GPII 1986 Insegnamenti - Agli ammalati nella Chiesa di San Domenico - Prato

Agli ammalati nella Chiesa di San Domenico - Prato

Sappiate che non siete mai soli. Dio è sempre vicino a chi soffre



1. Nella mia visita alla Città di Prato, non poteva mancare un incontro con voi, carissimi malati. Vi saluto con sincero affetto ad uno ad uno. Per me, questo, è un momento privilegiato, in cui posso esprimervi tutta l'attenzione e la vicinanza affettuosa che vi porto. Vorrei poter intrattenermi con ciascuno di voi, per ascoltarne le confidenze e conoscerne le particolari esigenze. Il tempo non ce lo permette, ma sappiate che voi occupate un posto speciale nel mio cuore.

Gesù, che personalmente ha scelto la sofferenza più atroce per amor nostro, ha avuto sempre una particolare predilezione per gli ammalati. Sappiate pertanto che non siete mai soli: Dio è sempre vicino a chi soffre. E anche il Papa vi è vicino.


2. La mia preghiera al Signore è per implorare per voi ogni sollievo e conforto, come pure la auspicata guarigione.

Vorrei anche invitarvi, pero, a trasformare il vostro dolore in sacrificio di purificazione e in dono di salvezza.

Voi ammalati e voi inabili condividete con Cristo il peso della croce.

E, proprio per questo, avete un ruolo privilegiato nella edificazione della Chiesa: le vostre sofferenze, unite a quelle di Cristo, diventano strumento di redenzione e di salvezza.


3. C'è un segreto, che può trasformare profondamente l'atteggiamento di chi è sofferente nel corpo: è l'abbandono fiducioso in Dio. Non è, questo, una specie di rifugio facile, consolatorio e, in definitiva, alienante. Ci vuole veramente una grazia speciale per esser capaci di tanto. Ma il Signore è li, pronto a concederla, perché la sofferenza diventi caparra di ricompensa eterna, ed anche, sin d'ora, motivo di riflessione e di esempio per chi ci avvicina. Egli, che ha promesso di non lasciare senza ricompensa chi compie un semplice gesto di cortesia per amore di Lui (Mt 10,42), quanto più guarderà con benignità chi gli ha fatto dono di tutto se stesso nella condizione di malattia?


4. Illumina e dà sostegno a questi pensieri la figura di San Giuseppe, di cui oggi celebriamo la solennità, nel contesto del tempo liturgico della Quaresima, che stiamo vivendo. Quell'uomo giusto (Mt 1,19), nel compito di proteggere e di difendere la vita, e dunque anche la salute, del Bambino Gesù e di Maria, sin da quando ebbe rivelata la propria missione, si abbandono unicamente in Dio. Il Signore ripago questa fiducia, proteggendolo dagli eventi minacciosi che accompagnarono gli inizi della Santa Famiglia. La Quaresima, poi, che corre ormai verso i giorni radiosi della Pasqua, ci ricorda che ogni sofferenza serve alla purificazione e alla conversione del cuore e che, comunque, dopo i tempi del dolore, vengono sempre quelli della gioia: della gioia umana, se al Signore piacerà - come io auguro a ciascuno di voi - di concedere la completa guarigione; della gioia soprannaturale, se è sua volontà disporre diversamente, perché Egli non manca di far pregustare fin d'ora a chi s'affida a Lui qualcosa della "quantità smisurata ed eterna di gloria" che Egli prepara come ricompensa del "momentaneo" peso della nostra tribolazione (cfr 2Co 4,17). Il tempo della malattia è come quello della Quaresima: è un'esperienza che lascia sempre nell'anima qualcosa che l'arricchisce per la vita presente e per quella eterna.


5. Vorrei aggiungere un cordiale e sentito ringraziamento per coloro che vi assistono. Con la loro opera, essi ripropongono la sollecitudine del Buon Samaritano (Lc 10,33-35). Siano consapevoli che le loro premure ed attività, la serenità e la forza che cercano di infondere, sono una preziosa testimonianza della presenza compassionevole di Dio in mezzo ai suoi figli toccati da ogni sorta di infermità.

