GPII 1986 Insegnamenti - Agli ex alunni del liceo faentino E. Torricelli - Città del Vaticano (Roma)

Agli ex alunni del liceo faentino E. Torricelli - Città del Vaticano (Roma)

"Salutate la cara Faenza che visitero il 10 maggio"


Sono lieto di accogliervi, cari ex alunni ed ex alunne del Ginnasio-Liceo "Evangelista Torricelli" di Faenza, insieme con le vostre famiglie, e vi porgo un saluto molto cordiale. So che il vostro gruppo è nato dai legami di amicizia stretti sui banchi di scuola, nell'età piena di promesse in cui i giovani, attraverso lo studio, si aprono alla vita. Questa età ha coinciso per voi con anni di privazioni e di ansietà, nel tempo della guerra; ma le difficoltà hanno contribuito a far crescere più robusta l'amicizia, fondata su scambievole fiducia, sulla capacità di ascolto e di dialogo, sull'aiuto vicendevole.

Così, l'amicizia non si è perduta con il trascorrere del tempo, negli anni dell'Università, e neppure dopo, quando ciascuno ha assunto responsabilità professionali e molti hanno costituito la propria famiglia: essa si è fatta anzi più intensa e si è allargata a consorti, figli e nipoti, che sono venuti ad aumentare il vostro gruppo e che in gran parte sono oggi qui con voi.

Un'affettuosa e costante continuità di scambio vi ha mantenuti uniti e solidali. So quanta parte abbia avuto nell'animarla il dottor Silvano Ciottoli, che ragioni di salute hanno costretto a rimanere assente da questo incontro desideratissimo: interpretando i vostri sentimenti gli invio un saluto beneaugurante e cordiale. Questa fedeltà nell'amicizia ha dato ai vostri figli l'esempio di un rapporto umano forte e schietto, radicato in un comune patrimonio di valori fatto di onestà, di culto per la famiglia, di servizio agli altri, di senso del lavoro e di responsabilità professionali e civili.

Mi pare anche di intuire che per tutti voi è motivo di gioia il fatto che dal vostro gruppo è sorta una vocazione al sacerdozio. Credo che mons.

Silvestrini sia felice di mettere a disposizione di tutti qualche espressione del suo ministero episcopale e che ciò sia accolto con gratitudine.

La fede in Gesù Cristo morto e risorto per noi, è un valore che non ha confronti perché dà un significato e una forza spirituale alla nostra vita. Essa è anche garanzia indistruttibile della nostra comunione di preghiera e di affetti con le persone care che ci hanno già lasciato: so che le avete ricordate in questo incontro e che alcuni dei loro familiari sono qui con voi. La fede è un dono dello Spirito, che dobbiamo custodire con amore. Vi auguro che possa accrescersi e svilupparsi in tutti voi, nel senso religioso delle vostre case, nell'amore delle vostre famiglie, nelle attese dei vostri figli, nel sorriso dei vostri nipoti. Con questo augurio, vi prego di portare un saluto alla vostra cara Faenza che mi appresto a visitare il 10 maggio, e vi benedico di cuore.

Data: 1986-03-01 Sabato 1 Marzo 1986




All'Associazione Educatrice Italiana - Città del Vaticano (Roma)

Fedeltà all'ispirazione originaria e servizio all'infanzia


Cari fratelli e sorelle.


1. E' motivo di viva soddisfazione accogliere oggi voi, aderenti all'"Associazione Educatrice Italiana", in occasione del Convegno organizzato nel ricordo del LX anniversario dell'inizio della vostra attività. Il Sodalizio, che voi rappresentate, ha ormai una ricca storia nell'ambito di un'attività culturale delicata e importante: la formazione delle educatrici dell'infanzia e la promozione delle istituzioni atte il favorire il loro servizio sociale.

Il lavoro svolto dalla vostra Associazione, nei suoi lunghi anni di vita, ha dato un contributo notevole non soltanto al bene della società civile, ma anche allo sviluppo della realtà ecclesiale e alla affermazione della scuola cattolica. Per questi motivi, i Pontefici che mi hanno preceduto, a cominciare da Pio XI, hanno sempre visto con favore la vostra opera, incoraggiandola e anche aiutandola nei momenti difficili.


