GPII 1986 Insegnamenti - Omelia al Centro Italiano di Solidarietà - Roma

Omelia al Centro Italiano di Solidarietà - Roma

Tossicodipendenza, malattia dello spirito


"Se qualcuno vuol venire dietro a me... prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23).


1. Queste parole, che abbiamo ascoltato dal Vangelo di Luca in questa liturgia prefestiva della XII domenica del tempo ordinario, costituiscono il motivo ispiratore del messaggio che la Chiesa intende rivolgere al popolo di Dio, adunato attorno all'altare nel segno della fede e della comunione fraterna. "Se qualcuno vuol venire dietro a me...". La sequela del Cristo è caratterizzata dalla croce: è la via che ha percorso Gesù nel lasciarsi coinvolgere nella vicenda terrena per riscattare l'uomo dall'antica schiavitù e liberarlo dalle tiranniche suggestioni del male. La croce racchiude in sé il mistero dell'amore di Dio, che opera la salvezza attraverso l'inaudito mistero della morte e della risurrezione. Già il profeta Zaccaria (12,10), nella prima lettura, presentandoci la figura del "trafitto", a cui il popolo guarda con fiducia, aveva proiettato l'ombra della croce sull'intera umanità che attendeva in lacrime "lo spirito di grazia e di consolazione". Croce, dunque, ma collegata essenzialmente con la consolazione e la gioia. Nella seconda lettura san Paolo ci ha presentato la realizzazione di questo progetto salvifico: "Tutti voi siete diventati figli di Dio in Gesù Cristo" (Ga 3,26), Nel battesimo, mistero di morte e di risurrezione, si celebra la croce, cioè la drammatica, ma feconda vicenda del "perdersi" per "ritrovarsi" (Lc 9,24), del rinnegarsi per realizzare un progetto di vita secondo lo spirito del Vangelo, nel dono totale di sé, sostenuto da uno slancio di amore deciso e fedele.

Così portare la croce viene a significare la sfida coraggiosa alle contraddizioni che ciascuno vive con se stesso; la rinuncia a costruirsi un proprio modello di vita per "seguire" Gesù, Colui che può dare un senso compiuto alla nostra vita presente e futura. In una situazione come quella che vivete in questo Centro terapeutico, portare la croce significa anche uscire dall'isolamento, dall'emarginazione e dal proprio "Io" ambiguo ed egoista per aprirsi a far parte della grande famiglia dei redenti, dei riscattati, dei "battezzati in Cristo", che esperimentano nel profondo del loro animo la gioia pasquale della risurrezione. E non è forse risurrezione l'aver saputo riportare vittoria sulla schiavitù dei sensi avvelenati da quel "mostro" che è la droga? Non è risurrezione il sapersi emancipare dai limiti mortificanti di una vita divenuta impossibile per innalzarsi alla dignità di coloro che si sono "rivestiti di Cristo" (Ga 3,27)?


2. Ho accolto molto volentieri l'invito rivoltomi da don Mario Picchi, direttore del Centro Italiano di Solidarietà, a venire qui per celebrare l'Eucaristia con voi tutti e per inaugurare questo nuovo Centro di accoglienza, dove numerose e generose forze del volontariato già da qualche mese sono impegnate nel programma terapeutico per la riabilitazione dei tossicodipendenti. Saluto le autorità presenti, che con la loro collaborazione hanno reso possibile questa nuova benefica realizzazione, a cui tante famiglie provate dal triste fenomeno della droga guardano con viva speranza. Esprimo il mio apprezzamento a quanti in questo Centro di carità e di servizio sostengono moralmente e materialmente gli sforzi che la comunità cristiana di Roma compie per portare avanti i vari programmi terapeutici che vanno sotto il nome di "Progetto-Uomo".


3. Si, l'uomo! La Chiesa non riposa finché l'uomo è minacciato nella sua dignità, nel suo sviluppo e nella realizzazione completa della sua personalità. E la droga oggi costituisce una minaccia estremamente preoccupante e un dramma angoscioso per tante famiglie colpite negli affetti più cari da questo flagello, che miete vittime soprattutto tra i giovani ignari delle sue fatali conseguenze.

