GPII 1986 Insegnamenti - A un gruppo di giornalisti - Città del Vaticano (Roma)

A un gruppo di giornalisti - Città del Vaticano (Roma)

Il giornalista, "uomo della verità"


Signori giornalisti, cari amici giornalisti!


1. Sono lieto di questa udienza, come di ogni incontro con esponenti del mondo giornalistico, che sento vicino e apprezzo molto. Voi siete operatori, servitori, artisti della parola. Svolgete ruoli importanti e delicati, molteplici in se stessi e nelle loro irradiazioni. Molti aspetti del vostro nobile e arduo lavoro vi offrono particolari opportunità di cooperare con la missione tipica della Chiesa, che è quella di annunziare la Parola. Questa singolare affinità spiega l'attenzione che la Chiesa ha avuto e ha per voi. E' perciò con sentimenti di stima, di comprensione e di amicizia, che vi accolgo e vi porgo il mio fervido saluto.

Saluto innanzi tutto i dirigenti dell'Unione cattolica della stampa italiana del Lazio, e li ringrazio per aver promosso, come altre volte agli inizi dell'anno, la simpatica iniziativa che vi ha qui convocati. Uno speciale pensiero rivolgo ai familiari che vi accompagnano. La vostra gradita presenza, cari fratelli e sorelle, accentua il clima di cordialità che pervade il nostro incontro. Grazie anche a voi, dunque, per la vostra partecipazione.


2. La "ricerca di una nuova identità del giornalista" è il tema della tavola rotonda a cui vi siete or ora applicati, quasi a preludio di questo incontro.

E' un problema importante. In certo modo, è problema di sempre. Il giornalista che vuole esercitare con serietà la sua professione - qualunque sia il settore affidatogli nel vastissimo campo dei "mass-media" - si scopre incessantemente sollecitato a un'analisi del genere, per una sempre maggior presa di coscienza delle sue funzioni e della sua responsabilità nel mondo contemporaneo. Nel nostro tempo tale ricerca riveste urgenze particolari. Il giornalismo, infatti, viene a trovarsi ai crocevia dei fenomeni che segnano le vertiginose trasformazioni dell'èra planetaria.

Trasformazioni di mentalità e di modi di vivere, in stretta dipendenza dalle accelerazioni della cosiddetta rivoluzione tecnologica, le quali determinano in larga misura i mutamenti che tutti conosciamo nell'assetto della società e sul volto della civiltà. Nascono esigenze e richieste nuove. Accanto a nuove risorse, sorgono nuove difficoltà.


3. Grandi scelte si impongono. Ma si impone previamente una scelta di fondo, che tenga presente lo scopo originario del giornalismo degno di questo nome: cioè il servizio della comunicazione sociale, destinata ad arricchire il patrimonio conoscitivo e formativo individuale e ad offrire alla comunità un efficace strumento di crescita civile, spirituale e morale.

Il criterio di base, a cui è connessa la soluzione dei vari problemi emergenti, non può essere che il rispetto della verità. Un rispetto assoluto e totale, sganciato da ogni equivoco, alieno di ogni sofisma. Coniugato invece con quelle doti umane che fanno naturale corona alla verità e intessono il prezioso corredo della serietà e della probità professionale.

Coinvolto inevitabilmente nella potenza e rapidità dei mezzi di diffusione, quali la tecnica offre, il giornalista non può non sentire il peso della propria responsabilità. così egli deve essere l'uomo della verità.

L'atteggiamento che assume nei confronti della verità qualifica in modo definitivo la sua carta d'identità, anzi la statura della sua professionalità come operatore dell'informazione, in direzione di una duplice fedeltà: anzitutto alla propria missione; poi al patto di fiducia con coloro ai quali è rivolto il suo servizio.

Bisogna avere il coraggio e la sincerità di proclamare apertamente che tutte le forme di falsificazione e di deformazione - di cui non mancano purtroppo clamorosi esempi - sono un vero e proprio snaturamento del giornalismo. Le associazioni e le organizzazioni di categoria, specialmente quelle cattoliche, non possono esitare a farne un punto qualificante nella trattazione della problematica corrente.


4. Il rispetto della verità richiede un impegno serio, uno sforzo accurato e scrupoloso di ricerca, di verifica, di valutazione. Su questo punto vorrei restringere per un momento lo sguardo all'orizzonte ecclesiale.

