GPII 1986 Insegnamenti - Al Congresso dell'UCIIM - Città del Vaticano (Roma)

Al Congresso dell'UCIIM - Città del Vaticano (Roma)

Insegnamnto della religione esigenza dell'educazione globale


Cari fratelli e sorelle in Cristo.


1. E' sempre con grande gioia che mi incontro con voi, insegnanti soci dell'Unione Cattolica Italiana Insegnanti (UCIIM), che da oltre quarant'anni vi dedicate con impegno e coraggio, con animo di educatori sapienti, alla formazione umana e cristiana delle nuove generazioni. Vi saluto cordialmente rivolgendo uno speciale pensiero alla presidente, professoressa Cesarina Checcacci e all'assistente ecclesiastico. So che la vostra Unione, ispirandosi ai valori religiosi ed etici del cristianesimo, ha sempre avuto a cuore non solo la professionalità dei docenti, ma tutta la complessa realtà della scuola secondaria inferiore e superiore: i suoi orientamenti di fondo, i suoi contenuti culturali, i suoi metodi pedagogici e didattici, le sue stesse strutture.

In questa prospettiva, insieme globale e unitaria, da sempre voi avete dedicato particolare cura e attenzione all'educazione religiosa dei ragazzi e dei giovani nella scuola. So che in questo campo il vostro impegno di studio, di riflessione e di azione non è mai venuto meno, e si è rivelato estremamente attento e prezioso in ordine a quel rinnovamento di impostazione che "l'insegnamento della religione" ha richiesto in questi ultimi anni.


2. La ricerca seria, profonda, responsabile, svolta anche dalla vostra Unione ha messo in luce quell'insieme di motivazioni che fanno dell'insegnamento della religione cattolica nella scuola un'esigenza dell'educazione globale dell'uomo.

Senza comprometterne in nulla, anzi riaffermando, il carattere di vero insegnamento di religione, nella oggettività e autenticità dei suoi contenuti, lo ha inserito "nel quadro delle finalità, della scuola", rendendolo, oltre che annuncio del messaggio evangelico di salvezza, anche un fatto di cultura adatto e congeniale alla natura e alle esigenze della medesima.

L'impegno intelligente, costante, assiduo con cui, in questi anni, con rigorosa ricerca e in fedeltà alla Chiesa, i dirigenti, insieme con tutta l'Unione, hanno approfondito questa complessa problematica, ha offerto un prezioso servizio non solo alla Chiesa, ma anche alla cultura, alla scuola e alla società.

Anche il Convegno, testé terminato: "Giovani, cultura religiosa e scuola", si iscrive in questo impegno di ricerca, sia pure in una direzione nuova e originale.

Voi avete immediatamente accolto e fatto vostro l'invito che io vi rivolsi il 18 gennaio dello scorso anno, in occasione del vostro XVI Congresso Nazionale, quando vi chiesi di non lasciare solo l'insegnante di religione, ma di sostenerlo soprattutto attraverso "la formulazione corretta degli interrogativi che permettono una ricerca religiosa appropriata a partire dall'istanza che nasce in proposito dalla disciplina di vostra competenza".

Vi ringrazio per aver accolto prontamente l'invito e sono sicuro che le relazioni e le riflessioni del vostro Convegno avranno certamente contribuito il fare luce su questo importante aspetto del problema.


3. Permettete, cari insegnanti, che aggiunga alle vostre qualche mia riflessione, che testimoni quanto il problema mi stia a cuore.

La prima riflessione riguarda il senso o sentimento religioso fondamentale dell'uomo. E' vero che si tratta di una dimensione naturale e innata, presente in ogni uomo, ma proprio per questo essa va correttamente educata e sviluppata. Purtroppo, ci sono nel mondo contemporaneo delle culture che impongono il "silenzio" su Dio e su tutto ciò che si riannoda a lui o addirittura rifiutando qualsiasi tipo di "discorso" sull'argomento; delle forme povere di "laicità" che, pur non negando espressamente Dio e il mondo del sacro, lo mettono tra parentesi e lo escludono di fatto dal circuito vivo della cultura umana; delle correnti di pensiero talmente perse nel frammentarismo delle "cose terrene" da essere incapaci di formulare domande sul significato dell'uomo, della vita, sul valore stesso delle cose.

La scuola e la cultura non possono lasciarsi imprigionare in visuali così anguste e senza respiro. Devono essere aperte a tutti gli interrogativi e i perché dell'uomo, anche ai più profondi, a cominciare da quelli che riguardano le ragioni del vivere e del morire, il senso ultimo dell'esistenza, il significato del bene e del male.