Su tutti voi qui presenti, sulle vostre famiglie, per le intenzioni di bene che animano ciascuno, invoco ora dal Signore copiosi favori celesti e di cuore imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




Alle monache Domenicane e Benedettine - Prato

Vivere in modo speciale l'offerta di sé al Padre


Carissime sorelle Domenicane e carissime sorelle Benedettine,


1. Nella mia visita alla Comunità ecclesiale di Prato non poteva mancare un incontro con voi che, per la vostra vocazione - come ebbe a dire Santa Teresa di Lisieux - vivete "nel cuore della Chiesa".

Vi saluto tutte con affetto e ringrazio il Signore per avermi dato la possibilità d'incontrare anche voi, che siete una porzione tanto significativa della Chiesa pratese. Il vostro nascondimento fa forse apparire, ad occhi superficiali, di scarso rilievo la vostra missione al servizio della Chiesa e dell'uomo; ma in realtà uno sguardo attento, illuminato dalla fede, ci dice che non è così.

Grande è invece il vostro servizio, e molto si attende da voi oggi la Chiesa. Molto, anche, deve poter trovare, nella vostra testimonianza, il cuore umano assetato di verità, di bontà, di assoluto. La vostra vocazione, sostenuta dalla luce dello Spirito Santo, vi chiama ad essere profonde conoscitrici del cuore umano e delle sue aspirazioni più pure alla trascendenza, alla giustizia, alla libertà, alla pienezza della vita umana. Vi chiama ad imitare in ciò la grande Santa Caterina de' Ricci, la quale, dalla sua profonda esperienza contemplativa ottenne quel dono di sapienza che la portava ad offrire una parola, ora di consiglio, ora di consolazione, ora di fraterno richiamo, alle più diverse categorie di persone, con un animo veramente aperto ai bisogni di tutti, grazie all'ispirazione di una carità ardente e generosa.


2. La vostra vocazione vi chiama ad avere una speciale sensibilità per i problemi ed i valori spirituali del nostro tempo, sia a livello di singoli, che nel più vasto ambito della società e della Chiesa, sempre con un riferimento ai supremi valori della salvezza e dell'avvento del Regno di Dio. Tale vostra sensibilità dovrà sorgere soprattutto da una valutazione di fatti ed avvenimenti alla luce della Parola di Dio e nell'ascolto della voce dello Spirito. Voi infatti, care sorelle, siete chiamate ad essere in modo speciale quell'"uomo spirituale" del quale parla San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi (1Co 2,15): quell'"uomo spirituale" che, come Paolo, "non conosce altro se non Cristo e questi crocifisso" (1Co 2,2).

La vostra vocazione vi porta a vivere in modo speciale quell'atto di offerta di sé al Padre, che ogni battezzato come tale deve compiere, ad imitazione di Gesù crocifisso. La vostra Regola religiosa vi dà mille occasioni per attuare questa offerta con frutto e con intima serenità. Lo Spirito Santo, l'intercessione della Vergine SS.ma e dei vostri fondatori vi sostengano in questa generosa ed indispensabile opera di salvezza a favore del mondo e della Chiesa. Non dimenticatevi mai che tutta la Chiesa confida nella vostra collaborazione e nel vostro aiuto! E anche il Papa conta molto sulle vostre preghiere e sui vostri sacrifici! Vi benedico tutte di cuore.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




L'omelia durante la solenne concelebrazione eucaristica in Piazza Mercatale - Prato

Vivere responsabilmente la paternità e la maternità per scoprire i risvolti meravigliosi dell'amore coniugale



1. "Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo" (Lc 2,48).

Oggi tutta la Chiesa si raccoglie intorno alla figura di San Giuseppe, di Nazaret, sposo della Vergine Santissima, protettore del Verbo incarnato e protettore della Chiesa.

