GPII 1986 Insegnamenti - Messaggio pasquale "Urbi et Orbi" - Città del Vaticano (Roma)

Messaggio pasquale "Urbi et Orbi" - Città del Vaticano (Roma)

Scuotersi dalla morte come metodo di esistenza



1. "Cercate le cose di lassù" (Col 3,1).

E' la solennità della Risurrezione del Signore. Parla Paolo l'apostolo, lui che ha sperimentato, in modo particolare, la potenza del Risorto: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù... pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra... la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio" (Col 3,1-3).


2. Il messaggio pasquale è testimonianza. Rendono testimonianza coloro che hanno trovato la tomba vuota. Coloro che hanno sperimentato la presenza del Risorto.

"Ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato" (come le mani di Tommaso incredulo), "noi lo annunziamo.. a voi" (1Jn 1,1 1Jn 1,3).


3. "Poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta" (1Jn 1,2). Si è fatta visibile, quando tutto sembrava già essere affondato nel buio della morte; quando avevano già rotolato una grande pietra davanti al sepolcro e vi avevano applicato i sigilli, proprio allora si à fatta visibile di nuovo la Vita! Il messaggio pasquale è una testimonianza ed è una sfida. Cristo, che per noi è venuto nel mondo e per noi ha subito la morte di croce, mediante questa morte ci rende la vita; la nostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio (cfr Col 3,3).


4. "Questo è il giorno fatto dal Signore" (Ps 117,24). Questo giorno riconferma sempre per noi questa verità; Dio non si "rassegna" alla morte dell'uomo.

Cristo è venuto nel mondo per convincerlo di questo, Cristo è morto sulla croce ed è stato deposto nel sepolcro, per rendere testimonianza proprio a questo fatto; Dio non si "rassegna" alla morte dell'uomo! Egli infatti "non è Dio dei morti, ma dei vivi" (Mt 22,32). In Cristo la morte è stata sfidata. Cristo con la sua morte ha vinto la morte.

Ecco il giorno fatto dal Signore. Questo è il giorno della grande riscossa di Dio: della riscossa contro la morte.


5. L'uomo si rassegna alla morte? O è invece disposto a farsi partecipe della grande riscossa di Dio? L'uomo si rassegna alla morte, quando aspira soltanto alle cose della terra, quando cerca quelle soltanto. La terra sola non nasconde in sé il "fermento" dell'immortalità. L'uomo si rassegna purtroppo alla morte e non soltanto l'accetta, ma anche l'infligge.

Gli uomini continuamente infliggono la morte agli altri uomini, a uomini spesso sconosciuti, a uomini innocenti, agli uomini non ancora nati. L'uomo non solo si rassegna alla morte, ma ha fatto di essa non di rado il metodo della sua esistenza sulla terra: non è forse metodo di morte il metodo della violenza, il metodo della conquista cruenta del potere, il metodo della accumulazione egoistica della ricchezza, il metodo della lotta contro la miseria, che s'alimenta all'odio e alla brama di vendetta, il metodo dell'intimidazione e del sopruso, il metodo della tortura e del terrore? E tuttavia l'uomo, anche se si rassegna alla morte, ne ha terribilmente paura.


6. E' disposto l'uomo d'oggi a farsi partecipe della grande riscossa di Dio contro la morte? Una sfida, più pressante e coinvolgente di tutte, gli si presenta; la grande sfida della pace. Scegliere la pace significa scegliere la vita. Costruire la pace significa partecipare, con coraggio e con responsabilità, all'azione del Dio dei viventi.

Dio chiama l'uomo ad opporsi alla morte là dove essa oggi, in maniera più manifesta, appare come il frutto dell'egoismo, della divisione, della violenza: nelle regioni insanguinate da guerriglie e da conflitti, là dove sorgono tentazioni di terrorismo e di rappresaglia, nelle nazioni ove sono conculcati la dignità della persona, i suoi diritti, e le sue libertà.

In quest'Anno internazionale della pace, ho desiderato invitare gli uomini di tutte le convinzioni religiose, tutti gli uomini di buona volontà, a uno speciale incontro di preghiera per la pace nella città di Assisi. Sarà l'occasione per riaffermare, di fronte all'uomo impaurito dalle minacce di morte, il nostro impegno per la vittoria della vita. E' la vittoria di Cristo risorto.


7. Ma l'uomo d'oggi è disposto a farsi partecipe della Risurrezione di Cristo? E' disposto a riscoprire la sfida dell'immortalità nascosta nella sua sostanza spirituale? E' disposto a risorgere dai morti insieme con Cristo? E' disposto a morire, insieme con Cristo, al peccato, per risorgere insieme con lui alla Vita? E' disposto (come dice l'Apostolo) a pensare "alle cose di lassù", non soltanto a "quelle della terra"?


8. Questo è il giorno fatto per noi dal Signore! Il giorno di una grande testimonianza e di una grande sfida. Il giorno della grande risposta di Dio agli incessanti interrogativi dell'uomo.

Interrogativi circa l'uomo, circa la sua origine e il suo destino, circa il senso e la dimensione della sua esistenza. Questo è il giorno fatto per noi dal Signore, "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato" (1Co 5,7). Pasqua cioè passaggio: passaggio di Dio attraverso la storia dell'uomo; passaggio attraverso l'ineluttabilità della morte umana, che sin dall'inizio e fino alla fine è la porta verso l'eternità; passaggio attraverso la storia del peccato umano, che è la morte dell'uomo per il cuore di Dio; passaggio alla Vita in Dio.

Siamo disposti a risorgere costantemente dai morti a questa Vita che è "nascosta con Cristo in Dio"? Essa è anche la "nostra" vita! Siamo disposti a cercare la pienezza della "nostra" vita in Cristo crocifisso e risorto?


9. Cristo è risorto in un preciso momento della storia, ma ancora attende di risorgere nella storia di innumerevoli uomini, nella storia dei singoli e in quella dei popoli. E' risurrezione, questa, che suppone la cooperazione dell'uomo, di tutti gli uomini. Ma è risurrezione nella quale sempre si manifesta un fiotto di quella Vita che proruppe dal sepolcro in un mattino di Pasqua di tanti secoli or sono. Ovunque un cuore - superando l'egoismo, la violenza, l'odio - si china in un gesto d'amore verso chi è nel bisogno, li Cristo ancora oggi risorge. Ovunque nell'impegno fattivo per la giustizia emerge una vera volontà di pace, li la morte indietreggia e la vita di Cristo si afferma. Ovunque muore chi ha vissuto credendo, amando, soffrendo, li la risurrezione di Cristo celebra la sua definitiva vittoria. 10. L'ultima parola di Dio sulla vicenda umana non è la morte, ma la vita; non è la disperazione, ma la speranza.

A questa speranza la Chiesa invita anche gli uomini di oggi. Ad essi ripete l'annuncio incredibile, eppur vero: Cristo è risorto! Risorga tutto il mondo con lui! Alleluia! [Omissis: auguri in 47 lingue]

Data: 1986-03-30 Domenica 30 Marzo 1986









Alla FICEP - Città del Vaticano (Roma)

Lo sport, palestra di virtù per la vita


Egregi signori.