4. Quel "valore della cultura religiosa che il "nuovo" Concordato adduce come prima motivazione per la presenza di un insegnamento di religione adatto e congeniale alla natura e alle finalità della scuola, non si identifica semplicemente con la somma degli influssi culturali che una religione (nel nostro caso, il cattolicesimo) è stata ed è in grado di esercitare sui vari aspetti della vita e della cultura; ma, ben più profondamente, sta ad indicare la realtà di quella dimensione profonda dello spirito umano da cui ha origine e si genera la cultura aperta alla trascendenza, come cultura autentica dell'uomo e in cui si collocano e trovano risposta gli interrogativi esistenziali sul senso fondamentale e ultimo della vita. Scoprire questo legame indissolubile tra la religione e quella dimensione fondamentale e costitutiva dell'uomo, che è data dal sorgere delle domande esistenziali, non è cosa da poco, e non è l'ultima scoperta che i giovani d'oggi sono chiamati a fare.

E le strade che possono condurre a questa scoperta sono tante. Si può dire che, portata fino in fondo, con un metodo di ricerca corretto e rigoroso, ogni disciplina scolastica costituisca una strada per giungere a quel livello di profondità nella vita dello spirito dove tutti gli interrogativi si incontrano e si riannodano in un unico, immenso interrogativo: "Chi sono io? Donde vengo! Dove vado? Che senso ha la mia esistenza".


5. La filosofia, le scienze, l'arte, la letteratura e la musica documentano l'esistenza nel mondo dello spirito, e mostrano che nel cuore dell'uomo vi è un desiderio infinito e inappagato di verità, di bellezza, di ordine, di armonia, di amore che non trova esauriente risposta nelle realtà terrene. Lo sviluppo storico dell'intero genere umano, nelle sue vicende drammatiche di miseria e di grandezza, si pone interrogativi che superano i confini del tempo e dello spazio e postulano approdi che varcano le frontiere stesse della storia.

In tutte le discipline scolastiche, si intreccia il dialogo tra il reale e la coscienza critica e sistematica di esso, e l'uomo scopre le sue immense potenzialità, ma anche i suoi limiti, le tracce della sua nobiltà e grandezza, e insieme le sue innegabili contraddizioni e miserie. Siete voi, insegnanti, che potete aiutare gli alunni a fare di queste frontiere non una barriera invalicabile che delimita i confini di un mondo angusto, ma una finestra spalancata sull'infinito trascendente di Dio.


6. Il secondo pensiero che vorrei affidare alla vostra riflessione, cari insegnanti, è questo: non sfuggono certo alla vostra attenzione le molteplici difficoltà che angustiano il progresso della cultura nel mondo moderno, al quale lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II non ha mancato di fare esplicito riferimento nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes", nel capitolo dedicato al progresso della cultura. Queste antinomie esistono, ma non sono insuperabili. Come la stessa "Gaudium et Spes" (GS 57-58) autorevolmente afferma, "tra il messaggio della salvezza e la cultura esistono molteplici rapporti", anche di integrazione e collaborazione. E' necessario riconoscere i "valori positivi" della cultura odierna: essi possono addirittura costituire "una preparazione a ricevere l'annunzio del Vangelo". Ma soprattutto bisogna suscitare nei giovani la fiducia nelle capacità dell'intelligenza e della ragione. E questo anche nei confronti della fede religiosa, di cui la ragione può dirci la fondatezza, secondo la celebre espressione di sant'Agostino: "Non crederei, se non sapessi di poter e di dover credere". Un'adesione religiosa basata sulle sabbie mobili di un fideismo irrazionale e sentimentale, non solo non è degna dell'uomo, ma è destinata a non reggere agli urti e ai dubbi corrosivi di certa cultura contemporanea.


7. Non solo: anche per crescere e maturare la fede cristiana ha moralmente bisogno di una dimensione culturale. In questo senso la vostra azione di insegnanti, e di insegnanti cattolici, si rivela estremamente preziosa. Siete voi, che nella corretta rigorosità della vostra disciplina di insegnamento potete assicurare quel clima culturale di serietà e insieme di apertura ai valori della spiritualità e della trascendenza religiosa, opponendovi alla chiusura dell'immanentismo e dello scientismo e a ogni riduzione nella concezione della vocazione dell'uomo.