Il mio predecessore Giovanni Paolo I - il quale, come sapete, aveva avuto una singolare familiarità col giornalismo - proprio in quest'aula, tra le affabili espressioni che rivolse ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione sociale, sottolineo la necessità di "entrare nella visuale della Chiesa, quando si parla della Chiesa". E aggiunse: "Vi chiedo sinceramente, vi prego anzi di voler contribuire anche voi a salvaguardare nella società odierna quella profonda considerazione per le cose di Dio e per il misterioso rapporto tra Dio e ciascuno di noi, che costituisce la dimensione sacra della realtà umana" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo I", p. 37). Questa, cari amici giornalisti, è anche la mia richiesta e il mio invito. Seguendo, per quanto possibile, le vostre corrispondenze - che sono uno degli strumenti per il mio colloquio con le più varie manifestazioni del pensiero - rilevo con gratitudine l'apporto che voi date alla conoscenza della realtà ecclesiale. Ma non è sempre così. Talvolta la "visuale della Chiesa" è ignorata e deturpata. Insegnamenti e attività, invece di essere passati al vaglio di una serena acribia, soggiacciono ad analisi pregiudiziali, nelle quali l'interpretazione soggettiva sacrifica o annulla l'informazione oggettiva. Allora la ferita è inferta, prima ancora che alla Chiesa, alla verità.

Questa osservazione, pertanto, pur riguardando la Chiesa, si estende all'intero dinamismo della verità, che abbraccia tutti i genuini valori. Basti notare che la verità è l'indissolubile alleata della libertà d'espressione, e quindi il principale coefficiente di progresso in tutti i campi del vivere umano.

Non per nulla i regimi oppressori della libertà creano a proprio uso e consumo "verità" che invece sono plateali menzogne.

Viene, qui, spontaneo, il richiamo all'eroica figura del sacerdote carmelitano Tito Brandsma, che ho avuto la gioia di ascrivere tra i beati.

Valoroso giornalista, internato e ucciso in un campo di morte per la sua strenua difesa della stampa cattolica, egli resta il martire della libertà di espressione contro la tirannide della dittatura.


5. Impegni e responsabilità peculiari sgorgano dalla vocazione cattolica al giornalismo. Nella fervida stagione - anche se non priva di difficoltà - che stiamo vivendo a vent'anni dal Concilio e dopo la recente assemblea straordinaria del Sinodo che del Concilio ha riproposto orientamenti e direttive, i mezzi di comunicazione sociale dichiaratamente cattolici o di ispirazione cattolica sono chiamati ad assolvere ruoli di profonda incidenza, fornendo notizie e giudizi illuminati da vera fede ecclesiale.

Mi limito a ricordare il contributo al dialogo che la Chiesa ha intrecciato e va assiduamente sviluppando a molteplice raggio sia a livello umano che religioso, sia nel proprio ambito interno. Rimangono di viva attualità i capitoli che a questo affascinante tema ha dedicato Paolo VI nell'enciclica "Ecclesiam Suam", nei quali egli affida anche alla stampa le sue lungimiranti sollecitudini sull'argomento.

Nella circolazione dell'umano discorso, il dialogo "indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva e abituale, la vanità di inutile conversazione. Se certo non mira a ottenere immediatamente la conversione dell'interlocutore, perché rispetta la sua dignità e la sua libertà, mira tuttavia al di lui vantaggio e vorrebbe disporlo a più piena comunione di sentimenti e di convinzioni" ("Ecclesiam Suam", 81).

Queste caratteristiche qualificano il rapporto di dialogo intraecclesiale, che deve irrobustire l'unità attraverso la voce delle legittime varietà, e formare un'opinione pubblica sempre più consapevole e matura. Un dialogo, perciò, "intenso e familiare", "sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e spirituale", "pronto a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo", "capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti", come ancora ha scritto il mio predecessore nella "Ecclesiam Suam" (n.117).

Compiti tanto gravi e delicati richiedono quell'arricchimento interiore, che il cattolico ricava da una costante formazione spirituale. Tito Brandsma non avrebbe potuto essere il docente, il giornalista, lo scrittore che è stato nel vortice di un dramma immane, se non avesse attinto alla fonte di un'intensa spiritualità personale.


6. Cari Giornalisti! A conclusione del nostro incontro, lasciate che io vi inviti a porre sempre l'accento sugli aspetti positivi e gratificanti della vostra professione. La complessità di situazioni e problemi, mentre incombono radicali mutamenti, fa inevitabilmente emergere le difficoltà di questo lavoro, già per se stesso impegnativo. Ma le difficoltà non possono scoraggiare. Devono piuttosto mettere maggiormente in luce il bene che può circolare nei cuori e nei vari strati della convivenza umana attraverso il vostro specifico lavoro.

Voi siete in certo modo tra i qualificati protagonisti di dialogo a raggi più diversi e siete tra coloro che plasmano la pubblica opinione: così ho affermato nel Messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, la quale avrà per tema il contributo dei mass-media alla formazione cristiana dell'opinione pubblica. Avete davanti a voi obiettivi di incalcolabile portata. Siatene fieri.

