GPII 1986 Insegnamenti - All'Unione mondiale insegnanti cattolici - Città del Vaticano (Roma)

All'Unione mondiale insegnanti cattolici - Città del Vaticano (Roma)

Promuovere la libertà di insegnamento


Signore e signori.

Sono felice di salutarvi in qualità di nuovi responsabili e membri del Consiglio generale dell'Unione mondiale degli Insegnanti Cattolici, eletti al Congresso di Toronto e radunati per la loro riunione a Roma, presso il centro della Chiesa universale.

Voi rappresentate paesi, continenti e soprattutto universi culturali molto vari, dove i problemi dell'istruzione e dell'educazione si pongono in modo diverso, sia nelle scuole professionali e private sia nelle scuole statali. Ma i principi di dottrina cattolica che devono promuovere l'Unione mondiale e le molteplici associazioni nazionali d'insegnanti cattolici sono gli stessi.

L'iniziazione dei giovani all'istruzione, alla cultura, la preparazione al loro avvenire professionale, il prendersi carico di coloro che conoscono difficoltà di adattamento; soprattutto la formazione morale e spirituale dell'insieme dei giovani, costituisce un cantiere immenso, la cui posta in gioco è capitale per la società di domani e per la Chiesa.

Ovunque gli insegnamenti cattolici devono prendere parte attiva, nel rispetto degli altri professori e dei giovani, per portare personalmente ai loro alunni la loro competenza e la loro abilità educativa, con la testimonianza della loro fede, contribuendo a creare nelle loro case d'educazione un clima che dà ai giovani il senso e il gusto di una via diritta, pura, generosa, radicata nella fede e nella preghiera.

Gli insegnamenti cattolici devono anche promuovere la libertà d'insegnamento perché i genitori abbiano la possibilità di scegliere la scuola e il tipo di educazione corrispondente alle loro convinzioni; dal canto loro gli istituti cattolici devono essere all'altezza del loro progetto educativo, compreso nella proposta di una catechesi valida, come dicevo il 5 novembre scorso all'Ufficio internazionale dell'insegnamento cattolico (OIEC). così portate un servizio apprezzabile alle famiglie e alle Chiese locali.

Spetta al vostro Consiglio incoraggiare i compiti che abbiamo appena ricordato, nelle diverse associazioni locali, stimolare gli scambi, armonizzare gli impegni comuni per assicurare una presenza efficace presso le organizzazioni internazionali cattoliche votate all'istruzione e alla cultura, così come alla collaborazione con le Organizzazioni internazionali cattoliche e gli organismi della Santa Sede che promuovono l'educazione cristiana.

Mi sono limitato oggi ad evocare la missione degli insegnanti cattolici oggetto sul quale la Santa Sede ha spesso occasione di esprimersi per darvi i miei vivi incoraggiamenti. Imploro sui vostri lavori l'aiuto dello Spirito Santo, l'intercessione della Nostra Signora della Saggezza. Auguro a voi e alle vostre famiglie, la pace e la gioia del Cristo risuscitato. Di cuore vi benedico e benedico coloro che operano con voi nel seno dell'UMEC per il servizio educativo della gioventù.

Data: 1986-04-07 Lunedi 7 Aprile 1986




Alla Federazione Cattolica per l'Apostolato Biblico - Adeguata preparazione per evitare un ristretto conservatorismo



Cari fratelli e sorelle in Cristo.

1. E' un piacere ricevere i membri del Comitato esecutivo della Federazione Cattolica Mondiale per l'Apostolato Biblico. Provenienti da molti e differenti Paesi, voi e i vostri colleghi siete in grado di dare un significativo contributo alla missione evangelizzatrice della Chiesa. Aiutate la Chiesa a rispondere fedelmente al mandato del nostro Salvatore risorto: "Andate dovunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20).


2. Il Sinodo dei vescovi del 1985, confermando, celebrando e dando un impeto di freschezza agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, diede particolare attenzione alla centralità del mondo di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. La relazione finale del Sinodo stabili che la costituzione dogmatica "Dei Verbum" è stata troppo trascurata nei vent'anni che hanno seguito il Concilio, e che meritava una più profonda considerazione e comprensione. Posso suggerire, cari amici in Cristo, che voi potete essere di speciale aiuto negli sforzi che tendono a rispondere a questa sfida.

Oltre a un'attenta rilettura della "Dei Verbum", c'è anche un grande bisogno di una solida formazione dei ministri della parola di Dio, di tutti coloro che insegnano e predicano il Vangelo della salvezza. Come hanno detto i partecipanti al Sinodo, primo dovere, non solo dei vescovi ma anche dei sacerdoti e dei diaconi, per meglio dire di tutti i cristiani".


3. Come preparare altri al lavoro di catechesi ed evangelizzazione della Chiesa? Certamente dobbiamo incominciare a trasmettere un amore reverenziale per la Parola di Dio: per il Verbo Incarnato nostro Signore Gesù Cristo, e per la parola ispirata contenuta nelle Sacre Scritture. Dobbiamo nutrire un amore fermamente radicato nella fede, che crede, con san Paolo, che la Parola di Dio "ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati" (Ac 20,32).