Gioisco, perché mi è dato di vivere questa solennità insieme con voi, cari fratelli e sorelle! Saluto il vostro Vescovo e lo ringrazio per l'invito che mi ha rivolto ad essere presente tra voi in questa gioiosa circostanza. Questa mattina, come sapete, ho incontrato le varie categorie del mondo del lavoro, e tale cordiale incontro è apparso particolarmente significativo in questa festività liturgica nella quale ricordiamo San Giuseppe, patrono dei lavoratori.

Il mio saluto cordiale si estende a tutti i presenti: alle autorità civili, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, al popolo cristiano, alle associazioni e ai movimenti cattolici, ai bambini, ai giovani, alle famiglie, agli anziani, ai malati, a tutti! Sono lieto di essere presente tra voi oggi, anche perché il mio pensiero va, con sentimento di attenzione e di incoraggiamento, al Sinodo diocesano che si sta svolgendo nella sua fase parrocchiale. Possano i suoi lavori procedere e concludersi producendo ampi frutti di bene e di spirituale rinnovamento!


2. La Chiesa guarda a San Giuseppe, "uomo giusto", come a colui che fu padre di Gesù di Nazaret davanti agli uomini. perciò nell'odierno Vangelo ascoltiamo le parole: "Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo".

Queste parole sono pronunziate dalla Madre di Gesù dopo tre giorni di ricerca del Dodicenne, nel momento in cui lo trova "nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava" (Lc 2,46).

Tutti abbiamo presente quest'avvenimento narrato dall'Evangelista Luca.

Ce lo propone l'odierna liturgia. E' l'unico avvenimento dell'adolescenza di Gesù ricordato dai Vangeli. Avvenimento significativo, dato che quel Pellegrino dodicenne di Nazaret era in grado di trovare un tale ascolto tra i dottori nel tempio gerosolimitano. "E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte" (Lc 2,47).

Nello stesso tempo, quest'avvenimento getta una particolare luce sul mistero della paternità di Giuseppe di Nazaret. Ecco Maria che rimproverando il Figlio ("Figlio perché ci hai fatto così?"), dice: "tuo padre e io... ti cercavamo". E Gesù risponde: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49). Maria si riferisce alla sollecitudine paterna di Giuseppe. Gesù dodicenne si richiama alla paternità di Dio stesso.


3. La liturgia dell'odierna solennità ci porta a guardare alla paternità dell'uomo, di Giuseppe, attraverso la paternità di Dio stesso.

perciò il nostro pensiero va alla promessa fatta ad Abramo, la quale costituisce, in un certo senso, l'inizio della grande Alleanza di Dio con l'uomo.

Ecco, Abramo "ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto" (Rm 4,18).

La paternità di Abramo si basava sulla fede. Si basava sulla speranza "contro ogni speranza". E mediante la fede egli divenne padre di una numerosa discendenza, non in senso fisico, ma spirituale.

Anche la paternità di Giuseppe di Nazaret è basata sulla fede. E' basata sulla fede in modo completo ed esclusivo. Per opera dello Spirito Santo, egli ha creduto nel mistero della concezione del Figlio di Dio nel seno della Vergine che era sua sposa. Per opera dello Spirito Santo - mediante la fede -- divenne testimone della nascita di Dio nella notte di Betlemme. Divenne il custode più premuroso di questo mistero e il custode della Madre e del Figlio. Prima a Betlemme. Poi in Egitto, dove furono costretti a fuggire per evitare la crudeltà di Erode. Infine a Nazaret, dove Gesù cresceva sotto il suo sguardo, e continuamente stava accanto a lui per lavorare al pancone come "figlio del carpentiere" (cfr Mt 13,55 Mc 6,3).

Al momento del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio di Gerusalemme, Maria dice: "tuo padre e io... ti cercavamo". Queste parole tanto "umane" contengono tutta la grandezza del Mistero divino. La paternità verginale di Giuseppe di Nazaret trova in questo mistero la sua conferma. Trova anche incessantemente la sorgente della sua irradiazione spirituale.

Ecco Giuseppe, che, "ebbe fede sperando contro ogni speranza". La fede di Abramo ha trovato in lui un compimento del tutto speciale.


