GPII 1986 Insegnamenti - Ai cappellani militari d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Ai cappellani militari d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Farsi padre, fratello e amico per formare le coscienze


Cari cappellani militari.


1. A distanza di poco più di sei anni, voi vi siete ritrovati a Roma e avete voluto riservare il primo momento del vostro Convegno a questo incontro, quasi per poter fare insieme la verifica del vostro impegno ecclesiale. Vi saluto con viva cordialità, rivolgendo uno speciale pensiero all'arcivescovo mons. Gaetano Bonicelli.

L'occasione, in verità, non potrebbe essere migliore. Voi ricordate oggi il 60° dell'istituzione da parte dello Stato del "servizio assistenza religiosa e spirituale per i militari d'Italia". A tale determinazione, presa in un momento in cui i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia non erano ancora normalizzati, si era giunti in considerazione della preziosa testimonianza resa dai cappellani militari durante il primo terribile conflitto mondiale. Il mio predecessore Giovanni XXIII così definiva la vostra missione: "I ricordi e le esperienze della vita militare, dipingono con amabili tratti davanti al nostro sguardo la figura del cappellano militare, che rappresenta un aspetto nuovo e preziosissimo del moderno apostolato.

I cappellani di ieri e quelli di oggi, nelle varie specialità di cui è loro affidata la cura spirituale, rappresentano infatti una possibilità nuova e immensa di bene, sulla quale la Chiesa fa grandissimo assegnamento. Essi vanno verso schiere innumerevoli di anime giovanili, robuste e gagliarde, ma talora esposte a gravi pericoli spirituali, per indirizzarle e formarle al bene"; e, in quella occasione, aveva definito come "un delicatissimo ministero di pace e di amore" quello dei cappellani militari (11 giugno 1959).

Basterebbe questo giudizio dato da uno che fu cappellano come voi e che la Provvidenza chiamo a reggere la sede di Pietro col nome di Papa Giovanni XXIII, per rendersi conto di quanto i primi cappellani militari abbiano ben meritato della Chiesa e della Patria.

E' alla luce di questa prima dolorosa e gloriosa esperienza che si comprende l'importanza del cammino non facile di questi sessant'anni. Le difficoltà della vostra vita sacerdotale, spesa in condizioni particolari, non sono certo diminuite. C'è anzi da chiedersi se tutti, anche nel mondo cattolico, capiscono il vostro servizio poiché qualcuno chiama in causa il vostro stesso essere cappellani, prima ancora che il vostro fare.

Ora la fisionomia costitutiva di questo "essere cappellani" è ben definita nelle direttive e negli incoraggiamenti che non sono mai mancati da parte della Sede apostolica, la quale - come sapete - su richiesta dei vicari castrensi ha recentemente istituito in seno alla Congregazione per i vescovi un ufficio di coordinamento dei vicariati castrensi e ha in preparazione una costituzione apostolica sul vostro servizio pastorale, alla luce del Concilio Vaticano II e nel quadro della legislazione canonica, in aggiornamento della Istruzione "Sollemne semper" del 1951.

Un ministero sacerdotale su posizioni di frontiera


2. Il vostro ministero si svolge su posizioni di frontiera non solo per l'organico collegamento alla Chiesa e a una struttura dello Stato, ma per le implicazioni sempre più delicate dell'ambiente dove voi operate. Dove c'è un uomo, li c'è lo spazio per il sacerdote. Molto più dunque dove gli uomini sono centinaia di migliaia. Ma non è possibile ignorare i condizionamenti e le esigenze di una situazione che evolve rapidamente e che oggi si presenta con aspetti drammatici.

Tutti vogliono la pace; ed è certamente un fatto meraviglioso nella crescita morale dell'umanità. Ma la pace, come insegna la Sacra Scrittura e la stessa esperienza degli uomini, è molto di più dell'assenza di guerra. "E' l'uomo che uccide - dicevo nel Messaggio per la Giornata della pace nel 1984 (n. 2) - non la sua spada e nemmeno i suoi missili". E due anni prima avevo ricordato che il cristiano sa che sulla terra una società umana totalmente e per sempre pacifica è purtroppo un'utopia, e che le ideologie, che la presentano come se potesse essere facilmente raggiunta, alimentano speranze irraggiungibili quali che siano le ragioni del loro atteggiamento. In un'epoca di sconvolgente trasformazione tecnologica, questo esige da noi tutti il dovere di guardare la complessa realtà "con mentalità completamente nuova" (GS 80).

Cari cappellani, siete chiamati anche voi a riflettere sempre più su questo terreno, nella preghiera e nello studio, al fine di dare ai vostri fedeli, responsabili ai vari livelli dell'istituzione militare o ai giovani in servizio di leva, orientamenti chiari e sicuri. E' la sfida del nostro tempo ad esigere lucidità non meno che passione nel nostro impegno.

Il Concilio Vaticano II resta, anche in questo campo, il primo riferimento dottrinale e pastorale. Dai suoi documenti principali traspira l'anelito alla pace come tensione escatologica ed espressione storica del regno di Dio, ma anche il realismo legato alla condizione della volontà umana "labile e ferita dal peccato" (GS 78). Non si fa progredire la causa della pace negando la possibilità e il dovere di difenderla.

