GPII 1986 Insegnamenti - All'Associazione SS. Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

All'Associazione SS. Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

"Siate comunità che crede, che ama, che prega"


Carissimi! Ringrazio anzitutto il vostro presidente, dottor Pietro Rossi, per le amabili parole con cui ha voluto rendersi interprete dei vostri sentimenti, e desidero esprimervi la mia gioia di trovarmi in mezzo a voi, nella sede della vostra Associazione. Sono venuto ancora una volta per visitare e ammirare il vostro artistico presepio, mantenendo fede alle parole, con cui mi congedai da voi il 13 febbraio dello scorso anno in analoga circostanza. Vi dissi allora: "Arrivederci". Ed eccomi ora in mezzo a voi per dirvi soprattutto il mio sincero apprezzamento per l'opera che il vostro Sodalizio compie, con molto entusiasmo e impegno, nel realizzare le proprie finalità istituzionali. Tra le caratteristiche specifiche dell'Associazione, sono preminenti la particolare testimonianza di vita cristiana, di apostolato e di fedeltà alla Sede apostolica.

Continuate a realizzare e a vivere, sempre più e sempre meglio, tali dimensioni fondamentali del vostro Sodalizio, che deve essere, nel senso pieno, una comunità che crede, in quanto intende approfondire e vivere il messaggio di Cristo; una comunità che ama, in quanto vuole aprirsi con generosità agli altri fratelli che soffrono; una comunità che prega, in quanto si propone di mantenere l'autentico rapporto di adorazione verso la Trinità santissima, culminante nella liturgia che celebrate ogni domenica nella cappella, che è il cuore e il centro dell'Associazione per la presenza di Gesù nei segni sacramentali dell'Eucaristia.

In questa occasione desidero anche ricordare con compiacimento i servizi di ordine e di vigilanza, che la vostra Sezione liturgica compie regolarmente ogni domenica in San Pietro, in particolare durante le funzioni papali.

Nel porgervi i miei auguri di buon anno, invoco dal Signore, per l'intercessione di Maria santissima "Virgo fidelis", larga effusione di favori divini e vi imparto la benedizione apostolica, che estendo alle vostre famiglie e ai vostri cari!

Data: 1986-01-12 Domenica 12 Gennaio 1986




Al Pontificio Consiglio per la cultura - Città del Vaticano (Roma)

Il Sinodo del 1985: inculturazione del Vangelo


Cari fratelli nell'episcopato, cari amici.


1. Eccovi fedeli all'annuale appuntamento romano del Consiglio Pontificio della cultura. Venuti dall'Africa, dall'America del Nord e dall'America latina, dall'Asia e dall'Europa, la vostra presenza evoca per noi questo vasto panorama delle culture del mondo intero di cui alcune sono state fortemente fecondate dal messaggio di Cristo. Altre attendono ancora la luce della rivelazione, poiché ogni cultura è aperta alle ispirazioni più alte dell'uomo e capace di nuove sintesi creatrici con il Vangelo.

In questi anni in cui s'inscrive la realtà quotidiana del nostro secolo, tormentato già allo spuntare di un nuovo millennio, portatrice di speranze dell'umanità. Il processo storico di inculturazione del Vangelo e dell'evangelizzazione delle culture è ben lontano dall'avere esaurito tutte le sue energie latenti. L'eterna novità del Vangelo incontra le apparizioni delle culture in genesi o in fase di rinnovamento. L'emergenza delle nuove culture fa appello, con evidenza, al coraggio e all'intelligenza di tutti i credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. Trasformazioni sociali e culturali, sconvolgimenti politici, fermenti ideologici, inquietudini religiose, ricerche etiche, è tutto un mondo in gestazione che aspira a trovare forma e orientamento, sintesi organica e nuova stagione profetica. Sappiamo attingere risposte nuove nel tesoro della nostra speranza.

Assecondati da squilibri socio-politici, dalle scoperte scientifiche non pienamente controllate, da invenzioni tecniche di un'ampiezza inaudita, gli uomini restano confusamente il crepuscolo delle vecchie ideologie e l'usura dei vecchi sistemi. I popoli nuovi provocano le vecchie società, come per svegliarle dalla loro lassezza. I giovani alla ricerca di ideali aspirano a dare un senso che abbia valore all'avventura umana. Né la droga, né la violenza né la permissività né il nichilismo possono riempire il vuoto dell'esistenza. Le intelligenze e i cuori sono alla ricerca della luce che rischiari e dell'amore che riscaldi. La nostra epoca ci rivela nel vuoto la fame spirituale e l'immensa speranza delle coscienze.


