GPII 1986 Insegnamenti - Alle scuole cattoliche del Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Alle scuole cattoliche del Lazio - Città del Vaticano (Roma)

Una fucina di personalità forti, vive e vere


Carissimi studenti delle scuole cattoliche di Roma e del Lazio!


1. La vostra vibrante ed entusiastica presenza in questa aula così grande, ma divenuta quasi incapace di accogliervi tutti, tanto siete numerosi, riempie il mio animo di gioia e di speranza per il futuro della Chiesa e della società. Siete venuti dalle scuole di Roma e del Lazio che aderiscono alla "Federazione degli Istituti dipendenti dall'autorità ecclesiastica" (FIDAE), diretta dal fratello Giuseppe Lazzaro. A lui il mio saluto e il mio ringraziamento per l'opera di animazione cristiana che egli svolge nel mondo scolastico; il mio affettuoso pensiero si rivolge a tutti voi, cari giovani e ragazzi, e a quanti vi hanno accompagnati: genitori, insegnanti, presidi, amministratori e organizzatori di questo significativo incontro. Il mio animo si volge anche a tutte le schiere giovanili, che, come voi, si preparano nelle scuole alla vita e alle future responsabilità come cristiani e come cittadini.


2. Come già negli incontri degli anni scorsi, questa visita mi offre l'occasione di esprimervi alcune riflessioni che riguardano la vostra scuola, e soprattutto, voi studenti, che vivete una stagione decisiva della vostra esistenza. Voi delle scuole cattoliche di Roma e del Lazio siete una forza viva, una realtà e una presenza che si impongono anche per il numero, oltre che, naturalmente, per ispirazione e per metodi pedagogici e didattici, illuminati da una sintesi culturale aperta e completa, come solo il cristianesimo può e sa dare.

Di questa realtà che distingue la vostra scuola dovete andare fieri, assumendo l'impegno generoso di rispondere all'opera di formazione umana e cristiana che vi viene impartita. Non dovete mai mostrarvi pavidi delle vostre convinzioni e impacciati davanti a quelle degli altri; né vi deve mancare il coraggio di tenere fede ai principi che vi sono inculcati nelle vostre scuole, cedendo a ingenerosi e vili compromessi. Questi anni di formazione integrale della vostra personalità vi servono per fortificare sempre di più le vostre convinzioni, i vostri ideali e i vostri propositi e per maturare una condotta di vita coerente, logica ed esemplare. così facendo sarete in grado di infondere in ogni espressione della vostra attività un'anima religiosa, cioè una fede, che dia ad esse senso e valore, in quanto essa solo può veramente ed effettivamente sostenerle, elevarle e santificarle; sarete altresi in grado di comprendere i problemi degli altri, di stabilire vincoli di amicizia, di stima e di rispetto con tutti, senza lasciarvi prendere dalle tentazioni della noia, dello scetticismo e dalle lusinghe dei piaceri fallaci, quando non sono rovinosi.


3. So che nelle vostre scuole fate oggetto di studio e di dibattiti i documenti del Concilio Vaticano II. Qualcuno di voi forse avrà appreso in quali termini precisi e insieme suggestivi la dichiarazione sulla educazione cristiana, intitolata dalle prime parole latine "Gravissimum Educationis", delinei il profilo dello studente e in pari tempo i compiti della scuola cattolica. In essa si legge, tra l'altro, che sulla scuola incombe l'obbligo di "aiutare gli adolescenti affinché nello sviluppo della loro personalità crescano secondo quella nuova creatura, che in essi ha realizzato il Battesimo, e coordinare l'insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell'uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede. Solo così la scuola cattolica - continua la dichiarazione - educa i suoi alunni a promuovere efficacemente il bene dalla città terrena, e insieme li prepara al servizio per la diffusione del regno di Dio, sicché, attraverso la pratica di una vita esemplare e apostolica, diventino come il fermento di salvezza della comunità umana" (GE 8).

Sono parole programmatiche queste, da tenere a mente, affinché la scuola cattolica sia davvero una fucina di personalità forti, vive e vere, che sappiano irradiare senza complessi gli autentici valori umani e cristiani.

Per compiere questo occorre anzitutto che quanti hanno responsabilità nella direzione e nell'insegnamento della scuola cattolica ravvisino in essa un ideale da servire; uno scopo che riempia degnamente la loro vita; una via per offrire alla società idee ed energie che ne rinnovino il sentimento, la cultura e il vigore morale. Occorrono spiriti aperti ai grandi pensieri e insieme agli umili sacrifici che la vita quotidiana richiede; occorrono docenti che considerino la scuola come una missione e una chiamata a un ministero incomparabile, qual è quello di aprire le giovani menti ai valori del vero, del bene e del bello.