2. L'attenzione alla formazione spirituale e religiosa, oltreché umana, dei fanciulli trova la sua ispirazione e ragion d'essere nella stessa impostazione originaria della vostra Associazione, nata dalla mente e dal cuore di quell'esimio religioso - il vostro fondatore - che fu fratel Alessandro Alessandrini, dei fratelli delle Scuole Cristiane; sicché si può dire che la vostra opera sia quasi una emanazione e una ramificazione della spiritualità di quella illustre famiglia religiosa.

L'ispirazione cristiana del vostro lavoro certamente non vi esime da un interesse leale e generoso per tutte le tematiche e problematiche tipiche del vostro settore, che possano presentare un carattere di reale urgenza e rilievo.

Voi non dimenticate, in questo ambito così delicato dell'educazione dell'infanzia, l'importanza di un dialogo costruttivo tra tutti gli uomini di buona volontà. Da qui la vostra presenza a pieno diritto nelle strutture educative della società civile. Da qui le attività svolte o che svolgete per l'adeguata soluzione di problemi squisitamente umani e sociali, come per esempio quanto l'Associazione ha fatto per il recupero dei bambini ospedalizzati o per l'assistenza ai figli degli emigrati in Francia.


3. Considerando il continuo sviluppo della realtà sociale e culturale italiana, si comprende come il vostro Sodalizio abbia sentito e senta la necessità di assicurare alle educatrici una formazione professionale sempre più accurata e qualificata. Da qui il progetto e l'intento di portare i corsi a un livello universitario. Senza voler entrare nel merito delle vostre specifiche programmazioni, non posso da parte mia che lodare e incoraggiare questo sforzo di adeguare il lavoro dell'Associazione e dei suoi istituti educativi alle necessità sempre più complesse emergenti dalla realtà civile ed ecclesiale, nella quale l'Associazione si trova oggi a vivere e operare.

Mi auguro e chiedo al Signore per voi che sappiate mantenere con sapiente e illuminata fermezza la vostra fedeltà all'ispirazione originaria del vostro Sodalizio: un servizio alle famiglie e al mondo dell'infanzia che congiunge indissolubilmente la testimonianza cristiana con la disponibilità ai bisogni di crescita della società civile e delle istituzioni pubbliche dello Stato. In questo duplice impegno, spirituale e temporale, troverete sempre, come cristiani, un sostegno e una traccia operativa nella guida che vi viene dalla comunione viva con la realtà ecclesiale e con i pastori che ne sono i responsabili, nel momento in cui la vostra competenza tecnica e la leale osservanza delle leggi dello Stato vi garantirà un'autorevole e credibile incidenza sullo sviluppo culturale del Paese.


4. Con questi voti e auspici, auguro al vostro lavoro sempre nuovi successi e più ampi risultati, perché anche ai fanciulli di oggi non vengano meno quelle basi morali e spirituali, quei germi di vita che possano garantire loro un futuro sereno e dignitoso di cittadini onesti e di cristiani maturi e ferventemente dediti all'avvento del regno di Dio.

Vi accompagni la mia benedizione, che estendo di cuore ai vostri collaboratori assenti, ai cari ragazzi ai quali vanno le vostre cure, e alle loro rispettive famiglie.

Data: 1986-03-02 Domenica 2 Marzo 1986




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

L'uomo non si abitui a vivere col peccato



1. Quando noi ci riuniamo per l'"Angelus" nelle domeniche di Quaresima, le nostre meditazioni si dirigono verso quell'interiore "itinerarium", mediante il quale l'uomo si avvicina a Dio nell'atto della conversione. Esame di coscienza, atto di dolore, proposito, confessione e penitenza. così si chiamano le singole tappe di tale "itinerarium" nella tradizione della Chiesa, nella catechesi, nella pratica del sacramento della Penitenza. Lo ha ricordato il Sinodo dei vescovi nel 1983, mediante il quale la Chiesa cercava - a seconda dei bisogni del nostro tempo - di rispondere all'invito di Cristo "paenitemini": convertitevi! "Convertitevi e credete al Vangelo!" (Mc 1,15)


2. Quando il re penitente dell'antica alleanza confessa: "Contro di te ho peccato... il mio peccato mi sta sempre dinanzi" (Ps 50,5-6), mette in evidenza quel momento, che nell'"itinerarium" interiore ci avvicina di più alla conversione. L'uomo riconosce nella sua coscienza la verità del peccato, e in pari tempo nasce il bisogno di finirla con esso. Voltarsi dal male che è il peccato. E' un momento decisivo. E' un momento pure difficile. A volte è doloroso. Tanto più doloroso, quanto più il peccato si è radicato nell'uomo. Quanto più è entrato nella sua vita. Quanto più l'uomo si è abituato a vivere con esso.