2. Il recente Sinodo straordinario dei vescovi che abbiamo avuto la grazia di vivere a Roma, ha fatto prendere una coscienza rinnovata di questa profonda speranza dell'umanità e dell'ispirazione profetica del Concilio Vaticano II, a vent'anni dal suo termine. Secondo l'invito del Papa Giovanni XXIII, padre di questo Concilio dei tempi moderni dei quali noi siamo tutti i figli, dobbiamo mettere il mondo in contatto con le energie vivificanti del Vangelo (cfr. Bolla d'indizione del Concilio "Humanae Salutis", Natale 1961).

Si, noi siamo all'inizio di un gigantesco lavoro di evangelizzazione del mondo moderno, che si presenta in termini nuovi. Il mondo è entrato in un'èra di sconvolgimenti profondi, dovuti alla vastità stupefacente delle creazioni dell'uomo le cui produzioni rischiano di distruggere se egli non le integra in una visione etica e spirituale. Noi entriamo in un tempo nuovo della cultura umana e i cristiani sono davanti a un'immensa fatica. Noi misuriamo meglio oggi l'ampiezza dell'invocazione profetica di Papa Giovanni XXIII che ci sollecita a congedare i profeti di disgrazie e metterci coraggiosamente all'opera per questo formidabile compito: il rinnovamento del mondo e il suo "incontro con il volto di Cristo risuscitato: raggiante attraverso tutta la Chiesa per salvare, rallegrare, illuminare le nazioni umane" (Messaggio "Ecclesia Christi", "Lumen Gentium", 11 settembre 1962).


3. Da allora voi siete all'opera alacremente e il bollettino "Chiesa e culture" dà regolarmente in francese, in inglese e in spagnolo l'eco della feconda fatica intrapresa: dialogo in corso con i religiosi, le organizzazioni internazionali cattoliche, le Università, consultazioni di cui appaiono già i primi frutti, rete di corrispondenti nelle diverse parti del mondo, iniziative suscitate attraverso le Chiese, talvolta a livello di tutto un continente, come testimonia la recente decisione presa dal CELAM di creare una "Sezione per la cultura", al fine di dare un impulso nuovo alla Chiesa in America Latina nella sua missione di evangelizzazione della cultura secondo lo spirito dell'"Evangelii Nuntiandi" e dell'opinione pastorale di Puebla. Ogni Conferenza episcopale è stata invitata a creare un organismo "ad hoc" per la pastorale della cultura e già un certo numero sono al lavoro. In unione con altri organismi della Santa Sede voi continuate anche a seguire attentamente l'attività delle grandi organizzazioni o incontri internazionali che si occupano della cultura, della scienza, dell'educazione per portarci il punto di vista della Chiesa.

Io mi rallegro di tutto cuore dell'attività del Consiglio, di cui testimonia il programma intenso della vostra attuale riunione a San Callisto: orientamenti per il dialogo della Chiesa con le culture, alla luce del recente Sinodo dei vescovi, collaborazione con i dicasteri romani: fede e culture, liturgia e culture, evangelizzazione e culture, educazione e culture, ruolo culturale della Santa Sede presso gli organismi internazionali, colloqui e ricerche i cui risultati interessanti sono già pubblicati nelle diverse lingue in numerosi continenti. Altri colloqui in preparazione vi condurranno successivamente in diverse parti d'Europa e d'America, o ancora all'incontro di antiche civiltà africane e asiatiche, come al crogiuolo della modernità e a sfida delle arti, delle umanità classiche e dell'iconografia cristiana davanti all'emergenza di una civiltà dell'universale.


4. Cari amici continuate questo complesso compito ma necessario ed urgente, stimolate attraverso il mondo le energie in attesa e le volontà in risveglio. Il Sinodo dei vescovi ci ha impegnato tutti con ardore ponendo l'inculturazione decisamente al cuore della missione della Chiesa nel mondo: "L'inculturazione è tutt'altro che un semplice adattamento esteriore, essa significa un'intima trasformazione degli autentici valori culturali per mezzo dell'integrazione del cristianesimo e le radici del cristianesimo nelle varie culture umane" (Rapporto finale del Sinodo straordinario dei vescovi del 1985).

