GPII 1986 Insegnamenti - Incontro con i vescovi nella cattedrale - Delhi (India)

Incontro con i vescovi nella cattedrale - Delhi (India)

L'unità della Chiesa segno per l'umanità divisa e oppressa


Cari confratelli nell'episcopato, "Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (1Co 1,3).


1. Con grande gioia saluto voi, miei confratelli nell'episcopato, in questo primo giorno della mia visita all'India. Sono venuto come un pellegrino al santuario del popolo di Dio in questo grande Paese. Come apostolo di Gesù Cristo sono venuto per parlare dell'amore, a dare testimonianza del Vangelo dell'amore, il Vangelo di colui che si è dimostrato pastore amorevole, "il Buon Pastore". Il mio messaggio è il messaggio dell'amore di Dio: "In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché noi avessimo la vita per lui" (1Jn 4,9). E sulla base di questo amore, sono venuto qui per proclamare per la Chiesa in India quella unità che Cristo vuole per tutti i suoi seguaci, un'unità che si rifà all'unità di vita e amore esistente nella santissima Trinità.

Sono venuto da Roma per poter trascorrere questi giorni in unità e amore con voi, vescovi dell'India, con tutti voi che insieme a me avete la cura pastorale del gregge di Cristo. Questa è dunque un'ora di comunione ecclesiale, comunione nell'amore di Cristo, nell'unità della sua Chiesa e nell'unicità della nostra missione pastorale. Come Pastore della Chiesa universale debbo adempiere al dovere che mi è proprio nel servizio dell'unità della Chiesa. Per questo motivo desidero assistervi nella vostra responsabilità di pastori delle Chiese locali. Inoltre, il nostro impegno comune è quello di rendere operante il mistero della collegialità nella sua dimensione universale. Come successore di Pietro sono venuto a confermare nella fede voi e le vostre Chiese locali. Sono qui per confermarvi in tutti gli aspetti del vostro difficile ministero apostolico. Cari confratelli vescovi: sono venuto per trarre giovamento dal vostro contributo spirituale alla vita della Chiesa allo scopo di riportarlo alla Chiesa universale.


2. Il vostro ministero episcopale, così come viene esercitato oggi in India, comporta un grande privilegio e un grande compito. Perché siete chiamati all'impegno apostolico di dare testimonianza del Vangelo di Cristo fra la vostra gente. Siete chiamati a proclamare la salvezza, la misericordia e la compassione nel nome di Dio che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16).

Avete una compartecipazione diretta con Cristo nel portare la buona novella ai poveri. Voi siete i servitori dell'umanità, i messaggeri dell'amore di Dio. E tutto ciò si incentra attorno a quel mistero secondo cui Gesù Cristo "da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9). Voi date testimonianza della realtà dell'Incarnazione, nella quale Dio si identifica con la povertà dell'umanità, allo scopo di innalzare l'umanità a lui.

Giorno dopo giorno il vostro ministero si esercita nel proclamare la rivelazione di Dio: l'amore di Dio per l'uomo, la sollecitudine di Dio per il benessere dell'uomo, la preoccupazione di Dio per tutto l'uomo fatto di corpo e anima. Tutto ciò che fate è fatto in nome di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.

Tutto ciò che fate è fatto per Dio, per la sua gloria; e tutto ciò che fate è fatto per l'uomo, per il benessere e la salvezza dell'uomo. La vostra predicazione significa necessariamente dare testimonianza del "nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio" (EN 22). Allo stesso tempo significa presentare al mondo l'amore sollecito di Cristo per l'uomo, uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, uomo elevato nel mistero dell'Incarnazione e condotto a una più intima unione con Dio, uomo destinato alla vita eterna.


3. La vostra proclamazione dell'amore di Dio per l'uomo tiene anche conto dei bisogni temporali dell'uomo. Mentre la Chiesa proclama il carattere transitorio di questo mondo, essa allo stesso modo proclama la volontà di Dio di trasformare il mondo sotto ogni aspetto, così che possa essere un degno presagio del successivo.

