GPII 1986 Insegnamenti - Ai membri della Rota Romana - Città del Vaticano (Roma)

Ai membri della Rota Romana - Città del Vaticano (Roma)

Lavoro giudiziario, ma missione essenzialmente evangelica



1. E' per me una grande gioia incontrarmi ogni anno con voi, per riaffermare l'importanza del vostro ministero ecclesiale e la necessità della vostra attività giudiziaria; essa è servizio di giustizia, è servizio di verità; un servizio reso a Dio, dinanzi al quale voi pronunziate le vostre sentenze, e un servizio al popolo di Dio e ad ogni persona di buona volontà, che si rivolge al Tribunale della Rota Romana.

Porgo pertanto a ciascuno di voi il mio saluto più cordiale, che è unito a sentimenti di apprezzamento e di gratitudine per il vostro compito, talvolta difficile e gravoso, eppure così necessario. Saluto poi in modo particolare il nuovo decano, mons. Ernesto Fiore: e formo voti affinché egli contribuisca, con la vostra attenta collaborazione, alla costante opera di adeguare il Tribunale ai bisogni del mondo attuale e alle necessità pastorali dei nostri tempi.

Mi rendo conto delle difficoltà che dovete affrontare nell'espletamento del vostro compito, che vi impegna a dirimere in base alla legge canonica questioni e problemi riguardanti i diritti soggettivi, che coinvolgono al tempo stesso la coscienza di coloro che a voi si rivolgono. Non di rado essi si ritrovano smarriti e confusi per le voci discordi che giungono loro da ogni parte.

Colgo volentieri anche l'occasione di questa udienza per esortarvi a un servizio di vera carità nei loro confronti, assumendo pienamente la vostra responsabilità davanti a Dio, supremo Legislatore, il quale non mancherà, se invocato, di soccorrervi con la luce della sua grazia perché possiate essere all'altezza delle attese in voi riposte.


2. Mi sembra importante oggi sottolineare - come già feci nel discorso rivolto ai padri cardinali il 21 novembre scorso - la preoccupazione della fondamentale unità col ministero di Pietro. A questo "munus petrinum" la Curia Romana offre una collaborazione che è resa sempre più urgente, sia per l'importanza dei problemi che si pongono nel mondo, sia per il dovere di mantenere una e cattolica la professione di fede, sia anche per l'esigenza di orientare e sostenere il popolo di Dio nella fedele comprensione del magistero della Chiesa. Questo servizio all'unità è sempre più necessario per il fatto che la Chiesa si estende a tanti paesi e continenti diversi e unisce al tesoro della rivelazione e della fede cristiana molteplici e differenti culture, le quali diventano a loro volta migliori nella misura in cui riconoscono i valori dei quali il Verbo Incarnato è difensore e garante, come Figlio del Padre e Redentore dell'uomo. L'uomo deve entrare come figlio adottivo in questa filiazione divina, per essere così non soltanto se stesso ma per rispondere sempre meglio alle intenzioni di Dio, che l'ha creato a sua immagine e somiglianza.

La vostra missione è grande! Essa deve mantenere, approfondire, difendere e illuminare quei valori divini che l'uomo porta in se come strumento dell'amore divino. In un uomo c'è un segno di Dio da riconoscere, una manifestazione, un mistero di amore da esprimere vivendolo secondo le vedute di Dio.


3. "Dio è amore"! Questa semplice affermazione di san Giovanni è la chiave del mistero umano. Come Dio, anche l'uomo sarà amore: egli ha bisogno di amore, deve sentirsi amato e, per essere se stesso, deve amare, deve donarsi, deve fare amare questo amore. Dio è Trinità d'amore: Dono reciproco del Padre e del Figlio che amano il loro Amore Personale, lo Spirito Santo. Sappiamo che questo mistero divino illumina la natura e il senso profondo del matrimonio cristiano, il quale è la realizzazione più perfetta del matrimonio naturale. Quest'ultimo fin dall'inizio porta l'impronta di Dio: "Dio creo l'uomo a sua immagine; maschio e femmina li creo e disse loro: "Crescete e moltiplicatevi"" (cfr. Gn 1,27-28).

Ogni matrimonio, poi, tra battezzati è sacramento. E' sacramento in forza del Battesimo, che introduce la nostra vita in quella di Dio, facendoci "partecipi della natura divina" (2P 1,4), mediante l'incorporazione al suo Divin Figlio, Verbo Incarnato, nel quale noi non formiamo che un solo corpo, la Chiesa (cfr. 1Co 10,17). Si comprende allora perché l'amore di Cristo alla Chiesa sia stato paragonato all'amore indissolubile che unisce l'uomo alla donna e come possa essere efficacemente significato da quel grande sacramento che è il matrimonio cristiano, destinato a svilupparsi nella famiglia cristiana, Chiesa domestica, nel modo stesso in cui l'amore di Cristo e della Chiesa assicura la comunione ecclesiale, visibile e portatrice fin d'ora dei beni celesti (LG 11b, LG 8a).