Già tutta la Chiesa prepara un prossimo Sinodo sull'apostolato dei laici. Voi stessi potete impegnare con vigore i laici nel dialogo decisivo del Vangelo con le culture, e in modo particolare i giovani. Mi congratulo per la vostra collaborazione attenta con il Consiglio pontificio dei laici e con la Congregazione per l'educazione cattolica, al fine di studiare insieme i nuovi problemi posti dall'incontro del Vangelo con il mondo dell'educazione e della cultura. So anche che non perderete l'occasione di prendere molte iniziative nuove per rispondere alla missione che vi è stata affidata.

I miei voti vi precedano su questa strada esigente, la mia preghiera vi accompagni e il mio appoggio vi sostenga. Di tutto cuore invoco su voi e sul vostro lavoro la grazia del Signore onnipotente: lui solo deve ispirare il nostro umile servizio alla Chiesa e vi imparto una particolare benedizione apostolica.

Data: 1986-01-13 Lunedi 13 Gennaio 1986









Ai vescovi Brasiliani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Annunciare un messaggio di liberazione piena


Signor cardinale e venerabili fratelli, vescovi delle Chiese situate nello Stato di San Paolo.


1. Rendo grazie a Dio, con tutto il cuore, per la gioia intensa che costituisce per me questo incontro con voi, che integrate il "Regionale Sud-Uno della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile", che abbraccia le diocesi del bello Stato di San Paolo. Ho atteso nella preghiera il vostro arrivo, anticipandolo nel mio spirito, con il vivo desiderio di vedervi e ascoltarvi, uno per uno, e, in questo incontro, tutti insieme, per comunicarvi alcuni doni che vi possano "confermare" o, ancora meglio, affinché "possiamo consolarci assieme, per la fede che ci è comune, a me e a voi" (cfr. Rm 1,12). Che questo avvenga, per il maggior frutto della vostra missione di pastori, che vegliano e guidano il gregge che il Signore vi ha affidato, con buona volontà, non come dominatori, ma come modelli del gregge stesso (cfr. 1P 5,2-3). Con un solo cuore e una sola anima adoriamo Cristo, che ci ha scelti per il servizio del Vangelo, certi che egli è con noi, in questo colloquio sintesi ideale di quello che avemmo nelle udienze private.

Culmina qui la vostra visita "ad limina", con la quale avete desiderato riaffermare la comunione fra voi, vescovi della Regione Paulista, e il Vescovo di Roma, successore di Pietro; e la perfetta unione di mente e di cuore che esiste tra le vostre Chiese particolari e la Chiesa di Roma.


2. Vescovi di una regione brasiliana dove l'annuncio del Vangelo e l'edificazione della Chiesa risalgono ai primordi della storia delle Terre di Santa Cruz subito dopo la scoperta, voi siete eredi e custodi di una tradizione di valore inestimabile. Questa tradizione importa seguire e ad essa abbeverarsi costantemente, non perché essa rallenti il passo, ma permanga in esso come impulso e forza viva, ad arricchire, nel crogiolo della realtà presente, il "tesoro del padre di famiglia che, saggiamente, sa trarre da esso cose nuove e vecchie" (cfr. Mt 13,52).

E' giocoforza ricordare qui, come simbolo, un nome che si identifica con la storia del Brasile cristiano e, in particolare, con la storia di San Paolo, il Beato José de Anchieta, "l'apostolo del Brasile". Egli spese la vita tra i suoi "brasis", nell'impegno generoso di "salvare le anime per la gloria di Dio".

Guidato da una visione realistica e da uno spirito evangelico ammirevoli, e dedicandosi instancabilmente a molteplici attività, sia di promozione umana che di impronta culturale, tutto egli seppe orientare per il vero bene dell'uomo, destinato e chiamato a vivere come figlio di Dio, in fraternità, in famiglia.

Anchieta era, prima di tutto, uomo di Dio; e il segreto della sua così ampia ed efficace attività missionaria e di promozione umana era la sua fede. A somiglianza di Paolo apostolo, dimostrava di sapere in chi aveva posto la sua fiducia: "Scio cui credidi" (2Tm 1,12).

