GPII 1986 Insegnamenti


GIOVANNI PAOLO II


INSEGNAMENTI 1986






Giovanni Paolo II

1986 Insegnamenti




Omelia per la Giornata della pace - Città del Vaticano (Roma)

Occorre che l'uomo possa essere sicuro dell'uomo



1. "Suscipe Sancte Pater". "Accogli, o Padre Santo, Dio eterno e onnipotente".

Accogli questo anno che oggi incominciamo. Sin dal primo giorno, sin dalle prime ore desideriamo offrire a te, che sei senza inizio, questo nuovo inizio collegato con la data 1986. Questa data ci accompagnerà nel corso di molte ore, giorni, settimane e mesi. Giorno dopo giorno apparirà davanti a ciascuno di noi come un nuovo frammento del futuro, che subito dopo cadrà nel passato, così come del passato fa ora parte l'intero anno trascorso.

L'Anno Nuovo appare davanti a noi come una grande incognita, come uno spazio che dovremo riempire con un contenuto, come una prospettiva di avvenimenti sconosciuti e di decisioni da prendere. Come una nuova tappa e un nuovo spazio della lotta del bene e del male a livello di ogni essere umano e insieme a livello della famiglia, della società, delle nazioni: dell'umanità intera. Sin dalle prime ore desideriamo offrire a te questa nuova tappa e questo foglio ancora bianco, il nuovo tempo della prova: "Suscipe Sancte Pater".


2. Tu sei il Dio eterno, che supera ogni tempo del creato: il tempo della terra e il tempo dell'uomo. In Te "viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" (Ac 17,28). E nello stesso tempo tu sei colui che in Cristo si è fatto a noi vicino: l'Emmanuele, il "Dio con noi". Sei il Signore della storia. Per te la storia dell'uomo ha il suo proprio ritmo: il ritmo del regno di Dio, in cui ci ha introdotto Cristo.

La sua nascita ha segnato "la pienezza del tempo", come ci insegna l'Apostolo nell'odierna liturgia: "quando venne la pienezza del tempo, Dio mando il suo Figlio, nato da donna... perché ricevessimo l'adozione a figli" (Ga 4,4-5). Allora per te, eterno Padre, la storia dell'uomo sulla terra si misura col metro di questo mistero, che tu iscrivi nell'anima e nel corpo dell'uomo: "l'adozione a figli".

Questo è il metro dell'eterna salvezza. E' la misura dell'eterna salvezza. L'adozione a figli, che porta a compimento in ogni uomo l'immagine e la somiglianza di Dio, è opera dello Spirito Santo. Infatti l'Apostolo scrive nel versetto successivo a quello testé citato: "E che voi siate figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: "Abbà, Padre"" (Ga 4,6). Questo grido "Abbà, Padre!" corre attraverso la storia dell'uomo e al tempo stesso supera, anzi - si potrebbe dire - prorompe oltre il nostro tempo umano. E' più grande della storia dell'uomo. Il tuo Figlio è venuto al mondo, affinché l'uomo diventasse "più grande" di se stesso e della storia.

Affinché avesse in sé il lievito dell'eternità: il fermento della vita eterna in Dio. In te, Padre, che insieme con il Figlio e con lo Spirito Santo hai prestabilito per i figli umani la partecipazione alla tua vita; hai preparato loro il tuo regno.


3. Il Figlio "nato da donna". I nostri occhi e i nostri cuori sono pieni di questa nascita. Pieni sono della notte santa, che dura nella liturgia della Chiesa otto giorni, un'intera ottava, e incontra, proprio oggi, il primo giorno dell'anno nuovo. I nostri occhi e i nostri cuori sono pieni prima di tutto di questa Madre che i pastori trovarono, la notte del Natale, con "Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia" (cfr Lc 2,16).

Ecco Maria, ecco colei che "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Meditava e medita continuamente insieme con la Chiesa, insieme con tutti gli uomini di buona volontà. E il Bambino, Figlio di Maria, porta il nome di Gesù, perché è stato chiamato così dall'angelo "prima di essere concepito nel grembo della madre" (Lc 2,21).