I ministri della Parola di Dio - sacerdoti, diaconi, catechisti e altri laici - dovrebbero essere immersi nelle Scritture attraverso una lettura costante e uno studio diligente, accompagnati dalla preghiera. Per quanto possibile essi dovrebbero essere messi a conoscenza con le intuizioni della moderna scuola biblica. Si deve prestare attenzione alle forme letterarie dei vari libri biblici per determinare l'intenzione dei sacri scrittori. Ed è di maggior aiuto, in tempi cruciali, essere a conoscenza della situazione personale dello scrittore biblico, le circostanze di cultura, tempo, lingua e così via che hanno influenzato il modo di presentare il messaggio. Al tempo stesso, un'adeguata formazione dell'apostolato biblico è attenta all'unità di tutti i libri della Bibbia e prende in considerazione la Tradizione vivente della Chiesa. In questo modo è possibile evitare lo stretto conservatorismo che distorce l'intera verità e anche resistere alla tentazione di porre la propria personale interpretazione al di sopra o persino in contrasto con l'autentica interpretazione della Parola di Dio che appartiene esclusivamente ai vescovi della Chiesa in unione con il Papa.


4. L'apostolato nel quale siete impegnati è eccitante e provocatore. Richiede duro lavoro e perseveranza. Esige studio e preghiera. In tutti i tempi, impegna personalmente perché "la parola di Dio è viva ed efficace" (He 4,12). Come una spada a doppio taglio taglia la pretesa e l'inganno e prepara la strada alla conversione.

"La parola di Dio viva ed eterna" (1P 1,23) è un lavoro sia di colui che porta il messaggio che di colui che lo riceve, diffondendo su entrambe la luce della verità che dà vita. Infine la proclamazione della Parola di Dio si unisce all'Eucaristia, e nell'Eucaristia raggiunge la sua più completa ed efficace espressione. Esiste un intimo legame tra la santa liturgia e gli sforzi evangelizzatori della Chiesa. Chiunque desideri impegnarsi nell'apostolato biblico, allora, deve essere instillato di amore fervente per l'Eucaristia e per l'intera vita liturgica della Chiesa.

Vi lascio con questi pensieri e assicuro i miei più calorosi incoraggiamenti e la mia preghiera "perché la Parola del Signore si diffonda e sia glorificata" (2Th 3,1).

Cristo, Parola vivente di Dio, sia la vostra gioia e la vostra forza.

Colmi i vostri cuori con la sua pace.

Data: 1986-04-07 Lunedi 7 Aprile 1986









Al Consiglio delle Commissioni presbiterali europee - Città del Vaticano (Roma)

Offrire ai giovani una testimonianza di maturità spirituale


Cari fratelli nell'episcopato, cari fratelli nel sacerdozio.


1. Siate benvenuti nella casa del Papa. Sono felice di accogliervi qui nel corso dei lavori del quinto Simposio del Consiglio delle Commissioni presbiteriali europee. La prima testimonianza che noi dobbiamo dare non è quella di una comunione ecclesiastica profonda - del pensiero, del cuore, della preghiera - tra i sacerdoti e i vescovi attorno al successore di Pietro? L'iniziativa che i sacerdoti dei Consigli presbiteriali d'Europa hanno preso volendo questi scambi e queste riflessioni in comune aveva certamente bisogno di maturare, in quel senso, per servire veramente la Chiesa, secondo gli orientamenti fondamentali espressi dal Concilio Vaticano II e dal magistero ordinario. In queste condizioni le vostre assemblee possono portare il loro contributo alla grande opera dell'evangelizzazione nella quale sono coinvolti in primo luogo i vescovi, successori degli apostoli, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e laici, ciascuno secondo la propria responsabilità e competenza, ma sempre nello stesso Spirito, nell'unità del corpo di Cristo.

Quest'anno avete abbordato un tema che mi sta a cuore: "Il sacerdote e i giovani nell'Europa secolarizzata". E' a questo tema, lo sapete, che avevo consacrato la mia lettera ai sacerdoti di tutta la Chiesa il Giovedi Santo 1985, così come quest'anno ho messo sotto i loro occhi il modello del curato d'Ars interamente dedito alla salvezza delle anime. Noi dobbiamo fare nostro questo zelo per la fede e la salvezza dei giovani con la grazia di Dio.


2. Non posso dilungarmi sulle cause della scristianizzazione dei giovani in Europa. Questo sarà in parte il frutto delle vostre analisi. Voi scruterete, per quanto riguarda i giovani, le difficoltà a credere, a pregare, a vivere nella Chiesa, a conformare la loro vita ai costumi evangelici; e allo stesso tempo gli aspetti positivi, le ammorsature, le aspirazioni religiose in questo mondo secolarizzato. Sapete che i vescovi d'Europa hanno affrontato un tema simile riguardante l'evangelizzazione in generale, nel loro sesto simposio, nell'ottobre scorso. Gli interventi, tra gli altri, del cardinal Danneels, del cardinal Hume e la mia allocuzione hanno posto dei punti basi al fine di rispondere alla sfida dei differenti ateismi, che sono essi stessi colpiti da debolezza ma imbevono ancora profondamente le mentalità, almeno nella vita pratica, costituendo ostacoli, tentazioni, dubbi da superare.