4. Nella luminosa figura di Giuseppe ci è dato di intravvedere il nesso profondo che esiste tra la paternità umana e la paternità divina: quanto quella sia fondata su questa, e da questa tragga la sua vera dignità e grandezza.

Generare un figlio, per l'uomo, è soprattutto un "riceverlo da Dio": si tratta di accogliere in dono da Dio la creatura che si genera. Per questo i figli appartengono prima a Dio che ai loro stessi genitori: e questa è verità ricca di implicazioni sia per gli uni che per gli altri.

Non sta forse qui la grandezza della missione affidata al padre e alla madre? Essere strumenti del Padre celeste nell'opera formativa dei propri figli.

Qui pero sta anche il limite invalicabile che i genitori devono rispettare nell'adempimento del loro compito. Essi non potranno mai sentirsi "padroni" dei loro figli, ma dovranno educarli con attenzione costante al rapporto privilegiato che questi hanno col Padre celeste, del quale in definitiva devono "occuparsi" - come Gesù - più che dei loro genitori terreni.


5. La Famiglia di Nazaret è ricca d'insegnamenti non solo per i padri, ma anche per i figli: pei voi, giovani, che vi preparate alla vita nel quotidiano confronto con i vostri genitori. Anche a voi gioverà riflettere su questa dimensione verticale, che collega la paternità umana a quella divina, dalla quale - come sottolinea San Paolo (Ep 3,15) - "ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome". Se ora voi sapete riconoscere nella luce di Dio, la ricchezza della missione affidata ai vostri genitori, se vi sforzate di corrispondere con generosità recando il vostro contributo alla vita di famiglia in un atteggiamento di dialogo fiducioso ed esperto, voi vi preparate nel modo migliore al vostro matrimonio di domani ed ai futuri compiti che, quali padri e madri, dovrete a vostra volta assumervi.


6. E si tratta di compiti non facili. Una paternità ed una maternità che vogliono essere degni della persona umana non possono infatti restringersi all'orizzonte della generazione fisica, ma vanno intese anche - e direi soprattutto - in un senso morale e spirituale. Per mettere al mondo un uomo bastano pochi mesi, per crescerlo ed educare non basta una vita. Vi è, infatti, un mondo di valori, umani e soprannaturali, che i genitori devono trasmettere ai figli, perché il loro "dare la vita" abbia una dimensione pienamente umana. E questo richiede tempo, richiede pazienza, richiede una riserva inesauribile di intelligenza, di tatto, di amore.

E' un cammino che tutta la famiglia è chiamata a compiere insieme, giorno dopo giorno, in una crescita progressiva in cui tutti i membri della famiglia sono interessati: non solo i figli, ma anche i genitori, i quali, vivendo responsabilmente la loro paternità e maternità, giungono a scoprire risvolti inaspettati e meravigliosi del loro amore coniugale.

Sono precisamente questi risvolti più intimi e profondi che lasciano intravvedere quell'orizzonte più vasto, grazie al quale l'amore tra uomo e donna trascende l'esperienza nel tempo e si apre alla prospettiva della futura resurrezione gloriosa, dove la generazione fisica sarà evidentemente superata, ma non per questo verrà meno l'unione spirituale dei cuori.

In questa luce acquista una straordinaria eloquenza la figura di San Giuseppe che, nel matrimonio verginale con Maria santissima, ha anticipato in qualche modo l'esperienza definitiva del Cielo, ponendo sotto i nostri occhi le ricchezze di un amore sponsale costruito sulle segrete armonie dell'anima ed alimentato alle inesauribili sorgenti del cuore. E' una lezione che si rivela quanto mai importante in questo nostro tempo, nel quale la famiglia non di rado è in crisi proprio perché l'amore su cui si fonda presenta una preoccupante carenza d'anima, nel contesto di una sopravvalutazione della pur importante componente psicologica dell'istinto e dell'attrattiva. Per ridare solidarietà all'istituto familiare occorre innanzitutto provvedere ad immettere nel circuito amoroso della coppia un "supplemento d'anima".