Insieme con la nascita di Dio, la Chiesa celebra la divina Maternità di Maria. Il giorno di oggi e dedicato in modo particolare a questo mistero salvifico: Madre di Dio - "Theotokos". Maria nel mistero di Cristo, e Cristo nel mistero della sua Madre Vergine.

La dignità ineffabile della Madre di Dio e, nello stesso tempo, l'umiltà più profonda della Serva del Signore. Quando ce ne parla già la stessa notte di Betlemme, prima ancora che gli avvenimenti successivi dicano il resto, fino alla croce sul Calvario! L'evangelista scrive: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore". E in Lei, nella Madre di Dio, la Chiesa trova un'incessante "memoria" di questo mistero divino, dal quale essa cresce nella storia dell'uomo sulla terra: nel cuore della Madre.

"Dio mando il suo Figlio, nato da donna".


4. Dinanzi a questo figlio e dinanzi a questa Madre, desideriamo dedicare il primo giorno dell'anno nuovo alla causa della pace e alla preghiera per la pace nel nostro mondo tanto minacciato. Che cosa parla di più della pace, che cosa ad essa chiama più efficacemente di quest'immagine: la Donna col Bambino tra le braccia.

La Madre e il figlio. E ancora le parole sentite nella notte della sua nascita: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama" (Lc 2,14).


5. Corrispondendo alle aspirazioni più profonde che salgono dal cuore dell'uomo, la Chiesa ha proclamato il primo giorno dell'anno "Giornata della pace". Nel fare ciò, essa ha voluto sottolineare la propria solidarietà con tutti gli uomini della terra, che servono questa causa con animo generoso e leale. Essa, fra l'altro, intende sostenere gli sforzi che in questo campo compiono i responsabili dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, ben apprezzando i nobili scopi che ne ispirano l'attività, in sintonia con i principi fissati nella Carta entrata in vigore quarant'anni or sono: allora i popoli, usciti fuori dall'immane tragedia del secondo conflitto mondiale, decisero di "unire le loro forze" per promuovere i beni supremi della pace, della giustizia, della solidarietà. Se questi beni restano ancor oggi in larga misura da realizzare, non deve essere, questo, motivo di scoramento, ma piuttosto di rinnovata decisione e di più convinto impegno.

La Chiesa offre la propria sincera collaborazione in questa ardua, ma appassionante e urgente impresa. Le Nazioni Unite proclamarono il 1985 Anno internazionale della gioventù. Affiancandosi a tale iniziativa, la Sede apostolica rivolse in particolare ai giovani l'annuale Messaggio di inizio d'anno, centrandone il contenuto sul tema: "La pace e i giovani camminano insieme".

L'invito ad assumere con coraggio "la responsabilità in questa che è la più grande delle avventure spirituali, cui una persona può andare incontro", fu accolto dai giovani con entusiasmo e dalla loro generosità scaturirono promettenti fermenti di bene.


6. L'anno che oggi inizia è stato proclamato dall'ONU "anno internazionale della pace". Ben volentieri la Sede apostolica si è posta in questa prospettiva, affermando che "la pace è valore senza frontiere" e aggiungendo, come espressione di una certezza che si radica nella fede nell'"unico mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù" (1Tm 2,5): "Nord-Sud, Est-Ovest: una sola pace".

E' mio profondo convincimento che la pace "è valore che corrisponde alle speranze e alle aspirazioni di tutte le persone e di tutte le nazioni, dei giovani e dei vecchi, di tutti gli uomini e donne di buona volontà".

Rinnovo perciò anche oggi l'appello "a riconoscere l'unità della famiglia umana" e a rifiutare, in conseguenza, "quel modo di pensare che porta alla divisione e allo sfruttamento". Occorre che tutti si impegnino "per una nuova solidarietà: la solidarietà della famiglia umana". Nella promozione di tale altissimo valore, i cristiani hanno una ben precisa responsabilità: "Animati da viva speranza, capaci di sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18), essi devono superare le barriere, delle ideologie e dei sistemi, per poter entrare in dialogo con tutte le persone di buona volontà e creare nuove relazioni e nuove forme di solidarietà" ("Messaggio per la pace 1986", 1.4.6).