Eppure le generazioni si evolvono. E i giovani la cui sorte umana e spirituale vi preoccupa come sacerdoti, sembrano molto differenti dagli adulti che raggiungono ora la quarantina e hanno conosciuto il movimento di rimessa in questione generale del 1968. Essi sono spesso in sincera ricerca di vere ragioni per vivere, provano una grande desiderio di luce, di senso di solidarietà, di dedizione, pur conoscendo i ripiegamenti su di sé, i dubbi, le fragilità.


3. I nostri contatti con loro rappresentano una parte importante del nostro ministero, come dicevo nella mia lettera del Giovedi Santo dello scorso anno.

Dobbiamo essere con loro suscitando confidenza e amicizia per accogliere i loro problemi fondamentali, le loro questioni di coscienza, per raggiungerli, così come sono, con le loro qualità e i loro difetti. La nostra testimonianza presso di loro non deve pero essere demagogica, artificiale: deve essere il frutto della nostra maturità spirituale, della nostra preghiera, della nostra unione con Cristo che noi rappresentiamo loro. Noi non dobbiamo fare schermo a Dio: "Dio solo è buono".

Dobbiamo saper ascoltare e saper rispondere secondo la verità del Vangelo, con lealtà e pazienza senza scappatoie, preoccupati di suscitare in loro - con lo Spirito Santo che agisce in essi - il desiderio del bene, dell'amore autentico, di una vera libertà, della fede. Con quale profondità e con quali esigenze occorre amare i giovani! Se il contatto pastorale ha sempre un aspetto personale, si indirizza all'altro chiamandolo per nome per fargli scoprire la buona novella e ricercare la sua salvezza, mira inoltre a farlo uscire da se stesso, a situarlo in una comunità di credenti e a renderlo attivo e missionario in questa comunità.


4. Diciamo che è importante raggiungere i giovani al cuore delle loro preoccupazioni di vita pienamente umana, nel loro bisogno di compiutezza corporea, intellettuale, spirituale in cui il lavoro, lo sport, il tempo libero, l'amicizia, la dedizione sociale hanno una larga parte. Penso anche ai valori umani fondamentali di libertà autentica, di giustizia, di solidarietà secondo i termini del recente documento della Congregazione per la dottrina della fede! L'azione cattolica, dopo il Concilio Vaticano II (cfr costituzione "Gaudium et Spes"), ha insistito su questa educazione di tutto l'uomo e sul suo impegno nel mondo, senza essere del mondo.

Ma i valori propriamente religiosi devono essere ricercati e coltivati direttamente. Non esitiamo a puntare sulle capacità di fede, di preghiera, di relazione autentica con Dio, del servizio di Dio che i giovani portano in se stessi e che d'altronde si manifesta oggi con più spontaneità e senza complessi.

Non si dice spesso che c'è un ritorno del religioso? Bisogna scegliere questa opportunità, diciamo piuttosto questa grazia del nostro tempo. E' partendo da Gesù Cristo, dal suo Vangelo che potrà meglio trasformare secondo il suo Spirito tutte le sfere della vita umana, suscitare i migliori impegni di giustizia, di pace, di carità. Si tratta di far crescere in questi giovani la vita divina che essi hanno ricevuto, e che nutriranno con la meditazione del Vangelo, la preghiera, i sacramenti, l'amore fraterno. E' in questo contesto che si sveglieranno le vocazioni sacerdotali e religiose di cui la Chiesa ha tanto bisogno. Non mancano i giovani che pensano un giorno o l'altro di consacrare al Signore le loro forze e il loro cuore!


5. In definitiva crediamo che questi giovani siano capaci di un attaccamento personale a Gesù Cristo. Non separiamo lo Spirito Santo, di cui molti riscoprono la presenza nella loro vita, dalla persona di Gesù Cristo. Non separiamo Gesù Cristo dalla persona del Padre che egli è venuto o rivelare con tutta la sua vita e il suo insegnamento. E non separiamo Gesù Cristo dalla sua Chiesa che è il suo corpo. Insegniamo ai nostri giovani ad amare la Chiesa, come segno e strumento della grazia di Cristo, come la comunità che vive il mistero di Cristo. Essa lo fa con le sue debolezze e i suoi limiti, ma anche nella gioia dell'amore fraterno.

Non lasciamo che i nostri giovani vedano nella Chiesa soltanto il lato istituzionale che la società attuale ha troppo spesso insegnato loro a contestare.

Cerchiamo di essere umili e realisti ma non proiettiamo su di essi i dubbi e le critiche degli adulti. Possano comprendere che sono la Chiesa! Possano comunicarsi al nostro amore di Cristo e al nostro amore della Chiesa.


6. La Chiesa è comunione. Il recente Sinodo dei vescovi l'ha messo bene in luce.

La prima testimonianza che noi possiamo darne è quella dell'unità del presbiterio - dei sacerdoti uniti tra loro attorno ai loro vescovi dei quali essi sono i collaboratori - è quella della collegialità dei vescovi uniti tra loro attorno al Vescovo di Roma. Una comunione profonda, nell'amore reciproco elargito alle dimensioni della Chiesa universale, in una preghiera solidale, ma anche nell'adesione alla stessa fede, nell'accoglienza delle stesse esigenze etiche, nell'accettazione della disciplina comune all'insieme della Chiesa che i dicasteri romani hanno la missione di salvaguardare e promuovere. E' all'interno di questa unità sostanziale che ogni Chiesa locale, ogni pastore può e deve cercare le vie più adatte per toccare i nostri contemporanei, presentare il messaggio evangelico, spianare il cammino della fede e della conversione, orientare verso un'azione concreta al servizio della Chiesa e della società. C'è posto per ogni tipo di iniziativa che il vostro cuore di pastori saprà trovare in armonia con i vostri confratelli, e in comunione con il vostro vescovo, con la Santa Sede, con la Chiesa universale.