Giustamente si avverte in questo momento decisivo la somiglianza alla croce di Cristo. La passione di Cristo contiene in sé tutta la pienezza della fatica salvifica; della fatica della redenzione, che porta in sé la vittoria assoluta sul peccato, a prezzo della passione e della morte in croce. Nel corso dell'"itinerarium" interiore, che deve pure condurre alla vittoria sul peccato, ognuno di noi è chiamato ad attingere a questa pienezza.

"Tibi soli peccavi": Contro di te, contro di te solo ho peccato. Ed ecco: tu e solo tu sei con me nel momento in cui devo convertirmi, rompendo con il peccato nella profondità del mio "io" con l'atto della mia libera volontà. In questo modo, per opera della croce di Cristo, si uniscono la grazia della conversione e il libero atto della volontà dell'uomo.


3. Il salmista prega poi: "Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo" (Ps 50,12). Quando l'uomo, sotto l'influsso della grazia della conversione, si volta dal male, ritrova di nuovo se stesso dinanzi a Dio, che è la sorgente inesauribile del bene. Ecco, nel momento della conversione l'uomo desidera il bene con tutto il cuore. Vuole il bene: e in questo consiste il proposito. Vuole un'altra vita, un cambiamento della condotta. In questo modo si sviluppa l'"itinerarium" interiore della riconciliazione con Dio.

Unendoci nella nostra meditazione alla Madre che sta sotto la croce, preghiamo che questo "itinerarium" si sviluppi nel tempo di Quaresima in ognuno di noi. Che ella, Ausiliatrice, preghi insieme con noi il suo Figlio: "Crea in ciascuno un cuore puro, rinnova uno spirito saldo". Questo "spirito saldo" è necessario, perché la conversione sia efficace; perché nel sacramento della Penitenza nasca "un uomo nuovo".

Annuncio del viaggio apostolico in Colombia Tra gli episcopati che ho ricevuto l'anno scorso per la "visita ad limina Apostolorum" vi sono quelli dell'Uruguay e della Colombia. Desidero oggi ricordarli in segno di riconoscenza per la loro visita, rivolgendo loro un cordiale saluto, che estendo con affetto a tutti i fedeli loro affidati. Auspico che possa essere portato avanti con impegno sempre rinnovato lo sforzo di evangelizzazione e di consolidamento della vita cristiana in quelle care Nazioni.

In attesa di poter visitare in un non lontano futuro anche altri paesi latino-americani, avro la gioia di render visita alla Colombia nel prossimo luglio. Fin d'ora esprimo a tutti gli abitanti di quella amata Nazione il mio fervido saluto, esortando a una pacifica convivenza e alla promozione del bene comune.

Data: 1986-03-02 Domenica 2 Marzo 1986




Nell'ambasciata italiana presso la Santa Sede - Roma

Particolare affetto e stima vivissima per l'Italia


Signor ministro, signor ambasciatore, cari fratelli e sorelle! Vi sono riconoscente per la cordialità, con la quale avete accolto il mio arrivo in questo luogo. E in particolare ringrazio lei, signor ministro, per le cortesi parole, che mi hanno manifestato da quale sensibilità e da quale spirito di collaborazione siano animate le persone di questa Ambasciata nel curare i rapporti tra lo Stato italiano e la Santa Sede.

Tali amichevoli e soddisfacenti relazioni contribuiscono - nel rispetto del proprio compito e in reciproca fiducia - al bene comune di questa Nazione e all'opera che la Chiesa svolge per portare al mondo la pace e la verità di Cristo.

Il messaggio di giustizia e di carità del Redentore rende l'uomo capace di edificare una civiltà, dove l'impegno operoso dei singoli può condurre ad una convivenza sociale autentica e rispettosa della dignità della persona.

L'accoglimento dell'invito a sostare in questa Rappresentanza diplomatica ha come occasione immediata la visita pastorale alla vicina basilica di Sant'Eugenio. Tuttavia il motivo profondo per cui volentieri ho accettato di venire qui è il particolare affetto, e anche la stima vivissima, per l'Italia, la cui storia e il cui patrimonio culturale, morale e religioso è singolarmente intrecciato con il cristianesimo. E' dunque con sentimenti di simpatia che rivolgo il mio saluto a lei, signor ministro, e a lei, signor ambasciatore, a cui mi è gradito manifestare sincero apprezzamento per l'accoglienza.