La Chiesa insegna che "benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio" (GS 39).

Giorno per giorno nel vostro ministero di servizio siete consapevoli della profonda realtà che Paolo VI ha descritto quando scrisse: "Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi" (EN 31). Egli parlo delle necessità dei popoli "impegnati con tutta la loro energia, nello sforzo e nella lotta di superare tutto ciò che li condanna a restare ai margini della vita: carestie, malattie croniche, analfabetismo, pauperismo, ingiustizia nei rapporti internazionali e specialmente negli scambi commerciali". In tutti questi sforzi, nel nome del dare testimonianza del Vangelo, la Chiesa cerca di assicurare lo sviluppo e la liberazione autentici di milioni di esseri umani. Incessantemente la Chiesa proclama la sua convinzione che il nucleo del Vangelo è l'amore fraterno che scaturisce dall'amore di Dio. La proclamazione del nuovo comandamento dell'amore non può mai essere disgiunta dagli sforzi per promuovere lo sviluppo integrale dell'uomo nella giustizia e nella pace. Come vostro fratello in Cristo desidero assicurarvi che vi sono vicino in tutti gli sforzi che state compiendo in questo importante aspetto del vostro ministero.


4. Un'altra questione che impegna il vostro zelo è il dialogo inter-religioso.

Anche questa è una parte importante del vostro ministero apostolico. Il Signore vi chiama, soprattutto nelle particolari circostanze in cui vi trovate, a fare tutto il possibile per promuovere questo dialogo, conformemente all'impegno della Chiesa.

Fu Paolo VI che dedico gran parte della sua prima enciclica all'argomento del dialogo. Egli mise in evidenza la necessità del dialogo, delle sue condizioni, dei suoi contenuti, delle sue caratteristiche e del suo spirito. A proposito del dialogo Paolo VI affermo: "Bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo... Il clima del dialogo è l'amicizia.

Anzi il servizio" ("Ecclesiam Suam", 87).

Come vescovi, voi personificate la Chiesa amorevole di Cristo, che vuole essere aperta al mondo intero, per ascoltare e offrire amicizia e servizio. Il dialogo a cui siete chiamati è un dialogo di cortese rispetto, mansuetudine e fiducia, dal quale sono escluse tutte le rivalità e le polemiche. E' un dialogo che scaturisce dalla fede e viene condotto con amore umile. Allo stesso tempo "la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio" ("Ecclesiam Suam", 65). Essa desidera veramente parlare del destino trascendente dell'uomo, della verità, della giustizia, della libertà, del progresso, dell'armonia, della pace e della civiltà. E questo dialogo per sua natura è diretto alla collaborazione nell'interesse dell'uomo e del suo benessere spirituale e materiale. Come ministri del Vangelo qui in India, avete il compito di esprimere il rispetto e la stima della Chiesa per tutti i vostri fratelli e per i valori spirituali, morali e culturali contenuti nelle loro diverse tradizioni religiose. Nel far ciò dovete dare testimonianza delle vostre convinzioni di fede, e offrire il Vangelo dell'amore e della pace di Cristo e il suo spirito di servizio alla considerazione di coloro che liberamente desiderano meditare su di esso, così come voi stessi liberamente meditate sui valori di altre tradizioni religiose. In questo dialogo inter-religioso, che per sua natura implica collaborazione, il criterio supremo è la carità e la verità. Voi stessi avrete sempre presente l'esortazione di san Paolo: "Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo" (Ep 4,15).


5. Il vostro impegno pastorale di dare testimonianza del Vangelo di Cristo deve implicare "una chiara proclamazione che, in Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, morto e risuscitato, la salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso" (EN 27). Ciò deve essere fatto nel debito rispetto per la grande sfida dell'"inculturazione". La rivelazione di Dio ha avuto luogo in una cultura specifica, ma sin dall'inizio era destinata a tutte le culture. E' compito della Chiesa portare la buona novella della salvezza a tutte le culture e presentarla in modo che sia in sintonia con lo spirito di ogni popolo. Il compito che ci aspetta è il compito di tradurre il tesoro della fede, nell'originalità del suo contenuto, nella legittima varietà di espressioni di tutti i popoli del mondo. Il nucleo della sfida è stato espresso nel Sinodo dei vescovi del 1974, e venne successivamente così formulato: "Le chiese particolari profondamente amalgamate non solo con le persone, ma anche con le aspirazioni, le ricchezze e i limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo... hanno il compito di assimilare l'essenziale del messaggio evangelico, di trasfonderlo, senza la minima alterazione della sua verità fondamentale" (EN 63).