In questo spirito, vi esprimo tutti i miei incoraggiamenti. Di tutto cuore benedico voi e i sacerdoti dei Consigli presbiteriali che rappresentate.

Data: 1986-04-10 Giovedi 10 Aprile 1986




Al Convegno di teologia morale - Città del Vaticano (Roma)

Riflessione etica per ritessere il legame Verità-Bene-Libertà


Illustri docenti di teologia morale.


1. Sono lieto di accogliervi in questo incontro che si svolge in occasione del Congresso Internazionale, opportunamente promosso dal Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia e dal Centro Accademico Romano della Santa Croce.

Nel rivolgervi il mio saluto deferente e cordiale, desidero ringraziare mons.

Carlo Caffarra e mons. Alvaro del Portillo e, con loro, quanti hanno collaborato alla realizzazione del Convegno. Il confronto di idee e lo scambio di opinioni, che incontri come questo consentono, servono a stimolare la riflessione e a favorire l'approfondimento dei grandi temi morali sui quali voi quotidianamente vi affaticate nel tentativo di sempre meglio comprendere il disegno salvifico di Dio sull'uomo.

Come ben sapete, il Concilio Vaticano II ha chiesto agli studiosi di etica un impegno particolarmente grave e urgente: "Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l'altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo" (OT 16). Questo invito non ha perso - a vent'anni dalla conclusione del Concilio - la sua attualità. La verità, infatti, a cui la Chiesa deve rendere testimonianza, non deve essere solo "fide credenda", ma anche "moribus applicanda" (cfr LG 25). E' verità che deve divenire norma delle decisioni del fedele: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21). Per l'intelligenza di questo rapporto verità-libertà, la riflessione etica è insostituibile.

Anzi, ciò che precisamente si propone la suddetta riflessione è di mostrare come solamente la libertà che si sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene. Il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità.


2. Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l'uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo.

La domanda di Pilato: "Che cosa è la verità?" emerge anche oggi dalla sconsolata perplessità di un uomo che spesso non sa più chi è, donde viene e dove va. E così assistiamo non di rado al pauroso precipitare della persona umana in situazioni di autodistruzione progressiva. A voler ascoltare certe voci, sembra non doversi più riconoscere l'indistruttibile assolutezza di alcun valore morale. Sono sotto gli occhi di tutti il disprezzo della vita umana già concepita e non ancora nata; la violazione permanente di fondamentali diritti della persona; l'iniqua distruzione dei beni necessari per una vita semplicemente umana.

Anzi, qualcosa di più grave è accaduto; l'uomo non è più convinto che solo nella verità può trovare la salvezza. La forza salvifica del vero è contestata, affidando alla sola libertà, sradicata da ogni obiettività, il compito di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male. Questo relativismo diviene, nel campo teologico, sfiducia nella sapienza di Dio, che guida l'uomo con la legge morale. A ciò che la legge morale prescrive si contrappongono le cosiddette situazioni concrete, non ritenendo più, in fondo, che la legge di Dio sia sempre l'unico vero bene dell'uomo. E' necessario dunque che nella Chiesa si ricostruisca una rigorosa riflessione etica.


3. Questo è un compito che si potrà adempiere solo a determinate condizioni, alcune delle quali meritano di essere richiamate brevemente.

In primo luogo è necessario che la riflessione etica mostri che il bene-male morale possiede una sua specifica originalità nei confronti degli altri beni-mali umani. Ridurre la qualità morale delle nostre azioni, relative alle creature, all'intento di migliorare la realtà nei suoi contenuti non etici equivale, alla fine, a distruggere lo stesso concetto di moralità. La prima conseguenza, infatti, di questa riduzione è la negazione che, nell'ambito di quelle attività, esistano atti che siano sempre e comunque in se stessi e per se stessi illeciti. Ho già richiamato l'attenzione su questo punto nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" (cfr RP 17). Tutta la tradizione della Chiesa ha vissuto e vive basandosi sulla convinzione contraria a questa negazione.

Ma anche la ragione umana stessa, senza la luce della rivelazione, è in grado di vedere l'errore grave di questa tesi. Essa è il risultato di presupposti profondi e gravi, che attentano al cuore stesso non solo del cristianesimo, ma anche della religione come tale. Che esista infatti un bene-male morale non riducibile ad altri beni-mali umani è la conseguenza necessaria e immediata della verità della creazione, che fonda ultimamente la dignità propria della persona umana.