Cari fratelli e sorelle, la posta in gioco è grande, si tratta dell'uomo e del suo avvenire; dei giovani, del futuro delle nuove generazioni, del futuro della società e della Chiesa. Abbiate una stima molto alta della vostra missione di insegnanti. Non abbiate paura di dedicare ad essa impegno, fatica, intelligenza, sacrifici. Ne vale la pena: nella scuola voi lavorate per la costruzione dell'uomo, "dal di dentro" nelle radici della sua umanità. E' il servizio più grande che potete compiere.

Ed è al fine di avvalorare e rendere sempre più feconda la vostra azione, che imparto di gran cuore a voi, a tutti quelli che rappresentate, alle vostre famiglie ai vostri alunni, la mia benedizione.

Data: 1986-03-13 Giovedi 13 Marzo 1986




Ai seminaristi di Padova - Città del Vaticano (Roma)

Il seminario severo itinerario per la formazione sacerdotale


Carissimi.


1. Sono ben lieto di accogliere oggi tutti voi, superiori e alunni del Seminario di Padova, e vi saluto tutti, insieme con il vostro amatissimo vescovo monsignor Filippo Franceschi. Vi ringrazio per la vostra visita e per la numerosa presenza in questo incontro, che si inserisce nelle celebrazioni del 150° della nascita del più illustre alunno del vostro istituto, Giuseppe Sarto, il mio predecessore san Pio X.

Desidero confessarvi anche che, trovandomi in mezzo a voi, la memoria mi riporta alla visita pastorale che ho potuto fare alla vostra città nel settembre 1982. Bene ricordo la visita alla basilica del Santo, ma anche il fervoroso incontro con tutto il clero nella cattedrale e la innumerevole folla dei fedeli alla celebrazione eucaristica presso la basilica di Santa Giustina.


2. Il seminario di Padova ha una tradizione che conviene qui ricordare, a vostro conforto e per il vostro futuro impegno. La sua storia è legata, com'è noto, all'opera zelante di san Gregorio Barbarigo, che fu vescovo di Padova per ben 33 anni. Quel grande pastore, che aveva impegnato tutto il suo ministero nell'attuazione scrupolosa e metodica della riforma tridentina, aveva compreso che il futuro spirituale della diocesi dipendeva essenzialmente dalla preparazione dei sacerdoti. Di conseguenza egli vide che occorreva agire principalmente sul seminario, come unico e naturale centro propulsore della vita pastorale e religiosa di tutta la Chiesa locale. Ne costrui la sede, lo doto di un regolamento di vita e di una "ratio studiorum" esigente e qualificata, secondo la mente di san Carlo Borromeo; lo forni di una cospicua biblioteca e di una stamperia; ne segui la vita con puntigliosa assiduità e lo fece amare dalla diocesi.

Nel pensiero di san Gregorio Barbarigo la formazione seminaristica doveva poggiare su una solida preparazione culturale, umanistica e teologica, finalizzata alla formazione dei buoni pastori d'anime per il popolo, ma soprattutto doveva formare il futuro sacerdote nella bontà e nella santità. Egli affermava che questa avrebbe aiutato anche la dottrina e la cultura.

Interpretando il vero spirito del Concilio di Trento sulla natura del seminario, san Gregorio previde una vita comunitaria molto esigente e austera, che aveva il suo punto di riferimento nella comunità educante dei superiori e dei professori, uniti in vita comune nel seminario proprio per seguire attivamente la preparazione degli alunni. Io mi compiaccio con voi perché avete conservato queste linee maestre del Barbarigo anche nell'evolversi dei tempi moderni e avete, su questa solida base della tradizione, attuato le riforme proposte dal Vaticano II, dalla "Optatam Totius" e dagli orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana.


3. Desiderio affermare ancora una volta il prezioso e insostituibile valore del seminario per la formazione del clero. So che tutta la vostra diocesi segue il Seminario, lo aiuta premurosamente, ne conosce le necessità, ne apprezza le prospettive, comprende che esso costituisce il valido punto di riferimento per lo sviluppo e il discernimento delle vocazioni.

Se la vocazione è opera di Dio, la proposizione della vocazione è opera della Chiesa. Il mistero della divina elezione che ha guidato il vostro animo giovanile verso la scelta del sacerdozio ha la sua radice nella cura pastorale delle vostre parrocchie, ma trova la sua chiarificazione nell'opera discreta e rispettosa, ma anche forte e valida di quanti vi assistono e aiutano nel vostro lavoro formativo. A loro spetta il compito di discernere e orientare, insieme con il Vescovo, l'autenticità della divina chiamata.