Nella prospettiva della mia visita in India vorrei ricordare - fra le affermazioni che indicano nella fraternità la via che porta alla pace - quelle dell'artefice dell'indipendenza dell'India, Mahatma Gandhi: "L'odio può essere vinto solo dall'amore. Opponendo odio a odio, non si fa che aumentarne l'estensione e la profondità... "Dovunque vi siano discordie, ogniqualvolta vi troviate di fronte a un avversario, vincetelo con l'amore".

Mi piace, inoltre, in questo contesto, esprimere il mio apprezzamento per il prezioso ruolo svolto a favore della pace e dell'intesa da coloro che si dedicano al servizio diplomatico. Il mio pensiero va specialmente a quanti rappresentano i propri governi e popoli presso questa Sede apostolica e che sono qui presenti: desidero oggi salutarli in segno di apprezzamento per la funzione che essi svolgono e che consente alla Santa Sede di meglio operare per una sempre maggiore comprensione tra le nazioni, in ordine alla promozione della pace, alla difesa dell'uomo, al sostegno di ogni iniziativa volta a favorire lo sviluppo dei vari Paesi nel mondo.


7. Proprio perché la pace possa diventare un "valore senza frontiere", occorre essere sicuri che dappertutto è presente lo stesso desiderio di pace e lo stesso rapporto nei suoi confronti: in ogni regione del globo terrestre, in ogni sistema, in ogni società - in definitiva - in ogni cuore umano. Tutti devono accogliere l'eloquenza essenziale della beatitudine del discorso della montagna, rivolta agli "operatori di pace" (Mt 5,9), a coloro che si impegnano a favore della giustizia e procurano così la sicurezza e la pace. Occorre che l'uomo possa essere sicuro dell'uomo. La nazione sicura della nazione. Dietro la parola "pace" non può nascondersi nessuna intenzione né attività ad essa contraria.


8. Infatti la pace così intesa è condizione del nostro pensare al futuro. E' condizione del futuro stesso, nella dimensione più lontana e più vicina; e per immediato futuro, nella dimensione di quest'anno 1986. perciò oggi ci poniamo ancora una volta dinanzi al mistero del Natale. In esso cerchiamo e troviamo le ragioni ultime della pace in terra.

Le parole cantate nella notte di Betlemme ci rafforzano in questa convinzione, quando dicono, prima, della "gloria a Dio" e poi degli "uomini che Dio ama", degli uomini di buona volontà. Appunto: di buona volontà.

E la Maternità della Genitrice di Dio rende testimonianza alla dignità di ogni vita umana, e grida a gran voce a tutti, da un confine all'altro della terra: "non uccidere".

E come prova che "siamo figli", noi ci avviciniamo all'altare per gridare "Abbà, Padre!". "Non siamo schiavi delle forze che portano la distruzione, siamo figli nel Figlio siamo eredi nel regno di Dio".

Ci avviciniamo quindi all'altare e diciamo: "Suscipe sancte Pater".

Padre accogli in questo sacrificio eucaristico il nostro anno nuovo. Dona ad esso la pace in terra.

Data: 1986-01-01 Mercoledi 1 Gennaio 1986




Ai vescovi d'Europa - Città del Vaticano (Roma)

Infondere un'anima all'Europa d'oggi


Venerati fratelli nell'episcopato.


1. "Grazia a voi e pace da Dio padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1Co 1,3).

Ho ancora vivo nell'animo il gioioso ricordo dell'incontro dell'11 ottobre scorso con i partecipanti al VI simposio del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (CCEE), ed è sotto l'impressione di quella forte esperienza di comunione ecclesiale che mi rivolgo a voi con questa lettera, quasi per proseguire il discorso allora avviato. Le analisi, le valutazioni e le indicazioni operative, proposte in tale circostanza, hanno consentito a ciascuno di prendere più profonda coscienza dell'urgenza con cui si impone oggi il compito di evangelizzare o, meglio, di ri-evangelizzare il vecchio continente.