4. Chiamato, perché persona, alla comunione immediata con Dio: destinatario, perché persona, di una Provvidenza del tutto singolare l'uomo porta scritta nel suo cuore una legge (cfr Rm 2,15 DH 3) che non è lui a darsi, ma che esprime le immutabili esigenze del suo essere personale creato da Dio, finalizzato a Dio e in se stesso dotato di una dignità infinitamente superiore a quella delle cose. Questa legge non è solo costituita da orientamenti generali, la cui precisazione nel loro rispettivo contenuto è condizionata dalle varie e mutabili situazioni storiche. Esistono norme morali aventi un loro preciso contenuto immutabile e incondizionato. Su alcune di esse voi state sviluppando una rigorosa riflessione proprio nel corso di questo Congresso: la norma che proibisce la contraccezione o quella che interdice l'uccisione diretta della persona innocente, per esempio. Negare che esistano norme aventi un tale valore può farlo solo chi nega che esista una verità della persona, una natura immutabile dell'uomo, ultimamente fondata su quella Sapienza creatrice che dona la misura a ogni realtà. E' pertanto necessario che la riflessione etica si fondi e si radichi sempre più profondamente su una vera antropologia e questa, ultimamente, su quella metafisica della creazione che è al centro di ogni pensare cristiano. La crisi dell'etica è il "test" più evidente della crisi dell'antropologia, crisi dovuta a sua volta al rifiuto di un pensare veramente metafisico. Separare questi tre momenti - quello etico, quello antropologico, quello metafisico - è un gravissimo errore. E la storia della cultura contemporanea lo ha tragicamente dimostrato.


5. A questo punto la riflessione etica razionale si completa, trovando il suo perfezionamento nella riflessione etica teologica. La Sapienza creatrice che dona la misura a ogni realtà, nella cui Verità ogni creatura è vera, ha un nome: è il Verbo incarnato, il Signore Gesù morto e risorto. In lui e in vista di lui l'uomo è creato, poiché il Padre - nel suo liberissimo progetto - ha voluto che l'uomo partecipasse nel Figlio Unigenito alla stessa vita trinitaria. E, pertanto, solo l'etica teologica può dare la risposta interamente vera alla domanda morale dell'uomo.

Da ciò deriva una competenza vera e propria del magistero della Chiesa nell'ambito delle norme morali. Il suo intervento in tale campo non può essere equiparato a un'opinione fra le altre, sia pure dotata di una particolare autorevolezza. Esso gode del "charisma veritatis certum" (cfr DV 8); ad esso, pertanto, il teologo cattolico deve obbedienza.

La competenza che voi possedete mi dispensa dal fare le ulteriori precisazioni al riguardo. Appellarsi a una "fede della Chiesa" per contrastare il magistero morale della Chiesa equivale a negare il concetto cattolico di rivelazione. Non solo, ma si può giungere anche a violare il diritto fondamentale dei fedeli ad avere, da chi insegna la teologia per missione canonica, la dottrina della Chiesa e non le opinioni di scuole teologiche.


6. Lo studioso di etica ha una grave responsabilità, oggi, sia nella Chiesa sia nella società civile. I problemi che egli affronta sono i problemi più seri per l'uomo, dalla cui soluzione dipende non solo la salvezza eterna, ma spesso anche il suo futuro sulla terra. La parola di Dio usa al riguardo parole che dovremmo continuamente meditare. L'amore verso chi erra non deve mai comportare nessun compromesso con l'errore: l'errore deve essere smascherato e giudicato. L'amore che la Chiesa ha verso l'uomo la obbliga a dire all'uomo come e quando la sua verità è negata, il suo bene non riconosciuto, la sua dignità violata, il suo valore non adeguatamente apprezzato. Nel fare ciò, essa non manifesta semplicemente degli "ideali": essa insegna piuttosto chi è l'uomo, creato da Dio in Cristo e qual è, perciò, il suo vero bene. La legge morale non è qualcosa di estrinseco alla persona: è la stessa persona umana in quanto chiamata nello e dallo stesso atto creativo a essere e liberamente realizzarsi in Cristo.

Con umiltà, ma con grande fermezza dovete oggi rendere testimonianza a questa verità. Un insegnamento etico-teologico non consapevole di ciò s'è diffuso in questi anni, spargendo confusione nella coscienza dei fedeli, anche in questioni morali fondamentali. Occorre ritrovare concordia nella chiarezza e chiarezza nella concordia. I problemi che oggi la riflessione etica deve affrontare sono difficili, anche a causa della loro novità. La soluzione vera potrà essere trovata solo in un sempre più profondo radicamento della riflessione nella Tradizione vivente della Chiesa: quella Tradizione nella quale vive Cristo stesso, Verità che ci fa liberi.

La Chiesa, il suo magistero hanno oggi particolarmente bisogno di voi, studiosi di etica. Ne ha bisogno l'uomo. Questo deve essere aiutato anche dalla vostra riflessione a riscoprire la sua Verità, quella Verità che è in lui: a ritornare in sé per trascendersi in Dio.

Mentre esprimo l'augurio che ciascuno di voi possa recare un valido contributo al soddisfacimento di questo fondamentale bisogno dell'uomo contemporaneo, vorrei rivolgere una parola di saluto agli studenti che hanno partecipato a questo Congresso. Mi compiaccio che siate numerosi: l'interesse da voi dimostrato per gli importanti temi dibattuti nel Congresso è un segno confortante.

A tutti con affetto imparto la mia benedizione.