Di vero cuore vi auguro ogni migliore esito nell'assolvimento dei vostri compiti, mentre invoco sulla vostra attività e sulle vostre persone, come anche su tutti i vostri cari, le più elette grazie celesti.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-02-28 Venerdi 28 Febbraio 1986




Al seminario internazionale "Pro vita" - Città del Vaticano (Roma)

Favorendo la vita si difende la verità di Dio sull'uomo


Cari fratelli.


1. Sono felice di darvi il benvenuto in Vaticano come partecipanti al seminario patrocinato dalla Federazione Internazionale per il diritto alla vita. Siete venuti a Roma spinti da un enorme interesse per la vita umana, per cercare di approfondire la comprensione dei problemi critici che riguardano la protezione della vita umana, dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Siete spronati a questo dalla precisa convinzione della grande dignità e del valore presente in ogni essere umano, non importa quanto debole sia o quanto non protetto dalla legge. Sono felice di avere questa occasione per incoraggiarvi e per dare il mio appoggio fervido ai vostri sforzi importanti.


2. Il lavoro nel quale vi siete impegnati richiede una chiara conoscenza di tutti i problemi relativi così come vuole una grande forza d'animo e una paziente perseveranza. Voi provenite da differenti ambienti e da differenti situazioni sociali, ma nei vostri sforzi per proteggere il diritto alla vita avete avuto tutti esperienza di critiche e di opposizioni organizzate. In molte parti del mondo il movimento per la vita si oppone nella società ad altre correnti di opposti orientamenti. In tale contesto il consiglio di san Paolo in questa Lettera ai Romani è particolarmente rilevante per voi. Egli scrive: "Non siate conformi a questo mondo, ma siate trasformati dal rinnovamento della vostra mente, perché possiate capire ciò che è il volere di Dio, ciò che è buono, accettabile e perfetto" (Rm 12,2). Ciò di cui si ha bisogno è il coraggio di parlare della verità chiaramente e con fermezza, ma mai con astio o irriverenza verso qualcuno.

Dobbiamo essere fermamente convinti che la verità rende le persone libere (cfr Jn 8,32).

Questo non è solo un tentativo di persuasione o uno sfoggio di personale eloquenza, anche se ciò potrebbe comunque essere di aiuto, ma è la verità stessa, fonte prima della libertà e della giustizia. Essere per la vita quindi, difendere il diritto alla vita, significa schierarsi per la verità, specialmente per la verità riguardante la dignità che ci è data da Dio e l'importanza di ogni essere umano. E' molto incoraggiante vedere quanti uomini di buona volontà in ogni parte del mondo abbraccino coraggiosamente la verità sostenendola con fatti e con convincenti ragioni scientifiche e morali.


3. Elogio il vostro desiderio di incoraggiare e di promuovere una collaborazione tra tutti gli uomini e gruppi coinvolti nel movimento per il diritto alla vita. Ed è solo attraverso sforzi comuni e attraverso una reale solidarietà che gli obiettivi desiderati potranno essere raggiunti.

La vostra organizzazione si interessa giustamente ad un gran numero di problemi relativi alla vita umana. Allo stesso tempo pero capisce la necessità di mettere a fuoco alcuni di essi che domandano urgente attenzione e azione, come il peccato dell'aborto, dell'infanticidio, dell'eutanasia e della contraccezione, ognuno dei quali è intimamente sentito e trattato dall'insegnamento della Chiesa.

Qualsiasi sforzo e tentativo da voi intrapreso deve essere l'espressione di una vera filosofia sulla vita basato sul credo che Dio è il Signore e il creatore di ogni vita.


4. Sapete che la Chiesa condivide i vostri interessi. Essa ritiene una parte importante della sua missione lavorare per la protezione e per la dignità della vita umana, opponendosi alla mentalità anti-vita che minaccia le ragioni dell'esistenza dei diritti umani. Come ho affermato nella mia esortazione apostolica sul ruolo della famiglia cristiana nel mondo moderno: "La Chiesa crede fermamente che la vita umana, anche se debole e sofferente sia sempre uno splendido dono della bontà di Dio. Contro il pessimismo e l'egoismo che proiettano un'ombra sul mondo, la Chiesa si schiera per la vita: in ogni vita umana essa vede lo splendore di quel "Si", di quell'"Amen", che è Cristo stesso. Al "No" che assale e affligge il mondo, la Chiesa replica con il suo vivo "Si", difendendo così il mondo e l'esistenza umana da tutti coloro che, cospirando contro questa, la danneggiano" (FC 30).

Siate certi così del mio grande interesse verso i vostri meritevoli sforzi e propositi. Sono convinto che la grande influenza del movimento per la vita nel mondo e l'enorme importanza del suo contributo dato all'umanità sarà adeguatamente capiti solo quando la storia di questa generazione sarà scritta.