Il mio saluto va poi agli alti funzionari e a tutto il personale di questa Ambasciata. A tutti giunga il mio augurio di un sempre proficuo buon lavoro.

Saluto i parenti di ciascuno di voi. Carissimi, la vostra presenza dà a questo incontro un tono di lieta familiarità, favorisce un clima di fraterno colloquio. Il mio auspicio per voi è che la vostra vita sia sempre una testimonianza dell'amore di Dio e dei fratelli, attenti alla verità, fermi nella speranza, pazienti nelle fatiche e tenaci nelle difficoltà. In ciò vi sia di esempio e di sostegno san Carlo Borromeo, come benevolmente indico Papa Paolo VI, quando, nell'ottobre del 1964, venne in questo edificio - che appartenne alla Famiglia Borromeo - per benedirne la cappella dedicata a tale santo, portando in dono una sua preziosa reliquia.

Di tutto cuore auspico serena prosperità per voi e costante progresso per l'intero popolo italiano, così degnamente rappresentato dal signor presidente della Repubblica, al quale intendo far giungere questi voti. Per quanto mi è suggerito dall'amore di pastore offriro sempre il mio spirituale sostegno e non cessero mai di pregare perché il Signore onnipotente faccia scendere su di esso l'abbondanza dei doni celesti.

A tutti voi imparto l'apostolica benedizione.

Data: 1986-03-02 Domenica 2 Marzo 1986




Nella parrocchia di Sant'Eugenio - Valle Giulia (Roma)

Comunione intima con Cristo mediante il ministero di Pietro



1. Oggi è la terza domenica di Quaresima. Come Mosè quando pascolava il gregge, anche noi siamo chiamati da Dio nel deserto. Dio ci chiama per nome, così come allora ha chiamato lui: "Mosè, Mosè!" (cfr Ex 3,4).

Dio comanda a noi così come ha ordinato a Mosè: "Togliti i sandali dei piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!" (Ex 3,5). Togliti l'incredulità dagli occhi del cuore! Respingi la superbia della mente e della volontà! Il tempo che ti è dato nella liturgia della Chiesa è tempo santo. E' tempo forte. E' tempo di una particolare presenza di Dio. Dio e Mosè. Dio e noi.


2. Chi è Dio? La Quaresima ordina ai nostri pensieri e alla nostra coscienza di ritornare a questo Dio, che si è fatto conoscere a Mosè nel deserto. Egli è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. E' il Dio dell'infinita maestà, il quale cerca, nello stesso tempo, l'uomo per stipulare con lui un'alleanza.

Ecco, egli si rivela sotto forma del roveto che ardeva, nel fuoco che si consumava. L'Assoluto dell'Esistenza e dell'Amore si rivela agli occhi di Mosè in forma di roveto ardente, un roveto che arde e non si consuma. Dio trascendente.

L'uomo non può guardarlo a occhio nudo vivendo qui sulla terra. Mosè vela il suo viso, perché aveva paura di guardare verso Dio, e sente la voce: "Non avvicinarti!" (Ex 3,4). Nello stesso tempo egli è attratto lentamente verso colui che parla del roveto ardente, ne è tutto rapito. E' invaso, fino in fondo, dalla sua presenza.


3. Nel cuore della liturgia della Quaresima ci viene annunciato il mistero dell'infinita santità di Dio, della quale Mosè è diventato un testimone particolare. Questo mistero deve accompagnarci durante tutti i giorni della Quaresima, fino agli ultimi, allorché la santità e l'amore verranno proclamati "fino alla fine" (cfr Jn 13,1) mediante la croce e la risurrezione di Cristo.

Tuttavia, perché la realtà pasquale possa portare pienamente i suoi frutti nel nostro cuore e nella nostra coscienza, è necessario, nel corso della Quaresima, un incontro con Dio, come quello che Mosè sperimento ai piedi del monte Oreb.


4. Chi è Dio che parla con l'uomo ai piedi di questo monte? Mosè chiede il suo nome e sente la risposta: "Io sono colui che sono!" (Ex 3,14). Secondo il pensiero di san Tommaso d'Aquino si è soliti tradurre questa risposta così: "Io sono colui la cui sostanza è l'esistere". Nello stesso tempo il nome proprio di Dio, nella risposta data a Mosè viene, per così dire, sviluppato dal punto di vista dell'alleanza. Si tratta di un nome che parla dell'intimità di Dio con l'uomo e in particolare con il popolo che egli ha scelto in Abramo e nella sua discendenza come propria eredità: "Io sono colui che libera".