Ecco perché il matrimonio cristiano è un sacramento che opera una specie di consacrazione a Dio; è un ministero dell'amore che, mediante la sua testimonianza, rende visibile il senso dell'amore divino e la profondità del dono coniugale vissuto nella famiglia cristiana; è un impegno di paternità e di maternità; del quale il reciproco amore delle persone divine è la sorgente, l'immagine perfettissima, ineguagliabile. Questo mistero si affermerà e si realizzerà in ogni partecipazione alla missione della Chiesa, nella quale gli sposi cristiani devono dare prova di amore e testimoniare l'amore che essi vivono tra di loro, con e per i propri figli, in quella cellula ecclesiale, fondamentale e insostituibile, che è la famiglia cristiana.


4. Se evoco brevemente davanti a voi la ricchezza e la profondità del matrimonio cristiano, lo faccio principalmente per sottolineare la bellezza, la grandezza e la vastità della vostra missione, dato che la maggior parte del vostro lavoro riguarda cause matrimoniali. Il vostro lavoro è giudiziario, ma la vostra missione è evangelica, ecclesiale e sacerdotale, rimanendo nello stesso tempo umanitaria e sociale. Anche se la validità di un matrimonio suppone alcuni elementi essenziali, che sotto il profilo giuridico devono essere chiaramente espressi e tecnicamente applicati, è tuttavia necessario considerare tali elementi nel loro pieno significato umano ed ecclesiale. Sottolineando questo aspetto teologico nell'elaborazione delle sentenze, voi offrirete la visione del matrimonio cristiano voluto da Dio come immagine divina e come modello e perfezione di ogni unione coniugale umana. Questo vale per ogni cultura. La dottrina della Chiesa non si limita alla sua espressione canonica e quest'ultima - come vuole il Concilio Vaticano II - deve essere vista e compresa nella vastità del mistero della Chiesa (OT 16). Questa norma conciliare sottolinea l'importanza del diritto ecclesiale - "Jus ecclesiale" - e ne illumina opportunamente la natura di diritto di comunione, diritto di carità, diritto dello Spirito.


5. Le vostre sentenze, illuminate da questo mistero di amore divino e umano, acquistano una grande importanza, partecipando - in modo vicario - del ministero di Pietro. Infatti, in nome suo voi interrogate, giudicate e sentenziate. Non si tratta di una semplice delega, ma di una partecipazione più profonda alla sua missione. Indubbiamente l'applicazione del nuovo Codice può correre il rischio di interpretazioni innovative imprecise o incoerenti, particolarmente nel caso di perturbazioni psichiche invalidanti il consenso matrimoniale (CIC 1095), o in quello dell'impedimento del dolo (CIC 1098) e dell'errore condizionante la volontà (CIC 1099) come anche nell'interpretazione di alcune nuove norme procedurali. Tale rischio deve essere affrontato e superato con serenità mediante uno studio approfondito sia della reale portata della norma canonica, sia di tutte le concrete circostanze che configurano il caso, mantenendo sempre viva la coscienza di servire unicamente Dio, la Chiesa e le anime, senza cedere a una superficiale mentalità permissiva che non tiene nel dovuto conto le inderogabili esigenze del matrimonio-sacramento.


6. Vorrei anche dire una parola sull'opportunità che l'esame delle cause non si protragga troppo a lungo. So benissimo che la durata del processo non dipende soltanto dai giudici che devono decidere: vi sono molti altri motivi che possono causare ritardi. Ma voi, ai quali è stato affidato il compito di amministrare la giustizia, per portare così la pace interiore a tanti fedeli, dovete impegnarvi al massimo perché l'iter si svolga con quella sollecitudine che il bene delle anime richiede e che il nuovo Codice di diritto canonico prescrive, quando afferma: "Le cause non si protraggano più di un anno nel tribunale di prima Istanza, e non più di sei mesi nel tribunale della seconda Istanza". Che nessun fedele possa prendere spunto dalla eccessiva durata del processo ecclesiastico per rinunciare a proporre la propria causa o per desistere da essa, scegliendo soluzioni in netto contrasto con la dottrina cattolica.


7. Prima di concludere, vorrei ancora esortarvi a vedere il vostro servizio ecclesiale nel contesto generale dell'attività degli altri dicasteri della Curia Romana, con speciale riferimento a quelli che si occupano di materie aventi relazione con l'attività giudiziaria in genere e con quella in materia matrimoniale in specie.

Va inoltre valutato l'influsso della Rota Romana sull'attività dei tribunali ecclesiastici regionali e diocesani. La giurisprudenza rotale, in particolare, è sempre stata e deve continuare ad essere per essi un sicuro punto di riferimento. Lo "Studio rotale" vi dà la possibilità di mettere la vostra dottrina e la vostra esperienza giudiziaria a disposizione di coloro che si preparano a diventare giudici a Avvocati e di coloro che vogliono approfondire la conoscenza del diritto della Chiesa. Grazie ad esso voi contribuite al rifiorire dell'interesse per lo studio del Codice di diritto canonico e fornite occasione di un sempre maggior approfondimento di questa materia nelle facoltà di diritto canonico. Di gran cuore, pertanto, esprimo il mio vivo apprezzamento per il vostro lavoro serio e costante e benedico il vostro impegno e il vostro ministero. Dio, che è amore, rimanga sempre la vostra luce, la vostra forza, la vostra pace.