Possa il vostro vitale contributo essere benedetto da Dio "nel quale viviamo, ci muoviamo e abbiamo il nostro essere" (Ac 17,28). Possa egli rinvigorirvi con la sua grazia e il suo amore. Possa benedire voi e le vostre famiglie con la sua pace.

Data: 1986-03-01 Sabato 1 Marzo 1986




All'Unione Cattolica Artisti Italiani - Città del Vaticano (Roma)

Il talento dell'arte è dono di Dio


Egregi signori,


1. A voi, rappresentanti dell'Unione Cattolica Artisti Italiani, rivolgo il mio benvenuto in questo luogo, che non è soltanto la Sede del successore di Pietro, ma anche il centro di un complesso di arte unico al mondo.

Ringrazio il Presidente dell'UCAI per l'indirizzo di omaggio a me rivolto e saluto con particolare cordialità ciascuno di voi. La mia parola vuole essere un invito ad approfondire nel corso dei lavori congressuali la vostra caratteristica ragion d'essere, e a introdurre gli aggiornamenti necessari perché l'Unione sia sempre più idonea alla pastorale tra gli artisti e ai compiti di oggi, rinnovando l'incontro con la Chiesa e l'arte sacra.


2. La vostra associazione, di cui l'attuale Congresso celebra il 40° anniversario, nacque negli anni esaltanti della ricostruzione dalle rovine della seconda guerra mondiale. La sua fondazione voleva essere anche un atto di fiducia e di speranza nel futuro dell'Italia. Si voleva che alla ricostruzione non mancasse il ruolo culturale e spirituale dell'arte, da considerare non come elemento accessorio, ornamentale, ma come bene primario per la crescita e l'armonia di una comunità intesa nei suoi valori compiutamente umani.

A questo tema fece riferimento il discorso, che il mio predecessore Pio XII rivolse agli artisti di 26 nazioni nell'Anno Santo 1950, affermando: "Avete compreso il dovere che v'incombe", e avete voluto "di fronte ad una cultura senza speranza, considerare l'arte come sorgente di una speranza nuova", specie in ordine alla "funzione dell'arte nell'opera della pace". In questo arco di tempo l'UCAI è cresciuta dalle dimensioni nazionali a movimento internazionale, mettendo maggiormente a fuoco l'obiettivo fondamentale di animazione cristiana nel mondo dell'arte. così voi vi proponete di applicare una direttiva generale del Concilio nel campo concreto della vostra specificità. così vi mettete in condizione di dare un nuovo contributo a una seconda rinascita, di cui ha bisogno l'Italia e il mondo.

Nel corso dei vostri lavori avrete modo di rivedere e analizzare le tappe già percorse del vostro quarantennale cammino, e di prospettare quelle da percorrere nell'immediato futuro.

Qui non posso passare sotto silenzio le varie iniziative a carattere spirituale (convegni, riunioni bibliche e di preghiera), che costituiscono il nutrimento della mente e del cuore, il segreto del vostro crescere come artisti cattolici, in armonia col nome della vostra associazione. In questo non mi resta che esortarvi a continuare con generoso impegno e rinnovata fiducia.


3. A tale proposito sarà bene ricordare la bellezza del progetto divino, già formulato ai tempi della formazione dell'antico popolo di Dio. Quando, dopo la schiavitù d'Egitto, Mosè dispose la costruzione del "tabernacolo", il primo tempio, itinerante nel deserto, per eseguirlo diede l'incarico a uomini riempiti dello "spirito di Dio". E, dopo aver chiamato per nome gli artisti, il Signore li doto di saggezza perché fossero in grado di concepire progetti e realizzare i lavori della costruzione del santuario (Ex 35,30-35). Come si vede da questa pagina dell'Esodo, quella che noi oggi chiamiamo arte sacra ha precedenti antichi e illustri.

Rivolgendomi ad uomini di un'associazione che si caratterizza con la qualifica di cattolica, mi sta sommamente a cuore dirvi che l'artista credente deve essere consapevole che il talento dell'arte è dono di Dio: per esserne a lui grato e per impegnarsi a seguire con fedeltà la vocazione che ne segue; per ribadire che l'artista cristiano confida di ricevere e implora da Dio quello "spirito divino" che renda spiritualmente fecondo il talento naturale, specie quando esso è chiamato ad eseguire opere d'arte religiosa e liturgica.

E' ben vero che il genio dell'artista può creare lavori eminenti in tal campo anche a prescindere dalla sua fede religiosa; ma, se al talento naturale si aggiungono consapevolmente le virtù teologali vissute della fede, speranza e carità, queste diventano sollecitazione potente all'opera dell'uomo rivolta ad illustrare col magistero dell'arte i misteri del cristianesimo.