Nella risposta ricevuta da Mosè è contenuta la sollecitudine di Dio per ogni uomo e per tutto il popolo: "Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti: conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire..." (Ex 3,7-8). Dio si rivela a Mosè come Colui che è. Si rivela come Colui che libera. Egli è Creatore e Dio dell'alleanza. E' Provvidenza salvifica.


5. Mediante la liturgia dell'odierna domenica la Quaresima mette ogni anno le sue radici in questa teofania a Mosè. Nel profondo della nostra fede deve rivivere la grandezza imperscrutabile del Nome di Dio. Dio che è inaccessibile per i nostri sensi, impenetrabile per la nostra mente, deve diventare presente in noi e dinanzi a noi, così come si è fatto presente in Mosè e dinanzi Mosè.

Questa presenza ha liberato, nello stesso Mosè, una potenza che egli prima non possedeva. Si, Mosè aveva già sentito profondamente l'oppressione del suo popolo in Egitto e desiderato la sua liberazione dalla schiavitù, ma non era stato capace di realizzarla perché il male si era dimostrato più potente di lui, ed egli dovette salvarsi con la fuga nella terra di Madian.Adesso Dio lo chiama per nome e gli rivela il proprio Nome. Mediante questo Nome si fa presente in Mosè, presente per operare attraverso di lui. La presenza di Dio libero in Mosè una nuova potenza. Egli ritorno in Egitto, si presento davanti al faraone, e vinse la sua resistenza con la forza del Nome di Dio. Vinse anche la debolezza e la pusillanimità del suo popolo. Lo sottrasse alla schiavitù dell'Egitto. Mosè è diventato il servo dell'Esodo, cioè della Pasqua dell'antica alleanza. Dio si è rivelato in questo Esodo come colui che libera: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal Paese d'Egitto dalla condizione di schiavitù" (Ex 20,2).


6. La Pasqua dell'antica alleanza divenne immagine e preparazione della Pasqua nuova in Cristo. Nel corso della Quaresima ci prepariamo a questa Pasqua della nuova alleanza. Dio che durante la notte della fuga dall'Egitto si è rivelato come Colui che libera dalla schiavitù, desidera rivelarsi come Colui che abbraccia ogni uomo con la potenza salvifica della croce e della risurrezione: Dio che libera l'uomo in Cristo.

Io sono il Signore, tuo Dio, che mediante il sacrificio della croce di Cristo ti faccio uscire dalla condizione di schiavitù. Non sai quale schiavitù è il peccato che genera la morte? Non sai quale schiavitù è ogni uso cattivo della tua libertà creata? L'uomo contemporaneo non vive forse in un'altra, molteplice "schiavitù d'Egitto", preoccupato di difendere spesso solo le apparenze di una libertà senza limite? E' necessario quindi un grande lavoro per restituire alla libertà umana la verità che le è propria! E' necessario un grande lavoro per chiamare con il proprio nome qualsiasi peccato! E' necessaria una grande grazia per liberarsi da esso. E' necessaria questa luce che deriva dalla presenza del Dio vivente, di "Colui che è", affinché ciascuno di noi possa entrare nella via della libertà per la quale Cristo ci ha liberati.


7. Meditiamo questa verità fondamentale della Quaresima nella vostra parrocchia di Sant'Eugenio. Saluto il cardinale vicario, il card. Paul Poupard, titolare di questa basilica, il vescovo mons. Alessandro Plotti, preposto a questa zona pastorale, e mons. Alvaro del Portillo, prelato dell'Opus Dei. Desidero, altresi, salutare il vostro parroco, don Luigi Tirelli, con i suoi collaboratori.

La parrocchia di Sant'Eugenio è affidata alla cura dei sacerdoti della prelatura dell'Opus Dei. Secondo un'espressione del fondatore mons. Escriva de Balaguer tali sacerdoti si impegnano "a tirare il carro nella direzione voluta dal vescovo del luogo", consapevoli che "è gioia grande poter dire: amo mia Madre, la Santa Chiesa" ("Cammino", n. 518).

Io vi ringrazio per il vigoroso impegno con cui vi dedicate, in questa comunità, alla realizzazione del programma pastorale della diocesi del Papa. La vostra basilica, come sapete, è stata dedicata al santo pontefice romano Eugenio I in occasione del XXV di episcopato di Pio XII. La pietra di fondazione di questa chiesa, benedetta dallo stesso Pontefice sulla tomba di Pietro, proviene dalle Grotte Vaticane per ricordare continuamente a voi, come simbolo perenne, la continuità del magistero, l'unità della Chiesa e il vincolo della fede che vi unisce all'incrollabile fondamento della dottrina degli apostoli.