Data: 1986-01-30 Giovedi 30 Gennaio 1986




Lettera per il IX centenario della morte del patrono di Mantova - Città del Vaticano (Roma)

Sant'Anselmo da Baggio: una vita per la libertà e l'unità della Chiesa



1. La diocesi di Mantova si appresta a ricordare degnamente, con solenni celebrazioni liturgiche e con adeguate iniziative culturali, il nono centenario del "dies natalis" del suo patrono principale sant'Anselmo da Baggio, e in tale significativa ricorrenza desidero partecipare alla gioia di tutte le componenti di codesta comunità diocesana, che venera in sant'Anselmo un luminoso riflesso della santità di Dio e del Figlio suo Gesù Cristo.

Novecento anni non hanno appannato tale luce, che anzi splende tuttora vivida a rischiarare i nostri passi non meno di quelli dei suoi contemporanei. Né potrebbe essere altrimenti: mutano nei secoli le condizioni di vita, ma non muta, nel profondo, il cuore dell'uomo, con le sue grandezze e le sue miserie, così come non muta l'amore di Dio nei suoi confronti. I santi sono tali perché, nelle forme e negli ambiti propri a ciascuno, hanno validamente operato nel fare in modo che tutti gli uomini possano e vogliano beneficiare della volontà salvifica di Dio.

Le vie, lungo le quali sant'Anselmo ha camminato, sono molteplici e differenziate; ma a ben guardare, sono tutte riconducibili a un unico motivo ispiratore: il bene della santa Chiesa, che egli amava presentare allo Sposo divino "senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ep 5,27). Di qui il suo duplice impegno, volto, per così dire, sia all'esterno sia all'interno della comunità dei fedeli.

Con la parola, gli scritti e ogni altra attività suggerita dal suo zelo, in esemplare integrità di costumi, egli opero a sciogliere la Chiesa dai vincoli ad essa imposti dalle potenze terrene, perché riacquistasse appieno quella libertà, di cui Cristo l'ha dotata, e che è condizione indispensabile per l'adempimento della sua missione. Nel contempo, poiché coloro che facevano soffrire la Chiesa erano pure sempre suoi figli, e sovente - duole ancor più ricordarlo - erano purtroppo tra coloro che avrebbero dovuto pascere nella verità e nella carità il gregge di Cristo, con sollecitudine paterna e fraterna, sant'Anselmo fece ricorso a tutti i mezzi in suo potere per convincerli dell'errore ed esortarli a ravvedersi, assicurandoli dell'immutato affetto della Madre comune.

All'interno, intanto, con non minore sollecitudine egli ando esplicando tutte le doti del buon pastore, nel provvedere ai poveri, nel dirigere le anime, nel celebrare i sacri riti. Di particolare spicco è anche la sua opera canonistica, svolta non soltanto con profonda dottrina, ma con l'afflato spirituale che nasceva dal suo amore indefettibile alla Chiesa, a cui intendeva offrire ragioni per rafforzarne le strutture, ribadirne le certezze, illuminarne i divini fondamenti. Costretto, a motivo della fedeltà alla Chiesa e al Papa, ad abbandonare la sede di Lucca di cui era legittimo pastore, fu nominato legato pontificio per la Lombardia. Fisso così la sua residenza a Mantova, da dove svolse un ampio ministero a servizio della Chiesa universale, secondo gli incarichi affidatigli dal Romano Pontefice.

I suoi rapporti con il successore di Pietro, e in specie con san Gregorio VII, varrebbero più ampie considerazioni. In breve, possiamo con ragione affermare che essi costituiscono come la sintesi dell'opera di sant'Anselmo, poiché egli vedeva in Pietro il fulcro della Chiesa quale Cristo la volle: di qui il costante proposito nel santo per assicurarne la libertà e per farne il fondamento dell'unità dei fedeli.

Unità e libertà della Chiesa: ecco l'impegno di tutta la vita di sant'Anselmo, impegno perseguito con forza e con coraggio fino al sacrificio. Con queste parole, il mio predecessore san Pio X, quando era ancora a Mantova, elogiava il santo che celebriamo: "Egli ha trasmesso ai posteri un nome glorioso, perché in nessuna cosa fu inferiore ai primi banditori del Vangelo, e difensore della Chiesa, zelatore della salute delle anime poté ripetere come san Paolo: "Nihil minus fui ab iis, qui sunt supra modum Apostoli" (cfr. 2Co 12,11); degno per questo della riconoscenza non di Mantova solo, ma di tutti i popoli" (cfr.ASDM, FCV, Serie Mons. G. Sarto, a. 1894).


2. I fedeli di codesta illustre e antica diocesi hanno la ventura di contemplare il loro santo patrono nella sua incorrotta presenza corporea, quale si venera con tanto devoto rispetto nella cattedrale, e di ammirarlo come ripresentato in tante degne ed esemplari figure, che hanno arricchito nei secoli codesta Chiesa particolare: il beato Giovanni Cacciafronte, il beato Giacomo Benfatti, il venerabile Francesco Gonzaga, san Luigi Gonzaga, compatrono della diocesi; e per venire a tempi più recenti, il vescovo Giovanni Corti, il vicario Luigi Martini, nonché la fulgida gemma di san Pio X, che alla diocesi di Mantova dono le primizie del suo straordinario zelo episcopale. Mantova conserva anche una particolare venerazione al simulacro di Maria santissima, Incoronata Regina, rivelatasi a sant'Anselmo quasi a manifestare a tutti quale tenera devozione egli nutrisse verso di lei, che fu indubbiamente una delle fonti prime a cui il santo attinse per confortare il proprio zelo pastorale.