4. Io vi invito, pertanto, a continuare a impegnarvi secondo le prospettive di formazione che hanno nelle vostre tradizioni tanto valido fondamento.

Siate, anzitutto, ferventi nella vostra formazione spirituale. Essa esige, come è ben noto, tempi adeguatamente lunghi di ascesi e di sussidi formativi. Da essa nasce la personalità sacerdotale specifica, fondata sulla preghiera, sull'assiduo lavoro teologico, come sull'attento e prudente confronto con le istanze culturali della comunità umana, a cui sarete destinati come ministri di Dio. La vostra formazione spirituale s'incentra su Cristo maestro e pastore. Voi dovrete avere una profonda e ricca conoscenza del suo mistero, perché dovrete impersonare Cristo in mezzo alle vostre comunità e annunziare il suo Vangelo nell'essenziale servizio della predicazione. Accettate, pertanto, volentieri il severo itinerario formativo con fedeltà e prudente pazienza, consapevoli che il tempo del seminario è un tempo di impegno serio e continuo, che vi accomuna all'austera fatica di tanti fratelli nel mondo del lavoro e che anche la comunità cristiana apprezza e riconosce necessario per una congrua esperienza di Dio e per la preparazione all'annuncio fedele del Vangelo. Fuggite, pertanto, dalla tentazione di avere tutto e subito o dall'illusione che sia più gratificante quanto è immediato. L'uomo di Dio" che voi dovrete essere (cfr 1Tm 6,11) acquisterà la sua autentica personalità nell'assimilazione assidua e profonda del messaggio di Cristo e nell'esperienza interiore della sua figura di maestro e pastore.


5. La comunità del seminario vi consentirà anche un'adeguata formazione al "sensus Ecclesiae" che vi occorrerà per il futuro servizio. Il senso della Chiesa domanda a voi che, specialmente nello studio della teologia, impariate a confrontarvi con costanza con la dottrina viva della Chiesa. Esso vi domanda, altresi, di saper discernere la verità autentica in mezzo al fluttuare complesso e talvolta deviante delle varie dottrine. Il senso della Chiesa vi impone di cercare le nuove vie dell'evangelizzazione con spirito di fedeltà, con amorosa attenzione a quella dottrina che deve diventare parte consapevole della vostra visione di fede. Il tempo del seminario vi domanda, perciò, di ricercare l'insegnamento della Chiesa, di ascoltarlo, di accoglierlo, così da nutrire ad esso la vostra mentalità di futuri pastori d'anime. A questa Chiesa dovete adesione con religioso rispetto (cfr LG 25), anche se talvolta vi sarà richiesto di correggere la naturale inclinazione a ispirare i vostri giudizi e le vostre scelte su criteri solo personali o su principi estranei alla logica della fede. Sappiatevi ispirare sempre con generosità a quello che lo Spirito suggerisce alla Chiesa del nostro tempo.


6. Cari seminaristi e teologi, desidero concludere questa mia esortazione con una parola di vivo incoraggiamento per tutti voi. L'itinerario della preparazione al sacerdozio ministeriale può mettervi di fronte a difficoltà non di rado impreviste, ad un improvviso affacciarsi di problemi e incertezze. Dovete, ovviamente, chiarire nella coscienza il significato delle suggestioni e dei sentimenti che nascono in voi per l'esperienza, per l'ambiente sociale e culturale che frequentate, talvolta per le vostre stesse fragilità. Ma abbiate la buona volontà di guardare con animo generoso alla prospettiva meravigliosa che la chiamata di Dio vi fa intravedere; sappiate puntare coraggiosamente verso l'impegno di una forte perseveranza; abbiate fiducia nella grazia del Signore che vi appella.

Insieme con tutta la Chiesa santa di Dio che sta in Padova, ringrazio il Signore per il dono delle vostre vocazioni; ma un grazie particolare voglio dire al vostro vescovo, ai rettori e ai superiori, alle parrocchie, alle famiglie, ai vostri genitori. Essi guardano al vostro futuro vocazionale come a un dono eccelso di Dio e pregano per voi. Sappiate riconoscere che ogni vostra personale vocazione trova in loro, nella loro fede e nella loro preghiera, una vigorosa radice.