7. Carissimi, so che le famiglie cristiane di Prato si sforzano di poggiare la loro esistenza sui valori evangelici. E' particolarmente sentita in questa vostra comunità ecclesiale l'esigenza di una riscoperta della fede e di un'autentica spiritualità. Conosco l'impegno col quale i pastori e le famiglie stesse lavorano per venire incontro a tale esigenza. I risultati di questo impegno, testimoniati anche dai dati statistici, sono incoraggianti, e ci mostrano una situazione che, per certi aspetti, è avvantaggiata nei confronti della media nazionale. Nella vostra terra si è ancora molto fedeli al matrimonio religioso ed in genere le famiglie sono unite. La quasi totalità dei genitori fa battezzare i figli e li prepara alla Prima Comunione ed alla Cresima.

Le difficoltà semmai vengono dopo: resta sempre difficile poter seguire i ragazzi nel periodo delicato che succede alla Cresima. E perciò, su questo punto, occorrerà approfondire ed intensificare l'impegno educativo, perché è generalmente in questa età che l'adolescente compie le sue grandi scelte, ed è allora estremamente importante che, in questo frangente, egli possa essere aiutato e consigliato da una presenza paterna e materna veramente saggia ed illuminata, fondata sulla fede.

Le luci esistenti nella situazione delle famiglie incoraggiano ad affrontare le ombre, con decisione e sano ottimismo. Occorrerà un maggiore impegno per vincere le tendenze edonistiche e secolaristiche, che anche da voi, come da altre parti, insidiano le fondamenta stesse dell'istituto familiare sia nel senso umano che in quello cristiano. Molto ci si può e ci si deve attendere, per ovviare a tali difficoltà, oltre che dall'opera solerte dei pastori, anche - e direi soprattutto - dall'esempio e dall'interessamento concreto da parte di quelle famiglie - che fortunatamente non mancano - le quali stanno vivendo l'esperienza cristiana del matrimonio in una forma particolarmente impegnata.

Spetta alla famiglia cristiana testimoniare se stessa di fronte al mondo, attuando nel proprio seno quell'"intima comunità di vita e di amore" (GS 48), che Dio ha previsto per lei nel suo progetto iniziale.

Fedeli di Prato, in questa vostra terra che ai valori della famiglia è ancora singolarmente sensibile, abbiate la fierezza di offrire l'esempio di famiglie veramente unite, nelle quali l'esperienza della comunione sia vissuta ad ogni livello: comunione con Dio nella preghiera e nella pratica liturgica, soprattutto nella partecipazione all'Eucaristia; comunione nel proprio interno fra marito e moglie, tra genitori e figli, tra giovani ed anziani in una autentica circolazione d'amore; comunione con i fratelli, a cominciare dagli inquilini del medesimo stabile fino agli abitanti del quartiere e a quelli della città, in un atteggiamento di rispetto, di cortesia, di disponibilità sempre rinnovata; comunione con la Chiesa, nella quale la famiglia cristiana presenta in sé uno speciale riflesso ed alla quale è chiamata a dare un insostituibile contributo.

Vi sta davanti, in questo vostro impegno, il modello insuperabile della Santa Famiglia, le cui vicende offrono luce di insegnamento e di guida non solo per i momenti della gioia, ma anche per quelli della difficoltà e della prova. La pagina evangelica oggi proposta ne è un esempio.


8. "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo" (Lc 2,48). Una frase tolta dalla storia di San Giuseppe, sposo della Madre di Dio, il quale era dinanzi agli uomini, padre di Gesù di Nazaret, di Gesù Cristo Figlio di Dio.

Una frase tolta dalla storia dell'uomo. Una frase molto "umana" nel suo contenuto. Un rimprovero, ma prima di tutto manifestazione di sollecitudine. La paternità e la maternità si esprimono proprio in questa sollecitudine; nella quotidiana sollecitudine creatrice per l'uomo sin dal momento del suo concepimento nel seno della madre... per il bambino, per l'adolescente, per l'adulto. Questa sollecitudine paterna e materna è un riflesso della Provvidenza divina.

Ed ecco un'altra frase tolta dalla storia di Giuseppe di Nazaret: "Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" (Lc 2,49).