1. Sono lieto di potermi incontrare con voi, partecipanti all'assemblea della Federazione Cattolica di Educazione Fisica e Sportiva, che celebra in Roma il 75° anniversario di fondazione. Saluto i presidenti e i membri delle varie delegazioni nazionali, con i rappresentanti delle varie associazioni aderenti al movimento della FICEP. Ho notato che quasi tutti gli Stati europei sono qui segnalati, e questo indica la vitalità dell'Associazione e la sua significativa presenza nell'ambiente sportivo attraverso i singoli organismi nazionali. Mi compiaccio con voi per l'opera di formazione umana e spirituale che vi proponete nel mondo dello sport, fedeli agli scopi istituzionali della Federazione. Già fin dal 1906 essa intendeva riunire tutte le forze cattoliche per promuovere la sana educazione fisica, unitamente a quella religiosa e morale. Voi avete mantenuto fede a questo impegno, che costituisce la vostra ragion d'essere e lo specifico oggetto del vostro apostolato. Siete stati fedeli alla vostra missione negli anni passati, e volete esserlo ancora oggi, nel complesso mondo sportivo contemporaneo, divenuto un fenomeno sociale di grande portata e interesse. Io desidero incoraggiare l'opera educativa e sociale compiuta da tutti voi, quando cercate di diffondere il vero senso dello sport non solo nel mondo dell'agonismo e delle esibizioni sportive, ma altresi nella pratica più comune dello sport, vale a dire nell'attività che ogni persona svolge al fine di dare abilità ed efficienza fisica al proprio organismo, per il bene di tutta la persona.


2. Come ho già detto in occasione del Giubileo degli sportivi, la Chiesa riconosce la fondamentale dignità dello sport nella sua intrinseca realtà di coefficiente per la formazione dell'uomo e di componente della sua cultura e civiltà. Ciò risulta sempre più vero nel nostro tempo, nel quale l'attività sportiva sembra divenuta un fatto più comune e persino necessario. Infatti alcune esigenze della vita moderna e dell'attività lavorativa, come le strutture abitative dei grandi agglomerati urbani, moltiplicano le circostanze in cui occorre trovare tempo libero per esercitare forza e destrezza, resistenza e armonia di movimenti, ai fini di ottenere o garantire l'efficienza fisica necessaria al globale equilibrio dell'uomo. E' in questo contesto che appaiono più chiari i valori umani dello sport, come momento rispettabile dell'uso del proprio tempo, perché in esso l'uomo acquista una migliore padronanza di sé ed esercita una più adeguata espressione di dominio della sua intelligenza e della sua volontà sul proprio corpo. Di qui nasce un sereno atteggiamento di rispetto, di stima, di riscatto dell'attività sportiva, e, di conseguenza, la considerazione di essa come di un possibile momento di elevazione. Vogliate considerare la vostra missione come un importante impegno per far si che, con il moltiplicarsi a livello collettivo della pratica dello sport, si compia anche, per così dire, una "redenzione" del fenomeno sportivo, secondo i principi sempre proclamati dalla Chiesa. Ogni sportivo tenda ad ottenere, con il dominio di se stesso, quelle virtù basilari umane che costituiscono una personalità equilibrata, e che sviluppano, altresi, un "atteggiamento grato e umile verso il Donatore di ogni bene, e quindi anche della salute fisica, aprendo così l'anima ai grandi orizzonti della fede. Lo sport praticato con saggezza ed equilibrio assume, allora, un valore etico e formativo, ed è una palestra di virtù valide per la vita" (Giovanni Paolo II, "Insegnamenti", V-3, p. 750).


3. Occorre sottolineare che un'autentica formazione umana e cristiana degli sportivi diviene indirettamente uno strumento di educazione a livello sociale più vasto. E' ben noto l'interesse odierno per lo sport agonistico e per le attività sportive divenute spettacolo. Esse occupano gran parte del tempo libero e dello svago della popolazione odierna. Non si tratta di un fenomeno nuovo, ovviamente, ma è chiaro che oggi i mezzi di comunicazione sociale hanno reso talmente universale la conoscenza dei fatti sportivi da fare di essi un paradigma della psicologia di massa, esaltando l'emotività dei soggetti e diffondendo negli spettatori conseguenti espressioni emulative. Ora, se lo sport è praticato, anche nel contesto agonistico, come occasione per esaltare la dignità della persona, esso può divenire un veicolo di fraternità e di amicizia per tutti coloro che prestano attenzione agli avvenimenti sportivi. Chi assiste a una manifestazione in qualche modo la vive, ne partecipa lo spirito, ne risente gli effetti.

Non dovrebbe, in queste circostanze, prevalere l'esaltazione della forza e tanto meno l'impiego della violenza, quando la manifestazione sportiva diviene occasione per lo scarico di latenti aggressività di alcuni soggetti o gruppi.

Anche lo spettatore deve saper rispettare la regola fondamentale dello sport, come confronto leale e generoso, luogo d'incontro, vincolo di solidarietà. Considerate, a tale proposito, l'importanza che ha la formazione di professionisti dello sport capaci di testimoniare in ogni circostanza i valori autentici dell'agonismo sano e corretto. Ogni "campione" in qualche modo è un modello verso il quale i giovani esprimono grande sensibilità; ora, se nella gioventù si diffonde il senso dell'eguaglianza e dell'amicizia, se nelle gare prevale la lealtà dei rapporti, la serenità degli atteggiamenti, se si sanno, in una parola, rispettare sempre i valori fondamentali della persona umana, fine e metro di ogni attività sportiva, allora lo sport può contribuire a diffondere anche sulle masse degli spettatori un più autentico spirito di fraternità e di pace.


4. Come vedete, il vostro impegno per una formazione etica nell'ambiente sportivo appare sempre più vasto, valido ed interessante. Io vi auguro di continuare ad adempiere in maniera efficace, con l'aiuto di Dio, l'opera che vi siete assunti come missione. Il mistero pasquale che celebriamo in questi giorni sia per voi motivo di ispirazione e di speranza. Voi, infatti, cercate di far si che l'uomo sia continuamente rinnovato nel bene e diventi capace di orientare la sua vita verso "una speranza viva, a un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1P 1,3-4). Con questi sentimenti desidero impartire a tutti voi e alle vostre associazioni la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-04-03 Giovedi 3 Aprile 1986




Ai novelli diaconi irlandesi - Città del Vaticano (Roma)

Testimoniare con la vita la verità della redenzione


Miei cari amici.

E' sempre un piacere per me incontrare gruppi di pellegrini provenienti dall'Irlanda, una nazione che ha una lunga storia di devozione alla Sede di Pietro. Sono felice di dare il benvenuto a voi diaconi novelli del Pontificio Collegio Irlandesi, con le vostre famiglie, amici e membri della gerarchia irlandese qui presenti.