Fu lui, insieme a un pugno di fratelli, santi conosciuti soltanto da Dio, che traccio la rotta della storia di una popolazione attiva, laboriosa e imprenditoriale, impregnata di spirito cristiano, che più tardi si addentro all'interno dell'immenso territorio brasiliano, recando una mentalità e un tipo di costumi che incisero, certamente, sulla nazione che si stava plasmando, con la nota brasilianità. Di qualcosa mi sono reso conto, durante la visita pastorale al vostro Paese, quando ebbi la gioia di stare con la vostra gente, in San Paolo, Aparecida e San José dos Campos. Vivono nella mia nostalgica memoria queste giornate radiose.


3. Queste evocazioni e riferimenti al passato non mi distolgono affatto dal guardare al presente di una vasta regione, che è un campione molto esauriente del Brasile, con la luce e le ombre che lo caratterizzano. Ma la luce prevale, come ho potuto concludere dagli incontri personali con voi. Vi sono, nell'insieme, segnali che fanno del nostro tempo un'epoca storica meravigliosa, per quello che l'umanità ha già raggiunto e costruito; ma segnata anche da inquietudine, incertezza e sofferenza.

La scienza e la tecnica, assieme al lavoro e allo spirito di iniziativa, hanno disseminato il suolo paulista di fabbriche e centri industriali, facendovi affluire un grande numero di brasiliani, in cerca di lavoro e di giorni migliori.

Sfortunatamente, tuttavia, la squallida cornice di gradi città, dove sorgono le "favelas", crea contrasti troppo vivi nello scenario in cui l'uomo dovrebbe essere il protagonista della sua esistenza. A ciò si aggiungono fattori molteplici che, lungi dal favorire un tipo di vita autenticamente umana, la degradano sempre più.

Molti, condannati a una situazione subumana, sono facilmente tentati di dirigersi per sentieri che non portano alla vita: violenza, erotismo, droga e materialismo pratico. E, lo sappiamo, un male non si vince con un altro male.

Cristo vi ha scelti e inviati, in questo momento storico, a predicare in mezzo a questo popolo le meraviglie del suo amore. La gente delle vostre diocesi vive le contraddizioni del nostro tempo, antiche e nuove, di male, che accompagnano il cammino del progresso.


4. Conoscere e comprendere la realtà meravigliosa e terribile che è l'uomo, nella sua condizione, captare la sua necessità profonda di amare e di essere amato e tener nella dovuta considerazione le sue aspirazioni legittime di giustizia, di pace e fraternità, sono cose indispensabili ai pastori d'anime. E sono certo che voi di questo vi preoccupate. Tuttavia il compito primario delle nostra paternità spirituale è annunziare e testimoniare Cristo, trasmettere e servire la fede in Dio, non per alienare, ma affinché ogni uomo possa trovare per la propria vita, con tutte le sue dimensioni, il senso ultimo, unificante e pacificatore.

Vi sarebbe molto da dire, cari fratelli, circa l'immensità dei problemi con incidenze pastorali di cui mi avete parlato, nel quadro della concentrazione industriale, dell'agricoltura in crisi, dei cambiamenti culturali profondi e dell'accumulo di veri drammi umani: disoccupazione, mancanza di abitazioni, famiglie senza focolare, giovani e bambini abbandonati per strada. E, all'interno della vita ecclesiale, problemi di invecchiamento e diradarsi dei sacerdoti, decadimento della pratica religiosa, avanzata delle sette, con lo sconforto e il dissenso di tanti cristiani, che perplessi si interrogano. E sono stati numerosi fra di voi coloro che mi hanno confidato le loro preoccupazioni circa i seminari.

Ciascuno di questi argomenti potrebbe essere oggetto di uno scambio di opinioni interessante tra noi o di un discorso appropriato. Ciò non è realizzabile. Ma non è certo inutile l'aver confidato al Papa e ai dicasteri romani le vostre preoccupazioni; anche se non daremo loro soluzioni immediate, essi le registreranno nella memoria dello spirito e del cuore, come problemi posti alla Chiesa dalla sua comune pastorale.


5. Vorrei che voi portaste via dalla vostra visita "ad limina" con la ravvivata coscienza della collegialità episcopale, che sostiene il vostro ministero pastorale e da esso deve essere sostenuta, qualcosa che potesse essere non novità, ma "messaggio" per il popolo di Dio: messaggio vitale. Questo è stato e continua ad essere per me motivo di supplica al Dio della pazienza e della consolazione, implorandolo che abbiate l'uno per l'altro i medesimi sentimenti, secondo lo spirito di Cristo, affinché in un solo cuore e con una sola voce, glorifichiate Iddio (cfr. Rm 15,5-6), in un partecipato "sentire cum Ecclesia".