Queste parole sono state pronunciate da Gesù, ma nello stesso tempo appartengono alla storia di Giuseppe: di Maria e di Giuseppe.

Nell'ambito della sollecitudine del padre e della madre si dischiude nell'anima del bambino lo spazio interiore della vocazione che proviene da Dio stesso: "io devo occuparmi...".

Beata quella paternità, beato quel generare umano, che restituisce l'uomo a Dio: alla paternità di Dio stesso.

Data: 1986-03-19 Mercoledi 19 Marzo 1986




Ai giuristi polacchi - Città del Vaticano (Roma)

Condizioni giuridiche per lo sviluppo della persona


Signori e signore, cari fratelli e sorelle.


1. Vorrei darvi il mio cordiale benvenuto in questa casa pontificia, cari giuristi, partecipanti del primo pellegrinaggio della Pastorale nazionale dei giuristi di Cracovia, Katowice, Nowy Sacz, Poznan e Zielona Gora. Saluto il pastore nazionale dei giuristi, prof. Tadeusz Pieronek, e gli altri sacerdoti che sono venuti con voi a Roma. Saluto tutti e ciascuno, e attraverso voi, qui presenti, estendo il mio cordiale saluto ai vostri ambienti e a tutti quelli che nella Patria desiderano servire la giustizia che costituisce il bene fondamentale dell'uomo, della società e della nazione.

Ringrazio vivamente l'avv. Kazimierz Ostrowski per le parole che ha pronunciato, interpretando molto chiaramente i sentimenti che vivono nel pensiero e nel cuore sia vostro che mio.

Sono molto lieto e vi ringrazio del fatto che siate riusciti a superare non poche difficoltà che avevano ostacolato il vostro viaggio, e che vi troviate finalmente - dopo tanti sacrifici - nella Città Eterna. In questa città che è così cara ai compatrioti credenti e così vicina non solo agli storici e amanti dell'arte, ma anche, particolarmente, ai giuristi i quali proprio da qui traggono le loro origini: dalla Roma cristiana e, attraverso essa, da quella antica.

L'incontro odierno, i volti tra cui molti mi sono ben noti, mi fanno ritornare alla mente l'incontro natalizio al quale ha accennato l'avv. Ostrowski, svoltosi qui in Vaticano nel gennaio 1980, e soprattutto gli incontri che si svolgevano ogni anno in via Franciszkanska, durante i quali ci dividevamo l'"oplatek"; e ricordo anche altri incontri che sono impressi nel mio cuore.


2. Pellegrinaggio a Roma, pellegrinaggio durante la Quaresima! E' un'occasione propizia per porsi le domande riguardanti il nostro cammino: quello che abbiamo compiuto finora, quello che è davanti a noi, quello della vocazione e dei compiti che Dio ci ha posto dinanzi.

Avete sentito certamente questa inquietudine, così utile e creativa, anche venendo qui. La domanda sul nostro cammino è anche una domanda sui valori, sulla vita e il suo significato, sulla vocazione e la sua realizzazione. E' quindi domanda della coscienza la quale è continuamente esposta a varie prove. Quante prove hanno dovuto passare le generazioni contemporanee nella nostra Patria! Quante prove abbiamo vissuto noi e quante ne stiamo vivendo; prove che costituiscono per l'uomo l'esame di vita.

L'inquietudine e le domande che nascono spontaneamente nell'uomo e che la Chiesa, in virtù della sua missione, suscita in esso, gli impediscono di abituarsi a tutto ciò che gli viene suggerito, e talvolta imposto, dal "mondo".

Gli impediscono di abituarsi e di arrendersi al peccato, alle diverse forme di schiavitù, di disuguaglianza, di ingiustizia o di menzogna.