Cari diaconi, il vostro ministero al popolo di Dio è un dono di Cristo stesso alla Chiesa. Il Cristo risorto, che manda i suoi discepoli fino ai confini della terra, manda anche voi a predicare la buona novella della salvezza del nostro tempo. Manda voi a portare testimonianza con le vostre vite alla verità e al potere della redenzione offerta all'umanità nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Le vostre vite devono essere colme del mistero di Cristo e della Chiesa. Sarete invitati a celebrare nella speranza i sacramenti della fede e a insegnare la legge evangelica dell'amore. In questo modo collaborate alla costruzione della Chiesa, la famiglia di Dio.

Saluto tutti coloro che vi accompagnano oggi, specialmente i vescovi che hanno desiderato condividere con voi questo giorno felice. In particolare saluto il vostro rettore mons. Hanly e tutto il personale del Pontificio Collegio Irlandese, che vi ha assistito nella vostra preparazione per questo momento.

Vi affido alla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, e imparto di cuore la mia benedizione apostolica su tutti voi, sui vostri cari e sulla vostra patria Irlanda.

Data: 1986-04-03 Giovedi 3 Aprile 1986




A vari gruppi di giovani - Città del Vaticano (Roma)

Giovani, siate pronti a rispondere alla chiamata di Dio



1. [Ai giovani del Lussemburgo:] Reverendissimo signor arcivescovo, cari giovani amici! Mi rallegro di cuore per il vostro grande pellegrinaggio di giovani dal Granducato del Lussemburgo, con il quale desiderate ricordare la mia visita pastorale nel vostro Paese lo scorso anno. E' indimenticabile per me l'incontro con i giovani ad Echternach. perciò sono venuto incontro tanto volentieri al vostro desiderio di ottenere questa udienza. Do a tutti voi con tutto il cuore il benvenuto qui in Vaticano e vi ringrazio per la vostra adesione alla Chiesa e al successore di Pietro, che confermate in modo tanto straordinario con la vostra imponente partecipazione a questo pellegrinaggio a Roma.

"Essere Cristo significa credere e crescere". Questo motto del vostro pellegrinaggio assume la sua particolare attualità e importanza proprio alla luce del mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo. Come ci insegna la storia degli apostoli, Dio ha risuscitato Gesù e lo ha fatto apparire, ma "non a tutto il popolo", bensi soltanto "a testimoni prescelti da Dio" (Ac 10,40). Allo stesso tempo ha dato a questi il compito di annunciare e di testimoniare a tutti gli uomini Cristo, il crocifisso e il risorto. Cristo sarà li dove la lieta novella di questi testimoni oculari viene accolta e creduta. Soltanto pochi hanno visto il Signore risorto, ma tutti devono credere in lui, poiché, secondo la testimonianza della Scrittura, tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza e quindi alla fede. Per questo Cristo rimprovera l'atteggiamento dell'incredulo Tommaso e chiama beati coloro che scoprono Cristo soltanto attraverso la testimonianza del messaggio di fede; "Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" (Jn 10,29).

Essere Cristo significa anche credere in lui attraverso la predicazione della Chiesa, alla sua morte redentrice e alla sua risurrezione, alla glorificazione da parte del Padre e alla sua costante presenza fra noi. Gesù stesso ci rassicura: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La fede non si riferisce tanto a un avvenimento passato, ma al Signore che vive ed è presente fra noi. Essa significa soprattutto amicizia e comunità di vita con Cristo. Un'unione e una familiarità intima, con lui, nella quale il Cristo deve svilupparsi sempre più profondamente. Essere Cristo significa perciò credere e crescere allo stesso tempo; vuol dire essere vicini a Cristo, conservare la sua amicizia e conformare in tal modo la propria vita; significa pero pero anche diventare sempre più intimi con Cristo, conoscerlo sempre meglio e proseguire fermamente il cammino nell'amore e nella fedeltà a lui.

Avere Cristo nella fede come amico e compagno di vita e crescere sempre di più nell'intimità con lui, questo, cari giovani amici, è il vostro grande compito e la vostra grande vocazione, che deve farvi, felici, condizionare le vostre vite e il vostro agire quotidiano. Da ciò consegue allo stesso tempo la vostra responsabilità nei confronti del prossimo, soprattutto di coloro che hanno particolarmente bisogno del vostro aiuto. Proprio nei poveri e nei sofferenti potete incontrare Cristo stesso, il bene che fate a loro, lo avrete fatto a Cristo. Dalla stessa vocazione cristiana deriva infine il vostro dovere nei confronti delle grandi esigenze della società e per un mondo di domani più giusto e migliore. Come ho fatto nel nostro incontro ad Echternach, vorrei ricordarvi ancora oggi che "noi possiamo costruire un futuro durevole soltanto sulle basi delle verità fondamentali e dei valori eterni del Vangelo, così come essi vengono trasmessi nella Chiesa di generazione in generazione e vengono testimoniati e vissuti in tutti i tempi dai grandi personaggi della fede".

I giovani del Lussemburgo hanno dato - in occasione dell'incontro di allora - la sorprendente dimostrazione della loro disponibilità a una collaborazione concreta alla costruzione di un mondo migliore con l'aiuto solidale per l'edificazione di una casa in un quartiere povero di Nairobi. Nel corso del mio successivo viaggio in Africa ho consegnato di cuore ai beneficiari il vostro contributo solidale e a nome loro desidero qui ringraziarvi ancora una volta. Vi chiedo, come grazia di questo vostro pellegrinaggio a Roma. una fede viva e una continua crescita nella conoscenza e nell'amore di Gesù Cristo, con la quale, in modo sempre più consapevole, sentiate la presenza del Signore risorto e diventiate i suoi testimoni con le parole e le opere. Di cuore impartisco a voi e ai vostri parenti in patria la mia particolare benedizione apostolica perché Dio vi protegga e vi assista continuamente.


2. [Agli studenti cattolici del Belgio:] Saluto inoltre con viva gioia, voi tutti, professori e studenti di venti istituti scolastici del Belgio fiammingo, che siete venuti a Roma per il tradizionale pellegrinaggio pasquale del Collegio Sant'Uberto di Neerpelt. Con profonda gratitudine ricordo la visita che ho potuto fare l'anno scorso alla vostra cara patria. In particolare mi stanno ancora vivamente davanti gli occhi i diversi incontri con i giovani, come la cerimonia per la pace a Ieper, dove tanti giovani hanno testimoniato la loro ferma volontà di impegnarsi per la pace. Essa costituisce anche il tema del presente anno internazionale, appunto dedicato alla pace. A Ieper ho detto che "la guerra e la violenza nascono dal disconoscimento dei diritti fondamentali dell'uomo". Il diritto fondamentale dell'uomo è quello di essere trattato come persona, unica e insostituibile, creatura fatta a "immagine e somiglianza di Dio", diventata per il battesimo "figlio adottivo di Dio", partecipe della redenzione che il Figlio incarnato di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, ha operato mediante la sua morte di croce e la sua risurrezione.