Si comprende così la mirabile fioritura delle cattedrali del medioevo.

Non si spiegano senza la fede, oltre che il genio dei loro autori, le opere di Giotto, del Beato Angelico, di Michelangelo, la poesia di Dante e la prosa di Manzoni, le composizioni musicali di Pierluigi da Palestrina, solo per fare alcuni nomi.


4. Gli artisti sono da enumerare tra i benefattori più grandi dell'umanità, tra gli operatori più efficaci della sua salvezza, perché alimentano il senso qualificante, essenziale dell'uomo, che è la sua spiritualità. L'uomo, contemplando l'arte e la sua bellezza, vi si abbandona come alla sollecitazione delle sue elevazioni più genuinamente umane, cioè spirituali; e perciò sente e trasmette l'incanto della spiritualità purissima, Dio, che di ogni spiritualità creata è origine e fine.

Profondamente consapevole di tutto questo, la Chiesa "ha sempre favorito le arti liberali, e ha sempre ricercato il loro nobile servizio... ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca, creando così, nel corso dei secoli, un tesoro artistico da conservarsi con ogni cura" (SC 43). Anche l'arte del nostro tempo, in tutti i popoli e paesi, trova nella Chiesa libertà di espressione, purché serva con la dovuta riverenza e il dovuto onore.

Nell'invitarvi a sentire profondamente questa vostra vocazione di artisti cattolici, in continuità con l'opera degli artisti cristiani del passato, perché l'arte prosegua ad essere inserita nella storia della salvezza, in vista di una nuova rinascita, v'imparto di cuore la benedizione apostolica.

Data: 1986-03-01 Sabato 1 Marzo 1986




Ad alcuni vescovi brasiliani in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Lavoro pastorale e impegno nel sociale frutto della fede


Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato,


1. In questo incontro collegiale, momento culminante della vostra visita "ad limina Apostolorum", vi porgo, con profonda gioia, il mio più cordiale saluto.

Come l'Apostolo, rendo grazie a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, riguardo a voi, arcivescovi e vescovi della zona Leste 1 (Est 1) della CNBB che comprende le Province ecclesiastiche di Rio de Janeiro e di Niteroi, stato molto bello del vostro Paese-continente. In questa azione di grazie è viva la mia fraterna riconoscenza per la semplice e povera testimonianza di zelo e di dedizione con la quale cercate di essere attenti al gregge che il Signore vi ha affidato, inserendovi nella vita del vostro popolo e partecipando ai problemi in esso presenti. Nel rivolgervi la parola è mia intenzione "confermarvi" nel vostro incarico, approfittando di questa occasione privilegiata "per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune" (cfr Rm 1,8ss). In noi si perpetua il corpo apostolico, in virtù della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica: la collegialità che stiamo vivendo e celebrando in quest'ora sotto il segno del rispetto, dell'aiuto e dell'amore reciproci e fraterni. risto ci illumina con la sua parola, indicandoci nell'unità della carità, la quintessenza della condizione di discepoli.


2. La vostra presenza - il cui significato è stato così eloquentemente espresso dal signor cardinale Eugenio de Araujo Sales - suscita nuovamente nel mio animo quell'insieme di sentimenti, vissuti durante la mia visita in Brasile quando ebbi l'occasione di incontrare il vostro popolo e soprattutto quello della "Città meravigliosa" di Rio de Janeiro. Dalle numerose e gradite immagini, ancora vive nella mia memoria, dell'indimenticabile visita pastorale di quasi sei anni fa, affiora oggi quella della luce solare e dei suoi numerosi riflessi.

Oggi ricordo soprattutto la luce che il Monte del Corcovado irradiava quella mattina, come se essa si diffondesse dalla statua ivi innalzata alla "vita", come "luce per gli uomini" e "splendore nelle tenebre": Cristo Redentore.

Essa attenuava i contrasti e gli uomini della città apparivano meno differenziati, come accomunati nella stessa umanità. Contemporaneamente, pero, la luce, già filtrata attraverso i boschi circostanti, a fatica, illuminava il Vidigal, proiettando solo ombra sugli uomini delle favelas: ombra che immobilizza ed emargina chi la vive, come se ciascuno partecipasse di un'umanità profondamente differente.

Corcovado e Vidigal, luce e ombra, assunti come simboli, sembrano riflettere la situazione umana, sociale e religiosa della vostra vasta zona pastorale, ove la natura, prodiga nell'elargire bellezze, sospinge spontaneamente alla glorificazione del Creatore, come il salmista (Ps 103,2), o come il "Poverello" di Assisi del "Cantico delle creature".