4. Ma per adempiere adeguatamente queste indicazioni la scuola cattolica ha bisogno di poter lavorare serenamente nei legittimi ambiti delle proprie autonomie, senza correre il rischio di trovare ostacoli nell'esercizio di questa missione, che le è propria. Occorre che sia garantito alle famiglie cristiane il diritto di godere, senza discriminazione alcuna da parte dei pubblici poteri, della libertà di scelta per i figli di una scuola che sia confacente con le proprie convinzioni, senza che questa scelta comporti sforzi economici troppo gravosi. Tutti i cittadini infatti hanno pari dignità e devono percepirne gli effetti in ogni campo, soprattutto in questo, così importante per un giusto e libero sviluppo della vita sociale. Anche su questo punto il Concilio Vaticano II offre chiare direttive: "Deve essere riconosciuto ai genitori dalla potestà civile il diritto di scegliere, con vera libertà, la scuola o gli altri mezzi di educazione, e per tale libertà di scelta non debbono essere aggravati, né direttamente, né indirettamente, da oneri ingiusti" (DH 5).

La Chiesa sente il dovere di proclamare altamente questi principi, i quali non possono essere disattesi, senza danneggiare lo stesso tessuto della pacifica convivenza umana.


5. Nel perseguire questi diritti e nel compiere scrupolosamente i doveri che da essi derivano, sappiate testimoniare, con l'esempio della vostra dedizione e della vostra vita, il vostro amoroso interessamento per la causa dell'uomo e della sua promozione. Per raggiungere un livello spirituale così prestigioso è necessario che vi facciate discepoli del Maestro divino, nutrendo nel vostro cuore quell'ansia di ascoltare e di accogliere la Sapienza che egli ha rivelato a noi con la sua venuta nel mondo.

Con questi voti nel cuore vi benedico tutti, augurandovi ogni successo nel vostro quotidiano impegno.

Data: 1986-03-08 Sabato 8 Marzo 1986




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Nel sacramento della Penitenza la salvezza della croce



1. Oggi è la quarta domenica di Quaresima. La Chiesa ci fa meditare nella liturgia la parabola del figlio prodigo. Nella seconda Lettera ai Corinzi leggiamo anche le seguenti parole dell'Apostolo: "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,19-20). Via via che la Quaresima procede, l'insistenza della Chiesa diventa sempre più fervida: "riconciliatevi con Dio".


2. La Chiesa ha ricevuto da Dio "la parola della riconciliazione" e il sacramento della riconciliazione. Il sacramento della Penitenza fu istituito da Cristo quando disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Jn 20,22-23). Egli ha dato questo potere agli apostoli nel cenacolo, dopo la risurrezione, con riferimento alla sua morte di croce. Il sacramento della Penitenza racchiude in sé la potenza salvifica della croce di Cristo e della risurrezione.


3. Cristo dice: "a chi rimetterete i peccati saranno rimessi...". Leggiamo in relazione a ciò nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" (RP 31): "Il sacramento della Penitenza... è una specie di azione giudiziaria; ma questa si svolge presso un tribunale di misericordia, più che di stretta e rigorosa giustizia... il peccatore vi svela i suoi peccati e la sua condizione di creatura soggetta al peccato; si impegna a rinunciare e a combattere il peccato; accetta la pena (penitenza sacramentale) che il confessore gli impone e ne riceve l'assoluzione". L'azione del sacramento della Penitenza - prosegue poi l'esortazione - ha pure un carattere "terapeutico o medicinale".


4. Nell'enciclica "Redemptor Hominis" (RH 20) leggiamo: "Negli ultimi anni è stato fatto molto per mettere in evidenza - in conformità, del resto, alla più antica tradizione della Chiesa - l'aspetto comunitario della penitenza, e soprattutto del sacramento della Penitenza... Non possiamo pero dimenticare che la conversione è un atto interiore di una profondità particolare, in cui l'uomo non può essere sostituito dagli altri, non può farsi "rimpiazzare" dalla comunità... La Chiesa quindi, osservando la pratica della confessione individuale... difende il diritto particolare dell'anima umana. E' il diritto a un più personale incontro dell'uomo con Cristo... che dice, per mezzo del ministro del sacramento della Riconciliazione: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc 2,5); "Va', e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11)".


5. Insieme con Maria, che sta sotto la croce, con la Madre della grazia divina, invochiamo per noi tutti nella Quaresima la grazia della buona confessione.