Là dove il fratello viene usato come mezzo per soddisfare i propri interessi, bisogni e desideri, là dunque dove l'altro è oggetto di un abuso, si commette violenza e nascono discordia e guerra. Ma là dove si mira al bene dell'altro, perché "è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa" (GS 24), là dunque dove si ama veramente, nasce la vera pace. Il fondamento della pace è l'amore. perciò la pace viene, in definitiva, da Dio, che è la fonte di ogni amore. La vita di Dio, nella Santissima Trinità, è una vita di amore, amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre, un amore tanto forte, tanto personale che egli stesso è Persona divina, lo Spirito Santo. Se lo Spirito Santo discende nel nostro cuore, specialmente quando riceviamo i sacramenti, saremo capaci di amore e potremo essere pacificatori autentici. Io spero e prego di cuore perché voi, giovani, che fra alcuni anni porterete la responsabilità per la pace, costruiate la vostra vita come una vita di amore e di dono agli altri.

Allora, negli ambienti in cui vivrete e lavorerete, nelle famiglie e nelle professioni, nei conventi e nelle parrocchie, potrete costruire la vera pace. Rinnovo il mio appello già espresso a Ieper: "Non cessate mai di proclamare e di cantare la pace! Non cessate mai di sperare e di lavorare per la pace! Dovunque andate, seminate la pace!". Per questo vi imparto di cuore la benedizione apostolica.


3. [Ai ragazzi della diocesi di Rouen:] Caro monsignore, cari amici dell'arcidiocesi di Rouen. So che come i vostri antenati venite ad approfondire la vostra conoscenza e il vostro amore per la Chiesa, a Roma o ad Assisi. Voi non venite solo per vedere i monumenti, evocare la storia, ammirare l'arte; ma voi venite a meditare sul loro senso, a fare un vero ritiro spirituale, a ritrovare le molteplici testimonianze di santità suscitate dallo Spirito Santo nel cuore della sua Chiesa presso i cristiani che hanno vissuto a Roma o che vi sono venuti.

Queste testimonianze risalgono fino a quelle dei due grandi apostoli Pietro e Paolo, o piuttosto a Cristo vivente che sono venuti a pregare, donando la loro vita per causa sua.

Cari giovani, auguro che si fortifichi il vostro attaccamento a Gesù Cristo e alla sua Chiesa. Il successore di Pietro è qui per confermarvi in questa fede, con il vostro vescovo, per unire i discepoli di Gesù nella Chiesa universale, per permettere alla Chiesa di rispondere alle sfide del mondo moderno che cerca la luce e l'amore pur soffrendo l'indifferenza religiosa o il dubbio.

Riscoprite i fondamenti della vostra fede; più ancora, pregate lo Spirito Santo di diffonderla in voi. Siate felici e fieri della vostra fede! Dio che ha risuscitato il suo Figlio Gesù, vi vuole come discepoli nella pace e nella gioia.

Ma il Cristo dice come a loro: vi mando. Siate testimoni di Colui di cui fate esperienza, i testimoni attivi della sua verità, della sua carità. All'inizio come dei giovani laici cristiani che aiutano gli altri a camminare verso il Cristo e costituiscono con essi un mondo rinnovato secondo lo Spirito di Dio. E aggiungo: sicuramente il Signore chiama alcuni di voi a consacrare tutte le proprie forze, tutto il proprio cuore per far progredire il regno di Dio, come preti, religiosi, religiose. Non temete di prepararvi a questa chiamata. Una vocazione di questo tipo è un grande dono di Dio; un'esigenza e al tempo stesso una fonte di gioia profonda. E' una missione indispensabile alla salvezza del mondo, dei vostri fratelli e sorelle, come lo mostra la vita esemplare del curato d'Ars, voi sapete che ho invitato tutti i preti del mondo a seguirlo. Non vedete, nei vostri gruppi, l'apporto speciale dei preti e delle religiose per la vostra animazione spirituale? Saluto anche gli altri giovani di lingua francese, e il gruppo parrocchiale "Corale di Pietro" proveniente da Bulle, in Svizzera.

A tutti, dico, che il Signore vi doni la sua luce e la sua forza e vi benedica! Benedica le vostre famiglie e tutti i vostri compagni dei quali portate qui le intenzioni.

Data: 1986-04-04 Venerdi 4 Aprile 1986




Omelia parrocchia Santi Angeli Custodi - Monte Sacro (Roma)

Cristo salvezza di ogni singolo uomo e dell'intera umanità


Carissimi fratelli e sorelle.


1. "La pietra scartata... è diventata testata d'angolo" (Ps 117,12).

La Chiesa vive della risurrezione di Cristo. Nella liturgia dell'odierna domenica questo fatto è particolarmente messo in evidenza. E' particolarmente rilevabile dai testi, che abbiamo ascoltato poco fa.

E' l'ottava di Pasqua. E' la domenica "in albis depositis". Tale denominazione ebbe la sua origine da un rito che per molto tempo venne compiuto nella Chiesa il sabato e, poi, ricordato la domenica successivi alla Pasqua di risurrezione. In quel giorno i neofiti dopo averla indossata per un'intera settimana, riconsegnavano la veste bianca, che avevano ricevuto al Battesimo durante la Veglia pasquale. così facendo, mentre lasciavano il vestito che indicava all'esterno il nitore delle loro anime purificate da Cristo, si assumevano l'impegno di conservare questa innocenza nella vita quotidiana.

Anche nel rito battesimale attualmente in vigore è posta sul bambino una piccola veste candida, per indicare, oggi come nei tempi trascorsi, che con il Battesimo non avviene una semplice mutazione esteriore, ma un cambiamento che giunge fino alla radice dell'essere. Il rinnovamento battesimale è uno spogliarsi dell'uomo vecchio come di una veste consunta al fine di ricevere quella di incorruttibilità offerta da Cristo, il quale, purificando e rigenerando, ci riveste di sé mediante l'incorporazione. E così, figli nel Figlio, camminiamo in novità di vita, conducendo un'esistenza redenta come si conviene "agli eletti di Dio, rivestiti di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di dolcezza e di pazienza" (Col 3,12).


2. Il vangelo ci conduce al cenacolo di Gerusalemme, che è diventato il primo luogo della storia del nuovo Israele: del popolo di Dio della nuova alleanza. Già prima ci eravamo trovati nel cenacolo, il giorno stesso della risurrezione. E' il primo giorno "dopo il sabato". Il primo giorno della settimana. Gli apostoli già sanno che la tomba di Gesù è vuota, perché in antecedenza le donne e poi Pietro e Giovanni si erano recati al sepolcro.

La sera di quel medesimo giorno Gesù stesso viene a loro. Appare in mezzo a loro, anche se le porte del cenacolo rimangono chiuse. Si presenta e saluta i riuniti, dicendo: "Pace a voi". Mostra loro "le mani e il costato" (Jn 20,19-20): le ferite dovute alla crocifissione.