Mi piacerebbe aver il tempo di discutere con voi sul significato e la portata della realtà della comunione nella Chiesa, sulla falsariga di quanto ha fatto il recente Sinodo dei vescovi, in eco al Concilio a distanza di vent'anni.

Ciò servirebbe al risplendere di quella ecclesiologia della comunione, che non può essere ridotta a mere questioni di organizzazione, o quelle che si riferiscono a semplici poteri, ma anche è il fondamento dell'ordine e dell'armonia nella Chiesa e, soprattutto, della corretta relazione tra la sua unità e pluralità (cfr."Relatio finalis", C).

L'indiscutibile connessione della Chiesa stessa con Cristo, "che è sempre il medesimo, oggi, domani e per tutti i secoli" (cfr. He 13,8), e che non può mai essere dissociata dal mistero della sua croce e risurrezione, conferisce alla formula antica e sempre nuova del "sentire cum Ecclesia" la priorità assoluta nelle nostre programmazioni e attività pastorali. Corresponsabilità apostolica, comunione ecclesiale, conversione e riconciliazione permanente costituiscono i cardini su cui si fonda questo "sentire".

E, non sarebbe necessario sottolinearlo, si tratta dell'unica Chiesa di Gesù Cristo, che nel Credo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, con la sua indole escatologica, luminosamente presentata nel numero otto e nel capitolo settimo della "Lumen Gentium". Nonostante che fuori dal suo corpo si trovino elementi di verità e di santificazione, questa Chiesa, come società costituita e organizzata in questo mondo, sussiste nella Chiesa cattolica.

Il conosciuto CIC 333 del Codice di diritto canonico, nel ricordare che il Romano Pontefice è sempre in comunione con i vescovi e con tutta la Chiesa nell'assolvimento del suo compito, ricorda anche il diritto che gli compete di determinare il modo di meglio assolverlo; e rende omaggio, nel canone seguente, alle persone e istituzioni che egli può incaricare, in forme diverse, "in suo nome e per sua autorità", per svolgere incarichi "per il bene di tutta la Chiesa".


6. Essere uno con la Chiesa vuol dire, amati fratelli, rallegrarsi con essa per tutto ciò che è vero, giusto e valido nelle istituzioni temporali al servizio dell'uomo; vedere con soddisfazione gli sforzi che mirano a promuovere i diritti e le libertà fondamentali della persona umana; divulgare con essa le riforme che abbiano come obiettivo una società più giusta; ispirare gli stessi responsabili del bene comune a intraprendere queste riforme, in accordo con i principi etici e cristiani. Ma esser uno con la Chiesa non si concilia col ridurre al socio-politico la propria missione. Esser uno con la Chiesa vuol dire sviluppare una pastorale specifica verso i poveri, assumendo l'impegno con l'opzione preferenziale non esclusiva, certo, ma prioritaria di annunziare loro il messaggio della piena liberazione: il messaggio della salvezza; e insieme ricordare ai poveri che essi sono vicini al regno di Dio, che non è loro permesso di ridursi in miseria, che devono fare tutto ciò che è lecito per superarla; dire a quelli che vivono nel benessere che usufruiscano del loro lavoro onesto e diligente senza chiudersi, ma pensando a coloro che hanno bisogno e sapendo dividere con loro.

Fare tutto ciò con la finalità primaria di far si che ciascun uomo incontri Cristo e con lui percorra i sentieri della vita, vuol dire far si che Cristo nasca nei loro cuori, tramite l'azione dello Spirito Santo, per mezzo dell'evangelizzazione, annunzio della liberazione dal peccato e della comunione con Dio. In questo modo, esser uno con la Chiesa non si concilia con l'accettare le gravi deviazioni che alcune "teologie della liberazione" recano con sé.