Nel compito di assicurare un genuino e fedele adattamento, i vescovi delle Chiese locali hanno una responsabilità specifica. Questa è esercitata in stretta collaborazione con la Santa Sede e in comunione con tutta la Chiesa.

Implica discernimento, che a sua volta richiede preghiera, studio e consultazione: un discernimento sorretto da un carisma pastorale. I vescovi hanno una responsabilità particolare nei confronti dell'inculturazione liturgica, che ha lo scopo di offrire "le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8) con efficacia sempre maggiore nella vita della pratica della Chiesa.

Qui sono necessari ulteriore riflessione e studio. Qui è anche importante che la verifica dottrinale e la preparazione pastorale dei fedeli debbano sempre precedere l'applicazione di norme liturgiche. Questa applicazione deve mostrare il dovuto rispetto per le differenti sensibilità religiose delle persone all'interno della comunità ecclesiale, mentre la preferenza di individui e gruppi deve essere subordinata ai requisiti di unità ecclesiale nel culto.

Inoltre, tutta l'inculturazione liturgica deve essere effettuata con carità e comprensione pastorali.


6. Gli argomenti summenzionati - la proclamazione del Vangelo, dialogo inter-religioso e inculturazione - sono veramente materie che riguardano il benessere di tutta la Chiesa e per questo motivo richiedono la collaborazione di tutti i settori della comunità ecclesiale. Comunque, è importante sottolineare lo specifico contributo del clero a questi aspetti della vita, sotto la guida dei vescovi. Il ministero sacerdotale è al servizio diretto della parola di Dio. Il sacerdote è un araldo e servitore del Vangelo, chiamato al dialogo di salvezza con i suoi fratelli.

L'efficacia del ministero sacerdotale dipenderà in larga misura dalla loro preparazione. Questa preparazione, sia nella sua dimensione spirituale che intellettuale, è legata alla parola di Dio, alla comprensione, accettazione e applicazione della parola di Dio. I sacerdoti sono chiamati a comunicare ai fedeli la parola di Dio in tutta la sua purezza e integrità. La Chiesa, per poter essere in grado di trasmettere fedelmente la Parola di Dio e viverla pienamente, gode di un particolare carisma apostolico e pastorale che va a beneficio dell'intera comunità dei fedeli. Questo carisma è il magistero della Chiesa, un dono dello Spirito Santo e un dono che è totalmente al servizio della Parola di Dio. La fedeltà completa a questo magistero è una caratteristica essenziale di tutta la formazione effettiva dei seminaristi e di tutti i programmi di formazione permanente del clero. Questa fedeltà è una garanzia dell'efficacia soprannaturale della vita e del ministero sacerdotale. Viene coltivata attraverso l'umiltà del cuore e nella preghiera.


7. Il nucleo di tutta la vostra sollecitudine pastorale, cari confratelli, è l'unità della Chiesa. Nella sua unità riconosciamo la più grande delle benedizioni, il desiderio del Cuore di Gesù, l'espressione di fedeltà al Signore, il segno della credibilità della sua Chiesa e il segno della credibilità della missione stessa di Cristo. Nell'unità della Chiesa vediamo la ragione per cui Cristo è morto: "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52).

Il Concilio Vaticano II ha sottolineato non soltanto l'unità della Chiesa, ma anche la sua vocazione ad essere un segno dell'unità dell'umanità, così spesso divisa da rivalità etniche, politiche, culturali e linguistiche e oppressa da ogni genere di tensioni. Chiamata ad adempiere alla propria missione nel mondo moderno, sa che deve vivere in se stessa il mistero dell'unità. Questa vocazione che le è propria porta con sé una necessità di riconciliazione dove l'unità è stata indebolita, danneggiata o distrutta.