L'Europa ha una particolare importanza per la storia della chiesa e per il progressivo espandersi, a cominciare dai tempi apostolici, del messaggio evangelico nel mondo. Le difficoltà in cui oggi si dibatte il vecchio continente devono indurre i cristiani a raccogliere le loro forze, riscoprendo le loro origini e ravvivando quei valori autentici che ne cementarono la fiamma fulgidissima di una civiltà a cui hanno attinto tante altre nazioni della terra.


2. La civiltà cristiana dell'Europa affonda le sue radici in due tradizioni venerande, che sono venute sviluppandosi attraverso un processo plurisecolare con caratteristiche distinte eppur complementari: la tradizione latina e quella orientale, aventi ciascuna proprie peculiarità teologiche, liturgiche, ascetiche, nelle quali tuttavia si riverbera l'inesauribile ricchezza dell'unica verità rivelata. Unica è, infatti, l'anima ispiratrice, unica la scaturigine primordiale, unica la meta ultima.

Se nel corso dei secoli è intervenuta purtroppo la dolorosa frattura tra oriente e occidente, di cui soffre ancor oggi la chiesa, con urgenza tutta particolare s'impone il dovere di ricostruire l'unità, affinché la bellezza della sposa di Cristo possa risplendere in tutto il suo fulgore. In verità, proprio perché complementari, le due tradizioni sono, da sole, in qualche modo imperfette.

E' incontrandosi e armonizzandosi che possono reciprocamente completarsi e offrire un'interpretazione meno inadeguata del "mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai santi" (Col 1,26).

L'Europa, inoltre, è il continente nel quale si è consumata l'altra grave lacerazione della "tunica inconsutile", che va sotto il nome di "Riforma protestante". Non è chi non veda quale serio ostacolo costituisca per lo sforzo di evangelizzazione del mondo contemporaneo tale situazione di divisione. Occorre pertanto che ciascuno si adoperi con ogni impegno nella causa dell'ecumenismo, affinché con l'apporto di tutti il cammino verso l'unità non solo non si arresti, ma conosca anzi quell'accelerazione a cui sospirano, mossi dallo Spirito, gli animi più ferventi. L'Europa è la "patria" originaria di queste divisioni religiose; all'Europa spetta, dunque, in modo particolare il compito di cercare le vie più adatte per giungere quanto prima a superarle. Tale ricerca, peraltro, sarà tanto più efficace quanto più strettamente coordinata.


3. Un'ulteriore considerazione s'aggiunge a consigliare l'impegno dell'unità.

L'Europa, infatti, è anche il continente delle molte comunità nazionali aventi una propria fisionomia, una propria cultura, una propria lingua. Questo dato storico ha reso in certa misura più difficile la comunicazione tra i diversi popoli e ha dato anche origine a tensioni sofferte quando non addirittura a scontri violenti.

Ma la diversità, se da una parte ostacola la comunicazione, dall'altra la rende ancor più necessaria e feconda. Le molte esperienze, se confrontate e raccordate fra loro, possono arricchirsi a vicenda.

Ciò vale sul piano umano e civile, ma vale ancor più sul piano ecclesiale: qui infatti il patrimonio di valori comuni è ben più vasto e profondo.

Il confronto pertanto fra le diverse esperienze, vissute dalle varie chiese particolari nel loro territorio, può rivelarsi di straordinario aiuto per la nuova evangelizzazione di cui il continente ha oggi bisogno. Il concilio Vaticano II con la messe dei suoi insegnamenti, nei quali il perenne messaggio della rivelazione è proposto in un'ottica più rispondente alla sensibilità dei giorni nostri, costituisce il punto di riferimento più vicino e più autorevole da cui partire per un armonico coordinamento delle iniziative in vista di un'evangelizzazione più aggiornata ed efficace.


4. Occorre infatti affrontare le conseguenze degli sforzi che, specialmente negli ultimi secoli, sono stati compiuti, da varie parti e a vari livelli, per sradicare dallo spirito degli europei i convincimenti cristiani e perfino lo stesso sentimento religioso. L'ateismo ha conosciuto nel continente una diffusione impressionante, soprattutto nelle forme dell'ateismo scientifico e dell'ateismo umanistico, richiamantisi ambedue all'autorità della ragione umana, e, per quanto concerne il primo, della ragione illuminata dalle scoperte che la scienza va man mano facendo.

