine Maria, la quale, amando suo Figlio, accoglie quelli che egli salva e chiama alla vita senza fine.


4. Ed è col ricordo della beata Maria Gabriella che desidero concludere questo duplice incontro.

Voi conoscete la vicenda spirituale della vostra illustre consorella e compatriota: essa si offri vittima per l'unità delle Chiese, e quanto dovette soffrire nella sua ultima malattia! La lontananza dal monastero e dalle consorelle, la mancanza di solitudine che la urtava tremendamente, le cure dolorose del pneumotorace, la difficoltà della convivenza e altre dolorose contrarietà così la facevano scrivere: "Ho il cuore straziato, e senza un soccorso speciale del cielo la mia croce è diventata tanto pesante che non posso più reggere... Questa vita è per me un tormento... Certe volte mi domando se il Signore non mi ha abbandonata; altre volte penso che egli prova quelli che ama; altre ancora mi sembra impossibile che Dio possa essere glorificato da questa vita". Sono parole penosamente umane, che ci fanno comprendere come i santi hanno avuto le stesse nostre difficoltà e oscurità. Ma poi suor Maria Gabriella concludeva: "Finisco sempre con l'abbandonarmi alla divina volontà" (Lettera, 24 aprile 1938); "Mi sono rassegnata pienamente alla volontà di Dio, accettando di soffrire per la sua gloria... Adesso ho capito davvero che la gloria di Dio e l'essere vittima non consiste nel fare grandi cose, ma nel sacrificio totale del proprio io... Sento a poco a poco entrare in me una grande pace!" (Lettera, 3 maggio 1938).

Il Signore illumini anche voi, cari malati, consacrati alla sofferenza, e voi, care sorelle claustrali, consacrate totalmente all'amore, a comprendere sempre maggiormente il valore della croce e a gustare la pace che proviene dalle consolazioni divine.

Con questi voti imparto a tutti voi, di gran cuore, la mia apostolica benedizione, pegno di copiosi favori celesti, che volentieri estendo alle vostre famiglie e a tutte le persone care.

Data: 1985-10-18 Data estesa: Venerdi 18 Ottobre 1985





Alla comunità ecclesiale nella cattedrale - Nuoro

Titolo: Cristo modello di evangelizzazione

Venerato fratello nell'episcopato, cari fratelli sacerdoti, religiosi, religiose e laici.


1. Desidero esprimere innanzitutto la mia profonda gioia e il mio ringraziamento al Signore per quest'incontro con voi, che così degnamente rappresentate l'intera comunità ecclesiale di Nuoro. E' significativo il luogo stesso di questo nostro incontro: la cattedrale, che è il cuore della diocesi, il centro spirituale della Chiesa locale, dove la santa eucaristia celebrata dal vescovo costituisce il punto di riferimento dell'unità e della comunione per tutte le altre assemblee liturgiche, che si svolgono nell'ambito della realtà diocesana.

Questa cattedrale è di costruzione relativamente recente, ma la comunità di fede che in essa si raduna trae le sue origini ben più addietro nel tempo e, sia pure attraverso alterne vicende storiche e mutamenti concernenti la strutturazione diocesana, può esser fatta certamente risalire ai primi secoli dell'èra cristiana, come del resto l'intera Chiesa della Sardegna, anche se comprensibilmente l'evangelizzazione, partita dalle zone costiere, tardo un certo tempo a raggiungere i territori dell'interno.

Saluto cordialmente tutti i presenti: il pastore della diocesi, monsignor Giovanni Melis Fois, il clero secolare e regolare, le suore e le claustrali, i membri dei consigli pastorali diocesano e parrocchiali, i rappresentanti degli istituti secolari e dei terzi ordini, le associazioni e i movimenti, tutto il popolo di Dio della Chiesa che è in Nuoro. Gioia, benedizione e pace a voi dal nostro Signore Gesù Cristo! Ringrazio vivamente per i cordiali indirizzi che mi sono stati rivolti dal vostro vescovo e da un laico. Queste calde testimonianze di affetto, rese a nome di tutti i fedeli, dispongono maggiormente il mio animo ad esprimervi con senso di profonda comunione i pensieri che sto per offrirvi.