Maria santissima, Madre della Chiesa, non mancherà certamente di sostenere il pastore, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, le religiose e i laici di codesta diocesi nel perseguire gli stessi ideali del suo devoto, Anselmo, ideali che appaiono oggi non meno validi dei tempi della "riforma gregoriana": libertà della Chiesa dai tanti condizionamenti e seduzioni del mondo; unità della Chiesa intorno ai legittimi pastori, con sincerità di mente e disponibilità di cuore secondo la volontà di Gesù, che "tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21 Jn 17,22); "amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati" (cfr Jn 15,12); unità soprattutto intorno all'Eucaristia, in quanto - come ha scritto sant'Anselmo - "Convivium Domini est unitas corporis Christi non solum in sacramento altaris sed etiam in vinculo pacis" ("Collectio canonum", XII, 60: Vat. lat. 1363, f. 220r).

Nel corso dei secoli, la Chiesa mantovana ha cercato di fare proprie le scelte di fondo, religiose ed ecclesiali, tipiche del santo che essa venera come patrono principale. La difesa della sana dottrina, sia da parte dei pastori che dei fedeli della città lombarda, si è tradotta in un impegno del tutto particolare per la catechesi. così dal Catechismo diocesano, voluto dal cardinale Ercole Gonzaga, e ampiamente ripreso dopo il Concilio di Trento nel cosiddetto "Catechismo Romano", attraverso una serie di ottimi testi di catechesi, si è giunti al Catechismo diocesano, pubblicato da mons. Giuseppe Sarto e offerto più tardi, in larga parte, alla Chiesa universale col nome di "Catechismo di Pio X". I fedeli e il clero di Mantova, in fervida comunione fra di loro e in serena unione con i loro pastori, si sono sempre adoperati a difendere la vita cristiana dai richiami della seduzione del denaro e di un facile edonismo, nonché di ideologie che, propugnando ambigui concetti di libertà o parziali visioni dei problemi sociali, hanno di fatto mediato una visione totalizzante della vita e della società, fondata sul secolarismo e sul materialismo pratico. La Chiesa di Mantova ha avuto sempre quale punto di onore la salvaguardia gelosa della propria identità e della propria originale tradizione religiosa ed ecclesiale dai tentativi di quanti avrebbero inteso condurla verso scelte comprensive di tutti gli aspetti della vita, volte fatalmente a compromettere la propria libertà e la stessa purezza della fede cattolica.

Auspico pertanto che codesta diocesi, sulle orme dei Padri e sull'esempio di sant'Anselmo, renda sempre più solida la comunione di intenti e di cuori, che deve impegnare tutti, clero e fedeli, attorno al vescovo, maestro e guida, per dare l'esempio luminoso di una comunità viva nella fede, unita nella carità, una comunità impegnata a tutti i livelli ad approfondire, nella continua e organica catechesi, le ragioni della propria fede e della propria speranza, per far diventare il messaggio di Gesù Cristo lievito purificatore e fecondatore dell'autentico progresso umano e sociale.

Con tali voi, invoco dal Signore, per intercessione di sant'Anselmo, larga effusione di favori celesti su di lei, venerato fratello, e su tutti i membri della diocesi di Mantova, mentre a conferma della mia benevolenza imparto di cuore l'implorata benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 31 gennaio 1986, ottavo di Pontificato.

Data: 1986-03-18 Martedi 18 Marzo 1986




Primo saluto alla comunità - Delhi (India)

Fraterno amore e rispetto per tutto il popolo indiano


Signor presidente, signor primo ministro, illustri rappresentanti del Governo dell'India, signore e signori, a voi tutti: "Namaskar"!


1. E' per me una grande gioia essere in India. La ringrazio per le sue parole di benvenuto, signor presidente, e in particolare la ringrazio per l'invito a venire in questa grande nazione, così antica e pur tuttavia così giovane. Desidero anche esprimere la mia gratitudine per la sua presenza, signor primo ministro. Sono onorato che ella si unisca al presidente in questa cerimonia ufficiale di benvenuto.

Apprezzo moltissimo tutto ciò che è stato fatto per preparare questa visita. Sono grato per lo sforzo generoso di tante persone, che mi renderà possibile viaggiare in diverse parti di questa vasta e varia Repubblica dell'India, per incontrare il maggior numero possibile di rappresentanti dell'amato popolo indiano, e per giungere a una più profonda comprensione delle ricche culture del vostro paese. Prego perché la mia visita serva e favorisca il bene della vostra nazione e la prosperità di tutti gli abitanti dell'India.