Un fenomeno di proporzioni così vaste, che si propone con caratteristiche simili nelle diverse nazioni del continente, non sarebbe affrontato in modo adeguato, se le energie di ciascuna chiesa particolare non fossero coordinate tra di loro in un piano d'azione comune. In questione è qui una nuova evangelizzazione della cultura, nella quale occorre calare nuovamente quei "semi" di cristianesimo che nel passato hanno prodotto una così meravigliosa germinazione di fiori e di frutti.


5. Sono, dunque, molteplici le ragioni che consigliano una più grande unione e collaborazione tra le varie chiese particolari del continente. E' stato precisamente per la crescente consapevolezza con cui i pastori hanno avvertito le esigenze imposte dalla nuova situazione che è nato, negli anni immediatamente successivi al concilio Vaticano II, il Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa con lo scopo di coltivare l'affetto collegiale e di attuare una più stretta comunione e cooperazione tra i membri delle stesse (cfr. Statuti, art. 1).

La manifesta utilità del nuovo organismo ha indotto la Santa Sede ad approvarne prontamente la costituzione e a sostenerne, nel corso degli anni, l'attività.

Questa ha avuto i suoi momenti forti nei simposi, nei quali sono stati via via affrontati temi di grande importanza, quali: "Le strutture diocesane post-conciliari" (1967), "Il servizio e la vita dei sacerdoti" (1969), "La missione del vescovo al servizio della fede" (1975), "Gioventù e fede" (1979), "La responsabilità collegiale dei vescovi e delle conferenze episcopali nell'evangelizzazione del continente (1982), "Secolarizzazione ed evangelizzazione oggi in Europa" (1985). Una particolare attenzione è stata pure dedicata alla collaborazione ecumenica sia mediante la costituzione di un comitato misto con la Conferenza delle chiese europee sia mediante l'organizzazione di tre importanti incontri: a Chantilly (1978), a Lokum-kloster (1981), a Riva del Garda Trento (1984).


6. La gravità e l'urgenza dei problemi che incombono sul futuro cristiano dell'Europa, la loro dimensione sempre più internazionale, lo stesso mutato contesto sociale nel quale vive la chiesa, mentre inducono ad apprezzare il lavoro fin qui svolto dal "Consiglio", spingono a incoraggiarne l'attività e ad auspicarne l'incremento. Esistono, a questo fine, strutture organizzative efficienti, mantenute opportunamente semplici e snelle; ma è soprattutto necessario un atteggiamento interiore di maggiore apertura delle conferenze episcopali fra di loro e la disponibilità a meglio coordinare indagini, progetti, iniziative concrete, in vista di un'azione evangelizzatrice più armonica e incisiva.

Le comuni riflessioni, svolte in particolare negli ultimi due simposi, hanno messo in luce che la società europea è entrata in una nuova fase del suo cammino storico. Alle profonde e complesse trasformazioni culturali, politiche, etico-spirituali che hanno finito per dare una nuova configurazione al tessuto della società europea, deve corrispondere una nuova qualità di evangelizzazione, che sappia riproporre in termini convincenti all'uomo d'oggi il perenne messaggio della salvezza. E' necessario infondere un'anima all'Europa d'oggi e forgiarne la coscienza.

A tale formidabile impresa saranno meno impari gli sforzi di ciascuno se, con l'aiuto di un organismo come il Consiglio delle conferenze episcopali europee, le energie dei pastori dei singoli paesi verranno coordinate in un impegno comune. Le divisioni, di cui soffre l'Europa, potranno essere allora più validamente fronteggiate; lo slancio missionario e di promozione umana verso i paesi in via di sviluppo più costantemente sostenuto; gli ambiti nevralgici della convivenza civile più profondamente permeati di linfa evangelica. Le difficoltà sono certamente grandi, ma più grande di ogni resistenza è la forza dello Spirito, in cui confidiamo.


7. Nel rivolgervi, venerati fratelli, questo appello, desidero confermare l'apprezzamento per lo zelo pastorale con cui ciascuno di voi, unitamente ai pastori delle rispettive conferenze episcopali, attende al gregge che gli è stato affidato. Che il Signore vi conforti e vi sostenga nella quotidiana fatica. "Sono persuaso che Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento" (Ph 1,6).