2. La vitalità e lo spirito d'iniziativa della vostra comunità ecclesiale mi sono testimoniati in modo speciale da due avvenimenti, ai quali va tutto il mio plauso: la messa in opera di un organico piano pastorale diocesano, fondato su tre importantissime consegne: "Evangelizzare - santificare - testimoniare", e le recenti celebrazioni del bicentenario della costituzione della diocesi, i cui atti si sono voluti opportunamente raccogliere in una poderosa pubblicazione, della quale ho preso visione con interesse. Il programma pastorale si inscrive in quello più generale della Conferenza episcopale italiana, e intende calarne le direttive nella presente situazione concreta della diocesi.

La "testimonianza" è collegata con l'"evangelizzazione"; essa ne è - come ebbe a dire il mio predecessore Paolo VI - "il primo mezzo (EN 41); essa rende credibile la verità del messaggio evangelico che viene annunciato. Ma l'"evangelizzazione", a sua volta, è ordinata alla santificazione di coloro che vengono evangelizzati. Non basta evangelizzare. Occorre santificare.

Occorre essere strumenti e canali della grazia per la salvezza del mondo. E ciò non è compito soltanto del ministero sacerdotale, che trasmette la grazia alle anime mediante l'amministrazione dei sacramenti; ma ogni battezzato, ogni cresimato deve sentirsi, in quanto evangelizzatore e testimone, uno strumento dello Spirito Santo per la salvezza dei fratelli.

Evangelizzare nella comunione e nella pacificazione: questa potrebbe essere la sintesi e la consegna di fondo del vostro programma pastorale. Apprezzo in modo particolare l'importanza che vi si è voluta dare alla catechesi. Essa è un aspetto fondamentale di quella realtà più complessa, che è data dall'evangelizzazione. Subentrando al primo annuncio della fede, la catechesi ha il compito di indirizzare il cristiano verso una fede adulta, e introdurlo quindi o iniziarlo a quella profonda conoscenza del mistero di Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo, che i padri chiamavano la "mistagogia".


3. Nel sottolineare l'importanza della catechesi, voi vi ponete in perfetta sintonia con quanto venivo dicendo nella mia esortazione apostolica "Catechesi Tradendae" (CTR 15), laddove affermavo che la catechesi deve avere la "priorità rispetto ad altre opere e iniziative" della Chiesa, la quale, "in questo XX secolo che volge al termine, è invitata da Dio e dagli avvenimenti - i quali sono altrettanti appelli da parte di Dio - a rinnovare la sua fiducia nell'azione catechetica come in un compito assolutamente primordiale della sua missione".

Di fronte all'enorme e multiforme quantità di messaggi che vengono proposti agli uomini d'oggi dai grandi mezzi della comunicazione sociale, è più che mai necessario presentare alle anime, in modo ordinato e sistematico, un cammino di fede che consenta loro di approfondire sempre meglio le verità essenziali del messaggio evangelico, e acquisire così quel discernimento soprannaturale che permette di orientarsi con sicurezza sulla via della salvezza.

Io stesso, come ben sapete, nelle udienze generali del mercoledi mi impegno, in conformità al mio ministero apostolico, in questo servizio, che ritengo fondamentale.


4. Mediante l'evangelizzazione e la catechesi, la Chiesa viene convocata nella luce e sotto la guida della parola di Dio. E' quella Chiesa stessa che - come afferma il Concilio - si realizza "come un sacramento... dell'unità di tutto il genere umano" (LG 1).

La Chiesa-sacramento è convocata e radunata, in modo originario e iniziale, dall'appello del predicatore e dell'apostolo, dall'opera evangelizzatrice e dalla catechesi. E in tale opera, una funzione essenziale e insostituibile è svolta non solo dal sacerdote, ma anche dai religiosi e dalle religiose, nonché dai laici, uomini e donne, genitori, educatori e amici.