7. La preoccupazione di "esser uno con la Chiesa" non cesserà, certo, di dipendere dalla generosità con la quale vi dedicate al vostro compito, nella sua triplice dimensione: annunziare il mistero della salvezza e vigilare sulla qualità della sua presentazione; presiedere alla preghiera del popolo di Dio e vigilare affinché i sacramenti siano celebrati come si deve; ed essere, infine, padri e pastori di tutti, come il Buon Pastore, con particolare attenzione ai più diretti collaboratori. A questi, ai vostri amati sacerdoti vorrei riferirmi brevemente, poiché sono gli autentici educatori alla fede, incarico che esige molta chiarezza nell'"esser uno con la Chiesa". Sulla grande importanza e urgenza da dare alla formazione permanente dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio, già mi sono intrattenuto con un altro gruppo di fratelli vescovi brasiliani. I membri del presbiterio e coloro che si preparano a integrarlo, devono verificare sempre le condizioni di "sale della terra" e "luce del mondo". Per questo si legge nel "Presbyterorum Ordinis" (PO 3): "a causa della chiamata e dell'ordinazione, sono segregati, in un certo modo, dal seno del popolo di Dio, non per separarsi da questo popolo o da qualsiasi uomo, ma per consacrarsi totalmente all'opera per la quale il Signore li chiama": a favore degli uomini, si, ma nelle cose che riguardano Dio. Come suggerimento, nella "Relatio finalis" i Padri dell'ultimo Sinodo, in vista di una migliore applicazione del Concilio, si sono così espressi: "La formazione dei candidati al sacerdozio deve meritare la massima attenzione. In questa formazione si curi la formazione filosofica e il modo di insegnare la teologia proposto dal decreto "Optatam Totius"".


8. Un altro impegno che la situazione socio-culturale, come ho potuto ascoltare parlando con voi, indica come particolarmente urgente è quello della pastorale familiare. La famiglia è la cellula fondamentale della società, vivaio delle generazioni future e "chiesa domestica". Le profonde e rapide trasformazioni che caratterizzano il nostro tempo e la vostra regione Paulista esigono dalla Chiesa una rinnovata sollecitudine in questo delicato settore della pastorale. Si impone il risveglio nelle coscienze della preoccupazione per le realtà spirituali ed eterne e il senso del primato dei valori morali, che sono i valori della persona umana in quanto tale (cfr. FC 8). E per ovviare a potenziali forze disgregatrici dell'istituzione familiare, che il progresso moderno, con le sue risorse, pone nelle mani dell'uomo, è necessaria una continua evangelizzazione, tramite un'assidua e incisiva istruzione religiosa, catechesi, pratica sacramentale e preghiera.

Per fare tutto questo occorre far uso dei buoni uffici dei movimenti e organizzazioni ecclesiali per la spiritualità e l'apostolato delle famiglie. Per quanto mi risulta, quest'ultime hanno avuto una certa fioritura nelle vostre comunità e anche adesso sono li all'opera, con buoni risultati. Che siano stimolate nel loro impegno nella salvaguardia e promozione dell'amore vissuto secondo Dio e nell'aiutare le famiglie ad essere fermento attivo per l'animazione cristiana dell'ambiente. La Chiesa, che trasmette l'insegnamento di Cristo, offre criteri sicuri affinché le coppie cristiane possano realizzarsi ed essere felici nella propria scelta di vita, nella fede all'ideale dell'amore comunione e ai doveri che impone loro la fecondità e l'educazione dei figli. Su questa linea, faccio appello alla predicazione, in particolare l'omelia, data la sua portata e funzione, "sempre attentamente preparata, sostanziosa e adattata e riservata ai ministri consacrati" (cfr. CTR 48). E faccio appello anche alle scuole e mezzi di comunicazioni di massa: bisogna riunire tutti gli sforzi a favore di una moralità di base, che è stata la forza segreta del popolo brasiliano.

Miei amati fratelli. Non vorrei terminare questo gradito incontro senza andare in ispirito al santuario di Aparecida, ben noto e caro per l'influenza sulla vita cristiana del Brasile, soprattutto nelle vostre terre, che ad esso sono più vicine. Esso innalza il nostro pensiero a Maria santissima, la Madre di Gesù, che "brilla, come segnale di speranza sicura e di consolazione, agli occhi del popolo di Dio pellegrino" (LG 68). Nel mistero del Cristo, ella ha un posto molto particolare: quello della donna, che accoglie giubilante l'amore di Dio e gli si consegna completamente; e quello della madre, che genera il Verbo Incarnato, accompagnando la sua crescita umana e la sua missione; e dilata poi la sua maternità a tutta la Chiesa. Ella costituisce un modello ideale di amore al Padre, di unione con Cristo e di obbedienza allo Spirito Santo, di servizio alla Chiesa e di carità verso tutti gli uomini. così bisogna presentarla, venerarla e imitarla. Che Nostra Signora di Aparecida aiuti le comunità diocesane affidate alle vostre cure di pastori e aiuti tutto l'amato popolo brasiliano. Che vi ispiri nel vostro appassionato ministero quotidiano e nella realtà della Chiesa-comunione. E che vi accompagni la certezza del mio affetto e della mia preghiera, perché Dio vi indichi la strada e renda efficace il vostro generoso lavoro pastorale.