Data: 1986-04-10 Giovedi 10 Aprile 1986




Ai rappresentanti Consiglio Ecumenico delle Chiese - Città del Vaticano (Roma)

La preghiera il migliore mezzo per unire tutta l'umanità


Cari amici in nostro Signore Gesù Cristo! Estendo un caldo benvenuto alla Sezione Dialogo del Consiglio Ecumenico delle Chiese in occasione del vostro incontro qui a Roma con il Segretariato per i Non-Cristiani. Sono grato di questa opportunità di incontrarmi con tutti voi durante la vostra sessione associata sul dialogo interreligioso. So che da qualche tempo vi riunite ogni anno, alternandovi tra Ginevra e Roma, per studiare e discutere i problemi del dialogo con la gente di altre fedi, per condividere le esperienze e coordinare le attività future. Certamente il vostro compito non si limita a ciò che potete realizzare tra voi. Siete interessati anche a ciò che tutti i gruppi cristiani compiono in questo campo.


1. Sono stato felice di apprendere che il tema di studio per quest'anno è "Il dialogo di vita": dialogo tra credenti ordinari, un'armonica e costruttiva condivisione in situazioni di contatti quotidiani. Questa è veramente una forma primaria di dialogo e che pone le fondamenta per altri incontri più specializzati.

Lo sforzo per creare rispetto, comprensione e fiducia a livello popolare è una condizione per le relazioni amichevoli tra seguaci delle grandi religioni. La vista e la buona volontà degli individui soli non sono sufficienti a toccare profondamente le relazioni tra comunità di credenti. Un ampio numero di credenti deve comprendere e accettare gente di altre fedi come fratelli e sorelle con i quali possono pacificamente dividere le loro vite.

Per questa ragione nel rivolgermi ad assemblee di cristiani, così come di gente di altre religioni, parlo spesso del bisogno di promuovere il mutuo rispetto, stima, cooperazione all'interno della società stessa. Questo fu un tema importante durante la mia recente visita in India. Per questa stessa ragione fui felice di accettare l'invito a visitare il Marocco e a parlare ai giovani musulmani di quel Paese. Poiché siete interessati a dedicarvi allo stesso bisogno, vi incoraggio nel vostro compito di animazione.


2. Mi piacerebbe cogliere l'opportunità offerta da questi incontri per richiamare un altro aspetto della vostra collaborazione. Non dobbiamo dimenticare che lavorare insieme per promuovere il dialogo interreligioso è veramente uno dei sentieri che possono aiutare i cristiani ad andare verso l'unità desiderata da Cristo. Attraverso il loro dialogo con i credenti di altre fedi, i cristiani delle varie Chiese e Comunioni riconoscono quanto essi hanno in comune proprio perché credenti in Cristo. Prendono inoltre dolorosamente coscienza del gravoso scandalo della divisione tra cristiani e quanto ciò riduca la nostra testimonianza a "un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo, un solo Dio Padre di tutti" (cfr Ep 4,5-6).

C'è anche un più ampio senso nel quale un comune approccio al dialogo interreligioso possa favorire l'unità dei cristiani. Se i credenti in Cristo potessero rispondere insieme al livello di fede alle sfide dell'umanità, se potessero creare rispetto per i molti e diversi doni che Dio ha mandato su tutti i popoli, se esprimessero amore e interesse per tutte le persone proprio come il Signore li ama, allora la comune testimonianza a Cristo diventerebbe più evidente come una realtà vissuta.


3. In ultima analisi, la preghiera è il miglior mezzo attraverso il quale tutta l'umanità può essere riunita. Essa dispone la gente ad accettare la volontà di Dio per loro. Favorisce le relazioni tra coloro che pregano insieme, venendo insieme davanti a Dio nella preghiera la gente non può continuare ad ignorare o a odiare gli altri. Coloro che pregano insieme scoprono di essere pellegrini e cercatori della stessa meta, fratelli e sorelle che dividono la responsabilità per la stessa famiglia umana, figli dello stesso Dio e Padre.

E' mia ardente speranza che la Giornata di preghiera per la pace che si terrà ad Assisi, alla quale sono stati invitati a partecipare cristiani di tutte le comunioni e credenti di tutte le grandi religioni, sia l'inizio e un incentivo per tutti i credenti in Dio a venire più spesso davanti a lui uniti in preghiera.

Con questo stesso spirito vorrei invitarvi ora a unirvi con me nella preghiera al Padre celeste così come il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo ci ha insegnato: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga in tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen

Data: 1986-04-11 Venerdi 11 Aprile 1986




Ai vescovi del Lazio in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Essere d'aiuto alla cattolicità per un'intensa evangelizzazione


Signor cardinale, venerati pastori e cari fratelli di Roma e del Lazio.


1. Sono lieto di aprire con voi la serie dei fraterni incontri collegiali per le visite "ad limina Apostolorum" dei vescovi Italiani. Vi accolgo col saluto che l'apostolo Paolo rivolgeva alla comunità cristiana di Roma, ai fratelli "amati da Dio e santi per vocazione": "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Rm 1,7). Per mezzo di Gesù, nostro Signore, "abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome..." (Rm 1,5-6).

In questo arco di cinque anni intercorso dall'ultimo incontro di gruppo, ho avuto modo d'incontrarmi personalmente con molti di voi in varie occasioni e, nelle scorse settimane, sono stato lieto di ricevervi singolarmente, rinnovando e rinsaldando quei vincoli di comunione che ci legano nell'amore a Cristo e nel servizio pastorale a favore delle care diocesi del Lazio.