3. E' in questo quadro che colloco il vostro lavoro quotidiano di vescovi. So che siete impegnati a cercare il cammino che gradualmente dissipi le "ombre" e che dissipi, in particolare, l'abisso che separa i "troppo ricchi" poco numerosi, dalle moltitudini dei poveri che vivono nella miseria"; so che desiderate anche voi, come san Paolo, di condividere con tutti "non solo il Vangelo, ma la vita stessa" (cfr 1Th 2,8); so che ove allignano cattivi sentimenti, vi impegnate a creare "cuori puri" che dicano con tutta la forza possibile no all'indifferenza, al disinteresse, a tutte le forme di disonore, e si alla solidarietà, alla fraternità e all'amore, perché "Dio è amore" (cfr Discorso nella Favela del Vidigal). Allo stesso tempo - lo dicono le vostre relazioni - vi vedo pastori impegnati a cercare i modi più appropriati affinché ciascuno, "ovunque sia, in casa, sul posto di lavoro o di incontro, sui mezzi pubblici, per strada, in ospedale, in carcere...", ascolti l'invito del Papa, riuscendo insieme agli altri e in tutta verità, a pregare come Cristo ci ha insegnato: "Padre nostro... venga il tuo regno" (cfr Allocuzione al Corcovado, 2 luglio 1980.

L'intenzione del pastore del gregge del Signore può essere solo questa: sollecitare la venuta del regno di Dio, aiutando i fedeli a vivere e operare in comunione di carità, come in una vera famiglia. Per questo sono necessari e indispensabili i mezzi di accesso ai doni di Cristo, istituiti per la Chiesa e per il mondo: professione di fede, vita sacramentale e liturgica, partecipazione effettiva alla vita comunitaria, sotto l'orientamento dei legittimi pastori, affinché risplenda in tutte le comunità locali, radunate dalla preghiera evangelica, il corpo dell'intera fraternità, strettamente unito per mezzo della carne e del sangue del Signore (cfr LG 26). Ma è necessario che i pastori stessi vengano illuminati da chiare idee sul regno di Dio.


4. Queste idee, alla base delle allocuzioni che ho diretto ai gruppi di fratelli vescovi brasiliani che vi hanno preceduto, rappresentano le fondamenta della nostra missione di vescovi, costituiti padri della Chiesa, per elargire i misteri divini, maestri e pastori, con l'autorità ricevuta da Dio. Sappiamo bene, amati fratelli, che la continuità di Cristo che assicuriamo non è qualcosa di puramente storico. Nella persona dei vescovi... è lo stesso Signore Gesù Cristo, sommo pontefice, che continua ad essere presente in mezzo ai fedeli (cfr LG 21). Nel diffondere abbondantemente e in molteplici aspetti la pienezza della santità di Cristo, pregando e lavorando, dobbiamo aiutare con l'esempio stesso coloro che noi guidiamo e dobbiamo essere sempre coscienti del fatto che "lo Spirito Santo che unisce nella comunione e nel mistero e arricchisce con diversi doni gerarchici e carismatici la Chiesa, attraverso i tempi, è Cristo stesso che dà vita alle istituzioni ecclesiastiche, divenendo la loro stessa anima (AGD 4). Vi è quindi un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati (cfr Ep 4,4).

Come pastori, guardiani della comunione di fede e di carità nella Chiesa, ci viene chiesto di saper ricercare, incrementare e coordinare nel miglior modo possibile i diversi ministeri e carismi, con i quali il Signore vuole arricchire il suo popolo.


5. Il recente Sinodo dei vescovi nel parlare della maggior coscienza della Chiesa, della sua missione al servizio dei poveri, degli oppressi e degli emarginati, dopo il Concilio, ha sottolineato, in termini di dovere per la stessa Chiesa, la funzione di "denunciare in modo profetico ogni forma di miseria e di oppressione", difendendo e incentivando ovunque i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana (cfr "Relazione finale", II, D, 6). Ciò, ovviamente, senza mai prescindere dagli intoccabili - mi sia concessa l'espressione - "diritti" di Dio.

Quando si parla di denuncia profetica, è necessario definire esattamente il significato che assume il termine "profetica" nel contesto del Nuovo Testamento e come partecipazione alla funzione profetica di Cristo oggi; inoltre è necessario guardare la situazione che porta a fare la "denuncia", considerando l'insieme dei doni e dei carismi dello Spirito Santo, nell'attuale economia della grazia.

Possiamo allora dire che esistono movimenti di rinnovamento e di riforma nella Chiesa - e a volte fuori di essa - che dipendono da persone e da atteggiamenti profetici alla ricerca del rafforzamento della speranza con la possibilità di condurre l'umanità verso un nuovo avvenire.