Uno speciale pensiero desidero rivolgere al nutrito gruppo dei professori del seminario maggiore e minore, qui presenti, incoraggiandoli nei loro impegno non solo di trasmettere il sapere ma anche di dare una testimonianza di vita che educhi al servizio ecclesiale. Carissimi professori, anche se la vostra vita può comportare dei sacrifici, il vostro ministero ha un singolare valore per la Chiesa.

A tutti voi, quindi, e a quanti hanno cura del seminario diocesano e in qualsiasi modo lo aiutano, e a tutta la vostra diocesi, imparto volentieri la mia benedizione.

Data: 1986-03-14 Venerdi 14 Marzo 1986




Concelebrazione con vescovi brasiliani - Città del Vaticano (Roma)

La Chiesa del Brasile prega con noi


Cari fratelli nell'episcopato, fratelli e sorelle.

Siamo qui riuniti per celebrare l'Eucaristia, la carità e la comunione nella Chiesa: celebrare Cristo-Eucaristia-Amore e Misericordia-Comunione. E noi, in Cristo e con Cristo, questa mattina vogliamo, più che offrire, essere offerta al Padre della nostra condizione personale ed ecclesiale, in azione di grazie, con carità, in comunione nello Spirito di Verità e di Amore.

Uniti i nostri cuori e le nostre menti in queste comuni intenzioni, innalziamo la nostra gratitudine e diamo "gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo" per i lavori del nostro incontro. Questo momento è allo stesso tempo epifania, cenacolo e Pentecoste: manifestazione e testimonianza della fede comune, fraternità tra coloro che il Signore già non chiama più servi, ma amici, e docilità verso il Consolatore che ci vuole condurre alla Verità totale, sotto il segno della speranza. Sono presenti insieme a noi, cari fratelli vescovi del Brasile, i molti fratelli dell'episcopato brasiliano delle vostre Chiese particolari, è qui tutto il popolo di Dio: ognuno si unisce alla nostra supplica. Chiediamo allora che la Chiesa raggiunga la pienezza nell'amore di Dio, rimanendo fedele alla missione che Cristo gli ha affidato; che nella Chiesa i pastori, come il buon pastore, siano luce, solamente luce, affinché essa diventi sempre più rivelatrice, santificatrice e salvezza; che gli uomini seguano il Vangelo, amino la giustizia e vivano nella pace; che incontrino conforto tutti coloro che soffrono e che vivono nella tristezza; che il Signore benedica i fanciulli, attragga a se i giovani, santifichi le famiglie e renda lieto il lavoro umano e il compito dell'apostolato.

Chiediamo, infine, per tutti noi qui presenti, il perdono per le nostre mancanze e la purificazione dei nostri cuori, per questa Eucaristia e per conformarci sempre più a Gesù Cristo che venne ad annunciare la buona novella ai poveri e a perdonare i cuori pentiti.

Data: 1986-03-15 Sabato 15 Marzo 1986




A conclusione dell'incontro coi vescovi brasiliani - Città del Vaticano (Roma)

Bisogna che il dialogo continui per un migliore servizio


Signori cardinali, cari fratelli nell'episcopato.


1. Concludendo quest'incontro, che per tre giorni ha convogliato le nostre attenzioni e ha impegnato le nostre energie, continuo a ripetere nel mio cuore una frase di Teresa del Bambin Gesù ("Derniers entretiens") che un grande prosatore francese ha inserito in una delle sue più grandi opere (Georges Bernanos, "Journal d'un curé de campagne"): "Tutto è grazia". Non esito a proclamare la mia convinzione personale del fatto che come frutto di molti sforzi umani, ma soprattutto delle preghiere che noi stessi facciamo e che tanti hanno fatto per noi, la nostra assemblea è stata una vera grazia di Dio, come grazia di Dio è stata ciascuna tappa e ciascuna circostanza che l'ha sottolineata. Grazia lo stare insieme; grazia il clima di preghiera e di carità culminato nell'Eucaristia che insieme abbiamo celebrato come momento significativo dell'incontro; grazia le lunghe ore di riflessione e di conversazione; grazia lo sforzo di sincera revisione, necessaria quando si vogliano affrontare seriamente problemi e difficoltà, segni di quanto è umano.


2. Di fronte ad una grazia, l'atteggiamento più adeguato è quello di rendere grazie, di dire "muito obrigado" (grazie mille). Rendo grazie a Dio che ci ha ispirato quest'incontro, ci ha assistiti nella sua preparazione e durante questo triduo è stato presente in mezzo a noi - riuniti nel nome del Figlio suo - e ci ha aiutati nel cammino. Grazie mille a voi, vescovi e pastori della Chiesa del Brasile, la cui presenza ho vivamente desiderato e sinceramente apprezzato in questi tre giorni.