Portate un saluto molto cordiale ai presbiteri, ai religiosi e alle religiose, ai laici impegnati nei ministeri o in compiti specifici di apostolato e a tutti i fedeli - bambini, giovani, adulti e anziani - delle vostre comunità, con un'ampia e affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1986-01-18 Sabato 18 Gennaio 1986




Visita al presidente della Repubblica - Quirinale (Roma)

Gli italiani privilegiati custodi dell'eredità degli apostoli


Signor Presidente!


1. Le sono molto grato per le cortesi espressioni con cui ella, facendosi interprete anche dei sentimenti del popolo italiano, mi ha accolto nella sua dimora. Ho seguito con grande attenzione le pensose riflessioni da lei svolte, sentendo in esse vibrare la viva coscienza che ella ha del suo compito istituzionale. L'odierna visita in questa storica residenza del Quirinale richiama altri due incontri, succedutisi in un breve volgere di anni. Il ricordo più vicino si riferisce alla visita da lei fatta recentemente in Vaticano; ma è pure sempre viva nel mio animo la memoria di quando, il 2 giugno 1984, fui ricevuto dal suo predecessore, il senatore Sandro Pertini.

La frequenza di questi incontri negli ultimi anni è certo dovuta alla coincidenza di particolari circostanze; tuttavia, non ci si può sottrarre a una domanda in ordine al loro significato. Si tratta di un interrogativo, che ha aspetti generali e assume rilievo ogni volta che i rappresentanti della Chiesa si incontrano con quelli di uno Stato. Nel caso dell'Italia, esso presenta caratteristiche singolari e specifiche, a motivo di una "vicinanza" che è insieme geografica e storica, oggettiva e personale.

Quando il primo magistrato della Repubblica Italiana e il Pastore universale della Chiesa si trovano l'uno di fronte all'altro, immediatamente emergono quelle ragioni di distinzione e di legittima autonomia nelle rispettive funzioni, di mutuo rispetto e di leale collaborazione, che costituirono il principio ispiratore dei Patti Lateranensi e che hanno trovato conferma nell'Accordo del 18 febbraio 1984. Questo, apportando al Concordato le modificazioni suggerite dalle mutate situazioni storiche e culturali, ha inteso favorire il pacifico e fruttuoso esercizio delle due potestà, che riguardano persone che sono, allo stesso tempo, membri della Chiesa e cittadini dello Stato.

A tale proposito, come è noto, il Concilio Vaticano II afferma: "La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo" (GS 76).

Un primo e fondamentale significato dell'odierno incontro è dunque da ritrovarsi nella comune affermazione di tali principi e dell'impegno, che da essi scaturisce, di una sempre più concorde e benefica cooperazione tra lo Stato e la Chiesa nel servizio di promozione dell'uomo e della società.


2. Al contempo, rendendo visita al primo cittadino d'Italia, io desidero compiere un pubblico doveroso atto di gratitudine per l'accogliente ospitalità che cittadini e gruppi, istituzioni e autorità riservano a tutti coloro che vengono in Italia, e in particolar modo, a Roma, mossi da motivazioni spirituali e religiose.

Ciò dicendo, io so di interpretare anche il pensiero dei miei confratelli nell'Episcopato di tutto il mondo.

E' consolante constatare come i numerosi pellegrini e visitatori, che si recano nell'Urbe per "celebrare" la loro fede cattolica, trovino qui un'ambiente che si distingue per cordialità, semplicità, generosità. E' un tipico spirito di ospitalità che è proprio dell'animo del popolo italiano e tradizionalmente ne caratterizza il costume: mi piace, in questa sede, darne ancora una volta formale riconoscimento.