Per superare il limite di semplice definizione, la "denuncia profetica" ha bisogno di verificare le debite condizioni, contenute - come ben sappiamo - nella rivelazione divina e nella tradizione, già delineate nelle conclusioni della Conferenza di Puebla (nn. 377ss). Tra di esse mi limito a menzionare le seguenti: la conformità alla fede e l'accettazione del dono del discernimento all'interno della comunità, con la prontezza di sottomettersi al giudizio della comunità stessa. Solo chi non vuole verificare le debite condizioni nel fare una "denuncia profetica", cerca di evitare questo giudizio - si legge nel Pastore di Erma -, indica le sue arti solo nell'angolino dei cristiani fiacchi e vacillanti (cfr Funk, 505, mand. 11,2ss).


6. In tutta la pastorale sociale e nell'azione dei laici nella società, è necessario intendere e rispettare integralmente la missione salvifica della Chiesa in rapporto al mondo, come pure evidenziava il Sinodo dei vescovi, e svolgere questa attività sempre nella prospettiva della Chiesa stessa. Come Madre e Maestra, essa esorta i suoi figli a saper giudicare e chiarire le situazioni, i sistemi, le ideologie e la vita politica... a partire dal Vangelo, letto alla luce del suo insegnamento sociale. Ciò vuol dire che i cristiani devono poggiare sulla dottrina e sull'insegnamento sociale della Chiesa dove si manifesta "ciò che essa possiede come peculiarità: una visione globale dell'uomo e dell'umanità" (PP 13).

In altre parole, il lavoro pastorale e l'impegno cristiano nel campo sociale devono apparire come decorrenza della fede, e non come frutto di ideologie. Né il Vangelo né l'insegnamento sociale della Chiesa che da esso proviene sono ideologie; al contrario, esse rappresentano una "poderosa fonte di problematiche". Allo stesso tempo, l'originalità sempre nuova del messaggio evangelico ha bisogno di essere permanentemente difesa dai tentativi di ideologizzazione (cfr Puebla, 539). La pastorale e l'azione sociale potranno assorbire il fermento del Vangelo, purificare ed ordinare le realtà temporali, ponendole al servizio della realizzazione del regno di Dio, solo quando vi sarà una chiara coscienza della motivazione della fede, dalla quale nasce l'impegno apostolico globale.

Su questa comune piattaforma è necessario che tutti parlino la stessa "lingua", appresa nella fedeltà a Cristo e nell'obbedienza al Vangelo, senza riduzioni né estrapolazioni, che vi sia una sola "luce" per la lettura dei "segni dei tempi", in "clima" di serena e genuina carità. Allora saranno tutti in grado di comprendere e di ricevere il messaggio di riconciliazione e di amore, che la Chiesa in Brasile vuole vivere e proclamare.


7. Vorrei a questo punto rivolgere una parola d'affetto ai vostri sacerdoti, ai vostri presbiteri, ai vostri cari padri. Vorrei possedere l'autorevole santità esortativa in Ignazio di Antiochia, per innalzare il messaggio sempre attuale del glorioso martire "conservatevi uniti, per mezzo della grazia, nell'unica fede in Gesù Cristo, Figlio allo stesso tempo di Dio e dell'uomo, per obbedire, in armonia di sentimenti, al vescovo e al presbiterio, dividendo lo stesso pane, mezzo di immortalità che fa vivere in eterno in Gesù Cristo" ("Lettera alla Chiesa di Efeso", PG 5, 644ss). Dividere uno stesso pane, alla mensa del Signore, è segno e fonte dell'unità nella carità (cfr Mt 5,23). Il Concilio ricordava che ogni legittima celebrazione dell'Eucaristia è diretta dal vescovo, sottolineando quanto segue: "Nessuna comunità cristiana si edifica senza avere la sua radice e il suo centro nell'Eucaristia, a partire dalla quale, quindi, deve cominciare l'educazione allo spirito comunitario" (PO 6).

So che avete ottimi sacerdoti, vero "dono di Dio alla comunità".

Aiutiamoci a "contemplare questo aspetto della vita da lui donata; a vivere con disponibilità e maturità l'equilibrio dei santi tra le numerose sollecitazioni del ministero, a testimoniare sempre la propria specificità di "scelti tra gli uomini e costituiti per il bene degli uomini, nelle cose che riguardano Dio" (He 5,1).


8. Vorrei oggi, continuando nella prospettiva del servizio del Regno, ricordare con la dovuta incisività, un'altra componente ecclesiale, costituita dalle persone consacrate: religiosi e religiose e membri degli istituti secolari. Non è di troppo affermare nuovamente in questa occasione la gratitudine che tutti portiamo al contributo delle famiglie religiose alla vitalità della Chiesa in Brasile.