Paolo VI, a cui avete intitolato questo nuovo Centro terapeutico, ebbe parole appassionate su questa nuova piaga sociale: "Non c'è chi non veda la sottile insidia di queste autosuggestioni. Basterebbe ricordare ciò che la scienza afferma intorno all'azione biochimica della droga introdotta nell'organismo. E' come se il cervello venisse percosso violentemente: tutte le strutture della vita psichica restano scompaginate sotto l'urto di questi stimoli eccezionali e disordinati". E' necessario che da parte di coloro che sono preposti alla cosa pubblica e che sono quindi solleciti dello sviluppo fisico, morale, sociale e spirituale dei cittadini sia incrementata l'informazione su questa tragedia dilagante nella nostra società così insicura e così moralmente povera pur nel suo crescente benessere materiale. Occorre predisporre tutti quegli interventi opportuni e necessari per salvaguardare i più deboli e indifesi. E' necessario che i mass-media, le scuole, gli organismi umanitari e soprattutto le famiglie promuovano un'azione capillare diretta a illuminare e fortificare le persone più fragili ed esposte al pericolo. Il cuore dell'uomo è un guazzabuglio: ci sono tante tensioni e contraddizioni. Già san Paolo le ha analizzate nella Lettera ai Romani: "Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io conosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio... Quando voglio fare il bene, il male è accanto a me... Sono uno sventurato!". San Paolo pero non si ferma a questa sofferta diagnosi, offre anche la soluzione: il segreto della vittoria in questa lotta senza quartiere sta nel ricorso fiducioso al Redentore dell'uomo: "Siano rese grazie a Dio che per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore... mi libererà da questo corpo votato alla morte" (Rm 7,15-25). In un'altra situazione di conflitto, san Paolo non esita a mostrarci la soluzione indicatagli dal Signore. A lui infatti che si lamentava per "una spina che mi è stata messa nella carne", e invocava aiuto, Gesù rispose: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta nella debolezza" (2Co 12,9). Si, cari fratelli e sorelle, fate ricorso all'aiuto che Dio non nega a chi lo invoca.

La grazia divina pero presuppone ed esige la collaborazione della natura umana per operare fruttuosamente nell'intimo delle coscienze.


4. Non si raccomanda mai abbastanza lo sforzo generoso e qualificato di quanti sono impegnati in questo campo così delicato della cura e dell'assistenza dei tossicodipendenti. Il problema della droga non può essere affrontato soltanto con l'uso dei farmaci, perché la tossicodipendenza più che malattia del corpo è malattia dello spirito. Qui non si tratta di sostituire un veleno più dannoso con un altro meno pericoloso, ma di cambiare la qualità della vita stessa; compito questo che esige l'impegno di ciascuno di voi, come uomini ai quali stanno a cuore i veri valori che albergano nel cuore di ogni creatura, fatta a immagine e somiglianza di Dio. Il "Progetto-Uomo" che voi intendete realizzare in questo Centro mira anzitutto ad aiutare il tossicodipendente affinché possa conoscere e affrontare i propri problemi nell'ambito di un'esperienza comunitaria prolungata ed efficace, in cui egli può ricuperarsi e tornare alla vita sociale come persona attiva e finalmente libera. Questo tipo di programma, nato dalla collaborazione tra ex tossicomani e studiosi di discipline sociali e psicologiche, pone l'accento sulla responsabilità personale del consumatore di droghe, perché, in ultima analisi, è lui che ha scelto la via di tali esperienze ed è lui perciò che per primo deve prendere la decisione di smettere, accettando che altri lo aiutino a ricuperare se stesso. E' lui che deve lasciarsi coinvolgere in prima persona per uscire dalla sua terribile vicenda e diventare protagonista responsabile del proprio destino. Nessun altro potrà dargli una mano, se egli non vuole, non accetta e non sceglie di stringere tale mano con tutta la forza di chi stando per annegare, vuol trarsi in salvo.

Quello delle vostre comunità terapeutiche è un ambiente che giova a chi vuole veramente tirarsi fuori da una tale sfortunata situazione: esso infatti offre la possibilità ai giovani di riguadagnare il rispetto di sé, il controllo dei propri sentimenti e di offrire a se stessi, ai propri cari e a quanti sono preoccupati del bene della società una consolante testimonianza che in questo campo, come del resto in altri, la buona volontà fa miracoli. A voi animatori del "Progetto-Uomo" che avete scelto come espressione di carità cristiana e di umana solidarietà questo campo specifico, e a tutti coloro che direttamente o indirettamente in esso s'impegnano mediante lo studio, le proposte di legge e altre iniziative destinate a debellare questo drammatico fenomeno, vada il mio vivo apprezzamento per questa fattiva dedizione alla causa dell'uomo, dell'uomo che soffre e che attende che passi accanto a lui il buon samaritano e ne curi le ferite con l'olio del suo paziente amore e col vino della sua generosa disponibilità (cfr Lc 10,33ss).