Ora vogliamo fare insieme il punto della situazione a livello regionale, in rapporto soprattutto alle condizioni proprie di una società secolarizzata qual è la nostra, per analizzarne le molteplici ripercussioni sulla vita dei fedeli e sul loro cammino ecclesiale, affinché il nostro servizio, contribuendo a promuovere la conoscenza e l'applicazione del Concilio Vaticano II, valga a suscitare anche nella presente generazione quell'"obbedienza alla fede", che costituiva l'obiettivo delle fatiche pastorali dell'apostolo Paolo. Il riferimento agli inizi, si rivela particolarmente eloquente per noi, ministri di Cristo, in un'epoca nella quale, sotto certi aspetti, sembra imporsi l'impegno di una nuova evangelizzazione.


2. Conosciamo tutti i molteplici vincoli che legano il Vescovo di Roma ai pastori della Regione laziale e ai superiori delle antiche abbazie esistenti nella sua area. La vita spirituale della Regione è dominata dalla presenza di Roma, dalla irradiazione del suo sublime carisma, ma anche dall'influsso di una realtà umana non esente a volte da ombre. Tra Roma e il Lazio corre infatti un flusso di reciproca collaborazione e interdipendenza; così è nata l'eredità storica delle Chiese suburbicarie. Il successore di Pietro, Vescovo della Città eterna e Metropolita della Regione, fin dai primi secoli dell'epoca cristiana ha potuto attingere, per il governo della Chiesa, al ricco serbatoio del clero romano.

Il contributo dei servizi ecclesiali, offerti a Roma dalle comunità del Lazio, è stato, si può dire, quotidiano. Soprattutto oggi, con la mobilità sociale, la Regione ha in comune un complesso di problemi pastorali, che dobbiamo insieme più accuratamente chiarire e più efficacemente risolvere. Come alle origini la fede è approdata da lontano alle nostre sponde, così ora, che essa si è diffusa in ogni angolo del mondo, è necessario che l'esperienza cristiana qui collaudata nel corso dei secoli rechi il proprio apporto al consolidamento delle Chiese più giovani. Roma e il Lazio devono diventare una fucina di verifica e di promozione del Concilio Vaticano II, offrendo a tutta la cattolicità un aiuto di autentico rinnovamento e di intensa evangelizzazione.


3. Vorrei innanzitutto, per nostro incoraggiamento e per ragioni di verità, rilevare con voi le luci che esistono nella situazione odierna della Chiesa, nonostante le crisi e le difficoltà che ci fanno non poco soffrire. Lo stesso Concilio Vaticano II è stato un dono dello Spirito: esso, se adeguatamente compreso e applicato, offre i mezzi adatti all'aggiornamento ecclesiale per portare o ricondurre a Cristo il mondo contemporaneo.

Anche nei nostri tempi la Chiesa continua ad essere Madre dei santi. La novità perenne del Vangelo, come ha prodotto nel passato figure di uomini e di donne in grado di cambiare il mondo, così può suscitare e di fatto suscita anche ai nostri giorni meravigliosi fermenti di bene. In molti settori si nota un risveglio alla vita di preghiera e di contemplazione, un crescente bisogno di soda spiritualità, una ricerca del "sacro" e una riscoperta della verità cristiana, una disponibilità di forze e di risorse morali, che sono promettente garanzia per il futuro.

Non mancano, tuttavia, le ombre, che sono anzi, in certi settori, molte e grandi. La fede ci fa obbligo di riconoscerle senza infingimenti. Perché è necessario sapere con quale realtà i cristiani, a ogni livello, debbono oggi misurarsi.

L'esempio viene ancora da san Paolo che, proprio nella lettera ai Romani, descrive a forti tinte un quadro realistico del mondo, applicabile in qualche misura alla situazione attuale. In una pagina dai toni drammatici egli denunzia la responsabilità degli antichi pagani, i quali, avendo la possibilità di giungere alla conoscenza di Dio, non gli hanno dato gloria, "ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente... Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti" (Rm 1,21-23). La nostra società secolaristica riserva sempre meno spazio alla religione e ai suoi valori. Il Sinodo straordinario dei vescovi, celebrato l'anno scorso, ha parlato di "una qual certa cecità verso la realtà e i valori spirituali" (Relazione finale, I, 4): una sorta di apostasia di fatto dalla fede, con larga diffusione di ateismo storico e pratico e smarrimento di valori fondamentali. Si riduce sempre più la visione integrale dell'uomo e si giunge perfino a negare Dio come valore per l'uomo.

Di qui la disgregazione della famiglia, la prassi della soppressione delle vite umane non ancora nate, la sessualità senza freni, come se questa dimensione dell'essere umano fosse un valore per se stessa e non dovesse invece essere finalizzata a scopi più alti.

E' da aggiungere l'influsso degli strumenti della grande comunicazione, che contribuiscono in maniera spesso determinante a creare confusione tra bene e male, avallando modelli comportamentali alieni dai valori evangelici e provocando così la decadenza generalizzata del costume.