3. La Chiesa, suscitando le domande che esistono nell'uomo, vi dà nel contempo l'essenziale risposta. Questa risposta è Cristo, è il suo Vangelo, il suo mistero pasquale, la sua croce e risurrezione. Questa risposta, soprattutto nel suo finale pasquale, è un dono speciale e ineffabile di Dio all'uomo. Il Concilio Vaticano II insegna che l'opera redentrice di Cristo, abbraccia anche il rinnovamento di tutto l'ordine creato, e la missione della Chiesa consiste anche nell'infondere lo spirito evangelico nell'ordine delle cose temporali. I laici compiendo questa missione nella Chiesa devono cercare di plasmare, nello spirito cristiano, il modo di pensare e i costumi, le leggi e l'ordinamento della propria società (cfr AA 5 AA 13); devono "rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra" (LG 33).


4. Potremmo chiederci in quanti posti in quante circostanze il vero ed efficace apostolato si realizza ancora attraverso la presenza dei laici! Quanti posti e circostanze del genere ci sono nel vostro ambiente giuridico e nel vostro mondo!?


5. Continuate dunque gli sforzi per rendere la vostra fede più cosciente e matura.

Bisogna che essa trovi la sua espressione anche nella responsabilità cristiana; che abbia l'influsso sulla vita; che plasmi le coscienze e la moralità liberandola dai pericoli e dalle minacce in cui essa si trova, e si trova sempre più spesso.

Nella luce della fede matura la coscienza dei doveri cittadini. La fede obbliga ad assumere con coraggio le responsabilità sociali: è fonte inesauribile di energia; fornisce dei motivi più profondi per la trasformazione e lo sviluppo dell'uomo e della società, nel riconoscimento e nel rispetto delle istituzioni esistenti, ricordando tuttavia le note parole che Pietro e gli apostoli pronunciarono quando gli venne proibito di predicare e di insegnare nel nome di Gesù: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Ac 5,29).


6. L'apostolato e la missione particolare dei giuristi consistono nella sollecitudine per l'ordine sociale senza il quale il bene della persona umana, e quindi anche il bene della società, è esposto al pericolo da parte di una forza che non riconoscendo nessuna legge, dichiara di essere legge essa stessa. L'ordine giuridico che vige nella società non è e non può essere, certamente, fine a se stesso. Ha il carattere di servizio nei confronti dell'uomo, della persona umana, nonché nei confronti della comunità sociale nella quale essa adempie ai suoi doveri. Creando l'ordine giuridico e difendendo la sua verità voi, in modo particolare, servite l'uomo. Dovete sentirvi quindi profondamente impegnati nell'assicurare le condizioni giuridiche che favoriscano lo sviluppo della persona secondo la sua verità e la sua dignità. Dovete da una parte creare tali condizioni e dall'altra custodirle, qualora si trovassero in pericolo.

La persona umana ha il diritto a questo genere di ordine che è favorevole ad essa e alla società. Svolgendo quindi la vostra professione nella verità e nell'amore per l'uomo, voi difendete il suo diritto fondamentale; diritto alla vita dignitosa nel mondo dignitoso. Il diritto della persona umana alla vita dignitosa è radicato nella sua natura che è frutto del pensiero creativo di Dio stesso. Difendere i diritti dell'uomo, creare le condizioni che favoriscono lo sviluppo delle persone e della società significa collaborare con il Creatore.


7. Ponete sempre al centro delle vostre sollecitudini e della vostra attività l'uomo, il suo bene, la sua dignità. Dovete guardare l'uomo, sentirlo, viverlo e considerarlo in tutta la sua verità, Bisogna fare tutto affinché in ogni circostanza l'uomo si senta difeso, amato; affinché sia salvato, perché la salvezza dell'uomo dal pericolo, da ogni pericolo, fa parte di quell'altra salvezza che viene da Dio.


8. In questa prospettiva vedo la vostra professione, o meglio, la vostra vocazione. Vedo in essa la collaborazione con il Padre che continua sempre la sua opera, con il Creatore. Vi prego di considerare la vostra fatica quotidiana proprio in questa luce. Cercate di vedere in essa il compimento di questa vocazione di fronte a Dio.