In questa prospettiva esprimo altresi l'auspicio che il Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa possa rivelarsi sempre più come un luogo di incontro fraterno, dove possano maturare, nel confronto e nella collaborazione, indicazioni e proposte capaci di orientarvi nelle scelte pastorali che il mondo di oggi attende.

Affido questi voti all'intercessione della beata vergine Maria e dei santi patroni d'Europa Benedetto, Cirillo e Metodio, invocando su di voi, su gli altri vescovi d'Europa e sulle rispettive chiese, l'abbondanza dei lumi e delle consolazioni celesti.

Dal Vaticano, 2 gennaio 1986.

Data: 1986-01-02 Giovedi 2 Gennaio 1986




Ai partecipanti al Congresso internazionale della Società "San Tommaso" - Città del Vaticano (Roma)

Fondati sull'antropologia del "dottore comune" i valori della giustizia, della libertà e della pace


Venerati e cari fratelli,


1. Sono molto lieto di incontrarmi con voi, membri della Società "San Tommaso d'Aquino", e voi tutti, partecipanti a questo Congresso internazionale da essa organizzato per approfondire la dottrina tomistica sull'anima, in relazione ai problemi ed ai valori del nostro tempo.

Non posso che esprimere il mio compiacimento per questa iniziativa, che certamente porterà un valido contributo alla causa dell'uomo e al servizio della Chiesa. Apprezzo in modo speciale l'intento generale della vostra Società, di promuovere ed incrementare lo studio del Dottore Angelico, che nel campo della teologia sistematica e speculativa è sempre stato oggetto, da parte del Magistero della Chiesa, di particolari lodi e raccomandazioni, fino alle ben note indicazioni del recente Concilio, nel campo specifico della formazione sacerdotale (cfr. OT 16).

Ho avuto la gioia di appartenere alla vostra Società fin dalla sua fondazione, decisa nel Congresso tomistico del 1974, al quale presi parte.

Ed un altro motivo che mi fa sentire cordialmente vicino a voi, è il ricordo delle parole che rivolsi ai partecipanti al Congresso organizzato nel 1979 per commemorare il I Centenario della grande Enciclica di Leone XIII "Aeterni Patris", che tanto impulso dette al rifiorimento degli studi tomistici ed in generale al progresso ed all'affermazione della filosofia cristiana e della formazione dottrinale dei Pastori e dei fedeli.

Saluto con effusione d'animo tutti i convegnisti, in special modo gli attuali dirigenti della Società: il Padre Damian Byrne, Maestro Generale dei Domenicani, Presidente; il Padre Abelardo Lobato, Direttore; e il Padre Daniel Ols, Segretario.

L'uomo è nato per la Verità e la cerca con inquietudine


2. Il problema dell'anima è legato alla domanda che sempre l'uomo si pone sul senso profondo del suo essere e sul principio del suo vivere, del suo pensare e del suo agire. In tutti i tempi l'uomo è una grande questione a se stesso. L'uomo è nato per la verità e cerca con profonda inquietudine la verità sull'uomo, la risposta all'interrogativo che San Agostino così formulava: "Quid sum ergo, Deus meus? Quae natura mea?". L'uomo conosce qualche cosa di se stesso, pero molto ignora e desidera conoscere.

Le manifestazioni dell'attività umana sono oggi più che mai molteplici; ma ciò fa più che mai sorgere il problema di individuare meglio la loro comune sorgente, ed il criterio della loro coordinazione e del loro valore: e ciò non è altro che porsi la questione dell'anima.

Questa indagine ci pone davanti ad un grande mistero, e ci fa scoprite quanto noi siamo ignoti a noi stessi: "Cammina, cammina - diceva Eraclito - forse non arriverai mai a raggiungere i confini dell'anima, per quanto tu percorra i suoi sentieri. Tanto profondo è il suo "logos"". E difatti - come osserva San Tommaso - è precisamente nell'anima che si trova quell'"immagine di Dio", che rende l'uomo "simile" al Creatore; e quindi è grazie all'anima che esiste nell'uomo - creatura finita - una certa quale infinità, nelle sue aspirazioni, se non proprio nei fatti.