5. A proposito dell'evangelizzazione, non bisogna mai dimenticare che essa si fonda sostanzialmente su due fattori: un fattore umano - la trasmissione delle verità da credere - e un principio divino - l'azione dello Spirito Santo nelle anime degli evangelizzandi. Ordinariamente l'una e l'altra componente devono insieme concorrere nell'azione evangelizzatrice, anche se a volte lo Spirito predispone in modi che hanno del meraviglioso il terreno destinato alla semente evangelica. Avviene così che in certi casi l'evangelizzatore si accorge con gioiosa sorpresa di essere stato come prevenuto, nel suo compito di portare la luce al mondo, dallo Spirito Santo.

Questa constatazione, tuttavia, non può dispensarlo dalla fatica connessa con l'annuncio e l'illustrazione di un messaggio che si qualifica per il suo carattere di novità, giacché non si limita a realizzare le esigenze dell'uomo, ma gli dona una condizione di vita, quella di "figlio di Dio", che supera infinitamente - colmandole - le esigenze della sua natura e del più nobile degli umanesimi.

Il messaggio cristiano dona all'uomo delle verità - i misteri della "vita eterna" - le quali devono si in qualche modo armonizzare con la sua ragione, ma presentano nel contempo per essa il carattere di una novità assoluta: si tratta di verità che, se non venissero da Dio - ordinariamente per mezzo della missione apostolica - resterebbero totalmente ignote anche alle menti più elevate.

L'evangelizzatore e il catechista devono essere ben consapevoli di questo carattere trascendente del messaggio evangelico rispetto a tutte le culture umane e alla stessa ragione dell'uomo presa nel suo complesso.

Il compito di trasmettere questi contenuti più propri del Vangelo, così paradossali per la sapienza del mondo, è spesso un compito ingrato, ma deve restare sempre l'obiettivo finale di ogni vera e compiuta opera evangelizzatrice.

Tale compito sembra a volte destinato al fallimento, suscitando in chi ascolta incomprensioni o anche reazioni ostili, ma l'apostolo non può deflettere dal suo mandato per accattivarsi comunque le simpatie del mondo. Egli dovrà, in certi casi, continuare ad annunciare la verità, anche se non è ascoltato, sull'esempio di Cristo e dei veri apostoli.


6. Occorre poi impegnarsi a tradurre, per quanto è possibile, il messaggio cristiano in un linguaggio comprensibile e accettabile per chi ci deve ascoltare; occorre calarlo nei valori propri della sua cultura: ciò che oggi chiamiamo "inculturazione". Ma non è detto che, una volta fatto ciò, il successo sia comunque assicurato. Chi poteva essere più credibile di nostro Signore Gesù Cristo? Eppure molti non gli hanno creduto.

Se il successo non ci arride, dovremo allora evitare l'insidiosa tentazione di mutare, decurtare o attenuare i contenuti del messaggio. Dobbiamo presentarli certamente con gradualità, ma mirando sempre ad una loro esposizione completa, e in quella elevatezza divina, che disturba e sconcerta la sapienza terrena, ma riesce invece assai consona al cuore di quei "piccoli" dei quali parla il Vangelo.

Compito difficile, quello dell'evangelizzatore! Esso è a volte crocifiggente, e spesso fa sperimentare l'amarezza dell'ingratitudine umana. Ma all'evangelizzatore deve bastare, quaggiù, servire Cristo e servire le anime.

L'opera evangelizzatrice è inseparabile da questa partecipazione alla croce del Salvatore. Anzi, in un certo senso, è questa partecipazione che svolge il ruolo più importante. La beata Gabriella Sagheddu, vostra condiocesana, ha predicato più con l'offerta di se stessa, che con la sublimità della parola, che pure è utile e necessaria. Ed è stata una grande, convincente predicatrice. Anche la serva di Dio Antonia Mesina ci ha lasciato un grande messaggio, firmato col sangue. Ricordiamo e invochiamo questi grandi annunciatori della parola di Dio.

Sotto l'auspicio della beata Vergine della Neve, di cuore vi benedico.

Data: 1985-10-19 Data estesa: Sabato 19 Ottobre 1985





Omelia alla Messa nello stadio - Nuoro

Titolo: La civiltà dell'amore nasce da Dio, perché Dio è amore




1. "Chi non ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è amore". "Chi sta nell'amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui" (1Jn 4,8 1Jn 4,16).