9. Accogliete, signori, queste parole; voi che siete chiamati continuamente a incontrare le persone, varie persone, sul terreno della giustizia; voi che siete e dovete essere messaggeri, difensori, custodi della legge e della legalità sulla nostra terra; voi che dovete vegliare perché siano rispettati in tutti i sensi i diritti e i doveri; voi che rimanete al servizio della giustizia, dell'ordine sociale e della pace: "opus iustitiae pax".

Nell'enciclica "Laborem Exercens" ho scritto: "Il rispetto dei diritti dell'uomo costituisce la condizione fondamentale per la pace nel mondo contemporaneo: per la pace sia all'interno dei singoli Paesi e società, sia nell'ambito dei rapporti internazionali".

La vostra fede vi insegni e vi aiuti a vedere e a vivere l'uomo, la sua dignità nel campo della giustizia e nelle dimensioni di Cristo: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). Non cessate di nutrire amore e speranza per quelli che vengono condannati nella luce delle giuste leggi. Si tratta prima di tutto di restituirli a loro stessi, a Dio e alla società.

Svolgendo la vostra professione contribuite alla costruzione della vera civiltà, fondata sulla verità, giustizia e amore. Vorrei citare le parole del Vangelo: "così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).


10. E' questo l'oggetto particolare dei miei auguri che rivolgo a voi, cari fratelli e sorelle, in occasione di questo pellegrinaggio. Siate docili alla volontà dello Spirito Santo che è un dono offerto alla Chiesa dal Padre, nell'adoratissimo Cristo. Che la testimonianza che date e darete a Cristo sia forte ed efficace testimonianza di questo Spirito Santo. Ogni giorno affido la mia Patria alla Signora di Jasna Gora. Oggi desidero affidarle in un modo particolare voi, le vostre famiglie, i vostri ambienti e amici, e tutti coloro che nella nostra Patria e in tutto il mondo "hanno fame e sete della giustizia" e sono "perseguitati per causa della giustizia". Che li guidi tutti Cristo risorto e li faccia partecipi del suo regno (cfr Mt 5,6-10).

Data: 1986-03-20 Giovedi 20 Marzo 1986




Incontro ecumenico con olandesi - Città del Vaticano (Roma)

Cristo ci chiama all'unità


Cari amici in Cristo. Nella nostra preghiera oggi noi richiamiamo una verità che è vitale per la nostra vita di cristiani, vale a dire che Cristo diede un incarico ai suoi discepoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20). Queste parole pongono chiaramente prima di noi la nostra verità come seguaci di Cristo. Egli ci ha affidato il compito di portare la gente a contatto con i misteri salvifici della redenzione e sostenere i testimoni della buona novella di Cristo. Ma con questo incarico, dato da Cristo, viene una sfida ai cristiani di ogni età e luogo.

Perché la nostra missione sia efficace, dobbiamo noi stessi dare testimonianza della realtà della riconciliazione che predichiamo. Ecco perché credo che una questione irrinunciabile del nostro tempo riguardi l'unità dei cristiani. L'attuale disunità non indebolisce la nostra capacità di portare avanti il grande compito che Cristo ci ha affidato? Non sollevano altre questioni circa la credibilità dei cristiani quando essi vedono che siamo in disaccordo gli uni con gli altri su importanti problemi di fede? Ma la nostra è un'epoca di ecumenismo. Un'epoca in cui veniamo con un nuovo spirito ad affrontare vecchi problemi che stanno tra di noi. Se guardiamo alla storia della nostra separazione, forse possiamo riconoscere di essere tutti vittime di eventi che ci divisero secoli fa e che continuano a separarci.

Il problema che ora dobbiamo affrontare è se noi perpetueremo queste divisioni che rendono difficile portare avanti il compito che Cristo ci ha dato.

La sfida che ci si pone ora è se noi potremo diventare architetti di una nuova situazione nella quale le divisioni tra di noi saranno sanate alla radice cosicché lo scandalo della disunità possa essere consegnato al passato, alla storia. In quella situazione noi saremo liberi di dare più ardentemente testimonianza, pieno significato della vita di Cristo.


GPII 1986 Insegnamenti - Agli ammalati nella Chiesa di San Domenico - Prato