Alla Chiesa e alle comunità ecclesiali incombe il dovere di proporre i principi etici di convivenza umana e internazionale sui quali si fonda la concordia all'interno delle nazioni e tra i popoli. Tali principi devono penetrare nelle coscienze prima ancora che negli ordinamenti e hanno bisogno di animatori spirituali, come siete voi per missione, attenti e vigilanti, pazienti e forti. La causa della pace, e dunque della sopravvivenza dell'umanità, richiede oggi un'attenzione e un equilibrio particolari. Come sacerdoti siete chiamati a dare il vostro contributo a questa buona causa, educando gli uomini - i giovani soprattutto - alla maturità cristiana.


3. Per tutti questi motivi il compito del cappellano militare è diventato oggi più esigente, ma anche più prezioso, per la Chiesa e per l'intera società. Sappiamo tutti quanto la cultura del nostro tempo abbia perso il suo aggancio con Dio e, conseguentemente, con una precisa scala di valori che danno senso alla vita.

Famiglia, scuola, parrocchia restano ancora capitali punti di ancoraggio, ma non riescono sempre a dare una formazione completa e adeguata ai giovani del nostro tempo. Essi vivono in un tempo incerto, molto spesso senza forza né ragione per condurre la vita con gioia e speranza. L'orizzonte per troppi di loro è oscuro e per alcuni è completamente chiuso. Non sarebbe saggio che la Chiesa trascurasse l'opportunità preziosa di incontro e di dialogo, legata al periodo del servizio militare. Esso è particolarmente delicato. I giovani per compiere un loro dovere morale affrontano disagi, sacrifici, difficoltà, nuovo ambiente, lontananza dalla famiglia, disciplina militare. Ma hanno anche l'opportunità di incontrare nuovi amici, di allargare i loro orizzonti, di acquistare una nuova esperienza, migliorando così la formazione della propria personalità. Di qui l'importanza dell'opera del sacerdote che si fa loro padre, fratello e amico, favorendo la loro formazione umana e il loro arricchimento spirituale. In questa prospettiva i cappellani aiuteranno a vedere il periodo di leva militare come un utile e spesso indispensabile servizio di pace e di libertà pur nel doveroso rispetto di legittime scelte alternative, che non possono pero essere considerate esclusive o preferenziali. Difensori della giustizia e costruttori di pace In questo sforzo che orienta tutto il vostro ministero sul piano etico e su quello religioso, cari cappellani militari, non potete restare soli. Mi rallegro di sapere che, anche in vista del Sinodo dei vescovi 1987 che farà il punto sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, avete già avviato una seria riflessione sul corso di aggiornamento svolto nei mesi trascorsi. Proseguite con decisione e coraggio, coinvolgendo sempre di più i cristiani del quadro permanente e del servizio di leva, soprattutto quanti hanno esperienza e disponibilità di movimenti e gruppi ecclesiali.


4. Consentitemi un ultimo rilievo che si collega con gli inizi del vostro servizio, che ricordate proprio in questi giorni. La vostra presenza è stata talvolta interpretata e giustificata come mera conseguenza del principio di religione di Stato. Non è così negli altri Paesi e non è sicuramente più così in Italia. Per un significativo collegamento tra i principi della Carta costituzionale italiana e della dottrina della Chiesa, messa in luce dal Concilio Vaticano II, il vostro compito si iscrive come un servizio alla libertà e quindi anche alla promozione dell'uomo e al bene del Paese. E che cosa c'è di più importante dell'educazione delle coscienze? La libertà affonda le sue radici in una coscienza rettamente illuminata.

Servire la libertà non significa solo attendere quanti - e sono numerosi - bussano alla vostra porta. A tutti, con l'esempio della vostra fedeltà prima ancora che con il vostro insegnamento, dovete offrire dei modelli validi e delle proposte concrete di vita. Bisogna avere rispetto per ogni persona; bisogna saper pazientare e amare quanti sono incerti nel cammino. Ma abbiate anche il coraggio e la gioia di proclamare e proporre la verità di Cristo. Non si può avere paura di Cristo quando si è portatori della forza e della mansuetudine che viene dal Vangelo di cui siamo ministri. La consapevolezza della grandezza della vostra missione vi aiuti a superare ogni tentazione di sconforto e di disimpegno. Il regno di Dio esige determinazione (cfr Mt 11,12) e costanza. Portate ai vostri reparti il mio saluto e la mia benedizione. Che i militari italiani, anche per la vostra azione instancabile, siano davvero, come li vuole il Concilio, difensori della giustizia e perciò costruttori di pace.

Data: 1986-03-10 Lunedi 10 Marzo 1986




Ai vicari episcopali per i religiosi negli Stati Uniti - Città del Vaticano (Roma)

Il religioso testimonia una vita dedicata tutta a Dio


Cari fratelli e sorelle in Cristo, desidero manifestare il mio caloroso benvenuto a tutti voi che vi siete radunati a Roma questa settimana per la Ventesima assemblea dei vicari episcopali per i Religiosi negli Stati Uniti. E' un piacere essere con voi oggi. Non è mia intenzione parlarvi a lungo della natura della vita religiosa o dei problemi particolari che i religiosi incontrano oggi. Vorrei piuttosto cogliere l'occasione per offrirvi un incoraggiamento per il vostro delicato e importante compito.