2. Il suo invito, signor presidente, e questo incontro al mio arrivo a Delhi, sono in stretta continuità con le buone relazioni ufficiali che esistono da molti anni tra l'India e la Santa Sede. Altri momenti particolarmente significativi di questa storia sono stati la visita del primo vostro primo ministro, Pandit Jawaharlal Nehru, a papa Pio XII nel 1955; la visita di papa Paolo VI a Bombay nel 1964, in occasione della quale egli incontro le vostre più alte autorità civili; e la visita in Vaticano del primo ministro Indira Gandhi meno di cinque anni or sono.

Queste buone relazioni, alle quali questa visita conferisce ulteriore espressione, rispecchiano allo stesso tempo i cordiali rapporti generali esistenti tra Chiesa e Stato in India. Sono molto lieto di sapere di quale stima gode nel vostro paese la Chiesa Cattolica e sono ben consapevole dell'importante contributo che essa cerca di dare tramite il suo zelante impegno in svariati campi del progresso umano, quali l'educazione, l'assistenza sanitaria e lo sviluppo. La Chiesa è stata presente in India sin dall'inizio della cristianità. così per quasi duemila anni essa ha costituito parte integrante dello sviluppo e della vita del vostro popolo. E posso assicurarvi che la Chiesa è sempre desiderosa di offrire il proprio leale e generoso contributo all'unità e alla fratellanza della nazione, alla promozione della giustizia, dell'amore e della pace, e all'autentico progresso generale del vostro paese nei molteplici aspetti della sua vita.


3. Il mio obiettivo nel venire qui in India ha una dimensione che è sia religiosa sia umana. Vengo a compiere una visita pastorale ai cattolici d'India, e vengo in spirito di amicizia con un profondo desiderio di rendere onore a tutto il vostro popolo e alle vostre diverse culture. Nell'iniziare la mia visita, colgo quest'occasione per esprimere il mio sincero interesse per tutte le religioni dell'India, un interesse contrassegnato da autentico rispetto, da attenzione a ciò che abbiamo in comune, dal desiderio di promuovere il dialogo inter-religioso e una fruttuosa collaborazione tra uomini di fedi diverse.

A questo proposito, noto con ammirazione come la Costituzione indiana, tramite il riconoscimento ufficiale della libertà religiosa, onora la dignità di ciascuna persona nella sua dimensione più sacra, e allo stesso tempo permette la promozione di autentici valori spirituali che tanto fondamentali sono per ogni vita sociale.


4. E' con questi sentimenti di fraterno amore e rispetto per tutto il popolo indiano che inizio questa visita. In lei, signor presidente, saluto gli uomini e le donne di ogni regione, i bambini e i loro genitori, gli anziani e i giovani.

Sono interessato a incontrare il maggior numero possibile di voi, impaziente di imparare da voi e dalle vostre esperienze di vita. Nello stesso tempo sono profondamente interessato alle varie culture dell'India: alle molteplici espressioni culturali contenute nella vostra arte e architettura, nella vostra letteratura e nei vostri costumi; e a quelle espressioni culturali dell'India moderna, che rispecchiano un'armoniosa mescolanza del vecchio e del nuovo, nonché a quelle dovute in parte agli inevitabili e spesso necessari mutamenti sociali e in risposta alle sfide dell'industria e della tecnologia moderna. Tutto questo è segno di una società viva e dinamica.


5. Le molteplici attività che caratterizzano la vita interna e internazionale dell'India attraggono da molto tempo il profondo interesse del mondo. Tra di esse, il vostro sforzo instancabile per promuovere il riconoscimento concreto dell'uguaglianza e dell'identica dignità umana di ogni persona in seno alla società, la vostra ricerca di armonia sociale e di unità nella diversità, le vostre svariate iniziative per promuovere lo sviluppo socio-economico del vostro paese, specialmente a favore dei più bisognosi, e la vostra volontà di favorire un clima di fiducia e di dialogo sia all'interno che al di là dei confini della vostra terra. Fu proprio per la vostra e la sua terra, che Tagore scrisse: "Là dove la mente è senza paura e si cammina a testa alta; / là dove la conoscenza è libera; / là dove il mondo non è spezzettato in frammenti da ristrette pareti domestiche; / là dove le parole scaturiscono dalla profondità della verità; / dove la lotta instancabile protende le braccia verso la perfezione; / dove il chiaro fluire della ragione non ha perso il cammino nel desolato deserto di sabbia di morte abitudini; / dove la mente Tu guidi avanti in pensieri e azioni sempre più vasti; / in quel regno di libertà, Padre, fa' che si risvegli la mia terra" ("Gitanjali", 35).

Questi molteplici aspetti dell'India moderna sono tutti significativamente legati alla causa della pace in seno alla comunità internazionale, in particolare perché l'India è la più grande democrazia del mondo. Come ho affermato nel mio messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1986: "Il retto cammino verso una comunità mondiale, nella quale la giustizia e la pace regneranno senza frontiere tra tutti i popoli e in tutti i continenti, è il cammino della solidarietà, del dialogo e della fratellanza universale" (n. 4).

Vengo in India al servizio dell'unità e della pace. E desidero ascoltare e imparare dagli uomini e donne di questa nobile nazione. Attendo con impazienza di approfondire l'ammirazione e l'amicizia che già porto al popolo indiano. Sarete ogni giorno nelle mie preghiere. Dio benedica voi tutti! "Jai Hind"!