Ed ecco, è come se da queste ferite, da queste mani trafitte, dai piedi e dal costato egli desuma ciò che soprattutto desidera dire loro in questo primo incontro dopo il Calvario. Ascoltiamo con attenzione. Gesù disse: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alito su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi"" (Jn 20,21-23).

Da quel primo giorno la Chiesa vive con la potenza della nuova ed eterna alleanza. Vive con la potenza della morte e risurrezione salvifica. Di là attinge il potere sul male. Direttamente da Cristo.


3. Il Vangelo di questa Liturgia eucaristica ci conduce ancora una volta al cenacolo. E' l'"ottavo" giorno, al quale corrisponde proprio la domenica odierna.

Gesù viene per Tommaso. Tommaso è uno dei Dodici, e insieme con loro deve essere testimone della risurrezione. E poiché gli era difficile credere in questa risurrezione (infatti non si trovava con loro otto giorni prima), per questo Gesù viene una seconda volta, quando egli è presente. Viene per convincerlo: per offrirgli la testimonianza evidente della sua risurrezione.

E' proprio quel Tommaso chiamato Didimo, che poi nei suoi viaggi apostolici, come dice la tradizione, giunse in India, dove mi sono recato nella prima decade del febbraio scorso, innanzitutto per andare incontro a uno storico patrimonio di grande valore religioso e culturale, che mostra in modo inequivocabile la preminenza dello spirito e delle conseguenti esigenze etiche nella vita umana. Quel mio pellegrinaggio è stato, poi, un'opportuna circostanza, che ha favorito il proseguimento del dialogo in atto con gli uomini delle religioni non cristiane. E, infine, sia secondo il rito orientale che secondo quello latino, ho celebrato con i cattolici di quell'illustre Nazione la comune fede, per testimoniare nell'unità fraterna attorno all'Eucaristia la verità di Cristo, il quale risponde all'anelito del cuore di ogni uomo. In ciò mi sono collegato con la missione di san Tommaso, per mezzo del quale possiamo dire che la Chiesa in India rimane in un legame particolare col cenacolo di Gerusalemme, dove l'apostolo, vedendo Cristo con i propri occhi, si convinse della risurrezione e fece una professione stupenda di fede mediante queste forti parole: "Mio Signore e mio Dio" (Jn 20,28).


4. così dunque la Chiesa, fin dai primi giorni, vive la risurrezione di Cristo.

Vive del mistero pasquale del suo Maestro e Sposo. E ad esso attinge la duplice potenza: la potenza della testimonianza e la potenza della grazia salvifica dell'uomo. Di ciò parla pure la prima lettura della liturgia odierna dagli Atti degli apostoli. Si sa che gli Atti degli apostoli, il tempo della Chiesa, iniziano definitivamente solo dopo la Pentecoste. Tuttavia la Pentecoste ha il suo inizio nella risurrezione. Già al primo incontro, nel giorno "dopo il sabato", Gesù disse agli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22).

La lettura degli Atti degli apostoli sottolinea come, mediante il ministero degli apostoli, e in particolare di Pietro, cresce "il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore" (Ac 5,14). In questo modo gli avvenimenti dei primi giorni - dopo la risurrezione - in particolare il primo e l'ottavo giorno (di cui parla il vangelo di oggi) si trasferiscono al di fuori del cenacolo. Continuano a parlare e costruiscono la fede della Chiesa.


5. Questi avvenimenti fondano un avvenire sempre più lontano. Inizia così il tempo della Chiesa apostolica, che trasmetterà la testimonianza e la potenza salvifica della risurrezione a sempre nuove generazioni. E così fino ai nostri giorni, fino a questo odierno momento in cui ci troviamo insieme, qui, in questa parrocchia romana per vivere insieme l'Ottava di Pasqua. E attraverso tutte queste generazioni viene riconfermata la verità racchiusa nel Salmo dell'odierna liturgia: "la pietra scartata è diventata testata d'angolo".

La verità espressa sotto il velo della metafora possiede una mirabile potenza profetica. Questa verità viene riconfermata dal primo all'ultimo giorno della storia della Chiesa e dell'umanità. Viene riconfermata pure ai nostri giorni. E a quale livello? Gesù di Nazaret è stato scartato da coloro ai quali era stata affidata la costruzione della "dimora di Dio con gli uomini" (Ap 21,3) nell'antica alleanza. E in questo modo, Gesù scartato, mediante la sua croce e risurrezione si è rivelato come "testata d'angolo" di quella "costruzione".

Proprio su lui si appoggia questa costruzione, su lui sta per generazioni. Da lui si sviluppa.


6. La Chiesa, "procedendo dall'amore eterno del Padre, è fondata nel tempo da e su Gesù Redentore", il quale - come dice il Concilio Vaticano II - "sopportando la morte per noi peccatori ci insegna col suo esempio che è necessario portare la croce: quella che dalla carne viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, tuttora opera con la virtù del suo Spirito nel cuore degli uomini" (GS 38 GS 40), ma soprattutto dei credenti. In forza di ciò, i fedeli, mentre aderiscono al Verbo che si è fatto carne ed è entrato nella storia del mondo come Uomo perfetto, contribuiscono ad estendere all'umanità intera la nuova e fondamentale legge dell'amore. E poiché sono resi certi che le energie e gli sforzi intesi a realizzare una fraternità universale non sono vani, camminano sulla strada della carità non solo nelle grandi cose, ma anche e innanzitutto nelle circostanze ordinarie della vita, edificando quella santa abitazione, dove Dio dimora in favore dell'uomo e guarda con bontà le preghiere di coloro, che a lui fiduciosi ricorrono e di lui si alimentano.


7. così dunque ci raccogliamo oggi, in modo particolare presso Cristo, che è la testata d'angolo per la salvezza di ogni singolo uomo e dell'intera umanità. Tale raccogliersi liturgico attorno a Cristo ebbe inizio, qui, a Monte Sacro, più di sessanta anni fa e proprio nei primi giorni di aprile a brevissima distanza dal luogo dove stiamo celebrando la santa Messa.

Da allora - era l'anno 1922 - i Chierici Regolari Minori, che furono mandati dalla sollecitudine pastorale di Papa Pio XI, proseguono con zelo il servizio di Dio e la santificazione dei fratelli, ponendo l'Eucaristia al centro della vita parrocchiale, e in ciò seguono con intelligenza lo spirito del loro Istituto. Vi saluto cordialmente con il signor cardinale vicario e mons.

Alessandro Plotti, con loro rivolgo la mia parola di apprezzamento al parroco, padre Nello Morrea, C.R.M., il quale mi ha fatto conoscere il bene che vuole a questa comunità ecclesiale e che condivide con i sacerdoti e i fratelli laici suoi collaboratori. Saluto il rev.mo preposito generale dell'Ordine dei Chierici Regolari Minori, come pure le responsabili e le delegazioni delle numerose Congregazioni religiose femminili, ringraziandole per la solerzia con cui esplicano le loro molteplici attività di assistenza, di educazione, di cura degli infermi.