1. E' evidente che la vita religiosa costituisce la vita della Chiesa, della sua testimonianza alla santità, il suo servizio ai poveri e ai bisognosi, il suo compito di promuovere la riconciliazione, i suoi sforzi per proclamare il Vangelo della salvezza. Come vicari e delegati per i religiosi nelle vostre rispettive diocesi, voi siete in una posizione che vi dà il privilegio di vedere più chiaramente la dimensione ecclesiale della vita religiosa e l'opportunità di aiutare gli altri ad apprezzare questa verità. Voi assistete il vescovo nel suo ministero di servizio ai religiosi e alle religiose della diocesi. Lo informate dei particolari bisogni e ansietà; lo assistete nel risolvere i problemi che sorgono o coordinate le attività per i religiosi nella diocesi. Attraverso il vostro lavoro e ancor più per il vostro personale amore alla vita religiosa voi aiutate il vescovo nella sua grande responsabilità di favorire e consolidare la vita religiosa nella Chiesa.


2. Nel "Rapporto finale" (II, A, 1) del recente Sinodo straordinario dei vescovi, noi troviamo un'osservazione che sembra particolarmente rilevante per la vita religiosa. Afferma: "Oggi infatti ci sono segni di una nuova fame e sete del trascendente e del divino. Al fine di favorire questo ritorno al sacro, per superare il secolarismo, noi dobbiamo aprire la strada alla dimensione del divino o del mistero e offrire i preamboli della fede all'umanità oggi".

Chi è in una posizione migliore per raccogliere questa sfida del Sinodo se non i religiosi e la religiose? Il radicale impegno con Cristo implicato nei voti di castità, di povertà e obbedienza esprime corposamente e profondamente il credo dei religiosi in una realtà trascendente, la loro assoluta fiducia nell'amore di Dio solo, specialmente quando le loro vite sono segnate da un gioioso impegno e da un generoso servizio.


3. La consacrazione religiosa manifesta in modo concreto ed eloquente un amore preferenziale per Cristo, per Cristo presente nella santa Eucaristia, per Cristo che vive oggi nei poveri, negli ammalati, negli anziani, nei bambini, nelle famiglie e nelle persone provenienti da famiglie separate. Per lo stesso segno, un amore preferenziale per Cristo significa una preferenza per ciò che Cristo ama, un desiderio di avere lo stesso atteggiamento di Cristo (cfr Ph 2,5ss) desiderando di vedere il regno di Dio "come in cielo così in terra". In questo contesto è bene richiamare le parole di san Paolo: "Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei per renderla santa purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa senza macchia né ruga o alcunché di simile ma santa e immacolata" (Ep 5,25-27). Assuma un significato immenso ai nostri giorni enfatizzare di nuovo l'amore di Cristo per la Chiesa e inoltre la chiamata rivolta a tutti noi dalla Chiesa specialmente ai religiosi in ragione della natura pubblica della loro vocazione per avere un amore ispirato e sollecitato per la Chiesa.


4. Cari fratelli e sorelle, voi siete consapevoli del particolare interesse che ho mostrato per la vita religiosa negli Stati Uniti, delle varie iniziative che ho intrapreso per confermare i miei fratelli vescovi nel loro ruolo di servizio pastorale ai religiosi, e del mio ardente desiderio di manifestare direttamente ai religiosi la mia sollecitudine per ciascuno di loro. Allora siate certi che preghero in modo particolare per voi. Non dubitate dell'importanza del vostro servizio pastorale nella Chiesa. Nell'incoraggiare la vita religiosa voi vi avvicinate alla "giustizia di Dio" (2Co 5,21).

Possa Dio essere la vostra consolazione e la vostra forza, Cristo vi colmi della sua pace profonda e senza fine.

Data: 1986-03-10 Lunedi 10 Marzo 1986




Alla Conferenza sulla cultura in India - Città del Vaticano (Roma)

Responsabilità dei credenti per la crescita della cultura


Ho il grande piacere di inviare questo messaggio a voi tutti riuniti in Bangalore per studiare il tema "Forze culturali che fanno fronte all'India oggi: soluzione all'educazione". Questo è un soggetto di grande rilevanza per la formazione dei giovani che sono il futuro dell'India, e per il profondo coinvolgimento di tutti gli educatori che si dedicano al progresso culturale e sociale di questo paese.

Ripeto che questa Conferenza è organizzata dall'Associazione Indiana per la migliore educazione cristiana, sotto la guida della segretaria generale, sorella Mary Braganza, e con la partecipazione del Pontificio Consiglio per la cultura, rappresentato dal suo presidente, cardinale Paul Poupard. Sono particolarmente felice di rivolgermi a voi così presto, dopo la mia recente visita apostolica in questa terra di grandi religioni e tradizioni culturali, che ha profondamente impressionato e che rimane viva nella mia memoria.


1. L'educazione è ricordata come il processo attraverso il quale la persona sviluppa la vera forma del suo essere come uomo. Il risultato di questo processo è detto cultura. E' una nobile aspirazione di tutti gli uomini, perché attraverso la cultura esprimono la nostra umanità. Attraverso il sapere gli individui possono sviluppare il proprio talento, dedicarsi ai propri interessi e desideri; la cultura è il mezzo attraverso il quale gli uomini possono ottenere l'autentica libertà di spirito, così necessaria per poter raggiungere le altre libertà. Pero essere liberi non significa essere senza responsabilità; dal momento in cui un uomo comprende quale sia il suo posto nell'universo, deve sapere amare gli altri esseri umani e riconoscere la verità e la bellezza di Dio. Questi sono i valori che dovete coltivare nella vostra missione di insegnamento.