La consapevolezza di possedere un'anima ha qualcosa di paradossale, perché sembra essere, ad un tempo, un dato quasi immediato ed evidente dell'esperienza interiore, vitale ed esistenziale, e nello stesso tempo, come ho detto, un problema teoretico estremamente oscuro e difficile, nel quale anche grandi pensatori - per così dire - hanno fatto naufragio.

Esprime molto bene San Tommaso questa duplice sorprendente costatazione, quando dice: "Secundum hoc scientia de anima est certissima, quod unusquisque in seipso experitur se animam habere et actus animae sibi inesse; sed cognoscere quid sit anima difficillimum est"; e aggiunge: "Requiritur diligens et subtilis inquisitio". Un lavoro faticoso e rischioso, ma non vano, soprattutto se fatto, come voi intendete fare, valendovi anche delle luci che vengono dalla divina Rivelazione e dal Magistero della Chiesa.

Il Vaticano II trova interpretazione del tomismo


3. Il programma del vostro Congresso mette in relazione il grande tema dell'anima con la più vasta e complessa realtà del problema antropologico.

E' viva oggi nel mondo della cultura l'esigenza di evitare un'antropologia "dualista", tale da opporre, in modo quasi ostile, l'anima al corpo. Alla luce dell'insegnamento biblico, si afferma con forza l'unità psicofisica dell'essere umano. La medesima esigenza è presente in San Tommaso, e - come ebbi a dire in un'udienza generale del 1981 - è quella che fa si che egli "abbia tralasciato nella sua antropologia metafisica (ed insieme teologica) la concezione filosofica di Platone sul rapporto tra l'anima e il corpo e si sia avvicinato alla concezione di Aristotele". L'uomo soffre certamente, di fatto - e San Tommaso lo riconosce - di una divisione interiore tra la "carne" e lo "spirito". Tale interno e doloroso contrasto, pero, secondo l'Aquinate, è "contro natura", perché conseguenza del peccato, mentre l'esigenza profonda dell'uomo, che viene soddisfatta dalla vita della grazia, è quella dell'unità e dell'armonia tra la vita fisica e quella spirituale.

Il Dottor Angelico, nella sua trattazione "de homine, qui ex spirituali et corporali substantia componitut" risente chiaramente degli allora recenti insegnamenti del Concilio Lateranense IV, che avevano presentato la natura umana come intermedia tra quella puramente spirituale, angelica, e quella puramente corporale, "quasi communem ex spiritu et corpore constitutam". Dunque, distinzione reale ed essenziale tra anima e corpo. L'uomo, per il Dottore Comune, è "essentia composita", "substantia composita". Ma uno solo è il suo essere: "Unum esse substantiae intellectualis et materiae corporalis". "Unum esse formae et materiae", dove l'anima è "forma" e il corpo "materia".

E' infatti - come è noto - con la sua famosa dottrina dell'anima spirituale come "forma sostanziale" del corpo, che San Tommaso risolse l'arduo problema di un rapporto tra anima e corpo che salvasse da una parte la distinzione delle componenti essenziali e dall'altra l'unità dell'essere personale dell'uomo.

Ed è altrettanto noto come questa dottrina, come pure quella dell'immortalità dell'anima umana, venne per così dire ribadita da due successivi concili ecumenici (Lateranense IV e V), per restare poi patrimonio della fede cattolica. La dottrina antropologica come "unità di anima e di corpo" è stata ripresa dal Concilio Vaticano II, il quale pertanto può trovare nel pensiero del Dottor Angelico un interprete particolarmente appropriato.


4. Ma l'antropologia tomistica non si ferma alla considerazione astratta della natura umana; essa mostra anche, sulla base dell'esperienza e soprattutto degli insegnamenti della Rivelazione, una spiccata sensibilità - tanto cara ai moderni - per la condizione concreta, storica della persona umana, per la sua - diremmo oggi - "situazione esistenziale" di creatura ferita dal peccato e redenta dal Sangue di Cristo; per l'originalità e la dignità della singola persona; per il suo aspetto dinamico e morale; per la "fenomenologia", insomma - diremmo ancora con un vocabolo del nostro tempo - dell'esistenza umana. Dice infatti San Tommaso: "Perfectissimum autem est ipsum individuum generatum, quod in generatione humana est hypostasis, vel persona, ad cuius constitutionem ordinatur et anima et corpus".