5. Solo così saremo veramente "figli di Dio in Gesù Cristo", e in lui saranno abolite tutte le discriminazioni e le barriere che ostacolano la comprensione e la solidarietà: "Non c'è più giudeo, né greco; non c'è più schiavo, né libero; non c'è più uomo, né donna, poiché voi siete uno in Cristo Gesù" (Ga 3,28). Se sarete tutti uniti nel Cristo - secondo l'esortazione di Paolo - la vostra opera in questo Centro non mancherà di portare presto i frutti sperati e scompariranno gli egoismi, le emarginazioni, le solitudini, i conflitti e le tensioni, perché soltanto il Cristo potrà farvi realizzare pienamente i vostri desideri e ottenervi la vera liberazione: lui, che accettando la crocifissione, è risorto a nuova vita, e questa vita comunica a quanti credono in lui e lo accolgono con totalità di amore.

Data: 1986-06-21 Sabato 21 Giugno 1986




A sacerdoti e laici dell'Apostolato militare - Città del Vaticano (Roma)

Testimoniare la fede e costruire la pace


Cari fratelli nell'episcopato, cari amici laici dell'apostolato militare internazionale. La vostra presenza simultanea a Roma fa che io vi riceva insieme. Se i vostri mezzi d'azione e le vostre responsabilità sono differenti, mirano allo stesso scopo: l'assistenza spirituale dei militari.


1. Permettetemi innanzitutto di salutare e incoraggiare i laici dell'Apostolato militare internazionale che tengono una conferenza del loro movimento a Roma.

Ufficiali, sottufficiali, soldati, attaccati alla fede cristiana, volete approfondire questa fede, chiarire alla sua luce le questioni difficili che dovete affrontare, metterla in opera in tutto quanto costituisce la vostra vita e darne testimonianza nel vostro ambiente militare. E' lo specifico dell'apostolato dei laici, che è fondato sulla grazia e la responsabilità del Battesimo; il Concilio Vaticano II ha particolarmente incoraggiato sia l'apostolato personale che l'apostolato dei gruppi costituiti in modo da sostenere meglio i loro membri e dare una testimonianza comune. E' precisamente dopo il Concilio che voi avete formato la vostra associazione, e sono felice che sia stata riconosciuta come organizzazione internazionale cattolica, sostituendo i criteri di un apostolato di Chiesa in unione con la Santa Sede. La recente costituzione apostolica ("Spirituali militum curae"), del 21 aprile, riorganizzando gli Ordinariati militari giustamente precisa: "Dovendo tutti i fedeli cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo l'Ordinario e il suo presbiterio facciano in modo che i fedeli laici dell'Ordinariato, tanto a livello personale che in modo associato, svolgano la loro parte come fermento apostolico, ma anche missionario fra gli altri militari con cui vivono".


2. Coloro che assicurano il servizio dei loro Paesi nelle forze armate hanno infatti delle condizioni di vita particolari, che richiedono un apostolato adattato, compiuto proprio dai loro compagni credenti. Ciò vale per i militari di carriera, il cui genere di vita, gli obblighi e le responsabilità speciali in materia di difesa, richiedono una comprensione pastorale specifica. Assolvono un impegno che comporta dei rischi e necessita di una riflessione approfondita sulle questioni etiche inerenti alla loro professione e sulle quali non posso dilungarmi oggi. I responsabili militari cristiani avranno a cuore di formarsi la coscienza sui grandi problemi del servizio della pace e della sicurezza, con lucidità e coraggio in modo da fare buone scelte e contribuire a chiarire su questo punto le convinzioni dei più giovani e dell'opinione pubblica. Penso anche a tutti gli altri militari del contingente, che assolvono per un certo tempo il loro servizio nazionale: questo è per loro come un grande crogiolo, che può essere una prova fatale per la loro fede o la loro pratica religiosa, tenendo conto dello sradicamento ma anche dell'opportunità di vivere con dei veri credenti.