Sappiamo che l'unità è la volontà di Dio. La Chiesa è chiamata a vivere dalla grazia nell'unità della santissima Trinità. La preghiera di Cristo per l'unità si applica ad ogni situazione nella Chiesa. "Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te" (Jn 17,21). Le Chiese locali sono chiamate a riflettere questa unità in tutte le loro relazioni interne: fra i vescovi, il clero, i religiosi e i laici. In ciascuna Chiesa locale sussiste l'unità della Chiesa cattolica. Anche la comunione fra le Chiese locali è un'espressione del mistero dell'unità che la Chiesa universale riceve dallo Spirito Santo. La comunione con il Vescovo di Roma garantisce la cattolicità delle Chiese individuali e fa si che i vescovi siano compartecipi del mistero della collegialità episcopale. Il singolo vescovo è il principio visibile e il fondamento di unità nella sua Chiesa particolare, così come il successore di Pietro è la sorgente e il fondamento di unità perpetuo e visibile per i vescovi e tutti i fedeli (cfr LG 23).

Quando meditiamo sul mistero dell'unità ecclesiale e della comunione fra le Chiese, riusciamo a comprendere l'immensa importanza che tutta la tradizione patristica attribuiva a questo elemento della vita della Chiesa. Riusciamo a comprendere quanto sia importante risolvere tutti i problemi che sorgono all'interno della Chiesa, così come i problemi con le Chiese separate e le Comunioni ecclesiali. A questo proposito è anche necessario incoraggiare l'intima comunione e collaborazione fra i differenti riti della Chiesa, così che, nei rapporti fra loro le Chiese possano vivere l'unità secondo la volontà di Cristo.

So che qui in India si stanno compiendo sforzi sinceri per arrivare a questo. Per quanto riguarda i problemi inter-rituali ancora irrisolti, la Santa Sede si sta sforzando di essere di aiuto. La questione è da lungo tempo allo studio. I diversi punti di vista sono stati presentati con sincerità e profonda convinzione. La fase finale di questo studio verrà portata a termine quanto prima.

Siate certi che faro il possibile per garantire un giusto ed equo accomodamento della questione, che terrà conto di tutte le esigenze pastorali di unità e verità.

Ho una grande fiducia che la decisione della Santa Sede riceverà il pieno sostegno di tutti i vescovi.


8. Cari fratelli vescovi: vi sono molti aspetti del vostro sacro ministero sui quali vorrei riflettere con voi, ma è impossibile considerarli tutti. Tuttavia vorrei sottolineare ancora una volta l'estrema importanza del sacramento della Penitenza per attuare quel rinnovamento della Chiesa voluto dal Concilio Vaticano II. La Chiesa ha sempre proclamato la necessità della penitenza e del pentimento per una piena partecipazione all'efficacia redentrice dell'Eucaristia, che è centro e vertice di tutta la vita sacramentale. Dall'inizio del mio pontificato ho sottolineato la necessità di insistere sull'importanza della confessione individuale. Nella mia prima enciclica ho affermato: "Osservando fedelmente la plurisecolare prassi del sacramento della Penitenza - la pratica della confessione individuale, unita all'atto personale di dolore e al proposito di correggersi e di soddisfare - difende il diritto particolare dell'anima umana. E' il diritto a un più personale incontro dell'uomo con Cristo crocifisso, che perdona" (RH 20). Sono felice di notare la grande fedeltà della Chiesa in India a questo proposito e sono certo che, con il vostro continuo incoraggiamento, il clero, i religiosi e i laici approfitteranno sempre di più del grande tesoro di amore, perdono e riconciliazione che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa nel sacramento della Penitenza.