Data: 1986-02-01 Sabato 1 Febbraio 1986




Al monumento di Gandhi al Raj Ghat, Delhi (India)

Camminare insieme per costruire un mondo di pace


Cari amici.


1. La mia visita in India è un pellegrinaggio di buona volontà e di pace, ed è la realizzazione del desiderio di conoscere personalmente l'anima stessa del vostro paese. E' più che giusto che questo pellegrinaggio abbia inizio qui, al Raj Ghat, dedicato alla memoria dell'illustre Mahatma Gandhi, padre della Nazione e "apostolo della non-violenza". La figura del Mahatma Gandhi e il significato dell'opera alla quale consacro la sua vita sono penetrati nella coscienza degli uomini. Nelle sue celebri parole il Pandit Jawaharlal Nehru espresse la convinzione del mondo intero: "La luce che ha brillato in questo paese non è stata una luce come le altre".

Due giorni fa cadeva il 38° anniversario della sua morte. lui che era vissuto per la non-violenza sembro sconfitto dalla violenza. Per un breve momento sembro che la luce si fosse spenta. Ma i suoi insegnamenti e l'esempio della sua vita continuano a vivere nella mente e nel cuore di milioni di uomini e di donne.

E così è stato detto: "La luce si è spenta nella nostra vita, e vi è oscurità dappertutto, e non so cosa dirvi e come dirlo... La luce si è spenta, dicevo; ma sbagliavo. Perché la luce che ha brillato in questo paese non era una luce come le altre. La luce che ha illuminato questo paese in questi molti anni continuerà ad illuminarlo per tanti anni ancora...". Si, la luce rifulge ancora, e il retaggio del Mahatma Gandhi continua a parlarci. E oggi sono venuto qui, pellegrino di pace, a rendere omaggio al Mahatma Gandhi, eroe dell'umanità.


2. Da questo luogo, che è legato per sempre alla memoria di questo uomo straordinario, voglio esprimere al popolo dell'India e del mondo la mia profonda convinzione che la pace e la giustizia, delle quali la società contemporanea ha tanto bisogno, saranno conseguite soltanto seguendo la via che era l'essenza stessa del suo insegnamento: il primato dello spirito e la Satyagraha, la "verità-forza", che vince senza violenza attraverso il dinamismo intrinseco nell'azione giusta.

La potenza della verità ci porta a riconoscere con il Mahatma Gandhi la dignità, l'uguaglianza e la solidarietà fraterna di tutti gli esseri umani, e ci incita a rifiutare ogni forma di discriminazione. Ci fa vedere ancora una volta la necessità della reciproca comprensione, dell'accettazione e della collaborazione tra gruppi religiosi nella società pluralista dell'India moderna e in tutto il mondo.


3. I tradizionali problemi della miseria, della fame e della malattia, non sono stati ancora estirpati dal nostro mondo. Anzi, sotto certi aspetti, sono più virulenti che mai. Inoltre sono sorte anche nuove fonti di tensione e di preoccupazione. L'esistenza di sterminati arsenali di armi di distruzione di massa sono per tutti noi motivo di grave e giustificata inquietudine. L'ineguaglianza dello sviluppo favorisce alcuni e precipita altri in una situazione di inestricabile dipendenza. In queste condizioni la pace è fragile e l'ingiustizia abbonda. Da questo luogo, che in un certo senso appartiene alla storia dell'intera famiglia umana, voglio riaffermare tuttavia la mia convinzione che, con l'aiuto di Dio, la costruzione di un mondo migliore, nella pace e nella giustizia, è alla portata degli esseri umani. Ma i capi dei popoli, e tutti gli uomini e donne di buona volontà, devono credere e agire in base alla convinzione che la soluzione si trova nel cuore dell'uomo: "La pace nasce da un cuore nuovo" (cfr "Messaggio per la Giornata Mondiale della pace", 1984). Il Mahatma Gandhi ci manifesta il suo cuore mentre ripete oggi a coloro che ascoltano: "La legge dell'amore governa il mondo... La verità trionfa sulla menzogna. L'amore vince contro l'odio...".


4. In questo luogo, mentre meditiamo sulla figura di quest'uomo così segnato dalla sua nobile devozione a Dio e dal suo rispetto per ogni essere vivente, voglio ricordare anche quelle parole di Gesù riportate nelle Scritture cristiane, con le quali il Mahatma aveva una grande familiarità e in cui trovava la conferma dei pensieri che gli venivano dal profondo del cuore: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi e il regno dei cieli" (Mt 5,3-10).

Possano queste parole insieme ad altre espressioni nei libri sacri delle grandi tradizioni religiose presenti sul fecondo suolo dell'India essere fonte d'ispirazione per tutti i popoli e per i loro capi, nella ricerca di giustizia tra i popoli e di pace tra tutte le nazioni del mondo.

Il Mahatma Gandhi insegnava che se tutti gli uomini e le donne, quali che siano le differenze tra loro, aderiranno alla verità, nel rispetto della peculiare dignità di ogni essere umano, sarà possibile realizzare un nuovo ordine del mondo, una civiltà fondata sull'amore. Oggi lo udiamo ancora scongiurare il mondo: "Vincete l'odio con l'amore, la menzogna con la verità, la violenza con la sofferenza".