Io vi chiedo di testimoniare sempre la meravigliosa comunione che vi congiunge intimamente a Cristo mediante il ministero di Pietro, scelto ad essere il fondamento dell'edificazione di tutta la Chiesa e il pastore che pasce in perfetta unità tutto il gregge del Signore.


8. Desidero esprimere il mio compiacimento per la singolare cura che dedicate ai corsi di dottrina cristiana per adulti e alle lezioni di teologia, dogmatica e morale, di esegesi biblica e di studio sui documenti pontifici. Tali corsi, che so ben frequentati dai fedeli della vostra e di altre parrocchie, costituiscono, insieme con le lezioni proposte dal Circolo culturale, una interessante occasione di evangelizzazione adattata alle istanze peculiari della nostra epoca ed alle problematiche del nostro tempo.

Devo lodare anche i ritiri mensili offerti con dovizia, in diversi giorni e ore, a tutte le categorie di persone. Quali momenti di vero ristoro per lo spirito, essi possono trasformarsi in occasioni d'esperienza di Dio, nell'intimità di una preghiera simile a quella di Mosè sull'Oreb.

Il mio plauso anche per le iniziative rivolte ai giovani: quelle sportive (la "Polisportiva Valle Giulia"), quelle culturali e soprattutto quelle spirituali e di preghiera, tutte opportunamente disposte nei capaci locali del complesso parrocchiale. Né voglio dimenticare quanto fate per intrattenere gli anziani e per assistere a domicilio anziani e malati. Esprimo altresi la mia viva soddisfazione per le opere di carità (San Vincenzo femminile e maschile) con le quali vi siete impegnati, con efficace costanza, verso altre parrocchie più povere della periferia. In questo modo tra di voi rivive lo spirito dei cristiani delle origini, impegnati dagli apostoli, "ciascuno secondo quello che possedeva" (Ac 11,28) per soccorrere i fratelli in difficoltà.


9. Al centro e nel cuore di tutte queste iniziative si riscontra il particolare posto che occupa la vita liturgica e sacramentale. E' da questa fonte viva della vita della Chiesa che nasce la comunità parrocchiale, ed è attorno a questo centro che essa rivela il suo fervore. Ho notato perciò con gioia la cura che dedicate alle celebrazioni liturgiche e ad alcuni appuntamenti di preghiera che vi caratterizzano, come la festa dell'Immacolata e il convegno giovanile a Pasqua.

Desidero sottolineare, infine, l'impegno nell'esercizio regolare e fervoroso per il sacramento della riconciliazione. A questo ministero tutti noi sacerdoti dobbiamo dedicarci assiduamente in forza della vocazione che abbiamo di pastori e servitori dei nostri fratelli. Desidero perciò confermare, anche in questa circostanza, la grande forza spirituale che ha per la vita cristiana questo sacramento che avvicina alla santità di Dio, e che, specialmente quando è conferito nella forma di confessione individuale, consente di ritrovare la propria verità interiore turbata dal peccato, aiuta a liberarsi nel più profondo di sé, traccia le vie dell'illuminazione per la coscienza mediante il discernimento e permette di riacquistare, con la chiara visione della volontà di Dio, la gioia perduta, nella consolazione di sentirsi personalmente accolti da un gesto di misericordia.

Con queste analisi dell'attività pastorale della parrocchia di Sant'Eugenio voglio salutare tutti i componenti della comunità parrocchiale. Siete una parte eletta del popolo di Dio che costituisce insieme a tutti gli altri, la Chiesa di Roma, Chiesa apostolica, Chiesa petrina e paolina. Nel nome di questi santi apostoli, nel nome del vostro santo patrono saluto tutti i parrocchiani e ciascuno di voi.


10. Facendo riferimento a Mosè che con la potenza del Nome di Dio ha liberato il popolo dalla schiavitù d'Egitto, e durante quarant'anni lo ha condotto verso la terra promessa, san Paolo ci parla di Cristo. Nel grande avvenimento salvifico dell'antica alleanza, Cristo era già presente. Proprio lui era "quella roccia" (la roccia spirituale), dalla quale gli Israeliti bevvero la "bevanda spirituale".