Durante la mia recente visita sono stato felice di vedere che la principale caratteristica della cultura indiana è il basare l'esistenza umana su valori spirituali e morali. Come ho detto rivolgendomi ai rappresentanti di diverse tradizioni religiose e culturali a Delhi: "Ciò che l'India esattamente offre è una nobile e spirituale visione dell'uomo: uomo, un pellegrino dell'Assoluto, che viaggia verso una meta, cercando il volto di Dio... Proclamando la verità sull'uomo insistiamo nel dire che la sua ricerca per un temporale benessere sociale e per una vera dignità umana, deve corrispondere alla ricerca di profondi e vivi desideri della sua natura spirituale" (2 febbraio 1986).


2. La cultura indiana pone molta attenzione all'anima spirituale, alla mente nascosta e ai vari livelli di conoscenza attraverso la pratica meditativa. Anche la conoscenza scientifica ha fornito prove utili, produttive e pratiche, e voi, come educatori dovete coltivare discipline scientifiche. La scienza può diventare un'indispensabile alleata nello sviluppo sociale ed economico di una nazione. Ma, come sappiamo, la scienza alcune volte tende a ignorare la più profonda natura dello spirito umano e questo impedisce lo sviluppo integrale dell'individuo e della società. La vostra cultura si è arricchita nel suo costante sforzo, nella sua lotta per chiarire il mistero dell'uomo. La dimensione morale della cultura indiana è ancora evidente, se consideriamo che una persona colta in India è un individuo disciplinato che ha sviluppato le sue tendenze naturali sotto controllo e si è formato in accordo all'ideale posto dalla sua coscienza morale. L'uomo inoltre è dotato di un potere di scelta tra il giusto e l'ingiusto, tra il bene e il male. A riguardo dell'educazione dei giovani, Mahatma Gandhi osservo: "Risvegliare il cuore è risvegliare l'anima assopita, ridestare la ragione è porre una discriminazione fra il bene e il male" ("Tutti gli uomini sono fratelli", Ahmedabad, 1960, p. 206).


3. Ogni paese e ogni comunità ha la propria specifica culturale e i propri speciali bisogni. In tutte le epoche le società devono continuamente applicare i propri vecchi ideali alle nuove condizioni di vita. Come educatori esperti, sapete che la moderna India deve continuamente rivolgersi alle immense risorse culturali, morali e intellettuali del mondo intero, ma rimanendo sempre colpevole della propria identità culturale richiede una interpretazione e un adattamento di quest'ultimo, consono al proprio patrimonio culturale. Tutti sanno che Rabindranath Tagore, che ha sede a Visva Bharati, è una università internazionale dove i valori dell'Est e dell'Ovest possono essere combinati per sviluppare una universale e umanitaria prospettiva, basata sulla fede nell'uomo. In questo processo di crescita di una vera e generale cultura, "dobbiamo convincerci della priorità dell'etica sulla tecnica, delle persone sulle cose, della superiorità dello spirito sulla natura", come ho affermato prima dell'assemblea UNESCO (24 giugno 1980).


4. Tra i più importanti doveri del nostro tempo c'è quello di lavorare instancabilmente per assicurare dovunque il riconoscimento e l'adempimento del diritto di ogni individuo al proprio sviluppo e alla cultura, in accordo con la dignità umana, senza distinzione di sesso, razza, nazione o situazione sociale (cfr GS 60). Questo è una sfida e una responsabilità comune ai credenti di ogni religione, che dovrebbero cercare insieme l'effettivo avanzamento della crescita culturale per uomini e donne. Dialogo, comprensione e cooperazione fra tutte le religioni dovrebbe essere una costante preoccupazione per gli educatori e per i capi religiosi, per l'avanzamento dello sviluppo culturale, per la pace, per la fratellanza. La cultura diventa quindi la base comune del nostro servizio per la causa umana.

Spinta dallo spirito del Vangelo, la Chiesa cattolica è stata coinvolta da molto tempo nel problema dell'educazione in India, mettendosi così al servizio degli studenti di ogni fede. I collegi cattolici sono incoraggiati a cooperare con tutte le istituzioni cristiane e con tutti i gruppi e persone di buona volontà, che si dedicano al benessere e al progresso di questa grande nazione.


5. Credendo nella dignità della persona umana, è naturale che la nostra più grande attenzione sia posta verso gli educatori. Il primo obiettivo è quello di trovare insegnanti qualificati e votati. Una volta fatto questo, i problemi relativi al prospetto, ai metodi d'insegnamento e alla disciplina degli studenti sono facilmente risolvibili. La mera erudizione è insufficiente, ma quando questa è alimentata dalla dedizione dà luce e calore. Lasciatemi riaffermare l'indispensabile vocazione degli insegnanti nella società. Come dice il Concilio Vaticano II: "Splendida e della più grande importanza è la vocazione di coloro che aiutano i genitori nel compimento dei loro doveri, e che agiscono nel nome della comunità, intraprendendo la carriera dell'insegnamento. Questa vocazione richiede una mente e un cuore fuori dal comune, la più attenta preparazione è una costante disponibilità ad accettare nuove idee e ad adattare le vecchie" (GE 5). Gli educatori cristiani devono soprattutto "lavorare insieme ai loro coetanei, cercando di conoscere i loro modi di vivere, i loro modi di sentire, come essi si trovano nella cultura del momento... In tal modo la loro pratica della religione e il loro comportamento morale si affiancano alla conoscenza della scienza e dell'inesorabile progresso della tecnologia" (GS 62). Infine, come ben sapete, ogni educazione è in un certo grado diretta da se stessi. Compiere lo studio di alcuni soggetti è sempre per una certa parte, un'operazione fatta dall'individuo stesso. Questo per dire che gli educatori non solo devono insegnare ad altri, ma aiutarli a saper educare se stessi in modo critico e personale. Ciò sviluppa nell'educatore e nell'allievo una disposizione alla ricerca, e una capacità di continua educazione che è così importante nelle società di oggi che si evolvono. Molto importante nel recente sviluppo dell'educazione è l'organizzazione della ricerca autentica. Si può dire che la ricerca, sia nelle scienze naturali, sia in quelle umane, abbia assunto una maggiore importanza nelle università, nel servizio verso l'uomo moderno, per soddisfare i suoi bisogni materiali e spirituali.