Con queste parole, che vanno al cuore del programma di questo nostro incontro, io saluto tutti voi, fedeli della diocesi di Nuoro. Saluto il vostro vescovo, monsignor Giovanni Melis, e tutti gli altri vescovi della regione sarda che si trovano qui. Saluto i sacerdoti, pastori delle vostre comunità e testimoni della carità di Cristo nelle parrocchie vicine e lontane, disperse sui monti della Barbagia. Saluto le autorità civili, il signor prefetto e il signor sindaco, che ha ricordato le vostre grandi tradizioni religiose e culturali e che ha avuto per me parole tanto cordiali e ospitali. Saluto l'intera popolazione della città e della diocesi, rivolgendo un particolare pensiero alle varie categorie di persone, fra le quali voglio ricordare quanti si dedicano alla pastorizia. So che i pastori sono qui numerosi: essi sono i rappresentanti tipici di una parte della popolazione rurale dell'isola. Li saluto con simpatia, auspicando che sappiano attingere dalla fede luce e conforto, e che il loro impegno per migliorare le condizioni di vita sia coronato da successo. Saluto inoltre gli agricoltori e tutti gli altri lavoratori, assicurando che sono loro vicino e faccio voti di ogni bene per le loro famiglie.

Saluto specialmente tutti voi che avete cantato, recitato, danzato con i vostri splendidi costumi tradizionali, e che avete pregato. Vi saluto e vi ringrazio per i magnifici doni simbolici: in essi si esprime, insieme con la feracità della vostra terra e il fine gusto artistico del vostro animo, la generosità di un lavoro svolto in condizioni spesso difficili e precarie. E' un gesto che apprezzo molto e nel quale vedo una significativa manifestazione di quella proverbiale ospitalità che distingue il popolo sardo.

Mi sono unito intimamente alla preghiera che con tanto fervore è sgorgata dai vostri cuori. Vorrei conoscere meglio la vostra lingua sarda per potermi sintonizzare anche verbalmente con le vostre voci, e invocare da Dio con tutta la passione dell'animo il dono di quella civiltà dell'amore, di cui il mondo sente oggi l'urgente bisogno. Questo è, infatti, il tema della nostra riunione: Salvati e riconciliati, testimoni di pacificazione, per costruire la civiltà dell'amore.


2. La civiltà dell'amore nasce da Dio, perché Dio è amore, e in Cristo questo amore, che è Dio "è apparso fra di noi". E' un amore, quello di Dio, che ha rivelato la sua dimensione infinita nel dono senza riserve del Crocifisso, del Figlio di Dio che s'è sacrificato per noi, immolandosi sul Calvario. E' perciò dal cuore squarciato di Cristo crocifisso che sgorga la civiltà dell'amore. Nel santuario di quel cuore Dio si è chinato sull'uomo e gli ha fatto dono della sua misericordia, rendendolo capace di aprirsi a sua volta nella misericordia e nel perdono ai propri fratelli. Perciò chi non accetta l'amore, chi non crede all'amore, non crede in Dio. Ma al tempo stesso, chi non conosce Dio, chi non crede in lui, non può credere all'amore né conoscere o desiderare la civiltà dell'amore, 3. Questo messaggio è risonato nella vostra terra da tempi lontani. Come ha ricordato il vostro vescovo, fu sotto il pontificato di san Gregorio Magno che i barbaricini ricevettero l'annuncio di Cristo e del Vangelo. Popolo forte, abituato a resistere ad ogni invasore, il barbaricino si lascio conquistare dalla parola di missionari armati solo della croce di Cristo. Fatto significativo e meritevole di essere sottolineato: i vostri antenati, che resistettero a testa alta a chi voleva soggiogarli con la forza delle armi, spalancarono spontaneamente a Cristo le porte delle loro città e dei loro cuori, conquistati dalla forza del suo messaggio di amore.