3. Gli uni e gli altri devono essere aiutati a scoprire il vero volto di Cristo e della sua Chiesa, e la vostra testimonianza è capitale. Devono trovare delle possibilità di ritorno alle origini spirituali: preghiera, messa, momenti di riflessione sulla fede e su tutto ciò che costituisce il loro dovere di stato militare, pellegrinaggi, ecc., ed è vostro compito organizzarli con loro e per loro in unione con i cappellani militari. Infine l'apostolo cristiano si preoccupa anche del clima fraterno da tenere, dell'aiuto vicendevole attento per tutti coloro che conoscono delle difficoltà materiali e morali. Si, tutto ciò che tocca all'organizzazione più umana e più giusta della vita militare, o anche quella dei passatempi, interessa l'apostolato come forma concreta di carità cristiana.


4. Ciò suppone che voi stessi vi formiate a questo apostolato, familiarizzandovi sempre di più con il Vangelo e con tutta la dottrina della Chiesa, vivendo più umili a Cristo in tutto ciò che fa la vostra vita (cfr AA 4). Dandovi così i miei vivi incoraggiamenti, voglio soprattutto assicurarvi del vostro posto nella Chiesa e che siete amati da Cristo, nella misura in cui voi adempite il vostro compito di Stato con coscienza per assicurare infine una pace più grande. Giovanni Battista accoglieva i soldati romani ai confini della Giordania, senza chiedere di abbandonare il loro mestiere, ma invitandoli a compierlo onestamente e senza trattamenti ingiusti. Gesù stesso fu benevolo con il centurione che andava a lui con fiducia. San Francesco di Sales sottolineava che voi siete capaci di una vita cristiana adatta al vostro mestiere: "E' un errore e anche un'eresia voler bandire la vita devota dalla compagnia dei soldati..."; per vita devota intendeva l'unione con Dio in risposta al suo amore e l'ispirazione cristiana di tutta la vita. In breve la Chiesa conta molto sul vostro apostolato: siate luce, sale, lievito evangelico in mezzo ai vostri fratelli!


5. Mi rivolgo ora un istante verso i vostri pastori. La costituzione che entrerà in vigore il 21 luglio li chiama Ordinari militari, con una giurisdizione episcopale ordinaria e personale molto estesa. Vi saluto dunque con gioia, cari fratelli membri del Consiglio dell'Ufficio centrale di coordinazione pastorale di Ordinari militari, venuti dall'Italia, dalla Francia, dalla Spagna, dagli Stati Uniti, dal Cile, dalla Repubblica Dominicana. Il documento che studiate insieme per aiutare i vostri fratelli delle differenti Chiese a metterlo bene in pratica sottolinea l'importanza che la Chiesa accorda al vostro compito. I vostri fedeli dispersi nel mondo sono molto numerosi e hanno bisogno di una pastorale adeguata che li raggiunga al cuore della loro vita e permetta loro un contatto salutare con la Chiesa. In tutto ciò vi auguro di appoggiarvi a dei cappellani militari zelanti e a dei laici generosi dei quali ho appena sottolineato il ruolo indispensabile.

A tutti dono di cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-06-21 Sabato 21 Giugno 1986




Omelia nella Chiesa di San Salvatore in Onda - Roma

Vincenzo Pallotti, un prete aperto all'amore


"Annuncero il tuo nome ai miei fratelli" (Ps 21,23).


1. Queste parole del Salmo 21 Gesù recito sulla croce e, come mediatore tra l'uomo e Dio, continua a proclamare oggi, in questa celebrazione eucaristica. Egli continua ad "annunciare il nome" di Dio, cioè ad esercitare il suo compito di rivelatore definitivo del Padre; in mezzo all'assemblea, cioè alla Chiesa di cui è capo, continua a lodare Dio, a invitare i popoli tutti, che ha redento con il suo sangue, a dargli gloria, a ritornare a lui mediante la conversione interiore.