Chiediamo per i confessori che siano pieni di amore, di umiltà in quanto ministri del sacramento della Penitenza, e chiediamo per i penitenti la gioia della rinascita spirituale. [Dopo la preghiera:] Desidero ora ricordare gli incontri che ho avuto nello scorso anno con i vescovi delle Conferenze Episcopali del Pakistan e del Bangladesh, in visita "ad limina". In ambedue le nazioni, i cattolici sono una infima minoranza, ma godono di grande prestigio sia per la loro attiva presenza in campo educativo e assistenziale, sia anche a motivo delle buone relazioni che essi sanno intrattenere con i fratelli di altre religioni, soprattutto con i musulmani che formano la grande maggioranza. Nel manifestare oggi il mio vivo ringraziamento a quei due cari episcopati per la loro visita, testimonianza di comunione ecclesiale, voglio invitare tutti alla preghiera per i nostri fratelli del Pakistan e del Bangladesh. Vorrei ora invitare tutti i presenti a unirsi alla mia preghiera per la liberazione del signor Alessandro Fantazzini, un giovane di Anzola dell'Emilia, come pure del dottor Antonio Curia, di Reggio Calabria. Facendo eco all'indicibile angoscia dei familiari, rivolgo un pressante appello ai rapitori, perché non soffochino la voce della coscienza e facciano spazio nel loro cuore a quel senso di umanità che non possono aver smarrito. Il mio pensiero si volge, nello stesso tempo, a tutti coloro, e non sono pochi, che ancora si trovano nelle mani dei sequestratori. Unitamente ai loro cari, così provati dalla sofferenza, supplico il Signore perché ognuno possa presto essere restituito all'affetto della famiglia e perché cessi finalmente questa piaga, che tanto affligge la nostra società.

Data: 1986-03-09 Domenica 9 Marzo 1986




Alla parrocchia di Sant'Ireneo - Centocelle (Roma)

Vana la ricerca della pace se non si accetta il perdono di Dio


Cari fratelli e sorelle!


1. Mediante la seconda Lettera di san Paolo ai Corinzi, la Chiesa offre alla nostra meditazione nella quarta domenica di Quaresima le seguenti parole: "Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo pero viene da Dio, che ci ha riconciliati con se mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,17-18). Occorre che, alla luce di queste parole dell'Apostolo, consideriamo il messaggio dell'odierno Vangelo secondo san Luca: il messaggio contenuto nella parabola del figlio prodigo. Dio "che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo" parla in questa parabola per mezzo della figura del Padre, il quale accoglie suo figlio, quando costui ritorna alla casa paterna esclamando: "ho peccato... non sono più degno di esser chiamato tuo figlio" (Lc 15,21).


2. Ciascuno di noi conosce bene questa parabola. Essa è piena di verità, circa Dio e circa l'uomo e con una insolita forza s'imprime nella memoria e anche nel nostro cuore. Nell'enciclica "Dives in Misericordia" e anche nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" proprio questa parabola diventa un punto centrale di riferimento per gli insegnamenti destinati alla Chiesa del nostro tempo. Questi insegnamenti toccano un problema, che è sempre importantissimo nell'intero messaggio evangelico: il problema della conversione dell'uomo a Dio. Convertirsi - come insegna san Paolo - vuol dire diventare in Cristo una creatura nuova. Dio, come il padre della parabola, accoglie ogni suo figlio prodigo: quando egli nasce di nuovo in Cristo, diventa un uomo nuovo. Anzi, il Padre ci ha dato in Cristo il suo Figlio unigenito affinché ciascuno di noi - anche se fosse un figlio prodigo - potesse diventare in lui, in Cristo, un uomo "nuovo". Affinché - rinnovato interiormente - ritrovasse la via della casa del Padre.


3. Nell'enciclica "Dives in Misericordia" (DM 6) leggiamo: "La parabola del figlio prodigo esprime in modo semplice, ma profondo, la realtà della conversione. Questa è la più concreta espressione dell'opera dell'amore e della presenza della misericordia nel mondo umano": misericordia che "si manifesta nel suo aspetto vero e proprio, quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme del male, esistenti nel mondo e nell'uomo. così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forma costitutiva della sua missione. Allo stesso modo intendevano e praticavano la misericordia i suoi discepoli e seguaci. Essa non cesso mai di rivelarsi, nei loro cuori e nelle loro azioni, come una verifica particolarmente creatrice che non si lascia "vincere dal male", ma "vince con il bene il male" (Rm 12,21)".