Per comprendere questa stima che il Dottore Angelico nutre per la realtà personale, dobbiamo rifarci alla sua metafisica, nella quale la massima perfezione è data dall'essere inteso come "atto di essere" (esse ut actus). Ora, la persona, ancor più della "natura" e dell'"essenza", mediante l'atto d'essere che la fa sussistere, s'innalza appunto al vertice della perfezione dell'essere e della realtà, e quindi del bene e del valore.


5. Se la dottrina della natura umana come "unità di anima e corpo" spiega, nel Dottore Comune, l'intelligibilità dell'essere umano e della sua storia, la dottrina della persona ci orienta in modo speciale dal punto di vista etico e di quello che è il cammino concreto dell'uomo nel piano della creazione e della salvezza cristiana.

Così nell'antropologia di San Tommaso troviamo largamente soddisfatte sia l'esigenza dell'analisi sottile e sistematica, sia quella di dar fondamento e giustificazione ai più alti valori della persona - oggi così spesso invocati -, quali il valore della coscienza morale, dei diritti inalienabili, della giustizia, della libertà e della pace: insomma, tutto ciò che concorre a chiarire il vero bene dell'uomo redento da Cristo perché riconquistasse la dignità perduta e raggiungesse la condizione di figlio di Dio. L'antropologia di San Tommaso unisce sempre strettamente la considerazione della "natura" e quella della "persona", in modo tale che la natura fonda i valori oggettivi della persona, e questa dà un significato di concretezza ai valori universali della natura.

La dottrina dell'anima è al centro dell'antropologia tomistica; ma tale antropologia non potrebbe essere intesa nel suo giusto senso e nella sua vera ampiezza - e neppure la dottrina dell'anima - senza fare riferimento, come fece lo stesso Dottore Angelico, non soltanto a nozioni di carattere razionale - metafisico o cosmologico -, ma anche - ed in definitiva - ai dati provenienti dalla Rivelazione biblica e dagli insegnamenti della Chiesa.

Profonda ecclesialità del pensiero dell'Aquinate


6. E per essere stato così fedele e docile al Magistero ecclesiale, San Tommaso ha potuto rendere, alla Chiesa e alle anime, un preziosissimo servizio dottrinale, quello che a suo tempo gli merito il titolo di "Dottore Comune".

La profonda "ecclesialità" del pensiero tomistico lo rende libero da ristrettezze, caducità e chiusure, ed estremamente aperto e disponibile ad un indefinito progresso, tale da assimilare ogni nuovo autentico valore emergente nella storia di qualunque cultura. Questo mi piace ripetere anche in questa occasione. E' compito precipuo dei discepoli dell'Aquinate, ed in special modo della vostra Società, saper cogliere e conservare questa "anima" universale e perenne del pensiero tomistico, e farla rivivere oggi in un dialogo ed in un confronto costruttivo con le culture contemporanee; si da poterne assumere i valori, confutandone gli errori.

L'antropologia tomistica trova il suo culmine e la sua ispirazione teologica di fondo nel trattato sull'Umanità di Cristo. L'analisi e l'interpretazione di questo sublime mistero di salvezza porto il Dottore Angelico ad affinare e ad approfondire mirabilmente ed insuperabilmente le nozioni della sua antropologia, che son venute così a rendere uno straordinario servizio anche nel campo puramente razionale e dell'ordine umano e naturale. Per converso, questo raffinato strumento d'indagine può rivelarsi anche oggi utilissimo nel proporre i contorni validi di una autentica Cristologia, criticandone le deformazioni.

Con questi sentimenti ed auspici, invoco sui lavori e risultati di questa vostra iniziativa culturale l'abbondanza dei favori celesti, mentre di cuore imparto a tutti voi una speciale benedizione.

Data: 1986-01-04 Sabato 4 Gennaio 1986





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