Da allora nella vostra terra la fede ha messo salde radici, dando origine a una realtà sociale vivacemente tesa verso l'attuazione sempre più piena delle esigenze sante dell'amore. Anche oggi anime meravigliose attestano questa forza della carità. Pensiamo alla beata Maria Gabriella Sagheddu e alla serva di Dio Antonia Mesina: figure eccelse, i cui esempi contrastano, quasi in un duro confronto tra due culture diverse, con le forze del male, della violenza, della vendetta, del sopruso. E' doveroso riconoscere che il Signore ha diffuso in mezzo a voi, mediante la predicazione del cristianesimo, doni singolari di bontà, e che in forza del messaggio evangelico si sono sviluppate tra di voi tradizioni di sincerità, di fierezza, di rettitudine, che costituiscono ormai un patrimonio caratteristico di questa terra. I sardi si distinguono per l'attaccamento alla famiglia, la fedeltà alla parola data, il senso profondo della giustizia, il gusto dell'ospitalità, l'amore alla propria terra, unito a doti di intelligenza, di intuito, di coraggio. Questo è il volto più autentico della gente sarda; ed è un dono grande di Dio, un fondamento prezioso per la civiltà dell'amore.

Ora, voi vi proponete di portare avanti l'edificazione di questa civiltà e volete realizzarla pienamente, nonostante le difficoltà che si frappongono su questo arduo cammino. Non è il caso che mi soffermi a descrivere tali difficoltà.

Basti accennare soltanto alla vendetta, al ricatto, al danneggiamento dei beni, all'aggressione, al sequestro, Ho saputo che tuttora un vostro fratello, il signor Gigino Devoto, è nelle mani di sequestratori. Chiedo e supplico, in nome di Dio, che egli sia restituito vivo e incolume alla sua famiglia, all'affetto dei suoi cari, al suo lavoro. In pari tempo assicuro una particolare preghiera per lui e per i suoi familiari in ansia.

E' necessario che ciascuno si impegni a testimoniare tangibilmente che le forze dell'amore sono tra voi più gagliarde di quelle che all'amore si oppongono. Voi "conoscete Dio" e per questo dovete trovare i modi concreti per incarnare la potenza del suo amore. Voi potete dare vigore alle tradizioni culturali più positive del vostro mondo di pastori, di contadini, di operai. Voi potete ancora rivelare il vostro stile di vita cristiano in tutte le terre in cui migrate, rimanendo ben saldi nelle tradizioni sane, sicure, religiose della vostra isola e della vostra famiglia.


4. Si tratta di un compito non facile, che incontra resistenza e ostacoli nella complessità stessa del cuore umano, lacerato spesso da drammatiche contraddizioni, alla cui radice sta la realtà oscura del peccato. "Poiché col peccato l'uomo rifiuta di sottomettersi a Dio - annotavo nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" - anche il suo equilibrio interiore si rompe e proprio al suo interno scoppiano contraddizioni e conflitti". E aggiungevo: "così lacerato, l'uomo produce quasi inevitabilmente una lacerazione nel tessuto dei suoi rapporti con gli altri uomini e col mondo creato. E' una legge e un fatto oggettivo, che hanno riscontro in tanti momenti della psicologia umana e della vita spirituale, come pure nella realtà della vita sociale, dov'è facile osservare le ripercussioni e i segni del disordine interiore" (RP 15).

Anche in questa bellissima isola non mancano i segni dolorosi dell'interiore disordine dell'uomo. Nel tessuto sociale vi sono lacerazioni antiche e recenti, che producono disagi e sofferenze in larghi strati della comunità. E queste sofferenze sono tanto più acute quanto più sembrano ineluttabili, perché radicate in consuetudini ancestrali, in una sorta di antica cultura di violenza e di morte. Sono situazioni che possono arrivare persino ad offuscare il giudizio morale, riducendo la forza della libertà vera della coscienza.

Ma il cristiano non si arrende di fronte a tali ostacoli. Nel Vangelo egli ha il punto di riferimento sicuro, dal quale attingere la risposta agli interrogativi che via via l'esperienza gli pone. Nella parola di Cristo egli può trovare la luce e la forza necessarie per smascherare il male che s'annida nelle pieghe di consuetudini inveterate, e vincerlo.