9. In modo particolare i laici sono chiamati a collaborare negli aspetti della vita della Chiesa che riguardano l'ordine temporale. I loro campi di attività comprendono la politica, i problemi sociali, l'economia, la cultura, le scienze, le arti, la vita internazionale ed i mezzi di comunicazione sociale (cfr EN 70). La Chiesa, nel suo servizio al mondo, deve fare sempre più affidamento sul contributo dei laici. I laici, per quanto riguarda l'assistenza ai poveri, la lotta contro la fame e la promozione dello sviluppo umano, le riforme sociali e la pace, sono in una posizione particolare che permette loro di assumere ruoli di servizio e di guida. La piena applicazione del Concilio Vaticano II richiede una sempre maggiore consapevolezza del ruolo dei laici nel rinnovare l'ordine temporale nella giustizia e nella carità. "Dovunque c'è chi manca di cibo e bevanda, di vestito, di casa, di medicine, di lavoro, di istruzione, dei mezzi necessari per condurre una vita veramente umana, chi è afflitto da tribolazioni o da malferma salute, chi soffre l'esilio o il carcere, ivi la carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto" (AA 8). E' inutile sottolineare che vanno adempiuti innanzitutto "gli obblighi di giustizia perché non si offra come dono di carità ciò che è già dovuto a titolo di giustizia".

Nel percorrere questa via di carità e di giustizia ad ogni livello, la Chiesa cerca unicamente di essere fedele alla propria vocazione di rendere un servizio amorevole al mondo nel nome di Gesù.


10. In occasione di questo mio pellegrinaggio in India, desidero esprimere la profonda ammirazione della Chiesa per tutti coloro che hanno dato testimonianza del Vangelo in questo Paese, per tutti coloro che vi hanno preceduto "segnati dal marchio della fede". Con sentimenti di profonda gratitudine la Chiesa rende omaggio alle generazioni di missionari che hanno compiuto sacrifici eroici per venire in questo vostro Paese. Hanno offerto generosamente le loro vite per il Vangelo e in altruistico servizio ai poveri e ai bisognosi. La Chiesa rende lode e adorazione alla santissima Trinità per le meraviglie compiute dalla parola rivelata di Dio nei cuori di milioni di vostri connazionali.

La mia ultima parola di gratitudine è rivolta a voi, i pastori del gregge. Nel nome di Gesù, "il Supremo Pastore" (1P 5,14) e "guardiano delle vostre anime" (1P 2,25), vi ringrazio per la vostra proclamazione dell'amore salvifico di Dio. Ringrazio anche tutti i vostri collaboratori nel proclamare il Vangelo: coloro che sono araldi insieme a voi della buona novella della salvezza, servi dei poveri, messaggeri di pace, testimoni di amore, artefici di unità e discepoli di Gesù Cristo, il Figlio di Dio e il Salvatore del mondo.

Raccomando voi e il vostro ministero all'amorevole sollecitudine di Maria, la Madre della Chiesa, e prego che ella sostenga voi tutti nella gioia fino al giorno di Cristo Gesù.

Data: 1986-02-01 Sabato 1 Febbraio 1986




Omelia alla Messa nello stadio "Indira Gandhi" - Delhi (India)

Giustizia, pace, sviluppo umano integrale nell'evangelizzazione



1. "Sollevate, porte, i vostri frontali, / alzatevi, porte antiche, / ed entri il Re della gloria" (Ps 23,7).

Cari fratelli e sorelle in Cristo, queste parole del Salmo dell'odierna liturgia si riferiscono all'antico tempio di Gerusalemme. Le porte del tempio devono essere spalancate perché entri il Re della gloria. Nella festa che stiamo celebrando, la Presentazione del Signore, commemoriamo la prima volta in cui il Re della gloria entro nel suo tempio a Gerusalemme quale Verbo Incarnato.