La mia parola di incoraggiamento va poi alle Associazioni e ai gruppi che si occupano di educare ad una fede matura e a una carità che soccorre i bisognosi e gli abbandonati: l'Azione Cattolica, presente in tutti i suoi settori, l'Agesci, il gruppo di volontariato "Panda", il Gruppo Eucaristico, i Cursillos de cristiandad, il CIF, gli aderenti al Volontariato vincenziano e all'Apostolato della preghiera, il Gruppo servizio anziani, le Acli e la Schola cantorum. A tutti voglio esprimere il saluto e l'esortazione a perseverare nell'impegno di collaborazione nel costruire la Chiesa.

A quelli che soffrono va, infine, la mia parola di conforto. Carissimi, sappiate che il Signore Gesù vi predilige, tenete quindi lo sguardo fisso su di lui e nel vostro cuore regnerà sempre la speranza.


8. La vita di questa parrocchia non è stata segnata da vicende, che uno storico potrebbe considerare rilevanti, salvo il Congresso Eucaristico diocesano, che vi fu tenuto nel 1935, con grande concorso di popolo. Ma vi è un evento storico su cui essa - come vi ho accennato pochi istanti fa - si fonda da sempre: il fatto della morte e risurrezione di Cristo, celebrato e vissuto particolarmente mediante l'Eucaristia.

Continuate, perciò, nell'essere sempre una comunità eucaristica, che comunica la pace e la letizia del Risorto in strutture di vita e di convivenza quali, per esempio, testimoniano i Gruppi familiari e la Casa famiglia e accoglienza. Ma la pace del Signore non è un rinchiudersi, anche se in un cenacolo. La fraternità, l'unità di intenti e di cuore basata su Cristo genera una passione per il mondo, per il lavoro e i suoi problemi. Di più, spinge a un impegno costante di annuncio di salvezza, quale anche il Gruppo missionario prospetta, a chi non conosce Dio e il suo infinito amore.

Se a un'adeguata partecipazione alla catechesi unirete una costante frequenza alla santa Messa e all'adorazione eucaristica, avrete sempre più chiara consapevolezza di appartenere a quel luogo di misericordia che è la Chiesa. Con la sua incarnazione, con la sua morte e risurrezione il Figlio di Dio ha chiamato tutto il genere umano alla comunanza della vita con lui: egli ha avvicinato, nella sua persona, le cose che erano lontane - lontane da Dio e lontane tra loro - e la ha riunite in un solo corpo, il suo corpo, che sostiene, illumina e trasfigura, ora e per l'eternità. Cristo sia il centro della vostra esistenza, inserita in lui fin dal battesimo; sia l'orientamento costante della vostra vita familiare, delle fatiche quotidiane, del vostro impegno di testimonianza cristiana; sia il punto di riferimento di tutto il vostro essere. E in ciò sappiate che vi sono accanto, e vi aiutano anche i vostri angeli custodi, ai quali, tanto opportunamente, è dedicata la vostra parrocchia.


9. "Questo è il giorno fatto dal Signore: / rallegriamoci ed esultiamo in esso", annunzia il Salmo responsoriale (Ps 117,24), e la Chiesa ripete queste parole durante tutta l'Ottava di Pasqua.

In questo giorno della gioia salvifica ci troviamo nella vostra comunità romana dedicata ai santi Angeli Custodi, poggiandoci quali pietre vive sulla testata d'angolo che è Cristo risorto. La Chiesa vive il mistero pasquale del suo Signore attraverso i secoli e le generazioni. E vivrà fino alla fine. Egli è il principio e la fine (Ap 21,6).

Nella liturgia odierna parla pure l'Apocalisse mostrando il Risorto come l'ultima prospettiva della storia della Chiesa e dell'umanità. "Appena lo vidi - scrive Giovanni - caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap 1,17-18). Non temere! Eccomi! Ai vari gruppi [Ai gruppi familiari:] E' per me una grande gioia questa visita nella vostra parrocchia nella seconda domenica di Pasqua, in questa ottava. Dopo la celebrazione solenne davanti alla chiesa, sulla piazza piena di fedeli, una celebrazione veramente degna di questo giorno, di questa nostra comune gioia pasquale, ora vi incontro in questa bella chiesa, in questa chiesa degna, ma soprattutto in questa chiesa viva, costruita dalle pietre vive, fondata sulla pietra angolare che è Cristo stesso, come ci dice san Pietro nella sua prima lettera, che leggiamo nella Liturgia delle ore di questa prima settimana di Pasqua. Vi saluto di cuore e vi ringrazio per la vostra presenza, non solamente oggi in questa circostanza della visita del Papa, ma per la vostra presenza continua. Voi siete sempre in questa parrocchia e vi impegnate come cristiani per questa comunità dei santi Angeli Custodi e collaborate con i vostri sacerdoti. Il fatto di chiamarvi operatori pastorali vuol dire che la responsabilità pastorale dei vostri sacerdoti viene condivisa da voi, così come era condivisa agli inizi della Chiesa, nei tempi apostolici, da molte persone, come sappiamo dagli Atti degli apostoli e dalle lettere di san Paolo. Era condivisa questa responsabilità pastorale da diversi laici, da molte donne, da giovani, da anziani. così è andata avanti molte generazioni ed è cresciuta la Chiesa e non può essere diversamente.

Essa è una condizione essenziale e il Concilio Vaticano II ha molto sviluppato la teologia e la prassi dell'apostolato dei laici. Di questo è espressione e testimonianza la vostra presenza qui.

Devo poi esprimere la mia gratitudine per il fatto che questa parrocchia cerca di costruirsi, di essere una famiglia del popolo di Dio, anche in ogni famiglia: è molto prezioso tutto questo, la testimonianza delle famiglie che cercano di vivere lo spirito della famiglia cristiana, del sacramento del matrimonio, secondo quell'importante documento postsinodale che è la "Familiaris Consortio". Devo dirvi che questo impegno per la famiglia è sempre stato per me, da giovane sacerdote e poi da vescovo, un impegno di prim'ordine, di primissima importanza. E venendo qui per essere, secondo la volontà di Dio, Vescovo di Roma, ho trovato fra i primi compiti da compiere, appunto, il Sinodo sulla famiglia. Da questo Sinodo è uscito il documento abbastanza sintetico "Familiaris Consortio", che adesso serve alle famiglie cristiane in tutto il mondo, alle giovani coppie per capire questo grande mistero, questo sacramento come diceva san Paolo, che è la famiglia. Un grande sacramento nella Chiesa di Cristo, perché il nostro Redentore stesso, come vediamo nella lettera agli Efesini, secondo la tradizione dell'Antico Testamento, si mostra come sposo della Chiesa. così questo sacramento è veramente inserito fin dall'inizio nella struttura voluta da Dio, nella Chiesa.