Voglia Iddio guidarci e benedirci mentre ci sforziamo di camminare insieme, la mano nella mano, e costruire insieme un mondo di pace!

Data: 1986-02-01 Sabato 1 Febbraio 1986




Omelia nello stadio - Delhi (India)

L'uomo, pellegrino dell'assoluto, giunge a Dio tramite Cristo


Cari fratelli e sorelle,


1. Questo pomeriggio Gesù Cristo ci ripete le parole del Vangelo: "Io sono la via, la verità e la vita" (Jn 14,6).

All'inizio del mio pellegrinaggio al tempio che è il popolo di Dio che vive in questa vasta terra d'India, desidero ricordare queste parole di Gesù Cristo tratte dalla odierna liturgia. Queste parole si riferiscono al nostro pellegrinaggio attraverso la fede. Attraverso la fede noi camminiamo verso Dio lungo la via che è Cristo. Egli è il Figlio di Dio, ed è della stessa sostanza del Padre. Dio da Dio e Luce da Luce, si è fatto Uomo, per essere per noi la via che conduce al Padre. Nel corso della sua vita terrena, egli parlava incessantemente al Padre. A lui, al Padre, dirigeva i pensieri e i cuori di coloro che lo ascoltavano. In un certo senso, condivideva con loro la paternità di Dio, e questo appare in modo particolare nella preghiera che insegno ai propri discepoli: il Padre Nostro.

Al termine della sua missione messianica sulla terra il giorno prima della sua passione e morte, disse agli apostoli: "Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto" (Jn 14,1). Se il Vangelo è rivelazione della verità che la vita umana è un pellegrinaggio verso la casa del Padre, esso è allora insieme e allo stesso tempo una chiamata alla fede attraverso la quale camminiamo come pellegrini: una chiamata alla fede pellegrinante. Cristo dice: "Io sono la via, la verità e la vita".


2. Si, la vita umana sulla terra è un pellegrinaggio. Noi tutti siamo consapevoli di essere di passaggio nel mondo. La vita dell'uomo comincia e finisce, inizia alla nascita e continua sino al momento della morte. L'uomo è un essere transitorio. E in questo pellegrinaggio della vita, la religione aiuta l'uomo a vivere in modo tale da raggiungere il proprio fine. L'uomo è costantemente posto di fronte alla natura transitoria di una vita che egli sa essere estremamente importante come preparazione alla vita eterna. La fede pellegrina dell'uomo lo orienta verso Dio e lo dirige nel compiere quelle scelte che lo aiuteranno a raggiungere la vita eterna. Dunque ogni momento del pellegrinaggio terreno dell'uomo è importante: importante nelle sue sfide e nelle sue scelte.

Una cosa che interessa da vicino l'uomo nel suo pellegrinaggio è la realtà della cultura umana. Il Concilio Vaticano II ha insistito sul fatto che "fra il messaggio della salvezza e la cultura umana esistono molteplici rapporti.

Dio infatti, rivelandosi al suo popolo, fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura propria delle diverse epoche storiche". E ancora: "I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono cercare e gustare le cose di lassù: questo tuttavia non diminuisce, ma anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costituzione di un mondo più umano" (GS 58 GS 57).

La Chiesa proclama che l'uomo nella sua vita pellegrina è tanto più degno di rispetto e d'amore e di sollecitudine nelle molteplici circostanze della vita terrena proprio perché è destinato a vivere per sempre. E ogni vera cultura umana, che tenga in considerazione la dignità dell'uomo e il suo destino ultimo, è un aiuto per l'uomo a vivere in modo nobile e retto, in questa terra di pellegrinaggio. Lo stesso san Paolo rivolge questo invito alla comunità cristiana: "Fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri" (Ph 4,8).


3. Mentre su questa terra passa dalla nascita alla morte, l'uomo è consapevole d'essere un pellegrino dell'Assoluto. Qui in India questa consapevolezza è molto profonda. I vostri antichi saggi hanno espresso il tormentato anelito dell'anima verso l'Assoluto. Vi è infatti un'aspirazione all'infinito risalente alla notte dei tempi, una costante consapevolezza della presenza divina e manifestazioni a non finire di sentimenti religiosi attraverso le feste e le tradizioni popolari. E nella ricerca stessa dell'Assoluto vi è già un'esperienza del divino. Tra tutti coloro che nel corso dei secoli hanno cercato Dio, ricordiamo il famoso Agostino di Ippona, il quale, trovatolo, esclamo: "Dove dunque ti ho trovato, per conoscerti, se non in te, al di sopra di me?" ("Confessioni", 10,26). In India questa ricerca di Dio e questa esperienza di lui sono state accompagnate da grande semplicità, ascetismo e rinuncia. Tutto ciò rende grande onore all'India quale nazione religiosa generosamente impegnata nel proprio pellegrinaggio spirituale.