Carissimi fratelli e sorelle, anche se l'uomo è sempre tentato a fare di se stesso l'unico centro di ogni interesse e di ogni legge, noi non vogliamo consentire per questo che egli divenga e rimanga egoista, fragile, feroce. La comunità credente deve sentirsi impegnata a colmare la povertà di certi costumi sociali con la ricchezza della verità che viene da Dio, e con la forza dell'amore, che lo Spirito di Dio diffonde nel cuore dei credenti (cfr. Rm 5,5). Il peso negativo della cultura della violenza si vince con la forza della carità, con la tenace e costante proposta della civiltà dell'amore.


5. Abbiate quindi fiducia, miei cari, perché questa è la strada di Cristo, la via già percorsa da lui. Essa è anche la via che sta nel più profondo desiderio del cuore di ogni uomo. "Gli uomini, in fondo, quando non sono coscientemente fuorvianti nel pensiero e nel costume, sono spesso più buoni di quanto non appaiono, più infelici che cattivi; più illusi che ostinati; più bisognosi di verità e di amore che di abbandono e di rifiuto" (Paolo VI, "Insegnamenti", IX, 1971, p. 539), più desiderosi della civiltà dell'amore che di quella dell'odio.

Voi che amate, riuscirete a scoprire le vie della carità, le strade per riavvicinare ogni uomo alla perenne fonte dell'amore che è Cristo crocifisso. A tutti dico: credete alla forza dell'amore, della carità di Dio e operate con tutte le forze per costruire, col suo aiuto, il regno del suo amore.

Per questo a tutti voi, che siete qui, a coloro che ci seguono da lontano in questa riunione di preghiera e di amicizia, a tutti quelli che per qualsiasi ragione soffrono, a quelli che subiscono il peso di situazioni difficili e dolorose, ai responsabili del bene pubblico, ai giovani, alle famiglie, agli emigrati che da altre terre pensano ora a noi, io rinnovo l'incoraggiamento a sperare e ad operare, fidando nella costante presenza amica di Cristo, nel cui nome, come anche in quello della madre sua e nostra, la vergine Maria, a tutti imparto una larga, affettuosa, confortatrice benedizione apostolica.

Data: 1985-10-19 Data estesa: Sabato 19 Ottobre 1985





Saluto alla cittadinanza - Sassari

Titolo: Superare con coraggio le difficoltà del presente

Signor sindaco, fratelli e sorelle della città di Sassari.


1. Sono veramente lieto di trovarmi qui, oggi, in mezzo a voi, mentre felicemente prosegue la mia visita apostolica alla vostra bella e forte isola.

Ringrazio di cuore il signor sindaco per le parole calorose di benvenuto, che mi ha rivolto a nome di tutta la cittadinanza sassarese, per il riferimento così significativo ai valori propri di questa nobile terra, per il richiamo ai problemi e alle speranze del presente momento storico, per l'auspicio appassionato di pace, di giustizia, di amore.

Sono grato altresi al signor ministro senatrice Franca Falcucci, che ha voluto onorare questo nostro incontro con la sua presenza.

Rivolgo il mio saluto cordiale a tutti voi, accorsi così numerosi e vibranti di entusiasmo dal centro, dalla periferia, dai dintorni. Lo rivolgo a ciascuno di voi qui presenti e insieme a quanti, non avendo potuto venire di persona, sono in questo momento vicini mediante gli strumenti della comunicazione sociale.

L'incontro tra il successore di Pietro e un popolo credente nel Vangelo ha sempre significati che trascendono il semplice fatto di un assembramento fisico, perché realizza una presenza divina promessa dal Signore a quanti si radunano nel suo nome. Ma simile ineffabile realtà si avverte in maniera più profonda e viva se l'incontro avviene con un popolo, come il vostro, che da quando ha ricevuto il dono della fede si sente legato alla Sede di Roma da sincera e profonda adesione di affetto, al di là della distanza geografica segnata dal mare.

Ripercorrendo infatti la storia della vostra città, la fedeltà a Roma appare subito come una costante di fondo, una mentalità ereditaria, un costume di vita. E' a questa caratteristica di romanità della vostra fede che mi piace fare riferimento, soprattutto in una prospettiva d'avvenire. Io vi auguro che il vostro futuro risalga dalla profondità di tali sane e feconde radici del passato per svilupparsi in una nuova germinazione.