6. Questi punti richiedono un grande impegno intellettuale e una grande sensibilità spirituale. I moderni educatori sono consapevoli che la vera cultura è data da un'apertura mentale che può portare alla saggezza, abbracciando tutte le verità riguardanti l'universo, l'uomo, Dio. "Ricerche metodiche in tutti i rami della conoscenza, purché condotte in modo scientifico, purché queste non calpestino le leggi morali né siano mai in conflitto con la fede, perché le cose del mondo e le cose della fede derivano dallo stesso Dio" (GS 36).

Possano le forze vecchie e nuove, formando il futuro dell'India, essere saggiamente integrate in programmi educativi che permetteranno a questa grande nazione di svilupparsi pienamente in accordo alla sua identità spirituale. I miei sinceri e cordiali auguri vi accompagnino nel vostro lavoro e nel vostro impegno che è così importante per il futuro della cultura indiana.

Possa Dio onnipotente, fonte di luce e di bellezza, il cui infinito amore è la nostra costante ispirazione e forza, aiutarvi a costruire insieme una civiltà di verità e di amore.

Data: 1986-03-11 Martedi 11 Marzo 1986









Ai giovani - Città del Vaticano (Roma)

Dal Vangelo la risposta per il vostro futuro


Carissimi ragazzi.


1. Sono molto lieto di accogliervi oggi così numerosi. Siete giunti a Roma da tante scuole d'Italia. Vi saluto tutti con affetto e viva simpatia: siate i benvenuti! Il mio pensiero va ai vari gruppi scolastici qui presenti, fra i quali vorrei menzionare gli alunni del Seminario di Verona, i giovani dello Studentato cappuccino di Thiene, i numerosi comunicandi della parrocchia dell'Immacolata di Fiuggi con le catechiste e i genitori.


2. Cari ragazzi, la vita vi si apre davanti con la sua immensa ricchezza, le sue molteplici prospettive, le sue sconfinate possibilità. Che sarà di voi domani? Qual è il vostro cammino? Quale futuro è bene che vi prepariate? Certo, avete accanto a voi chi vi aiuta nel trovare la giusta risposta a queste domande: i vostri genitori, i vostri educatori. Alla fin fine, pero, la risposta decisiva dovrà venire da voi e solo da voi, in obbedienza, s'intende alla volontà di Dio.

Laddove è in gioco il nostro destino, ognuno di noi sente che spetta a lui la responsabilità di decidere di se stesso e di pagare eventualmente le conseguenze di una scelta sbagliata. La nostra dignità di persone ci fa sentire che nessun altro può decidere al nostro posto.

In questo cammino di ricerca, cari ragazzi, cercate di utilizzare quanto imparate sui banchi di scuola. La scuola deve servire per questo: dev'essere una preparazione alla vita; deve sapervi offrire, accanto alle conseguenze nei vari campi del sapere, anche i valori capaci di illuminare la vostra intelligenza e di aprirla sugli orizzonti delle scelte possibili per l'avvenire nel campo del bene, dell'onestà, della virtù.


3. Nella ricerca della giusta risposta circa il vostro futuro, l'indicazione decisiva la potrete trovare nelle parole di Gesù nel Vangelo. Imparate a leggere il Vangelo e meditatene gli insegnamenti, possibilmente, sotto la guida di un buon sacerdote. Voglia il Signore che ciascuno di voi ne possa incontrare uno veramente paterno, un vero amico e un vero maestro: e allora la vostra anima si aprirà agli ideali più belli dell'amore per Dio e per i fratelli, della purezza, dell'onestà, della laboriosità e dello spirito di sacrificio per le conquiste più alte nel campo del bene! La Pasqua è ormai vicina. Cerchiamo tutti di terminare con impegno questa santa Quaresima.

Quanto maggiormente si vive bene e coscienziosamente la Quaresima tanto più grandi sono i frutti della Pasqua; tanto più essa diventa festa della gioia e della speranza, e quasi pregustazione della stessa beata risurrezione che attende coloro che quaggiù sono stati fedeli al Signore e si sono dedicati seriamente ad osservare i suoi comandamenti.

Possiate anche voi tutti, cari ragazzi, vivere questo impegno. La Madre di Gesù, Maria, vi guidi e vi tenga per mano. La vostra aspirazione ad essere donne e uomini maturi sarà tanto più soddisfatta, quanto più guarderete con fiducia all'ideale che Gesù vi propone. E mentre auguro a tutti di poter raggiungere questo ideale, tutti di cuore vi benedico.

Data: 1986-03-12 Mercoledi 12 Marzo 1986




Ad un gruppo di presuli brasiliani - Città del Vaticano (Roma)

Rafforzare la comunione per realizzare la missione


Signori cardinali, signori arcivescovi e vescovi.