3. Signor Presidente, l'accenno all'ospitalità tradizionale del popolo italiano mi porta quasi naturalmente ad allargare il discorso all'intero patrimonio storico di questa nazione, che affonda le sue radici nella tradizione cristiana ed è intimamente legato alla presenza della Sede apostolica. Tale presenza, in quanto evocatrice di memorie storiche e di funzioni provvidenziali, costituisce un perenne richiamo che stimola alla custodia e allo sviluppo di tale bimillenario patrimonio. La Chiesa è consapevole delle radici antiche da cui molte espressioni dell'odierna società traggono la loro linfa vitale; per questo non si stanca di richiamare le genti alla memoria del proprio passato, come alla più autentica sorgente ispiratrice del loro cammino nella storia.

Il popolo italiano è destinatario e custode privilegiato dell'eredità degli apostoli Pietro e Paolo: un'eredità squisitamente spirituale, vale a dire culturale, morale e religiosa insieme; un'eredità viva, come dimostra non solo una secolare, ininterrotta testimonianza di santità, di carità, di promozione umana, ma anche il creativo inserimento della comunità dei credenti nell'odierna realtà sociale: un'eredità, infine, che dà quasi particolare connotazione al riconosciuto apporto dell'Italia a favore della comprensione, della fratellanza e della pace fra i popoli del mondo.

A questa eredità fa riferimento anche il citato Accordo del 18 febbraio 1984, quando asserisce che la Repubblica italiana riconosce "il valore della cultura religiosa" e tiene conto del fatto che "i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano" (cfr. art. 9 § 2). Parole nobili e illuminanti, alle quali occorre e occorrerà costantemente ispirarsi con lealtà e coerenza nella soluzione dei problemi concreti via via emergenti.


4. Da un terreno così fecondo di valori umani e cristiani ha tratto impulso costante il progresso della nazione, che non si manifesta soltanto nelle dimensioni pur ragguardevoli dell'economia e del lavoro, ma nell'espressione politica, artistica e culturale, nell'organizzazione della società e nell'attiva partecipazione alla vita della comunità internazionale. I risultati sin qui conseguiti meritano convinto riconoscimento, Nello stesso tempo, situazioni e vicende di segno negativo chiedono sempre viva attenzione e rinnovato impegno, in coerenza col patrimonio morale della nazione.

La Chiesa, che non è estranea ad alcun popolo, guarda con particolare sollecitudine all'odierna realtà italiana, e in special modo ai problemi del mondo del lavoro, dell'occupazione, della famiglia, dell'educazione dei giovani. Se ne faccio menzione, è soltanto per manifestare la mia partecipazione a una preoccupazione, che so essere dei responsabili della comunità civile, e per riaffermare la pronta e generosa disponibilità di quella ecclesiale a collaborare nella ricerca di soluzioni concrete.

Né posso dimenticare il dramma del terrorismo che, ancora recentemente, ha ferito l'Italia. Questo sconvolgente fenomeno travalica ormai ogni confine nella sua esplosione di cieca violenza. Colpendo, poi, la nazione italiana, esso non solo si è rivolto contro degli innocenti, ma ha leso un popolo che ha nella sua tradizione una viva sensibilità e un'attenzione solidale per le vittime di situazioni difficili o ingiuste.

Signor Presidente! A lei, che così degnamente la rappresenta, io desidero esprimere l'augurio che l'Italia, con l'aiuto di Dio, possa superare gli ostacoli, che tutt'ora si frappongono al pieno sviluppo delle sue grandi potenzialità di progresso e di pace. E' un auspicio che acquista particolare significato in quest'anno, in cui il popolo italiano si appresta a celebrare il 40° anniversario di fondazione della Repubblica. E' un auspicio di libertà, di giustizia, di solidarietà, di quei valori, cioè, sui quali poggiano le fondamenta dello Stato e che costituiscono, al tempo stesso, il contributo che dall'Italia si attendono le altre nazioni, particolarmente quelle che da minor tempo si sono affacciate, con pari dignità e con legittima speranza, alla ribalta del consorzio internazionale. E', infine, un augurio che io formo nella preghiera, implorando da Dio onnipotente una particolare benedizione per tutti i cittadini d'Italia e per coloro che ne reggono le sorti.

Data: 1986-01-18 Sabato 18 Gennaio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - All'Associazione SS. Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)