Oggi siamo riuniti nella capitale dell'India, quasi ai piedi delle più alte montagne del mondo. E in questa occasione rivolgiamo l'invocazione del salmista a un altro tempio di Dio, al tempio costituito dal mondo intero, visibile e invisibile. Dio è presente in questo mondo, tuttavia vuole avvicinarsi ancora di più. Possano dunque le vette del monti Himalaya, "il tetto del mondo", innalzarsi alla venuta del Signore. Allo stesso tempo, possano le porte delle antichissime culture, la cui culla è in questa terra, aprirsi dinanzi al Signore. Dio è presente nel cuore stesso delle culture umane perché è presente nell'uomo - l'uomo che è creato a sua immagine -, che è l'artefice della cultura. Dio è presente nelle culture dell'India. E' stato presente in tutte quelle persone che hanno contribuito con la loro esperienza e aspirazioni alla formulazione di quei valori, usanze, istituzioni e arti che costituiscono il patrimonio culturale di questa antica terra. E il Re della gloria vuole entrare in queste culture in modo ancor più completo; vuole entrare in ciascun cuore umano che voglia aprirsi a lui: "Sollevate, porte, i vostri frontali, / alzatevi, porte antiche, / ed entri il re della gloria".


2. Si, nella festa della Presentazione Dio entra nel suo tempio quale "re della gloria". Ma "chi è questo re della gloria?" (Ps 23,8). La festa di oggi ce ne dà la risposta.

Guardiamo Maria e Giuseppe che portano al tempio di Gerusalemme un infante. E' il 40° giorno della sua nascita. Ed essi lo presentarlo al tempio per adempiere a un precetto della legge. Ma con la loro obbedienza stanno adempiendo a molto di più che alla legge. Si stanno adempiendo tutte le profezie degli antichi.

Poiché Maria e Giuseppe stanno portando al tempio la "luce di tutte le nazioni".

Dio entra nel tempio non quale potente dominatore, ma come un bambinello nelle braccia della madre. Il Re della gloria non viene accompagnato da una dimostrazione di forza e di potere umani, non con grande strepito e rumore, non causando terrore e distruzione. Entra nel tempio come è entrato nel mondo, come un infante nel silenzio, nella povertà e in compagnia dei poveri e dei saggi. Dio viene come un bambino: Dio il Creatore di tutto, l'onnipotente Signore del cielo e della terra, il Re della gloria. Il primo ingresso di Dio nel tempio del suo popolo è avvolto nel mistero della piccolezza, la sua potenza è celata nella semplicità e nell'essere indifeso. La sua venuta è completamente avvolta nel mistero.


3. Inaspettatamente, dal centro stesso del mistero, si ode una voce. E' il vecchio Simeone a parlare, poiché il Vangelo ci dice: "Lo Spirito Santo... era su di lui" (Lc 2,26). Dunque Simeone parla da profeta. Ciò che egli dice lascia meravigliati.

Egli parla in lode di Dio, dicendo: "Ora lascia, o Signore... perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,29-32).

Sono parole sorprendenti per esser dette a proposito di un infante.

Eppure la profezia di Simeone è vera. E le parole del Salmo si adempiono. Colui che è entrato nel tempio di Gerusalemme come un infante diverrà la luce e la salvezza del mondo intero. In questo modo, portando luce e salvezza, egli viene come Re della gloria.


4. Ma in che modo instaurerà questo Re il proprio "regno della gloria" sulla terra? In che modo Gesù, che era nato a Betlemme, sarebbe divenuto luce e salvezza del mondo? Simeone risponde a questa domanda quando parla di un "segno di contraddizione" (cfr Lc 2,34). Queste parole rivelano tutto il cammino messianico di Cristo dalla nascita sino alla morte sulla croce.

Benché sia la luce per la rivelazione a tutte le nazioni, Gesù è destinato a essere nel proprio tempo, e in ogni epoca, un segno denigrato, un segno osteggiato, un segno di contraddizione. Ciò era stato vero per i profeti di Israele prima di lui. Era vero per Giovanni Battista e sarebbe stato vero per le vite di coloro che lo avrebbero seguito. Egli compi grandi segni e miracoli: guari i malati, moltiplico i pani e i pesci, calmo le tempeste, riporto in vita i morti.