La Chiesa, nostra Madre, possiede, come qualcosa di connaturato, il segreto di unire armoniosamente la solennità alla semplicità, la serietà alla giovialità, l'austerità all'informalità. Essa compie ciò in modo ammirevole nella sua liturgia; da qui scaturisce la bellezza delle sue celebrazioni. Essa compie ciò anche in molte altre manifestazioni della sua vita.

In questa occasione, per esempio, la Divina Provvidenza ci riunisce per esaminare temi importanti e preoccupanti della vita della Chiesa in Brasile. Ma desideriamo fare ciò non attraverso l'istanza canonica e in contesto istituzionale, bensi in un incontro fraterno, in clima di preghiera e di riflessione, e allo stesso tempo di carità fraterna, di speranza e di gioia, nell'ascolto reciproco e nel dialogo.

E' con questo spirito che saluto di cuore tutti voi, signori cardinali, arcivescovi e vescovi, rappresentanti del numeroso episcopato brasiliano, dandovi il benvenuto alla casa del Papa che è pure la vostra casa. Vi ringrazio sin d'ora per la disponibilità con la quale, interrompendo i vostri lavori pastorali particolarmente impegnativi in questo periodo quaresimale, siete accorsi qui per il desiderato incontro con me e con alcuni dei miei collaboratori nel "ministerium Petri".

Ricevete anche voi, cardinal segretario di Stato e cardinali prefetti di importanti Congregazioni e Consigli, l'espressione della mia gratitudine per questa nuova prova di dedizione verso la Sede apostolica e verso le Chiese particolari.


1. Questo nostro incontro si realizza a pochi giorni di distanza dall'arrivo dell'ultimo gruppo di vescovi venuti dal Brasile in visita "ad limina" dalla Zona Leste-2 (Est 2). Altri nove gruppi lo avevano preceduto nel corso dell'intero anno. Per le Chiese nelle quali sono devoti pastori, per loro stessi e per tutta la Chiesa in Brasile, è stato - come più volte hanno esplicitamente dichiarato - una forte e incisiva esperienza ecclesiale. Ringraziando ora, con viva e sincera cordialità, tutti questi carissimi fratelli e rinnovando a ciascuno la promessa di rimanere spiritualmente vicino ai loro lavori "propter Evangelium", chiedo a Dio che questa esperienza dia nuove energie al loro devoto ministero.

Dilatare gli spazi della carità.


2. Parlavamo di esperienza ecclesiale e questo per due rilevanti motivi. Primo: perché ciascuno di quei pastori è venuto qui non a nome proprio, portatore di inquietudini o aspirazioni individuali, ma caricando nel cuore e sulle spalle un'intera Chiesa: quella comunità ecclesiale che un misterioso disegno di Dio ha affidato all'attenzione di ciascuno di essi. Ecclesiale, in secondo luogo, perché la "visitatio" è, per definizione, un "kairos", un tempo favorevole in cui ciascun vescovo porta la sua Chiesa particolare, con la sua propria fisionomia e le sue ricchezze spirituali, a incontrarsi e a dialogare con le altre Chiese particolari, sue sorelle, nella dimensione della Chiesa universale. Questa visita si rivela, quindi, come tempo e spazio di ecclesialità effettiva: sono gli stessi vescovi che attraverso coscienti valutazioni inviate da alcuni gruppi a me e alle Congregazioni competenti confermano che la visita è stata per loro preziosa perché sempre più si sentono inseriti nella comunione ecclesiale, nel "dilatare spatia caritatis" e nel comprendere concretamente il dinamismo vitale che porta dalla Chiesa particolare alla Chiesa universale e dalla universale alla particolare. Non mi soffermo su questo punto che sarà sicuramente oggetto di ulteriori considerazioni.


3. Come conclusione - e degno coronamento - della visita "ad limina", siamo qui riuniti in questo incontro romano. Alle origini di esso vi è un desiderio convergente: desiderio mio, dei dirigenti della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile e di alcuni vescovi con cui ho avuto l'opportunità di conversare. Esso è, quindi, frutto di un'iniziativa della Santa Sede sollecitamente accolta e corresponsabilmente condivisa dai vescovi brasiliani.