4. così dunque la parabola del figlio prodigo ci mostra come si realizza la trasformazione interiore dell'uomo del peccato: come "passano le cose vecchie" che sono in lui - forse perfino fortemente radicate - e nello stesso tempo, per opera della grazia della conversione, come nascono quelle "nuove". Cristo ha ottenuto all'uomo la grazia della conversione "con il sangue della sua croce" (cfr Col 1,20). così dunque in Cristo il peccatore diventa "una creatura nuova" e in Cristo ottiene la riconciliazione con Dio.

L'Apostolo dice: "E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe" (2Co 5,19). Tutto ciò che è avvenuto tra il padre e il figlio prodigo, si è compiuto per opera di Cristo, e continua sempre a compiersi per la sua opera. Il Dio dell'eterna alleanza con l'umanità si rivela in Cristo quale Dio della riconciliazione. Questa verità forma come il tessuto essenziale e vitale del cristianesimo, e, in senso più vasto, della vocazione dell'uomo in Cristo.


5. San Paolo scrive nella seconda Lettera ai Corinzi non soltanto che Dio "ci ha riconciliati a sé mediante Cristo", ma aggiunge ancora: "ha affidato a noi il ministero della riconciliazione". E poi continua: "Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro... Vi supplichiamo in nome di Cristo: "lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,18 2Co 5,20). Il ministero della riconciliazione dell'uomo con Dio, come frutto della riconciliazione di Dio con l'uomo in Cristo, è nella Chiesa un elemento fondamentale dell'eredità specifica: cioè dell'eredità della croce e della risurrezione. In quest'eredità è contenuta la potenza della riconciliazione degli uomini con Dio mediante la remissione dei peccati.

"Ma - come dice l'esortazione "Reconciliatio et Paenitentia" - ancora san Paolo ci consente di allargare la nostra visione dell'opera di Cristo a dimensioni cosmiche, quando scrive che in lui il Padre ha riconciliato con sé tutte le creature, quelle del cielo e quelle della terra (cfr Col 1,20).

Giustamente si può dire di Cristo redentore che "nel tempo dell'ira è stato fatto riconciliazione" (cfr Si 44,17), e che, se egli è "la nostra pace" (Ep 2,14), è anche la nostra riconciliazione".

"Ben a ragione la sua passione e morte, sacramentalmente rinnovate nell'Eucaristia, vengono chiamate dalla liturgia "sacrificio di riconciliazione": riconciliazione con Dio e con i fratelli, se Gesù stesso insegna che la riconciliazione fraterna deve operarsi prima del sacrificio (cfr Mt 5,23-24)".


6. Riflettiamo adesso sul fatto che questa verità fondamentale della fede e della vita cristiana l'hanno un tempo meditata, qui a Roma, gli apostoli insieme con i primi seguaci di Cristo. Oggi mi è dato di meditarla con voi, cari parrocchiani della comunità dedicata a sant'Ireneo, grande Padre della Chiesa, che fu detto l'ultimo uomo apostolico, cioè di coloro che avvicinarono gli apostoli o i loro immediati successori, e il primo teologo.

Saluto tutti i presenti con viva cordialità: il cardinale vicario, il vescovo ausiliare del Settore, il parroco con i suoi collaboratori sacerdoti, le suore del Sacro Cuore di Gesù, i gruppi parrocchiali: l'Apostolato Vincenziano, la Legione di Maria, il Gruppo di preghiera, i catechisti della Prima Comunione, la Comunità eucaristica e le Comunità neocatecumenali. Saluto con affetto tutto il popolo di Dio che appartiene a questa parrocchia: i giovani, i fanciulli, le famiglie, i lavoratori, gli anziani, coloro che in qualunque modo o per qualunque motivo soffrono nel fisico o nello spirito, coloro che hanno difficoltà nel trovar lavoro, coloro che sentono il peso della solitudine, o si sentono vittime di ingiustizie, o sentono, nell'intimo del cuore, la voce paterna di un Dio che li chiama al ritorno e alla conversione.

Saluto tutta la popolazione residente nel territorio di questa parrocchia, anche coloro che non si riconoscono in questa comunità di fede, coloro che non si sentono di appartenere a questa piccola porzione di Chiesa. A tutti sia gioia e pace.


7. Cari parrocchiani, so che la vostra comunità è viva, fiorente, attiva, piena d'iniziative d'apostolato e di evangelizzazione. Me ne compiaccio profondamente e vi esorto a proseguire su questa strada, perché il campo nel quale seminare la parola di Dio è ancora molto vasto.