Le folle accorrevano a lui da ogni dove e lo ascoltavano con attenzione, perché parlava con autorità. E tuttavia incontro una dura opposizione da parte di coloro che si rifiutavano di aprire a lui il proprio cuore e la propria mente. Alla fine l'espressione più tangibile di questa contraddizione la troviamo nella sua sofferenza e morte sulla croce. La profezia di Simeone si dimostro vera: era vera riguardo alla vita di Gesù ed è vera riguardo alla vita dei suoi seguaci, in ogni terra e in ogni tempo.


5. così la croce diviene luce; la croce diviene salvezza. Non è forse questa la buona novella per i poveri e per tutti coloro che conoscono l'amaro sapore della sofferenza? Qui in India, e in molti altri luoghi del mondo, vi sono milioni di poveri, ed essi condividono la croce di Cristo perché Cristo sulla croce ha preso su di sé tutte le croci del mondo. C'è la croce della fame a causa della quale innumerevoli uomini, donne e bambini sono privati del loro "pane quotidiano", e il cuore di molti genitori è colmo d'angoscia nel vedere i loro bambini denutriti o addirittura in fin di vita già nell'infanzia. Tanti altri vivono nella povertà e nella sofferenza, là dove sono vittime delle malattie, impotenti e in balia della disperazione.

La croce di Cristo è la luce del mondo e tuttavia la croce della povertà, la croce della fame, la croce di ogni altra sofferenza possono essere trasformate, perché la croce di Cristo è divenuta una luce nel nostro mondo. Essa è una luce di speranza e di salvezza. Essa dà significato a tutte le sofferenze umane. Porta con sé la promessa di una vita eterna libera dal dolore e dal peccato. La croce fu seguita dalla risurrezione. La morte venne sconfitta dalla vita. E tutti coloro che sono uniti al Signore crocifisso e risorto possono aspettarsi di partecipare a questa stessa vittoria.

La croce di Cristo ci ha ottenuto libertà dalla schiavitù del peccato e della morte. Questa libertà, questa liberazione, è così fondamentale e onnicomprensiva da richiedere una libertà da tutte le altre forme di schiavitù che sono legate all'introduzione del peccato nel mondo. Questa liberazione esige una lotta contro la povertà. E richiede che tutti coloro che appartengono a Cristo si impegnino in tenaci sforzi per alleviare le sofferenze dei poveri. Ecco perché la missione di evangelizzazione della Chiesa comprende un'energica e sostenuta azione a favore della giustizia, della pace e dello sviluppo umano integrale. Non adempiere a questi compiti significherebbe venir meno all'opera di evangelizzazione; sarebbe tradire l'esempio di Gesù che venne "per annunziare ai poveri un lieto messaggio" (Lc 4,18); sarebbe in realtà un rifiuto delle conseguenze dell'Incarnazione, nella quale "il Verbo si fece carne" (Jn 1,14).


6. La Chiesa in India sta da molti anni dando importanti contributi allo sviluppo di questo paese e al sollievo dei problemi legati alla povertà. L'opera di madre Teresa di Calcutta e di molti altri sono eloquente testimonianza di questo impegno, come lo sono i notevoli risultati conseguiti da molte istituzioni cattoliche nel campo dell'educazione, della sanità e dei servizi.

Allo stesso tempo, i cristiani qui e all'estero hanno applaudito agli sforzi compiuti da molti altri in India per alleviare i mali della miseria e per superare atteggiamenti e strutture che hanno mantenuto nella schiavitù della povertà milioni di uomini. Vi è l'imponente contributo del Mahatma Gandhi, che ha aiutato a infrangere le barriere e le divisioni sociali e ha reso possibile una nuova era di unità e di progresso. "Noi siamo tutti uguali. E' il contatto col peccato a contaminarci, e mai quello con un altro essere umano. Nessuno è in alto e nessuno è in basso per chi voglia dedicare la propria vita al servizio altrui" ("The Diary of Mahadev Desai"). Egli si erge a simbolo delle più elevate qualità e valori del popolo indiano, e viene ammirato in ogni parte del mondo. Anche Rabindranath Tagore ha contribuito a formare lo spirito dell'India moderna. Pur apprezzando l'importanza della tecnologia e del progresso materiale, egli vi ha aiutati a valorizzare il primato dei valori spirituali.