La Chiesa forma la famiglia e viene da essa formata. Anzi la Chiesa lascia alla famiglia la sua propria caratteristica: fin dai tempi apostolici infatti la famiglia è chiamata Chiesa domestica, "ecclesiola". Vi auguro dunque di cuore che questo insegnamento della Chiesa contemporanea contenuto nella "Familiaris Consortio" sia per voi strumento per trovare la pienezza di Dio, della vita cristiana nei matrimoni e nelle famiglie, nella vocazione dei suoi membri, nella vocazione dei genitori, degli educatori, che è una splendida vocazione. Ma si deve approfondirla e identificarla, si deve viverla in questo spirito che ci è offerto da Dio stesso e dalla Chiesa.

Vi ringrazio per questo incontro e vi auguro di continuare in questo spirito, fratelli e sorelle, nella vostra partecipazione alla pastorale di questa parrocchia, di questa porzione della Chiesa che è in Roma. Vi auguro una buona Pasqua, perché in questi giorni si vive ancora il tempo di Pasqua, nel porgervi la mia benedizione.

[Alle religiose:] Allora adesso già so bene cosa devo fare. Devo cantare di più. Con questi cantici mariani cercheremo di fare il nostro possibile, ma non penso mai di poter raggiungere la vostra collezione, perché voi siete persone privilegiate, siete donne! Come le tre donne che per prime si accorsero che Gesù era risorto. Allora erano tre, sono andate là, e si deve dire che non cantavano alleluia, ma avevano una grande paura, soprattutto erano consolate dal fatto che la pietra non si trovava più all'entrata del sepolcro. Il sepolcro era aperto, tutto va bene. Entriamo facilmente, entriamo dentro si, ma cosa è dentro? Gesù non c'è. Ma ci sono gli altri che dicono: è risorto. Certamente che erano anche impaurite un po' benché hanno subito preso coscienza che qualcosa meravigliosa era stata fatta, era stata compiuta e sono subito andate dagli apostoli, come sappiamo, ed erano donne privilegiate, dicendo: non c'è più nel sepolcro, è risorto, abbiamo visto, gli angeli ci hanno detto che è risorto. Gli apostoli niente! Ecco così sono gli uomini. Tutti, tutti, Pietro incluso! Allora siete voi le privilegiate e lo si vede tante volte benché non manchino nel mondo le signore, le signorine, le donne che dicono: ma noi, noi siamo discriminate! Si, anche questo può essere vero, ma nella storia della salvezza voi siete privilegiate, almeno se si prende queste tre che sono le prime per annunciare il mistero della risurrezione. Poi se si prende la Vergine! Saltiamo sopra tutto quello che esiste! Allora adesso parlo alle privilegiate: voi siete privilegiate ancora di più per la vostra vocazione religiosa, per questa vocazione intima con cui il Signore ha parlato come sposo ai vostri cuori per chiamarvi a questa vita di consacrazione personale, vita che cresce dal mistero pasquale, cresce dal battesimo ed esso cresce dal mistero pasquale come tutta la vita cristiana. E questo certamente nella vita cristiana, questa vocazione, questo stato, vocazione alla vita religiosa, alla consacrazione religiosa è un privilegio. Si, sappiamo bene che questi privilegi portano con sé anche le esigenze, anche le difficoltà, ma sono oggettivamente parlando i grandi privilegi. E questo si deve dire soprattutto nel periodo pasquale, quando vediamo un grande privilegio: il Signore ha dato alle donne, prima alle tre, poi a Maddalena, ha dato il privilegio di testimoniare per prime della sua risurrezione; così sono le prime annunciatrici della risurrezione di Cristo.

La prima testimonianza della risurrezione di Cristo viene da voi, e così è rimasto nella vita. Se si prende anche la vita della famiglia, chi fa il primo annuncio del regno di Dio ai bambini? Lo fa la mamma! E poi c'è un parallelismo tra questa vocazione familiare e la vostra vocazione religiosa. Voi fate lo stesso. Questo annunzio del mistero pasquale, voi lo portate tra tutti noi, tra il popolo di Dio. Voi poi portate ancora in una dimensione maggiore, più larga di quella di una mamma che lo fa al suo bambino, nella famiglia, nella chiesa domestica.

La vostra vocazione è per la Chiesa universale, è per la Chiesa diocesana. Certamente è anche radicata in una comunità determinata come in questa parrocchia? Ma anche nella Chiesa universale: oggi siete qui, domani andate in Zaire, in Colombia, in Giappone, dappertutto siete a casa, la vostra vocazione è per la Chiesa universale, come anche la vocazione dei vescovi, dei sacerdoti è così. Vi offro una mia congratulazione per questo vostro carisma, per i vostri diversi carismi. La Chiesa è piena di questi carismi, e questa parrocchia dei Santi Angeli Custodi ne ha molti. Mi congratulo allora con voi per i vostri carisma e per questa testimonianza di Cristo risorto che portate dentro questa comunità parrocchiale e con la prospettiva di tutta la Chiesa di Roma e poi di tutta la Chiesa universale dappertutto nel mondo e vi auguro di trovare la gioia pasquale nella vostra vocazione.

Se le prime tre donne non cantavano alleluia, non si sa, probabilmente no, voi dovete cantare alleluia mille o più di mille volte perché così esce, così emerge dalla vostra vocazione, dalla caratteristica del vostro privilegio e della vostra consacrazione e della vostra posizione nella Chiesa. Vi benedica Dio onnipotente! [Ai bambini e ai ragazzi:] Saluto cordialmente tutti i bambini di questa parrocchia, ragazzi e ragazze, lupetti, coccinelle, tutti quelli che hanno collaborato all'accoglienza del Papa e che hanno parlato così bene. Saluto anche i vostri genitori, i vostri insegnanti, i catechisti e le suore, e naturalmente i sacerdoti e tutta questa giovane parrocchia.

Avete cantato all'inizio "la nostra festa non deve finire", questo è molto giusto, specialmente quando si tratta delle feste di Pasqua, perché è una festa che dura otto giorni. Abbiamo incominciato con la veglia pasquale, la notte tra sabato e domenica, e oggi è l'ultima giornata di questa festa. La Chiesa protrae la festa di Pasqua per otto giorni, ma tutti questi giorni sono un solo giorno per il Signore risorto. Ma quando noi cantiamo "la nostra festa non deve finire", è molto vero questo che noi cantiamo, perché la risurrezione del Signore non deve finire. E' già arrivata una volta e continua. Il Signore è risorto, ma non solamente è risorto una volta. La Chiesa celebra Cristo risorto, lo celebra ogni giorno, ogni anno, lo celebra durante i secoli, e così la nostra festa, quella principale, quella della risurrezione non finisce. Anzi questa festa ci annuncia il futuro senza fine, ci annuncia la vita eterna.