L'intenzione che ha suggerito questa convocazione e ha ispirato il suo sviluppo conferisce all'incontro alcune caratteristiche fondamentali: 1) esso vuole essere una sintesi, il più possibile ampia e profonda, nella sua necessaria brevità, degli incontri avuti precedentemente con i gruppi di vescovi e con ciascun vescovo in particolare. In un certo senso, esso raccoglierà in una visione d'insieme, i numerosi e diversi aspetti che compongono la Chiesa in Brasile, e che si sono manifestati con maggiore o minore evidenza nel dialogo separato con ciascun gruppo; 2) possiamo quindi dire che tale incontro contiene una revisione della visita "ad limina"? Nel senso di una revisione del suo funzionamento materiale, sicuramente no. Sarebbe invece un valido servizio alla Chiesa in Brasile se qui insieme potessimo compiere, e questo si, una revisione della fisionomia della Chiesa in Brasile così come questa fisionomia si è andata delineando nel corso delle visite per zone regionali; 3) non esageriamo se diciamo che questo stesso incontro realizza una forma particolare e "sui generis" di collegialità. In effetti, sebbene circoscritto ai limiti (limiti continentali!) di una nazione, in questo incontro si attua ciò che è essenziale all'"affectus collegialis": l'intima comunione sacramentale e gerarchica di una significativa porzione di collegio episcopale "cum Petro" al fine di esprimere e concretizzare "sub Petro" la "sollicitudo omnium Ecclesiarum" e il carisma apostolico e missionario di coloro che "sono stati posti dallo Spirito Santo a guida della Chiesa di Dio". Aggiungo a ciò un'altra caratteristica che scaturisce dalle anteriori senza per questo essere di minor importanza: come vero atto di Chiesa, il nostro incontro, eminentemente fraterno, è da subito e sarà poi imbevuto di affetto e di stima che il successore di Pietro e con lui la Sede apostolica porta verso i fratelli vescovi; del desiderio di approfondire la conoscenza di una Chiesa, a differenti titoli degna di maggior attenzione; dell'anelito di poter offrire a questa Chiesa tutto l'aiuto possibile affinché compia ancora meglio la sua vocazione e la sua missione. Senza preconcetti né "animus iudicandi", l'incontro vuole essere un grande gesto fraterno e caritatevole, se Dio vuole, per più di una nazione, per la Chiesa tutta.


4. Dal suo primo annuncio, è stata fortemente sottolineata la singolarità dell'avvenimento. Invece di singolarità sarebbe preferibile parlare di novità: la visita "ad limina" di un episcopato si conclude con un incontro tra i vescovi e il Papa. Che spetti alla Chiesa in Brasile, con i suoi centodieci milioni di fedeli e i suoi oltre trecento vescovi, il privilegio della "prima volta" e - perché no? - quello di aprire la porta e servire da modello ad altre esperienze, non dovrebbe sorprendere nessuno. Del resto nuovo non significa d'emergenza. E come potrebbe del resto essere "d'emergenza" un incontro desiderato, programmato e preparato da vari mesi? Per quanto si riferisce alle intenzioni sappiate, vostre eminenze ed eccellenze, e sappiate miei collaboratori qui presenti, che l'unica intenzione è quella di rafforzare ancor più una comunione - quella dei pastori di un immenso Paese e di una Chiesa per molti aspetti notevole, comunione tra loro stessi e con il successore di Pietro -, comunione questa che deve essere base alla comunione dei fedeli tra di loro e con i pastori, affinché tale comunione ecclesiale sia e appaia come sacramento di comunione di fronte alla comunità umana.

Invocando, all'inizio dei nostri lavori, lo Spirito di pace e di unità, di carità e di verità, a lui vogliamo consegnare il nostro anelito nel costruire, tutti insieme, la comunione, là ove molti elementi cospirano a danneggiarla e a eliminarla.


5. Il presente incontro si rivela, se non proprio necessario, per lo meno opportuno e utile, se posto sullo sfondo di un avvenimento ecclesiale e di una situazione storica.

L'avvenimento ecclesiale è il Concilio, recentemente illuminato dall'altro importante evento che è stato il Sinodo straordinario. Le grandi linee cristologiche ed ecclesiologiche tracciate vent'anni fa e ora ravvivate - la Chiesa come mistero di comunione, la missione del pastore nella comunità ecclesiale, il dinamismo evangelizzatore e missionario della Chiesa, l'urgenza di trasmettere la fede nella sua purezza e integrità - saranno continuamente alla radice e al centro di tutte le nostre riflessioni come criterio illuminatore e come ispirazione. Nell'esprimere gli uni agli altri le nostre convinzioni sulla nostra vocazione e missione nella Chiesa in Brasile e nella Chiesa universale, sarà il Vaticano II, come evento di grazia, a farci da guida; allo stesso tempo, gli insegnamenti del Concilio, come eco della parola di Dio ai nostri tempi, forniscono elementi di autentico discernimento spirituale e offrono un principio interiore di unità capace di far convergere punti di vista spesso discrepanti.

L'altro sfondo è quello storico di tutto il quasi-Continente latino-americano e soprattutto del Brasile e della Chiesa in Brasile. Dal punto di vista socio-politico-culturale il gigante Brasile si incontra, ancora una volta, di fronte alle sfide di un crocicchio storico simile a quelli estremamente decisivi del passato, se non addirittura ancora più decisivo. Riconquista di cammini di piena democrazia, dovere di affrontare problemi gravi come quello della salute, dell'abitazione, del lavoro e - forse più fondamentali - quello dell'alfabetizzazione e dell'istruzione, della terra, del pauperismo, della fame, dell'emarginazione, contrasti evidenti nei vari livelli sociali del Brasile, necessità della capacità di riconoscere dietro questi numerosi problemi la crisi morale che, come in tutto il mondo, è causa ed effetto di questi stessi problemi: questi sono solo alcuni accenni al momento storico vissuto da una nazione e, più esattamente, dal popolo che costituisce questa nazione. Di fronte alle sfide qui appena tracciate i vescovi, come pastori della Chiesa e la Chiesa come un tutt'uno, deve esercitare un ruolo specifico, che non si identifica né si sostituisce a quello dei politici, degli economisti, dei sociologi, degli intellettuali o dei sindacalisti. E il ruolo di chi, per una convinzione profonda, sa che, portando a compimento il suo compito specificatamente religioso, sta compiendo un vero e proprio atto umano e quindi sta apportando una efficacissima - sebbene poco evidente - collaborazione alla soluzione dei problemi umani.