Analogo invito e analoghe parole sentiamo oggi riecheggiare in questo tempio, come se ci venissero da un grande seguace di Gesù Cristo, san Vincenzo Pallotti, che in tutta la sua vita fu un instancabile annunciatore del messaggio di salvezza del Vangelo. Cari fratelli e sorelle in Cristo! Desidero esprimere a tutti voi, qui presenti, membri della Famiglia pallottina e devoti ammiratori di san Vincenzo Pallotti, la sincera letizia di trovarmi insieme con voi, e di celebrare il sacrificio della santa Messa su questo altare, che custodisce la più preziosa reliquia del vostro santo fondatore. Sono venuto in visita a questo luogo e a questa Comunità perché la mia storia personale è ritmata da molti e importanti incontri con i Figli spirituali di san Vincenzo Pallotti. Wadowice, la mia città nativa, è la culla dei Pallottini polacchi: frequenti furono i miei contatti con loro, nella mia giovinezza e specialmente durante il mio ministero sacerdotale ed episcopale. Ma un motivo particolare mi lega a questo luogo e a questa comunità. Ancora oggi ricordo, non senza emozione e gratitudine, quel giorno nel lontano 1946 quando, giovane sacerdote, giunsi a Roma per perfezionare i miei studi negli Atenei pontifici, e fui accolto in questa comunità. Nonostante che il mio soggiorno non sia stato molto lungo, fu tuttavia sufficiente per non dimenticare più il clima di serena fraternità che vi respirai. Ma la mia visita odierna trova la sua motivazione più profonda nella mia ammirazione per la persona e per l'opera del vostro santo fondatore, ammirazione che si è resa più intensa nel mio frequente contatto con un vostro illustre confratello, che ricordo con grande nostalgia: il padre Guglielmo Möhler, per molti anni rettore generale della vostra Congregazione e anche membro del Pontificio Consiglio per i laici. Durante il Concilio Vaticano II abbiamo lavorato insieme alla stesura del decreto sull'apostolato dei laici, "Apostolicam Actuositatem", nel quale c'è la solenne conferma della validità dell'idea dell'apostolato cattolico, intuita e proclamata già nel secolo scorso da Vincenzo Pallotti. La mia visita vuole essere pertanto un atto di riconoscenza al vostro fondatore, questo santo sacerdote romano, che fu chiamato dal mio indimenticabile predecessore Giovanni XXIII: "un saggio di insigne santità che ai suoi tempi... ha fatto onore alla consegna che gli veniva dall'appartenenza al clero della prima diocesi della cattolicità... instancabile apostolo, direttore di coscienze, suscitatore di entusiasmi santi, magnifico nelle molteplici intraprese" ("Discorsi, Messaggi, Colloqui", V, pp. 86.90).


2. Nel rendergli omaggio vorrei anche riflettere insieme con voi, cari fratelli e sorelle, sull'origine e sulla forza motrice del suo carisma. Vincenzo Pallotti desiderava vivere in continua e sempre più intensa comunione con Cristo, al punto da voler essere totalmente trasformato in lui. Soleva ripetere molte volte questa preghiera, che ci fa intravedere la grandezza del suo cuore di cristiano e di sacerdote: "Sia distrutta la mia vita e che la vita di Gesù Cristo sia la mia vita" ("Opere complete", X, 158ss). Nel suo diuturno contatto con il Signore mediante la costante preghiera, l'ascolto contemplativo della parola di Dio, la celebrazione edificante dell'Eucaristia e del sacramento della Riconciliazione, egli fece propri i sentimenti di Cristo, il quale bramava di salvare tutti gli uomini e ricondurli al Padre. Nel cuore sacerdotale di Vincenzo Pallotti risonavano i palpiti del cuore di Gesù, buon pastore, che cerca la pecorella smarrita. Immergendosi nella contemplazione del comandamento della carità verso Dio e verso il prossimo, Vincenzo Pallotti comprese come fosse impossibile amare Dio senza amare il prossimo, come non si potesse amare veramente il prossimo senza impegnarsi per la sua salvezza eterna. Aprendosi a quest'amore di Dio, versato nel cuore per mezzo dello Spirito Santo, egli, spinto dalla carità di Cristo, lavoro senza tregua per la salvezza eterna degli uomini. Dall'amore salvifico di Cristo nasce perciò l'apostolato cattolico. Vincenzo Pallotti, lavoro instancabilmente per rinnovare la fede e riaccendere la carità fra tutti i cattolici e renderli così apostoli di Cristo, generosi testimoni di fede e di autentica dedizione verso i fratelli, in particolare i poveri e i bisognosi. Rivivendo il messaggio del Libro di Isaia (58,7-8.10-11), che abbiamo ascoltato nella prima lettura, concernente il vero culto da rendere a Dio, egli moltiplicava le iniziative per stimolare i cristiani a vedere nel fratello derelitto e debilitato il volto sofferente di Gesù. Al tempo stesso era convinto che, alla base della donazione verso i fratelli, occorreva porre la carità verso Dio, la quale è al di sopra di tutti i carismi. In tal senso egli poteva ripetere con san Paolo: "E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova" (1Co 13,3): sono le forti espressioni dell'"Inno alla carità", che la liturgia della Parola ha presentato alla nostra riflessione.