Grazie mille a coloro che mi sono più vicini, devoti e generosi collaboratori al particolare servizio che, in obbedienza al disegno di Dio, sono chiamato a prestare al Corpo di Cristo che è la Chiesa.

Non vi è necessità perché neghi e nasconda che l'esperienza di quest'incontro è stata per me - e chiedo a Dio che lo sia stato per tutti voi e per ciascuno di voi - fonte di conforto e di gioia, nel nostro comune servizio ecclesiale.


3. Mi sia permesso di sottolineare, negli ultimi passi di questa intensa giornata pastorale, alcuni tra gli aspetti che sono stati in questi giorni più proficui di quanto non osassimo immaginare.

Pongo al primo posto l'inconfondibile amore a Cristo e alla Chiesa che, come non poteva non accadere, si e manifestato in ogni momento di questo cenacolo ed è stata la "tonica" di tutto quanto abbiamo realizzato. Differenti gli uni dagli altri in tanti aspetti della nostra personalità di uomini e pastori, è emerso in questa sede ciò che più ci unisce: l'amore a Gesù Cristo e alla Chiesa senza il quale le nostre vite non avrebbero senso.

Il secondo aspetto è stato il reciproco rispetto, unito a una maggiore libertà di espressione, con la quale, anche lasciando emergere le legittime differenze, vi siete confrontati con i vostri fratelli nella ricerca della verità.

Mi riferisco in terzo luogo alla perspicacia, non esente da umile coraggio morale, con la quale come rispettabili pastori di una grande Chiesa non avete voluto nascondere bensi apertamente riconoscere problemi e ostacoli, limiti e carenze che affliggono questa stessa Chiesa, universalmente amata e stimata per la sua vitalità e fecondità.

Infine, come punto di fusione dei tre precedenti, il quarto aspetto, fortunatamente il più evidente dell'incontro: la salutare e tonificante speranza - speranza umana ma soprattutto speranza teologale - che è penetrata sensibilmente in gesti e parole, riflessioni e proposte per tutta la durata dell'incontro.


4. Se dovessi individuare, in questo momento conclusivo, la realtà spirituale che ho maggiormente sentito pullulare in questa assemblea, direi senza titubanza: il desiderio - o meglio ancora, l'anelito - di una più perfetta comunione. Comunione affettiva ma anche comunione effettiva tra gli stessi vescovi, al prezzo di tutti gli sforzi e di tutte le rinunce possibili, e usando tutti i mezzi a nostra disposizione per aumentare e consolidare tale comunione. Sono certo che non mi comprendereste male se io affermassi che vale più un passo verso la comunione in seno alla Conferenza, che dieci con il rischio di mortificare se non persino di rompere la comunione stessa. Comunione, inoltre, con colui che, "sola Dei gratia", ha ricevuto e, sostenuto dalla stessa grazia, cerca di esercitare quotidianamente il mandato di "confermare i fratelli".


5. L'ardente desiderio di questa comunione e il sacrosanto impegno non solo nel non far nulla che la danneggi, ma nel far tutto quanto possibile per promuoverla, hanno suscitato in questo incontro, con più vigore di altre volte, quel dialogo in cui la verità non offende la carità, né la carità dispensa dalla verità; dialogo adulto tra uomini, cristiani e pastori, che non hanno altro interesse se non quello per la Chiesa. Mi riferisco al dialogo tra i vescovi brasiliani, così importante quanto quello degli stessi vescovi con i rappresentanti della Curia romana. Se "tutto e stato grazia" nell'incontro, voglio credere che la grazia più profonda sia stata quella di non aver mai rifiutato il dialogo, né posto quegli ostacoli che lo avrebbero reso infruttuoso e inutile.