Così come mangiarono il "cibo spirituale" sotto forma di manna nel deserto. La bevanda e il cibo erano figura e preannunzio delle cose future.

Per noi queste "cose future" sono già una realtà attuale. Occorre soltanto che nei nostri cuori e nelle nostre coscienze si faccia viva la stessa presenza di Dio che è stata sperimentata da Mosè ai piedi del monte Oreb. Occorre che accogliamo la potenza liberatrice di Dio in Cristo, il quale vive nei sacramenti della nostra fede, nella Penitenza e nell'Eucaristia. Occorre che beviamo dalla "roccia spirituale". Questa roccia è Cristo.

[Ai partecipanti ai corsi di dottrina cristiana:] Vi auguro di continuare in questa vostra vita cristiana sempre più intensamente e in modo più approfondito, attraverso gli esercizi spirituali e lo studio della teologia, per formare persone più consapevoli di quel tesoro che è la nostra fede, la nostra vocazione cristiana. Vi auguro anche di compiere un apostolato fruttuoso tra le persone che vi sono vicine e anche tra i non credenti, tra i "lontani". Questo apostolato deve farvi sempre più riconoscere che Cristo è il nostro bene. Ma questo bene non è solamente per noi, è un bene anche per gli altri. Per questo dobbiamo far conoscere Cristo al nostro prossimo, portare Cristo a tutti.

[Ai giovani:] Adesso cerchero di darvi una risposta. Ma prima vorrei confessarvi che a me piace molto ascoltare quando i giovani cantano, ne resto sempre incantato. E il vostro gruppo è veramente bello, belli i suoni, belle le vostre voci singole o in coro. E vi confesso che mi piace anche ascoltare quando si recita nella lingua che a me sembra più vicina all'italiano, che anzi è profondamente italiana. Mi piacciono i vostri monologhi e molto anche le vostre testimonianze. Non mi piace invece molto di essere intervistato, cerco di evitarlo, ma non sempre posso, e a volte devo dare ai giornalisti anche risposte poco piacevoli. E quando mi si pongono molte domande io devo cercare di riassumerle un po', di fare una riduzione, una sintesi, in senso scientifico tuttavia, non in senso ontologico.

Così cerchero di essere breve per poter dare risposte al maggior numero possibile di domande. Voi mi avete fatto alcune domande, una catena che si potrebbe ancora prolungare e io intanto ho cercato di trovare quali parole potrebbero essere più adatte per una risposta: una risposta che sarà magari un po' indiretta, mediata, ma sarà comunque una risposta. Del resto devo dirvi che molte delle vostre domande hanno già la risposta pronta. Per esempio, in quella canzone che avete eseguito, "Io ti daro di più, di più, di più..." - un canto molto bello - ecco, qui si trova in un certo senso la risposta alle vostre domande. "Io ti daro di più, di più...". Voi giovani, specialmente in questo ambiente - e non si deve trascurare la circostanza che i vostri sacerdoti sono dell'Opus Dei - in questo ambiente voi siete interpellati, chiamati a dare di più. Ora, la risposta più sostanziale a tutte le vostre domande è questa: appunto, dare di più.

Nella canzone avete detto "io ti daro di più di quello che avro da te".

Ecco, penso che quelle parole voi le rivolgiate al Signore. E' vero, noi non possiamo dare di più di quello che abbiamo, non possiamo mai superare la sua generosità, la sua grazia, i suoi doni. Ma dobbiamo avere questa intenzione: di dare di più, mai di meno, di più, secondo le nostre possibilità. Perché dare di più è la testimonianza dell'amore. Si, non possiamo dare di più a Dio di quanto è nelle nostre possibilità, ma possiamo amare Dio, e amare il prossimo, gli altri, i nostri fratelli e sorelle. E questo dinamismo, questo dare di più, è già la Grazia. Dio ci spinge a dare di più, lui che ci ha dato il massimo. Con la redenzione, con la croce, con la grazia, ci ha dato più di tutto quello che possiamo pensare, che possiamo immaginare. E ci ha dato anche quella disponibilità che potrebbe sembrare illogica ma che è invece logica secondo la logica dell'amore: la possibilità di amare. E appunto questa possibilità di amare implica sempre di voler dare di più. Oltrepassare, superare se stessi nel dono. Non so se questa è una risposta esauriente alle vostre domande...