Anche gli istituti secolari più recenti offrono, in vari modi, un valido contributo. E storia illustre e attualità consolatrice.

E' su questa linea che desidero menzionare in particolar modo - e allo stesso tempo invito - coloro che si consacrano al servizio esclusivo del Regno nelle forme della vita contemplativa, testimoniando l'assoluto di Dio nella preghiera, nel silenzio e nella recondita immolazione: sono "onore della Chiesa e fonte di grazie celesti" per essa stessa e per il mondo.

Ci auspichiamo tutti che, in un paese così grande come il Brasile, segnato dal dinamismo di una Nazione giovane e dei giovani, e perciò così bisognosa della luce della speranza, con la sua dimensione escatologica, venga intensificata la vita contemplativa e vengano moltiplicate le oasi di pace che risveglino e aiutino tutti coloro che spiritualmente vagano per i deserti, tormentati dalla sete di Dio.

Accanto agli ordini contemplativi ve ne sono altri che vivono la loro dedizione "all'amore del regno dei cieli", adorando Dio e compiendo, allo stesso tempo, le varie attività secondo i carismi dei loro Istituti: ministero sacerdotale, pastorale, insegnamento, assistenza e servizio ai fratelli in numerosi aspetti. E' nostro compito, come vescovi, sostenere, promuovere e coordinare queste forze vive, nell'insieme della missione della Chiesa. Le vostre attività sono, di fatto, inseparabili da questa missione evangelizzatrice e santificatrice.


9. Il tempo non ci permette di conversare in questa sede sulla natura della vita consacrata e sul suo ruolo ecclesiale così chiaramente espresso dal Concilio Vaticano II. L'ultimo Sinodo dei vescovi non ha cessato di evidenziare questo ruolo delle persone consacrate nel loro più indicato ambiente: "oggigiorno abbiamo estremo bisogno di santi; è una grazia che dobbiamo continuamente impetrare a Dio". E prosegue: "gli istituti di vita consacrata, mediante la professione dei consigli evangelici, devono essere coscienti della loro speciale missione nella Chiesa di oggi; e noi dobbiamo incoraggiarli in questa missione" ("Relazione finale", II, A, 4).

E' ovvio che le peculiari attività di ciascuna comunità di persone consacrate, secondo il carisma dell'Istituto, arricchiscono la vita delle Chiese locali. Tale arricchimento supponendo il rispetto ai principi e alle norme che regolano i rapporti reciproci tra il vescovo e le persone consacrate dipende molto anche dalla comprensione cordiale, dall'unità sincera e dalla semplice disponibilità, affinché si possa lavorare insieme, in modo organico e programmato, per il maggior bene e per l'efficace servizio al Regno.

E' necessario quindi che, da entrambe le parti, vi siano generosità e attenzione allo Spirito che non cesserà di illuminare e sostenere la complementarietà del Corpo mistico di Cristo. E' per lui che, tutto il corpo, riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio" (Col 2,19 cfr. Ep 4,16).

Praticamente per tale realizzazione esistono direttive chiare nel noto documento "Mutuae Relationes". Ho potuto comprendere, attraverso i nostri colloqui, che vi state impegnando a mettere in pratica tali mutui rapporti; e mi resta quindi solo da incoraggiarvi a proseguire nel difendere la vita consacrata, promuovere la fedeltà dei consacrati e aiutare costoro a inserirsi, secondo le loro proprie peculiarità, nella comunione e nell'azione evangelizzatrice delle loro Chiese particolari.

Per concludere, desidero assicurarvi che siete ben presenti nel mio affetto in Cristo e nella mia preghiera, nella molteplicità dei vostri compiti; come è pure presente il vostro popolo tutto. Le vostre gioie e le vostre tristezze, le vostre speranze e le vostre preoccupazioni, sono anche le mie nel Signore. Vi raccomando alla protezione materna di Maria santissima con le comunità ecclesiali che presiedete, in cui la Vergine, Madre della Chiesa e Madre della nostra fiducia, è molto venerata e invocata, con i suoi più significativi e invocativi titoli - Immacolata Concezione, Vergine della Pietà, Madre Addolorata, Madonna delle Grazie, della Consolazione, del Rosario, della Speranza, della Gloria, senza dimenticare, naturalmente, l'appellativo di "Nossa Senhora Aparecida". Che questa devozione mariana continui in mezzo al popolo dei fedeli nella sua funzione ritempratrice della fede in Cristo e modellatrice della sua vita cristiana secondo l'esempio dell'umile "serva del Signore"! Sia pegno della mia comunione con voi e con le vostre comunità diocesane la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1986-03-01 Sabato 1 Marzo 1986





GPII 1986 Insegnamenti - A un gruppo di giornalisti - Città del Vaticano (Roma)