3. Vincenzo Pallotti era profondamente convinto che senza l'azione dello Spirito Santo, non può esistere autentico apostolato nella Chiesa: lo vedeva chiaramente in Gesù Cristo, il quale spinto dallo Spirito compie il suo apostolato, l'opera della salvezza; lo vedeva anche in Maria santissima che, aprendosi e abbandonandosi allo Spirito, diventa non soltanto la Madre dell'Apostolo del Padre, ma anche la Madre dei discepoli di Cristo; lo vedeva anche nella comunità del cenacolo, la comunità che in obbedienza all'ultimo desiderio di Gesù rimane in preghiera in attesa dello Spirito. Voi ben sapete come fosse importante per san Vincenzo Pallotti il significato e il valore del cenacolo. Quando ancora non era sacerdote, egli fece il proposito di rimanere sempre nel cenacolo con Maria e con tutte le creature per ricevere l'abbondanza dello Spirito Santo. E quando, non senza incertezze, incomprensioni e prove, gettava le fondamenta della sua opera, egli nella comunità del cenacolo pervasa dallo Spirito Santo scopriva la vera natura e l'ideale della propria fondazione. Ecco un brano del suo testamento: "Avendo terminato di scrivere le regole della Pia Casa di Carità, leggendo nella vita della beatissima Vergine come gli apostoli, dopo la venuta dello Spirito Santo, si portarono a predicare il sacrosanto Vangelo nelle diverse regioni del mondo, il Nostro Signore Gesù Cristo pose nella mia mente la vera idea della natura e opere della Pia Società del fine generale dell'accrescimento, difesa e propagazione della pietà e della fede cattolica" ("Opere complete", III, 27). Il vostro santo fondatore ha offerto in sé l'esempio di una persona che si apre allo Spirito, lo accoglie con generosità e si lascia spingere da questo Spirito, che è l'anima della Chiesa e quindi la sorgente di vita e di forza di qualsiasi apostolato; ha sentito la passione ardente per la salvezza delle anime e, meditando spesso sul brano evangelico concernente la "missione degli apostoli" - che abbiamo ascoltato -, ha voluto rispondere al pressante invito di Gesù: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Lc 10,2). Vincenzo Pallotti ha molto pregato e molto operato perché Dio suscitasse nella Chiesa numerose e sante vocazioni e perché molti giovani accogliessero con entusiasmo e generosità l'appello di Gesù di andare per il mondo ad annunciare: "E' vicino... il regno di Dio!" (Lc 10,9).


4. Vorrei soffermarmi ancora su un altro aspetto significativo della vita e dell'attività apostolica di san Vincenzo Pallotti, cioè la sua filiale, tenera e appassionata venerazione a Maria santissima. Grande devoto della Madonna, desiderava amarla infinitamente, se fosse possibile, darle i titoli più belli, amarla con l'amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Voleva che la propria fondazione fosse come un atto di ossequio a Maria santissima, scelta - col titolo di "Regina degli apostoli" - a celeste patrona dell'Opera, perché ella ottenesse da Dio tutti i doni necessari affinché l'apostolato cattolico esistesse e fosse fecondo nella Chiesa e si propagasse rapidamente in tutto il mondo, ma specialmente affinché "tutti, laici ed ecclesiastici secolari e regolari di qualunque ordine, stato e condizione avessero in Maria santissima, dopo Gesù Cristo, il più perfetto modello del vero zelo cattolico e della perfetta carità, poiché ella tanto si adopero per le opere della maggiore gloria di Dio e della salute delle anime, che sebbene non le fosse affidato il ministero sacerdotale, pure supero nel merito gli apostoli, perché ha meritato di esserlo, per avere senza proporzione al di sopra degli apostoli cooperato alla propagazione della santa fede" (Vincenzo Pallotti, "Opere complete", I, 6-7). Seguendo pertanto fedelmente e generosamente l'esempio del vostro santo fondatore, amate Maria, glorificate Maria, invocate Maria, imitate Maria!


5. L'odierno incontro non può esaurirsi in un semplice ricordo del passato, ma deve spronarci a riflettere sul presente e a proiettarci verso il futuro. L'amore di Cristo ci spinga ad operare instancabilmente perché la Chiesa sia effettivamente la luce del mondo e il sale della terra, o, come insegna il Concilio Vaticano II, "sacramento universale di salvezza" (LG 48).