E' una cosa che non si misura con i giorni, con gli anni, ma con l'eternità di Dio: questa è la nostra festa. E' vero che noi viviamo questa festa qui in terra, dove tutto passa, e anche le feste liturgiche passano, ma la vera festa, vuol dire la risurrezione del Signore, il mistero pasquale di Gesù, non passa, svetta verso l'eternità e ci porta verso questa felicità senza fine, ci porta verso la vita di Dio, alla partecipazione alla vita divina. Pensando a questo, avete cantato bene; è giusto: la nostra festa non deve finire. E' infinita, come infinito è Dio.

Noi ci prepariamo per partecipare a questa festa che non finisce mai, alla festa del Signore risorto, alla festa dell'eternità di Dio, fin con il battesimo. La notte della vigilia pasquale si celebravano nella basilica di San Pietro molti battesimi dei nuovi cristiani adulti. Voi siete stati battezzati da piccoli, da neonati. Adesso vi preparate, sapendo già pregare, sapendo già le verità della fede, alla comunione, alla santa Eucaristia, e i più cresciuti si preparano alla Cresima. Questi sacramenti servono a crescere nella vita soprannaturale, nella vita divina, che non termina mai. così noi, qui sulla terra, come uomini cominciando dall'età dei ragazzi e terminando con l'età degli anziani, portiamo in noi stessi, nei nostri cuori, nella nostra anima, già l'inizio della vita eterna e ci prepariamo a vivere questa vita eterna con la preghiera e soprattutto con i sacramenti. E' molto vero tutto quello che avete qui cantato e presentato, anche con immagini; e io vi ringrazio di tutto questo.

Abbiamo vissuto un momento forte della nostra fede, che è sempre fede pasquale e vi ringrazio per questa bella introduzione alla visita alla vostra parrocchia dei Santi Angeli Custodi. Vorrei ancora raccomandare tutti voi, affidarvi tutti a questi angeli custodi: che vi siano sempre più vicini, specialmente ai più piccoli, agli anziani, a tutti. Ho abbracciato tutti quelli che sono venuti, per i bambini non basta la parola ci vuole un bacio, questa è la vera parola per i bambini. Vi benedica Dio onnipotente.

[Ai lavoratori:] Sono molto grato per queste parole del vostro collega e della vostra presenza. Ci incontriamo nel nome di quella esperienza del lavoro che anche a me ha dato un elemento della mia formazione umana molto valido e molto importante. Ci incontriamo poi come parrocchiani di questa parrocchia dei Santi Angeli Custodi e quindi come cristiani. Ci sono molti aspetti della condizione operaia e del lavoro umano: alcuni appartengono alla competenza delle organizzazioni, delle associazioni e dei sindacati e dei poteri civili, ma c'è anche un aspetto del lavoro che deve costituire un insieme con tutti questi altri.

Questo aspetto si chiama fede, spiritualità. Possiamo dire anche che si chiama Vangelo del lavoro.

Io, scrivendo l'Enciclica "Laborem Exercens", ho cercato di presentare tutto quello che costituisce l'esperienza del lavoro e i suoi problemi anche alla luce del Vangelo. Il Vangelo del lavoro è stato vissuto soprattutto dal Figlio di Dio Gesù Cristo accanto a san Giuseppe artigiano: e così questa esperienza di Cristo illumina l'esperienza del lavoro di ogni cristiano.

Io vi auguro di approfondire questa esperienza e di incontrarvi specialmente su di essa in questa parrocchia, per dare alla vostra vita lavorativa e alla vostra vita familiare quella dimensione cristiana con la quale molte cose si risolvono: anche quelle che sembrano civilmente e sindacalmente forse difficili. Si risolvono perché nel centro del lavoro, nel cuore del lavoro e di tutti i suoi problemi c'è sempre l'uomo. Se l'uomo trova la sua salvezza nel Vangelo, nella grazia di Cristo, allora anche i suoi problemi sociali e professionali si risolvono più facilmente. E soprattutto il suo lavoro acquista un senso profondo: è questa la cosa più importante. Molti soffrono non tanto a causa della mancata resa economica del lavoro, ma a causa della mancanza del senso del lavoro stesso, perché questo senso non riescono a vedere. Il Vangelo ce lo mostra, ci mostra la grandezza del lavoro umano, di qualsiasi lavoro, anche del più umile.

E' questa la mia risposta alle vostre parole e alla vostra presenza: una risposta che vuole essere anche un incoraggiamento a continuare in questa strada, ad essere un gruppo di cristiani impegnati nelle professioni, impiegati, operai, che vivono il proprio lavoro in modo evangelico. Il Signore benedica voi tutti e le vostre famiglie. [Ai giovani:] Non parleremo di queste ricchezze che non avete, ma dovete dirmi da quando questa Parola cammina con voi! Da duemila anni. Ecco, perché è la Parola apostolica, evangelica, la Parola della testimonianza. Gesù ha detto agli apostoli, alla vigilia della sua morte e della sua risurrezione, che dovevano dare testimonianza a lui. Questa testimonianza, naturalmente, si fa con la parola, ma non solamente la parola parlata, anche con quella vissuta. Molte volte la parola vissuta parla più di una Parola parlata.

Non bastano le parole, bisogna "fare" le parole, così faceva Cristo e così ha fatto, definitivamente, con la sua croce e la sua risurrezione. Questa è la sua ultima Parola: la croce e la risurrezione. Questa Parola data agli apostoli con la Chiesa da duemila anni cammina anche con voi, perché voi siete entrati da anni, forse due, tre, dieci non so quanti, in quella viva tradizione apostolica costituita dalla Parola del Vangelo, della testimonianza apostolica, e la portate avanti a vostro modo. Questo modo si esprime in varie maniere. può chiamarsi comunità di Sant'Egidio, o con altre denominazioni apostoliche, ma sempre si parla la Parola del Vangelo, la Parola della risurrezione e questa Parola cammina con voi, anzi direi questa Parola ci fa camminare perché è la Parola della salvezza che dà la vita. Se ad uno, specialmente ai giovani, e sono tanti, manca questa Parola di vita, manca la Parola della risurrezione, essi non camminano. Forse hanno molte ricchezze, non come voi che non avete niente, ma non camminano, perché manca la parola che fa camminare. Allora io vorrei augurarvi, oggi in questo incontro pasquale, di camminare avanti, di continuare con questa Parola che vi fa camminare, anzi, direi, cercate altri, dite agli altri, ai giovani: ecco, noi sappiamo camminare, forse tu non sai camminare, forse non conosci come si cammina, cammina con noi! Alzati e cammina con noi così come hanno detto Cristo e gli apostoli. Anche voi lo potete dire, perché voi siete nella stessa tradizione, nella stessa linea degli apostoli, della Chiesa, e potete dire a tanti vostri coetanei: alzati e cammina con noi! La Parola dà la vita! Vi auguro di portare questa parola sempre più dentro di voi, sempre più profondamente nel vostro cuore, nel vostro essere, e anche tanto forte da portare avanti e far camminare gli altri. Insieme rinnoviamo ora il nostro impegno cristiano.

Data: 1986-04-06 Domenica 6 Aprile 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Messaggio pasquale "Urbi et Orbi" - Città del Vaticano (Roma)