So quanto amore avete per sant'Ireneo, il vostro patrono. Le pubblicazioni parrocchiali spesso lo ricordano, mostrando gli aspetti della sua poderosa e magistrale personalità. Anche su questo punto vi invito a proseguire: cercate di far sempre più vostro il grande amore che il vescovo di Lione aveva per la dottrina degli apostoli, per la purezza della verità cristiana, che egli non esito mai a testimoniare e a difendere con grande coraggio, zelo e spirito di sacrificio, fino al martirio.

La positività dei risultati conseguiti certamente non deve far perdere di vista la necessità di lavorare per colmare lacune e superare limiti, sempre inevitabili nelle condizioni del nostro agire di quaggiù. Una maggiore attenzione dovrà quindi essere dedicata al problema dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e delle professioni, anche se so che questo problema è stato focalizzato seriamente. Una costante attenzione dovrà essere sempre riservata al primato che, nella vita cristiana, deve tenere la preghiera, la liturgia, la ricerca pura e spassionata della verità su Dio e sulle realtà eterne al di là di un impegno sociale e di promozione umana, che pur restano sempre essenziali e fondamentali. Il servizio all'uomo, tuttavia, per essere autentico, deve sempre trovare, soprattutto per il cristiano, la sua ultima ragion d'essere nell'unico supremo servizio, che è l'amore di Dio. La ricerca della pace e della riconciliazione tra gli uomini è vana o illusoria, se non suppone nell'animo di ciascuno la disponibilità a ricevere il perdono di Dio e a compiere quindi quegli atti interiori ed esteriori di penitenza e conversione che lo condizionano.


8. Ritorniamo ancora sul tema liturgico dell'odierna domenica quaresimale.

L'Apostolo scrive: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20).

Oggi la Chiesa in tutto il mondo ripete con grande fervore spirituale quest'esortazione dell'Apostolo. Anzi, ripete le ulteriori parole della seconda Lettera ai Corinzi, parole veramente sconvolgenti: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21).

La vocazione dell'uomo alla riconciliazione con Dio non è soltanto una parola, non è un grido, seppur così potente come quello di Giovanni presso il fiume Giordano, oppure come quello precedente dei profeti dell'antica alleanza.

Questa chiamata è un'opera! L'opera inconcepibile, nata nella profondità dell'Amore del Padre e del Figlio. Essa è un sacrificio! E' un prezzo! Infatti siamo stati comprati a caro prezzo: glorifichiamo dunque Dio in noi stessi e ringraziamolo per la sua misericordia (cfr 1Co 6,20 1Co 7,23).

[Primo saluto alla parrocchia:] Saluto cordialmente tutti i presenti, saluto tutta la comunità di questo quartiere, tutta la comunità di questa parrocchia che porta il nome, il titolo di sant'Ireneo. Come diceva il vostro parroco, sant'Ireneo era un grande confessore e martire, martire di Cristo e della Chiesa; era un grande difensore della missione, del ministero petrino nella Chiesa, del primato di Pietro e del ministero petrino. Era anche un gran confessore, un grande dottore dell'uomo.

"Gloria di Dio è l'uomo vivente". Queste sue parole sono entrate nella tradizione del magistero della Chiesa, sono entrate nella tradizione di tutto il cristianesimo, cristianesimo che viene da Dio ed è orientato verso l'uomo, perché l'uomo è gloria di Dio. Per essere gloria di Dio l'uomo deve vivere pienamente la grazia di Dio, la vita di Dio. Ecco, incominciando questa visita nella parrocchia di quel grande dottore della Chiesa e martire di Cristo, vorrei augurare a tutti, a tutti i presenti, a tutti noi di essere - come diceva sant'Ireneo - "Gloria Dei, l'uomo vivente".

Saluto tutte le famiglie, tutte le generazioni, cominciando dai più anziani e andando fino ai più piccoli, andando anche ai neonati, ai nascituri, tutti. Che il Signore vi benedica, che questa parrocchia sia per voi un centro della vita umana e della vita cristiana, come lo augurava alla Chiesa, tanti secoli fa, sant'Ireneo, martire e dottore della Chiesa. Poi, avvicinandosi le festività pasquali auguro, già da oggi a tutti i presenti, a tutti i parrocchiani, la buona Pasqua.

[Alla Legione di Maria e all'Apostolato vincenziano:] Devo esprimere la mia gioia per il fatto che in questa parrocchia di Sant'Ireneo Maria abbia la sua legione, il suo esercito. Grazie a Dio questa Legione di Maria è molto apprezzata in tutto il mondo! Mi congratulo e mi rallegro con la parrocchia di Sant'Ireneo perché ha questa Legione. E lo stesso si dovrebbe dire dell'Apostolato vincenziano, che continua il carisma caratteristico di san Vincenzo de' Paoli, di questo grande santo francese e di tutta la Chiesa: l'apostolato caritativo.