2. La vostra storia, fratelli sassaresi, rivela una sua chiara identità, come cammino di un popolo che ha lottato tenacemente lungo l'arco di molti secoli per la conquista delle proprie libertà civili e la difesa della fede religiosa. E' stato un itinerario arduo, segnato drammaticamente da periodi tristi e lieti, condiviso con altre città sarde, ma caratterizzato anche da aspetti del tutto particolari. La grande storia umana di millenni, svoltasi nel teatro del mare che circonda l'isola, si è riflessa in maniere diverse nel vostro territorio. E voi, per salvaguardare la vostra fisionomia, siete stati costantemente all'erta contro le ondate incalzanti di altri popoli, che vi hanno spesso coinvolti, ma giammai schiacciati. Sullo specchio del vostro mare si sono combattute battaglie che hanno influito a lungo sulla sorte della regione. E tutti questi popoli hanno lasciato le loro tracce nella vostra terra, con singolari monumenti preistorici e protostorici, che gli esperti non hanno finito ancora di scoprire e di interpretare.

Segno di questo passato, ricco di vicende e soprattutto carico di fede, son rimaste qui, nel sassarese, le sagre popolari ispirate a motivi di grandi festività religiose, e sorgono luoghi sacri di grande bellezza, che suscitano ancor oggi interesse e ammirazione. Mi piace ricordare la chiesa di Santa Maria di Betlem; quel gioiello di architettura, che ha fatto sempre parte della diocesi, l'abbazia della Santissima Trinità di Saccargia; e in particolare il Duomo, eretto nel cuore della città, a gloria del patrono san Gavino e dei compagni martiri Proto e Gianuario.


3. Ma per voi la fede è stata forza propulsiva di civiltà e di umanizzazione; e questo vostro lungo e travagliato cammino di popolo si è sviluppato in rapporto costante con la Chiesa. Certamente fin dal primo secolo il Vangelo approdo alle vostre sponde insieme con i cristiani condannati alle miniere, anche se la prima comunità cristiana chiaramente organizzata si fa risalire all'età costantiniana.

Siete dunque un popolo di antichissima fede cattolica; e questo dono, a voi offerto dalla bontà del Padre, è stato da voi accolto e diligentemente custodito con un rapporto di costante fedeltà col Vescovo di Roma.

Il papa san Gregorio Magno, mosso dalla sua sollecitudine pastorale, nel 590, quando all'orizzonte si profilo la minaccia dei Vandali, s'interesso direttamente a voi, sollecitando le autorità locali perché provvedessero ad allontanare il pericolo di un'invasione.

Sassari si sviluppo in libero Comune attorno al metropolita turritano, da cui dipendevano varie sedi vescovili. La basilica cattedrale, del secolo XI, volle essere un monumento di pietra di questa collaborazione tra Chiesa e società civile, tra fede e arte, tra morale e costume civico.


4. Cari fratelli, il vostro passato divenga stimolo efficace a superare con coraggio le difficoltà del presente e sia motivo d'ispirazione a costruire un migliore futuro.

Conosco la situazione con le sue pesantezze e i suoi lati negativi.

Depressione economica, disoccupazione, specie giovanile, tentazioni della società del benessere e della secolarizzazione, con conseguente pericolo di caduta dei valori familiari morali e religiosi, spinte al pessimismo e al disimpegno di fronte a taluni ritardi o inadeguatezze degli interventi sociali e pubblici.

Nonostante ciò, una società può riprendere e accelerare il proprio passo quando non si piega su se stessa e riesce a trovare in sé la forza dell'iniziativa. Voi avete larghe possibilità di farlo, anche valorizzando le bellezze naturali dell'isola, con il lancio di tante attività che favoriscano la conoscenza e l'espansione della vostra tipica civiltà e dei suoi prodotti.

Auguro che Sassari divenga un polo di sviluppo, nel rispetto della natura e dei grandi valori. In questa impresa la Chiesa vi sarà sempre vicina, insieme con le organizzazioni ecclesiali. E vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1985-10-19 Data estesa: Sabato 19 Ottobre 1985






GPII 1985 Insegnamenti - Agli ammalati e alle claustrali in cattedrale - Oristano