4. Nella rivelazione dell'antica e della nuova alleanza, l'uomo che vive nel mondo visibile, in mezzo alle cose temporali, è allo stesso tempo profondamente consapevole della presenza di Dio, che penetra tutta la sua vita. Questo Dio vivente è in realtà il baluardo ultimo e definitivo dell'uomo in mezzo a tutte le prove e le sofferenze dell'esistenza terrena. Egli anela a possedere questo Dio in modo definitivo, nel momento in cui ne sperimenta la presenza. Egli si sforza per arrivare alla visione del suo volto. Nelle parole del Salmista: "Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verro e vedro il volto di Dio?" (Ps 41,1).


5. Mentre l'uomo si sforza di conoscere Dio, di vedere il suo volto e sperimentare la sua presenza, Dio si rivolge all'uomo per rivelargli la sua vita. Il Concilio Vaticano II si sofferma a lungo sull'importanza dell'intervento di Dio nel mondo.

Esso spiega che "con la divina rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini" (DV 6). Allo stesso tempo, questo Dio misericordioso e amorevole che comunica se stesso attraverso la rivelazione rimane ancora per l'uomo un imperscrutabile mistero. E l'uomo, il pellegrino dell'Assoluto, continua per tutta la vita a cercare il volto di Dio. Ma al termine del pellegrinaggio di fede, l'uomo giunge alla "casa del Padre", ed essere in questa "casa" significa vedere Dio "a faccia a faccia" (1Co 13,12).


6. Questo vedere Dio "a faccia a faccia" è il più profondo desiderio dello spirito umano. Quanto eloquenti a questo proposito sono le parole dell'apostolo Filippo, tratte dal Vangelo di oggi, là dove egli dice: "Signore, mostraci il Padre e ci basta" (Jn 14,8). Queste parole sono effettivamente eloquenti perché danno testimonianza della sete e del desiderio più profondi dello spirito umano; ma più eloquente ancora è la risposta che dà Gesù. Spiega Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Jn 14,9). Gesù è la rivelazione del Padre; egli spiega al mondo com'è il Padre, non perché egli sia il Padre, ma perché egli è tutt'uno col Padre nella comunione della vita divina. Nelle parole di Gesù: "Io sono nel Padre e il Padre è in me" (Jn 14,11). L'uomo non deve più cercare Dio da solo. Insieme a Cristo, l'uomo scopre Dio e lo scopre in Cristo.


7. Nel Figlio, in Gesù Cristo, l'autorivelazione di Dio raggiunge la sua pienezza e il suo culmine. L'autore della Lettera agli Ebrei (He 1,1-2) sottolineo questo punto quando scrisse: "Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio".

Così Cristo è per sempre la via. Egli è la via perché è la verità. Egli fornisce la risposta ultima alla domanda: "Chi è Dio?". Testimonia l'apostolo Giovanni: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui Io ha rivelato" (Jn 1,18).

Per mezzo della sua incarnazione, Gesù Cristo, quale Figlio di Dio, rende manifesti l'amore, la sollecitudine e la misericordia del Dio eterno. E lo fa quale Figlio di Maria, Dio fatto uomo, in un modo che l'umanità può capire.

Noi "giungiamo" a Dio attraverso la verità. Attraverso la verità su Dio e attraverso la verità su tutto ciò che è al di fuori di Dio: sulla creazione, il macrocosmo, e sull'uomo, il microcosmo. Noi "giungiamo" a Dio attraverso la verità proclamata da Cristo, attraverso la verità che Cristo è realmente. Giungiamo a Dio in Cristo, il quale continua a ripetere: "Io sono la verità". E questo "giungere" a Dio, attraverso la verità che è Cristo, è la fonte della vita. E' la fonte della vita eterna che inizia qui sulla terra nell'"oscurità della fede" per giungere alla sua pienezza nella visione di Dio "faccia a faccia", nella luce della gloria, dove egli è in realtà.

Cristo ci dà questa vita, poiché egli è la vita, proprio come dice: "Io sono la vita". "Io sono la via, la verità e la vita". "Perché ti rattristi, anima mia?... Spera in Dio... Verro all'altare di Dio, al Dio della mia gioia, del mio giubilo" (Ps 42,5 Ps 42,4). Siamo venuti qui per celebrare l'Eucaristia. L'Eucaristia è il Sacramento più santo del nostro pellegrinaggio attraverso la fede. E' il nutrimento del nostro viaggio. E' il banchetto della vita. In essa noi siamo uniti con Cristo che è la Via, la Verità e la Vita. Lo rendiamo presente sotto le specie del pane e del vino nella sua morte e risurrezione. Il nostro pellegrinaggio attraverso la fede ha nell'Eucaristia il suo segno più pieno e più espressivo.

Nello stesso tempo ci uniamo gli uni agli altri in comunione fraterna. Ci uniamo all'intera Chiesa. Ci uniamo all'umanità intera e agli angeli. Rendiamo a Dio l'intera creazione. Insieme a tutti gli altri, cantiamo: "Santo, santo, santo"! E proclamiamo a tutti quello che abbiamo appreso dal cuore stesso di questa liturgia, dal cuore dell'Eucaristia: Rallegratevi! Rallegratevi con noi! Il Signore è vicino! Amen.

Data: 1986-02-01 Sabato 1 Febbraio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Ai membri della Rota Romana - Città del Vaticano (Roma)