Funzione dell'incontro era anche quella di rinnovare, estendere, approfondire e perfezionare questo dialogo. In questa prospettiva, sono convinto che se tale incontro è servito a migliorare il dialogo dell'episcopato brasiliano con il successore di Pietro e con i suoi collaboratori, e quello tra i vescovi stessi, ebbene esso è riuscito nel suo intento. E' necessario che il dialogo continui, deve continuare. La Curia romana, fedele collaboratrice del ministero pontificio si impegna - e di questo ne sono testimone - e si impegnerà sempre a conoscere, comprendere e condividere le situazioni concrete e le sfide di ogni genere in mezzo alle quali i vescovi del Brasile esercitano il loro ministero. A sua volta la Curia romana esprime il desiderio e la necessità di essere conosciuta, compresa e aiutata nella sua missione ecclesiale. Questa esprime, a sua volta, il desiderio e la necessità di essere conosciuta, compresa e aiutata dai vescovi nel servizio che essa presta alla Chiesa universale.

Che questi Dicasteri, perfezionando, quando necessario e per quanto possibile, le loro prestazioni al servizio, invitino ripetutamente e sostengano senza sosta il dialogo con le Chiese particolari. Ma che le Chiese particolari - e, tra di esse, quella presente nel Brasile - sentano dal canto loro la fiducia nell'intessere sempre daccapo il dialogo con le Congregazioni. In questo movimento di sistole-diastole sono presenti il benessere e la vitalità dell'intera Chiesa, poiché tale dialogo sarà un dare-avere che arricchirà tutti.


6. Vorrei aggiungere a ciò che il fatto di aver partecipato all'incontro è un privilegio che, cari vescovi brasiliani, vi investe di una missione: portare ai confratelli, che voi qui rappresentate, la stessa ansia di dialogo al servizio della comunione affettiva ed effettiva. Come il Pane eucaristico che, nell'antichità cristiana, un vescovo soleva offrire all'altro, in segno e pegno di comunione nel corpo episcopale, portate ai vostri fratelli il desiderio di questa comunione, la decisione tenace e paziente di costruirla mediante il dialogo che è condizione indispensabile per tutto ciò. Dialogo tra gli stessi vescovi, dialogo tra vescovi e presbiteri, dialogo tra pastori e fedeli, dialogo tra Chiese nel Brasile e Sede apostolica, dialogo tra Chiesa e mondo, non possono essere né meno vasti né meno profondi di questo nostro dialogo.

E' con questa prospettiva e sotto la luce di questa grande e propulsiva speranza che desidero concludere l'incontro e accomiatarmi da voi, vescovi brasiliani. Lo faccio pensando già al prossimo Giovedi Santo, anniversario natalizio del nostro sacerdozio, momento di nuovo incontro con la grazia e con la benedizione inestimabile del sacramento che ci costitui sacerdoti e vescovi.

Condividendo con i vostri sacerdoti, in quel giorno, il pane dell'Eucaristia e il pane della carità, ciascuno di voi si senta idealmente anche in comunione con i suoi fratelli vescovi del Brasile e di tutto il mondo. "Mei etiam mementote": ricordatevi anche di me che in quel giorno non potrei sentire maggior consolazione di quella di sentire nella fede la più stretta comunione con tutto il collegio episcopale. così si intesse la tela meravigliosa della grande comunione ecclesiale.


7. E ancora vi dico, anticipatamente, buona Pasqua! Per entrare a far parte del numero degli apostoli, come abbiamo appreso da un noto passo degli Atti degli apostoli, era necessario poter essere "testis resurrectionis eius" (Ac 1,22). Identica deve essere la condizione dei successori degli apostoli: quella di essere uomini posseduti da un'ardente e incrollabile fede nella risurrezione di Gesù; quella di vivere giorno dopo giorno animati dall'ottimismo - o meglio, dalla gioia e dalla speranza che nascono spontaneamente da questa fede; quella di saper testimoniare, di fronte al mondo, che Cristo è risuscitato e che quindi né al male, né al peccato, né alla morte spetta l'ultima parola.

Concludendo l'incontro, chiedo a Dio per tutti voi - soprattutto per i cari vescovi che presto ritorneranno in Brasile - di poter essere, anche grazie all'incontro stesso, testimoni convinti e convincenti della rinnovatrice speranza pasquale. Vi accompagni nella vostra quotidianità la mia preghiera. Vi accompagni la mia benedizione apostolica, che vi chiedo di trasmettere ai vostri fedeli in occasione delle feste pasquali.

Data: 1986-03-15 Sabato 15 Marzo 1986




Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Il sacramento della Riconciliazione restituisce la gioia



1. "Miserere mei Deus...". Nel corso della Quaresima le nostre meditazioni dell'Angelus fanno riferimento a quelle parole del Salmo, nelle quali la verità sul peccato e sulla conversione a Dio trova la sua piena manifestazione. E' la verità della fede, la verità del pensare, e, ancor più, la verità della coscienza: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; / nella tua grande bontà cancella il mio peccato. / Lavami da tutte le mie colpe, / mondami dal mio peccato" (Ps 50,3-4).