Se l'idea che tutti i battezzati hanno il diritto e il dovere di essere apostoli, diritto e dovere fondati nel proprio "essere cristiano" (cfr AA 3); se l'idea dell'apostolato cattolico più non suscita perplessità e controversie, come nel secolo scorso, tuttavia il suo effettivo esercizio nella Chiesa non è ancora quello che con ragione ci si potrebbe aspettare, particolarmente dopo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Vorrei perciò ripetervi oggi quello che dissi ai membri del vostro capitolo generale (17 novembre 1983): "Mi compiaccio vivamente per questo impegno che intendete assumere per rispondere sempre più generosamente alle esigenze della Chiesa nello spirito del vostro venerato fondatore,... per ridare vita a quella forma di apostolato che associa i fedeli all'opera di evangelizzazione e di santificazione che la Chiesa tutta intera, nel suo capo e nelle sue membra, è chiamata a svolgere nel mondo di oggi e di domani". Continuate a moltiplicare il vostro impegno perché quello che profeticamente annuncio Vincenzo Pallotti, e il Concilio Vaticano II autorevolmente confermo, diventi una felice realtà, e tutti i cristiani siano autentici apostoli di Cristo nella Chiesa e nel mondo! Amen.

Data: 1986-06-22 Domenica 22 Giugno 1986




Alla comunità belga di Roma - Chiesa di Saint Julien (Roma)

Secolarizzazione e laicismo paralizzano la testimonianza



1. Ringrazio la divina Provvidenza che mi offre l'occasione di incontrarmi con i rappresentanti della comunità belga a Roma; qui, nel cuore della Città Eterna e nella loro Chiesa nazionale, dopo poco più di un anno dalla mia indimenticabile visita al loro paese. Ringrazio sua eccellenza l'ambasciatore, il quale già molto tempo fa mi è venuto ad invitare alla visita della Reale Fondazione di San Giuliano dei Fiamminghi. Ringrazio mons. Rettore, il quale mi riceve calorosamente nella sua Chiesa e il quale mi ha appena illustrato la storia, il significato e le attività di questo centro ecclesiastico e culturale. Saluto le personalità ecclesiastiche belghe di Roma e tutti quelli che sono venuti a partecipare a questo incontro familiare del vescovo di Roma con la comunità belga in questa città.


2. Mi torna in mente il vostro paese e tutti quelli che vi abitano, e i vostri connazionali che a causa della loro posizione o del loro incarico si trovano sparsi per il mondo. Penso ai vostri reali, a sua maestà Re Baldovino e a sua maestà la Regina Fabiola, i quali in modo degno, saggio e semplice guidano la vita del popolo belga e conservano l'armonia e la necessaria collaborazione tra i vari gruppi culturali e linguistici che fanno parte della tradizionale ricchezza del vostro popolo, perché tra loro si completano. Mentre visito questa fondazione a Roma, con ricordi e tracce che si estendono per quasi nove secoli, mi viene in mente la ricca e movimentata storia del vostro paese. Implicato nella storia di monarchie e imperi, esso ha saputo mantenere la sua peculiarità, il suo senso di libertà e il suo spirito d'intraprendenza, ha sviluppato le sue culture e le sue arti e ha dato testimonianza della sua religione e fedi sempre in sintonia con il successore di Pietro. Le relazioni diplomatiche tra il Belgio e la Santa Sede risalgono all'anno 1842, quindi quasi all'epoca della totale indipendenza del paese. Il Belgio attuale ha sempre costruito dei legami con altri paesi. Con i paesi dell'Europa, dove occupa un posto speciale nel centro delle attività della Comunità Europea. Ma anche legami con paesi più distinti, dei quali, con grande perseveranza, è andato a scoprire gli orizzonti, e particolarmente in Africa, cosicché si può ritrovare l'impronta che ha lasciato sulla cultura, sulla fede e sullo sviluppo di alcuni popoli di altri continenti. Mi viene da pensare specialmente ai missionari, che da parecchi secoli hanno svolto e svolgono tuttora coraggiosamente e con efficacia l'opera di evangelizzazione, preparando così la fioritura di nuove chiese. La famosa università di Lovanio in Belgio, il cui posto adesso è stato occupato dalle università di Louvain-la-Neuve, ha avuto una grande influenza in tutto il vostro paese, in Europa e nella chiesa universale.