Affermare il contrario è pensare che solamente l'immediata attività socio-politica sia efficace; è negare che si possa promuovere radicalmente l'uomo quando lo si aiuti a realizzare se stesso in ciò che egli possiede di più profondo ed essenziale e, tra le altre cose, nella sua relazione con l'Assoluto di Dio; è sradicare la Chiesa dalla sua principale missione e identificarla con altre istanze per un riduzionismo pericoloso e distruttore.

Per aiutare la Chiesa a compiere la sua missione in questo momento storico, è necessario nel contesto latino-americano seguire gli orientamenti offerti dalle due Conferenze generali dell'episcopato: quella di Medellin, nel 1968, e quella di Puebla (che ho avuto il privilegio di inaugurare in quella città messicana) nel 1979. Letti nello spirito con cui furono elaborate, senza violenze ermeneutiche, senza ampliamenti ideologici, senza distorsioni di qualsiasi ordine, questi orientamenti indicano il cammino verso la Chiesa nella missione che gli è propria al servizio di quella porzione di umanità, porzione della stessa Chiesa, che è il Brasile.

Penso che i tre giorni di lavoro saranno insufficienti per riflettere, dialogare e tracciare orientamenti su quanto abbiamo qui ricordato, vista la delicatezza e il peso delle materie trattate. Faremo tutto quanto ci sarà possibile nell'esiguità del tempo a nostra disposizione.


6. Non sarebbe realista supporre che, in mezzo agli intensi dialoghi di questi giorni, non si imponga a volte l'incandescente questione della "teologia della liberazione". Essa non è il tema di queste giornate, ma non sarebbe neppure realista evitarla. Riforme sociali nella giustizia e nella carità. Poco più di un anno fa l'Istruzione "Libertatis Nuntius" che, con la mia approvazione, la Congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato, è venuta a confermare che può e deve esistere una riflessione teologica sulla liberazione, fondata su solidi elementi dottrinali appartenenti al più autentico magistero della Chiesa così come al tesoro della parola di Dio.

La Chiesa considera come suo dovere proseguire, rendere attuale e approfondire sempre più tale riflessione, grazie alla quale essa cerca di dare risposta anche ai gravi problemi relativi alla giustizia sociale, all'equità nei rapporti personali, razionali e internazionali, alla pace e al disarmo, alla libertà, ai diritti fondamentali della persona umana, e via dicendo. La stessa Congregazione per la Dottrina della fede è sul punto di pubblicare un nuovo documento che focalizzi i principali aspetti della teologia della liberazione intesa nei termini che ho appena riferito. Purificata dagli elementi che potrebbero alterarla, con gravi conseguenze per la fede, questa teologia della liberazione, è non solo ortodossa ma necessaria.

Le mie preghiere - e sono certo che sono anche le Vostre - sono rivolte a Dio affinché dalle riflessioni di questi giorni, disinteressate e fraterne, scaturisca una più viva coscienza degli elementi positivi della legittima "teologia della liberazione" - questi sono gli elementi forniti dal Vangelo, elaborati con giudizio dal magistero della Chiesa, costantemente proposti dalla sua dottrina sociale - e, con essi, una sua definizione dell'identità evangelica ed ecclesiale. Sorga inoltre il proposito di lavorare insieme con decisione e costanza per promuovere, diffondere, proteggere e difendere questa perfetta identità. Se viene a prevalere questa identità, senza ambiguità né deformazioni, avremo il diritto di conservare la speranza che personalmente ho proclamato molte volte anche durante la mia visita in Brasile: la speranza che in questo paese - e in tutta l'America Latina - grazie ai principi evangelici e agli insegnamenti del magistero della Chiesa le ingenti, profonde e necessarie riforme sociali, avvengano con giustizia e carità, con la desiderata efficacia e senza violenza la quale, oltre ad essere antievangelica, finisce quasi sempre per generare quelle stesse ingiustizie che aveva combattuto, se non addirittura maggiori e più crudeli.


7. Celebrando l'Eucaristia in questo giovedi della quarta settimana di Quaresima, abbiamo avuto di fronte agli occhi, nella prima lettura proposta dalla liturgia, l'impressionante e commovente immagine di Mosè, guida di un popolo attraverso il deserto, che continua ad intercedere per questo popolo con un clamore che nasce dalla profonda compassione e che non lascia indifferente lo stesso Dio (Ex 32,7-14). Vescovi brasiliani, voi portate in quest'incontro sentimenti di amore e di compassione per le comunità che vi sono state affidate e quelle degli altri fratelli vescovi che voi qui rappresentate.

Con parole tratte dal Vangelo della Messa di oggi - parole di Gesù, nuovo Mosè che inietta sostanza nuova e insperata pienezza nella missione dell'antico Mosè - voi dite con umile fiducia: "le opere che il Padre mi ha dato di compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato" (Jn 5,36) Diamo inizio quindi, fratelli carissimi, ai lavori di questi giorni. Ci incoraggia la speranza pasquale, quella che il mio insigne predecessore san Leone Magno proclamava nel sermone letto oggi nel nostro breviario: "Appareant nunc quoque in civitate sancta, id est in Ecclesia Dei, futurae resurrectionis indicia". Voglia Dio che il nostro incontro sia, per la Chiesa in Brasile, un luminoso indizio di rinnovata vita pasquale.

Data: 1986-03-13 Giovedi 13 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Ai cappellani militari d'Italia - Città del Vaticano (Roma)