L'uomo si incontra con Dio mediante la verità della coscienza quando confessa il suo peccato. La grazia della conversione lo conduce di nuovo a Dio, che Cristo ha rivelato come Padre: è il Padre di ciascuno dei figli prodighi.

Quando un peccatore si rivolge a Lui con una vera conversione, quando si presenta a Lui con un vero atto di dolore per i peccati, allora il Padre lo accoglie sotto il tetto della casa paterna: lo accoglie nella comunione di quell'amore, che ha rivelato ai suoi figli. Infatti "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).


2. Mentre preghiamo in unione con Maria, la nostra riflessione quaresimale si rivolge al sacramento della riconciliazione, col quale l'uomo pentito - dopo l'accusa dei peccati - ne ottiene la remissione. Solo Dio può rimettere i peccati, perché Egli è Amore. Da questa immensità dell'amore di Dio ha avuto inizio il mistero della Redenzione. Il suo Figlio - "colui che non aveva conosciuto peccato - Dio lo tratto da peccato in nostro favore perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21).

La logica della giustizia umana sta qui dinanzi al mistero della giustizia di Dio: Giustizia che i pari tempo è Amore! Mediante la croce di Cristo, in cui proprio questo Amore si manifesta definitivamente, l'uomo, da figlio prodigo qual era, "diventa giustizia di Dio". Viene liberato dal peccato, giustificato, viene fatto ritornare alla giustizia di Dio mediante l'amore. E' veramente inscrutabile quell'incontro col Dio vivente che l'uomo sperimenta nel sacramento della penitenza.


3. Questo incontro è sorgente di profonda gioia spirituale. Grida il salmista: "Rendimi la gioia..." (Ps 50,14). Infatti il peccato che grava sull'uomo è la sorgente di tristezza e di abbattimento. "Rendimi la gioia di essere salvato".

Questa gioia viene restituita dalla grazia del sacramento della riconciliazione con Dio. La grazia genera nell'uomo anche la prontezza nel soddisfare a Dio e agli uomini. perciò il salmista prega: "Sostieni in me un animo generoso" (cfr Ps 50,14). L'uomo interiormente rinnovato è tanto più pronto a fare il bene quanto più, prima, il peccato lo ha legato al male. E' pronto a sopportarne i sacrifici. La grazia del sacramento della penitenza non solo "interrompe" in noi la presenza del peccato, ma veramente "rinnova la potenza dello spirito": sprigiona le nuove energie di ciò che è buono.

Preghiamo la Madre di Dio, perché in ciascuno di noi il sacramento della penitenza si congiunga alla prontezza della riparazione. Vincendo il male col bene, partecipiamo sempre più pienamente al mistero della Pasqua di Cristo.

Negli ultimi tre giorni scorsi, com'è noto, ho avuto la gioia di presiedere qui in Vaticano un incontro con qualificati rappresentanti dell'episcopato del Brasile e alcuni miei collaboratori nella Curia romana, a coronamento delle visite "ad limina Apostolorum" che i vescovi di quella grande nazione hanno compiuto nello scorso anno. E' stata un'esperienza di intensa e familiare comunione ecclesiale.

Abbiamo pregato insieme. Insieme ci siamo posti nell'ascolto dello Spirito Santo. E abbiamo dialogato su temi e problemi di vitale importanza, allo scopo di incrementare sempre più l'azione pastorale che la Chiesa è chiamata a svolgere nel servizio alle sue varie componenti e alla società brasiliana.

Desidero innanzi tutto ringraziare il Signore, ma anche tutti i partecipanti. Grazie a loro mi sono sentito intimamente vicino a tutti i vescovi brasiliani, ai sacerdoti, ai religiosi e religiose, ai laici generosamente impegnati nell'evangelizzazione e nelle varie attività di apostolato in quel caro paese, e ho rivissuto le indimenticabili giornate della mia visita pastorale nel luglio 1980.

A tutti i brasiliani mi è caro inviare ora il mio affettuoso pensiero, mentre invito ad affidare alla Vergine "Aparecida" gli scopi dell'incontro appena conclusosi, perché sia apportatore di copiosi frutti pastorali.

Data: 1986-03-16 Domenica 16 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Al Congresso dell'UCIIM - Città del Vaticano (Roma)