Così la parrocchia è permeata da due correnti della vita cristiana: la Legione di Maria e l'Apostolato vincenziano. I segni di questa realtà, di questo movimento interiore si vedono anche esternamente, perché la parrocchia, essendo una parta della Chiesa, ha il suo corpo e la sua anima; e il corpo vive dell'anima. Penso che voi, carissimi fratelli e sorelle, cerchiate di animare questa parrocchia. così vi ponete al servizio dello Spirito Santo che è il primo e principale divino animatore, di tutta la Chiesa: anima e animatore.

Vi auguro di continuare con lo stesso spirito mariano e vincenziano per il bene di tutti i vostri fratelli e sorelle, anche per il bene personale di ciascuno di voi e per quello delle vostre famiglie. Buona Pasqua.

[Ai bambini:] Saluto cordialmente tutta la giovane parrocchia, la più giovane. Siete voi che la costituite: i ragazzi delle scuole elementari, delle scuole medie, quanti si preparano alla Prima Comunione, coloro che si preparano alla Cresima. Ecco, vi saluto insieme con i vostri genitori, che non mancano, con i vostri insegnanti, i vostri catechisti, i vostri sacerdoti.

Avete cantato all'inizio del nostro incontro: "Noi siamo il tempio del Dio vivente e lo Spirito Santo abita in mezzo a noi". Questa è una verità molto profonda, su cui vorrei interrogarvi. Da quando lo Spirito Santo abita in noi, da quando abita spiritualmente nello spirito umano, nell'anima umana? Comincia ad abitare nella nostra anima dal momento del Battesimo. E' per questo che il Battesimo è così importante: importante per questo piccolo che diventa cristiano, importante per la sua famiglia, importante per la Chiesa, non solamente per la parrocchia, porzione della Chiesa, ma per tutta la Chiesa. Possiamo dire che con questo neobattezzato nasce anche la Chiesa. La Chiesa nasce per l'uomo perché - come abbiamo sentito prima - l'uomo è vivente nella Grazia; abitato già da bambino, da piccolo bambino, da neonato, abitato dallo Spirito Santo, egli è gloria di Dio. Sono parole di sant'Ireneo.

Poi questo abitare dello Spirito Santo, di cui avete parlato, cresce perché cresce l'uomo, cresce anche lo spazio interiore, spirituale, insieme con il corpo umano. E questo spazio più ampio si prepara a ricevere lo Spirito Santo in un nuovo modo. Quando avviene questo? La maggior parte di voi piccoli si prepara alla Prima Comunione. Voi dovete ricevere la Prima Comunione, dovete ricevere sacramentalmente Gesù Cristo crocifisso e risorto. Là è egli che invia lo Spirito Santo nelle nostre anime. E ancora c'è un sacramento al quale si preparano i più grandi, quelli delle classi superiori: la Cresima. La Cresima è un sacramento specifico dello Spirito Santo in noi. La Cresima ci fa uomini e donne spiritualmente maturi, ragazzi e ragazze spiritualmente maturi. E' una bella cosa, una cosa invisibile; ma tutto ciò che è spirituale è invisibile. Dio è invisibile.

Quando si è fatto uomo è divenuto visibile, ha vissuto la vita visibile umana. E' diventato bambino, giovane, è diventato adulto, ha compiuto la sua missione messianica. E' stato crocifisso, è risorto visibilmente. Ma di per se stesso Dio, come tutto quello che è spirito, è invisibile. Noi crediamo la realtà invisibile e noi vediamo che tale realtà invisibile è anche dentro di noi. Questo vuol dire quanto avete pronunciato, cantato, al momento del mio ingresso in parrocchia: Siamo il tempio di Dio. Ciascuno di noi è tempio di Dio e lo Spirito Santo abita in Lui. Abita perché deve portare in sé la presenza di Dio, presenza invisibile, ma reale. Ecco io ho voluto dare una breve spiegazione di ciò che avete cantato e vorrei, nello stesso tempo, augurare a tutti i ragazzi e le ragazze e alle loro famiglie di essere veramente "tempio dello Spirito Santo". Di essere, di nascere col Battesimo, di crescere nella Comunione, di crescere nella Cresima e di rimanere per tutta la vita saldi nella fede. Auguro a tutti voi ragazzi, ma anche adulti e anziani di non diventare mai un tempio vuoto, specialmente adesso, durante la Quaresima. E' questo il richiamo forte che la Chiesa rivolge a tutti: accogliere lo Spirito Santo nel tempio interiore. Che non sia mai vuoto il tempio della nostra umanità cristiana! Che non sia vuoto il tempio della nostra anima! Ecco, carissimi, già mi dicono che il Papa ha parlato abbastanza e deve terminare; anch'io penso lo stesso. "Vorrei offrirvi una benedizione con il cardinale vicario e i vescovi; una benedizione cordiale per dare una conferma a questo nostro incontro dedicato al tempio che è ciascuno di voi, al tempio nel quale abita lo Spirito Santo. Tanti auguri agli abitanti di questi palazzi vicini, di tutta la parrocchia. Sia lodato Gesù Cristo.