7. Tanti altri potrebbero essere citati, persone che hanno svolto un ruolo importante nel sollevare le condizioni dei poveri, persone che sono care ai vostri cuori e che in molti casi sono profondamente rispettate e ammirate in tutto il mondo. I nobili sforzi di questi grandi uomini e donne dell'India, sforzi tendenti a promuovere la liberazione sociale e lo sviluppo umano integrale, sono in sintonia con lo spirito del Vangelo. Tutti coloro che fanno progredire la dignità e la libertà dei loro fratelli e delle loro sorelle sono benedetti agli occhi di Cristo, re della gloria. Attraverso i loro sforzi, tali persone contribuiscono a creare una civiltà dell'amore, nella quale il ricco dividerà di buon grado col povero, nella quale il povero sarà libero dalla fame e dal bisogno, e nella quale ciascuno giungerà a rendersi conto che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4).


8. Ma una tale civiltà non esiste ancora appieno, e numerosi ostacoli si frappongono alla sua completa realizzazione. In questa solennità della Presentazione del Signore, nel momento in cui contempliamo l'ingresso del Signore nel suo tempio, dobbiamo ricordare le parole del profeta Malachia (Ml 3,1-3), proclamate nella prima lettura della liturgia odierna: "E subito entrerà nel suo tempio il Signore... chi sopporterà il giorno della sua venuta?... Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare".

Tanti problemi della vita sociale in India e in tutto il mondo hanno bisogno di affinamento e di purificazione. Individui e gruppi hanno bisogno di guarigione e di riconciliazione. Ignoranza e pregiudizio devono essere sostituiti da tolleranza e comprensione. Indifferenza e lotta di classi devono tramutarsi in fratellanza e servizio impegnato. Le discriminazioni basate sulla razza, sul colore, sul credo, sul sesso o sull'origine etnica devono essere rifiutate come del tutto incompatibili con la dignità umana. Si, il Signore verrà a purificare le nostre menti e i nostri cuori, ad affinare i nostri intenti. Accogliamolo con gioia e accettiamo la sua grazia di pentimento.


9. Venerabili fratelli e cari fratelli e sorelle: fratelli vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, uomini e donne dalle arcidiocesi di Delhi e di Agra, dalle diocesi di Ajmer e di Jaipur, di Allahabad, di Bijnor, di Gorakhpur, di Jhansi, di Jullundur, di Lucknow, di Meerut, di Simla e di Chandigarh, di Udaipur e di Varanasi, dalle prefetture apostoliche di Jamnu e del Kashmir e dal Regno del Nepal: oggi, nella solennità della Presentazione del Signore, le vette delle montagne più alte del mondo si innalzano. Le porte delle più antiche culture della terra sono aperte.

Accogliete colui che Maria e Giuseppe ci conducono nel mistero della liturgia odierna. Egli è un "segno di contraddizione". Ma è anche la "luce per illuminare le genti". Egli è la "luce del mondo": grazie alla sua nascita in povertà quella notte a Betlemme, grazie al Vangelo delle Beatitudini, grazie alla croce e alla risurrezione. Egli è stato veramente fatto come noi, suoi fratelli e sorelle. E' stato fatto come i figli e le figlie di questa antica terra. "Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova" (He 2,18). E' in grado di aiutare tutti noi. Egli si prende cura di tutti, proprio come si prende cura del figlio di Abramo. Infine egli si prende cura di noi attraverso il cuore di sua Madre, Maria. Ai piedi della croce, il cuore di sua Madre venne trafitto, "perché siano svelati i pensieri di molti cuori" (Lc 2,35).

Gesù Cristo è la luce che rivela i pensieri dei nostri cuori. Gesù Cristo è la verità che libera. Accogliamolo. Accogliamolo con fede e con amore.

Amen.

Data: 1986-02-02 Domenica 2 Febbraio 1986





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