Durante il Concilio Vaticano II i pastori e gli esperti belgi hanno svolto un ruolo importante e ancor'oggi nella Curia Romana alcune personalità ecclesiastiche, cardinali, vescovi e preti svolgono dei compiti di riguardo a servizio della Chiesa universale. Io personalmente ricordo con gratitudine il Pontificio Collegio Belga, del quale durante i miei studi sono stato un fortunato ospite.


3. Questa storia, questa presenza attiva, questa azione multipla dei Belgi nella comunità umana e nella Chiesa, tanto più notevoli poiché provengono da un paese di dimensioni territoriali modeste, devono essere innanzitutto l'occasione di un'azione di grazia al Signore che ha suscitato e orientato verso il servizio degli altri il coraggio e il talento dei vostri compatrioti. Ma questi talenti che Dio vi ha dato comportano anche delle esigenze: chiamano a una più grande responsabilità, a nuovi sforzi di santità. I credenti belgi sono incessantemente invitati a ritrovare le loro radici cristiane, a fare fruttificare le grazie ricevute, a rivolgersi con generosità verso coloro che sono privati, a considerare anche con simpatia e fiducia le ricchezze e le qualità degli altri popoli, nell'universalità della Chiesa, devono superare le tentazioni che nasconde il mondo contemporaneo, quelle dell'indifferentismo religioso, di un assorbimento nel progresso tecnico, di un certo tipo di secolarizzazione e di laicismo che impedisce la fede di guidare la vita, paralizza la testimonianza con il pretesto di non generarne altre e mette in dubbio le certezze della fede.

Grazie a Dio nei grandi raduni di fedeli che ho avuto la grazia di conoscere nel corso della mia visita pastorale, a Bruxelles, a Mechelen, a Antwerpen, a Ieper, a Gand, a Beauraing, a Namur, a Liegi, a Louvain-la-Neuve, a Banneux, ho avuto in generale la testimonianza di popolo fervente, felice della propria fede, celebrandola degnamente, esigente nei suoi impegni. Tuttavia i vescovi belgi, di cui apprezzo la lucidità e la sollecitudine pastorale, non hanno mancato di sottolineare la necessità di una nuova evangelizzazione che permetta di approfondire la fede, anche con il corso di catechisti ben formati, per meglio accogliere le esigenze etiche della vita cristiana, per affermare i legami familiari ed essere più fedele all'Eucaristia domenicale e al sacramento della penitenza, e riprendere uno spirito missionario. Tali sono le intenzioni che confidiamo al Signore nella nostra preghiera di oggi, perché i nostri fratelli e sorelle del Belgio, con la luce e la forza dello Spirito Santo non temano di continuare a prendere parte alla vita della Chiesa che conta su di loro. Il Vangelo di questa dodicesima domenica ci mostra l'ammirevole professione di fede di Pietro e le esigenze di rinuncia alle quali Cristo ci invita. Ecco il vigore spirituale che dobbiamo chiedere a Dio per i vostri compatrioti ed anche per le giovani generazioni!


4. Infine davanti a Dio, formulo voti cordiali per voi stessi, cari amici: perché siate fedeli alle vostre migliori tradizioni; perché Dio ispiri tutti coloro che sono i responsabili di questa fondazione reale belga Santi Giuliano dei Fiamminghi e di questa Chiesa, in particolare il Rettore e il Consiglio dei Presidi in unione con l'Ambasciata presso la Santa Sede; perché questo istituto continui ad accogliere i pellegrini del vostro paese e coloro che sono nel bisogno, secondo lo spirito del vostro Santo patrono, San Giuliano l'Ospitale; perché tutti i membri della comunità belga a Roma conoscano meglio la storia, l'arte e gli insegnamenti della Città eterna, grazie ai servizi culturali messi loro a disposizione; perché trovino qui un centro di fraternità e un luogo di un ritorno alle origini spirituali che rinnovi l'anima; perché imparino a scoprire e stimare i loro fratelli dell'Italia e delle altre nazioni e ad apportare la loro parte di servizio; perché a contatto con il Papa, delle istanze della Santa Sede e dei Pellegrini di ogni paese, si aprano alle gioie, alle prove e ai bisogni della Chiesa universale; per tutti coloro che abitano questa casa. Si, di tutto cuore prego per voi e benedico voi e tutte le vostre famiglie. Il Papa conta anche sulla vostra preghiera e sul sostegno che apporterete alla sua missione apostolica e alla testimonianza della diocesi di Roma.

Data: 1986-06-22 Domenica 22 Giugno 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Omelia al Centro Italiano di Solidarietà - Roma