[Ai gruppi giovanili:] All'inizio di questo incontro, mi viene spontaneamente alla memoria la parola della sacra liturgia, della liturgia di Pentecoste: "Spiritus Domini replevit orbem terrarum et hoc quod habet omnia scientia habet vocis". Questo è latino, la lingua madre dell'italiano, e credo che gli italiani debbano conoscere il latino, almeno dovrebbero. Ma per essere sicuro cerchero di fare una traduzione, una traduzione libera. Allora, lo Spirito di Dio ha riempito tutta la terra. La seconda parte la tradurro del tutto liberamente: tutti i visitati dallo Spirito Santo sanno cantare.

Ecco perché mi torna nella memoria questa citazione della sacra liturgia e naturalmente della Bibbia: perché voi sapete veramente cantare. E questo l'ho constatato prima in Chiesa dove si cantava con tanta forza, la forza della bellezza, la forza dell'arte e poi la forza della comunione. Sappiamo bene che il canto crea la comunione. Sant'Agostino ha detto. "Qui cantat bis orat". Il significato di queste parole può essere anche così inteso: chi canta, canta due volte perché trova la comunione. Cantando si costituisce una comunità di voci; una comunione di voci e così il canto diventa forte, il canto diventa testimonianza.

Nel canto che avete eseguito prima in chiesa e ora qui durante questo incontro, ho trovato una testimonianza e così capisco bene che voi siete veramente una comunità post-Cresima, una comunità che vive e che continua a vivere la grazia sacramentale della Cresima. Questa grazia ci dà la voce. La Cresima ci dà la voce, fa di noi i cristiani che hanno voce, che non sono solamente capaci di ascoltare, di ricevere, ma sono capaci anche di parlare, di trasmettere la fede, di testimoniare la fede.

Qui c'è un parallelismo tra il canto e l'apostolato, tra il canto e la testimonianza. Tutto questo esprime bene l'opera dello Spirito Santo, l'opera che egli esercita in noi tramite il grande sacramento della Cresima.

Voi cercate di essere fedeli a questo sacramento ricevuto. Voi cercate di acquistare la voce, la voce autentica, la voce dei credenti, la voce dei testimoni di Cristo. Cercate di approfondire questa voce per trasmetterla agli altri, ai vostri coetanei, per illuminarli con questa fede ricevuta, la prima volta nel Battesimo e poi la seconda volta, in senso più maturo, nella Cresima.

Cercate di illuminare con questa luce il vostro lavoro, i vostri studi, anche le vostre tristezze, le vostre gioie, la vostra gioventù, il vostro futuro. Avete raggiunto questa luce, la luce portata nel mondo da Dio stesso, dal Figlio di Dio.

Dobbiamo camminare in questa luce, la luce portata nel mondo da Cristo ma dobbiamo anche far camminare gli altri, introdurre gli altri in questo cammino della fede.

Questo io credo sia il vero significato della vostra comunità giovanile e anche il significato di questo incontro di oggi. Vi auguro di continuare. La fede è una ricchezza, una ricchezza oggettiva perché è la parola di Dio e questa parola rispecchia la realtà di Dio che è tutto. Tutto è in Dio, tutto il bene, tutto il vero, tutto il bello è in Dio. Allora, bisogna approfondire questa fede, approfondire questa parola di Dio, rendere sempre più profondo, più autentico, più vissuto il contatto con questa realtà che è Dio, che è Dio rivelato in Gesù Cristo, che ha detto "Io sono la via, la verità e la vita".

Vi auguro di seguire Cristo. Vi auguro anche una buona Pasqua e tutto quanto è bello, è buono, è vero. Grazie per questo incontro.