Vorrei fare due piccole aggiunte. La prima per rispondervi su ciò che ho appreso in India. Ecco, potreste cercare la risposta in un articolo che ho scritto su "L'Osservatore Romano" quando ero ancora arcivescovo, dal titolo "La verità dell'enciclica". E poi un'ultima cosa. Mi avete chiesto di pregare per le infermiere che assistono i malati negli ospedali e poi per voi giovani, per la vostra comunità e per ciascuno di voi singolarmente. Si, preghero, preghero molto volentieri per voi.

[Al Consiglio pastorale:] Poiché lei ha parlato di "tempo prezioso", vorrei approfondire questo concetto. Direi che il tempo umano è sempre prezioso quando è dedicato a un'opera buona, quando è riempito di un contenuto, di motivi validi, profondi. E il tempo più prezioso è quello dedicato a Dio perché è Dio che riempie più profondamente il tempo umano, in modo sovrabbondante. Vi ringrazio per le vostre parole e voglio rispondervi prendendo spunto dallo stesso concetto di "tempo prezioso" espresso dal vostro rappresentante.

Anche voi carissimi dedicate il vostro tempo a un'opera buona per la Chiesa e per la vostra comunità cristiana di Sant'Eugenio. Ecco, è così che questo vostro tempo diventa prezioso e io vi auguro che lo sia sempre di più grazie al vostro impegno e alla protezione dello Spirito Santo che infonde al nostro tempo umano sempre una dimensione soprannaturale. E adesso a queste riflessioni desidero aggiungere la mia benedizione a voi personalmente, a questo Consiglio pastorale e a tutte le persone a voi care. E nell'imminenza della Pasqua desidero formularvi i migliori auguri.

[Ai bambini e ai ragazzi:] Saluto cordialmente tutti i presenti e voglio rispondere alle parole del vostro parroco che guida questa chiesa di Sant'Eugenio tanto legata alla memoria e alla persona di Papa Pio XII. Voglio salutare in questo incontro soprattutto i parrocchiani più piccoli. Entrando in questa sala ho visto tanti piccoli bambini tra le braccia delle loro mamme e dei loro papà. E' questa un'immagine molto commovente. Sono questi piccoli, voi, e poi gli altri bambini della scuola che sono un po' cresciuti che non sono tra le braccia delle madri o dei loro genitori ma, ho pensato, sono anch'essi nelle braccia di una madre: questa madre si chiama Madre Chiesa. La Chiesa è la nostra Madre. Questa Madre Chiesa cerca di assomigliare alla Madre di Dio, Maria. Questo è un grande mistero della Chiesa. Questa sua somiglianza alla Madre di Dio, Maria, Madre di Cristo e Madre della Chiesa. Allora anche quelli più grandi sono nelle braccia della Madre Chiesa. Anzi, questa Madre, adesso, non solamente accarezza questi bambini, ma cerca di formarli, di insegnare loro la parola di Dio, di preparare loro ai sacramenti della nostra fede e soprattutto all'Eucaristia, al sacramento della Penitenza.

Così si formano i giovani cristiani sempre tra le braccia della Madre Chiesa. Ma tutti noi, fratelli e sorelle, genitori qui presenti, siamo nelle braccia di questa Madre. Anzi, tramite la Chiesa Madre che imita la Madre di Cristo siamo tutti tra le braccia invisibili del Padre celeste. Questo è un mistero della famiglia divina. Gesù Cristo nel suo Vangelo ci ha presentato questa visione della famiglia divina sopratutto quando ha parlato agli uomini adulti e maturi che erano i suoi apostoli. Ha detto infatti a tutti: Se non diventerete come i bambini, non entrerete del regno dei cieli. I bambini sono così nella Chiesa un elemento esemplare e significativo perché loro fanno da legame tra noi e Gesù Cristo, tra noi e la Madre Chiesa e fanno soprattutto legame tra noi e il Padre celeste. Vi auguro di essere tutti bambini nel senso evangelico; di essere semplici come loro, aperti al Padre celeste, alle sue ispirazioni e alla voce della sua grazia sempre consapevoli della sua paternità e desiderosi di diventare i suoi figli e le sue figlie. La parrocchia deve vivere e deve crescere come famiglia di Dio. Sono contento di toccare con mano qui la prima tappa di questa famiglia. Una famiglia che cresce in tutte le sue componenti rimanendo sempre tra le braccia della Chiesa che è Madre e tra le braccia del Padre celeste.

Data: 1986-03-02 Domenica 2 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Agli ex alunni del liceo faentino E. Torricelli - Città del Vaticano (Roma)