[Ai membri delle Comunità eucaristiche:] Questa relazione ci ha presentato il panorama della Comunità eucaristica che vuole conformarsi a ciò che è l'essenziale per la Chiesa fin dall'inizio. La Chiesa ha capito fin dall'inizio che vive e cresce della croce e nella risurrezione di Cristo. Questo si realizza sacramentalmente nell'Eucaristia. In ogni epoca, anche nella nostra, la Chiesa nasce dall'Eucaristia, cresce dall'Eucaristia e si diffonde dall'Eucaristia.

Così voi, carissimi, avete veramente toccata la parte centrale di quella che possiamo chiamare un'"ecclesiogenesi", ciò in cui la Chiesa diventa se stessa, si autorealizza tramite questo sacramento in cui Cristo è presente come sacerdote e come vittima, come sangue, come corpo; questo sacramento di cui vive e cresce il suo Corpo mistico.

Avete scelto la parte più preziosa, più importante, più centrale. Io voglio solo incoraggiarvi a continuare, con la stessa serietà che vi avete profuso finora, in questo impegno di vita cristiana, questo impegno di apostolato, questo impegno proprio dell'identità cristiana.

Questo è il mio augurio a tutti e a ciascuno di voi e alle vostre famiglie, ai vostri bambini, che sono qui presenti e che dimostrano come le famiglie vivono nella luce che si irradia dall'Eucaristia. Questo dà continuità alla prima comunità cristiana di cui parlano gli Atti degli apostoli, la quale viveva nella preghiera, nell'ascolto della parola degli apostoli e nella frazione del Pane. Vi auguro di continuare così e di trovare la vostra interiore pienezza spirituale in questo cammino che avete scelto e che portate avanti.

[Alle comunità neocatecumenali:] Quando sento questo canto, "Maria hai creduto alla Parola del Signore", so che sono in presenza di un gruppo neocatecumenale. L'ho sentito in diversi Paesi e in diversi continenti, recentemente anche in India; lo stesso tono, la stessa melodia, le stesse parole di questo canto: questa invocazione di Maria che ha creduto e che è così diventata la prima credente, possiamo dire, la corifea di tutti i credenti. Ella ha creduto nel senso più pieno e più fruttuoso. "Maria hai creduto alla parola del Signore": con queste parole l'ha benedetta Elisabetta e con le stesse parole la benediciamo noi, la benedice tutta la Chiesa e la benedite specialmente voi neocatecumenali.

Per voi il cammino della fede è la cosa essenziale, quel cammino che ha il suo inizio sacramentale nel Battesimo e che ha la sua dimensione lungo la vita dell'uomo, di ciascuno di noi. Questo cammino ha anche, come avete detto bene, il suo ritmo: un ritmo che si esprime in queste due parole "traditio" e "redditio".

La fede deve essere trasmessa e ricevuta: questo si fa col Battesimo e poi attraverso l'educazione cristiana. Questo si compie attraverso i vari messaggeri di Dio, come fu per Maria il messaggero angelico, Gabriele. E questo è stato fatto tramite Gesù Cristo primo e assoluto messaggero di Dio per l'umanità intera.

Questo si faceva tramite gli apostoli e si fa tramite la Chiesa.

Questo primo ritmo, questa prima tappa che è il ricevere, la "traditio", deve essere seguita dall'altra tappa, quella della "redditio": la fede ricevuta deve essere trasmessa perché è un tesoro gratuito offertoci da Dio non solo per nasconderlo dentro di noi, per viverlo in modo intimistico, privato, ma ci è tramandato per essere trasmesso agli altri. Occorre avere un grande entusiasmo, una grande convinzione della fede, per portarla agli altri. E così i neocatecumenali si fanno catechisti itineranti, portano il Vangelo di Cristo, portano la testimonianza della fede: non solamente parole sante in senso astratto ma parole testimoniate, parola di Dio testimoniata dalla fede di ciascuno. Questo è una forza.

Io vi auguro, carissimi, che questo doppio ritmo della fede, "traditio" e "redditio", sia sempre quello della vostra vita, sia quando siete in cammino, sia quando, dopo averlo terminato, ritornate come cristiani particolarmente maturi nella comunità della parrocchia. Vi vedo sempre volentieri. Gli incontri con voi sono molto gioiosi per due elementi: uno è il canto, un canto molto energico, l'altro sono i bambini, i piccoli che fanno, diciamo, il loro cammino neocatecumenale e portano a tutti, e a me, una grande gioia. Voglio abbracciarvi tutti con una benedizione e augurarvi una buona Pasqua nel vostro cammino neocatecumenale.

Data: 1986-03-09 Domenica 9 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alle scuole cattoliche del Lazio - Città del Vaticano (Roma)