4. In simile contesto, qual è il compito della Chiesa? Di fronte alle sfide che provengono da questa situazione contraddittoria come rispondono le diocesi del Lazio? So che l'impegno di voi tutti è concentrato in un grande sforzo di rievangelizzazione. Un rinnovato slancio nell'annuncio della buona novella è la vera risposta ai mali e alle carenze che emergono dalla diagnosi dell'odierna situazione delle nostre diocesi. Ed è la risposta che la Chiesa ha specificamente il compito di dare: "Evangelizzare - è detto nell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" (EN 14) - è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare e insegnare".

Il dono più prezioso che la Chiesa possa offrire al mondo di oggi disorientato e inquieto, è di formare cristiani convinti mediante un organico piano di approfondita catechesi (cfr CTR 61). E questo è un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma all'intera società.

Vi incoraggio, carissimi fratelli, in questo compito che si impone con urgenza, per il bene delle vostre popolazioni. Una rinnovata vita di fede, frutto di tale azione evangelizzatrice e di assiduo sforzo di catechesi, susciterà una nuova fioritura di quella cultura ispirata ai valori del cristianesimo, di cui a Roma e nel Lazio esistono tante incomparabili testimonianze.

In verità, le preoccupazioni che ci assillano oggi, alla vigilia del nuovo millennio, furono proprie della prima Chiesa; esse sono state ribadite dal Concilio all'inizio della seconda metà del nostro secolo, e toccano l'essenza dell'identità cristiana.

L'apostolo Paolo esortava così la cristianità di Roma: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12,2).

Per parte sua il Concilio, preoccupato di cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo, ha affermato: la Chiesa crede "di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine dell'uomo nonché di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (GS 10).

L'aggiornamento promosso dal Concilio parte dal "rinnovamento spirituale, al quale spetta sempre il primo posto anche nelle opere esterne d'apostolato" (PC 2). A distanza di vent'anni, il Sinodo straordinario dei vescovi ha constatato che si è parlato "troppo del rinnovamento delle strutture esterne della Chiesa e poco di Dio e di Cristo".

La Chiesa ha continuato nel dopo Concilio a promuovere la riforma della liturgia, l'adattamento dei metodi di apostolato e di catechesi, il rilancio della vita religiosa, il consolidamento delle Chiese particolari. E lo ha fatto nello spirito conciliare, puntando all'equilibrio tra rinnovamento e fedeltà. La confusione, pero, sopraggiungerebbe quando si moltiplicassero i casi di chi, in nome della fedeltà, rinunciasse alle esigenze del rinnovamento, e di chi, viceversa, in nome dell'aggiornamento, venisse meno al principio intoccabile della fedeltà. Di qui è nata la raccomandazione pressante del Sinodo, che io voglio ripetere a voi, fratelli e pastori del Lazio, di promuovere una conoscenza sempre più ampia e profonda della dottrina conciliare esposta da persone preparate e fedeli. Tocca alla responsabilità dei pastori prevedere, vigilare e guidare.

A un nuovo paganesimo si risponde con una nuova evangelizzazione, nel senso di una rinnovata e approfondita fedeltà sia al messaggio rivelato che alle attese dell'uomo contemporaneo. A un mondo in via di laicizzazione atea occorre dare la testimonianza autentica di uomini credenti in Dio e nel Signore morto e risorto. Il compito primario dell'evangelizzazione è di indicare in Cristo Gesù il Salvatore di ogni uomo e di tutto l'uomo: del suo mondo personale e di quello familiare, dell'ambiente del lavoro e di quello della scuola, della dimensione culturale come anche della dimensione civile. E' questo che gli uomini anche di oggi attendono dalla Chiesa.


5. Cari fratelli nell'episcopato, a voi non mancano zelo apostolico e spirito d'iniziativa per formulare programmi pastorali atti a raggiungere lo scopo con l'impiego dello sforzo umano legato all'efficacia dell'aiuto divino. Ma sia uno sforzo di collaborazione, voglio dire di "Chiesa", perché è alla Chiesa che il Signore ha assicurato la sua immancabile presenza e la sua infallibile assistenza.

L'apostolo Paolo ci ricorda, sempre nell'epistola ai Romani, che noi siamo un solo corpo in Cristo, ma che molte sono le membra, le quali non hanno tutte la stessa funzione, e aggiunge: "ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rm 12,5). Il Concilio, possiamo dire, commenta questo chiaro fondamentale principio di apostolato, avvertendo i pastori "di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo". Essi debbono guidare i fedeli "in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, al bene comune" (LG 30).

Voglio aggiungere la viva raccomandazione di stare vicini a ciascuno dei vostri sacerdoti mediante il conforto personale, per aiutarli a crescere nella vita soprannaturale, ad essere le guide spirituali del popolo di Dio, a sostenere e moltiplicare le famiglie cristiane, a indirizzare i giovani che cercano l'autenticità del Vangelo, a formare i laici ai loro insostituibili compiti. Di tali premure del sacerdote devono essere oggetto "tutti" i laici cristiani, perché ognuno di essi è chiamato alla santità, ad essere membro vivo nell'incremento della Chiesa, "soprattutto a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare il sale della terra se non per loro mezzo" (LG 33).

I laici hanno un compito fondamentale nel difendere e rettamente applicare i principi cristiani ai problemi attuali in tutto l'ambito dell'ordine temporale (AA 7). Perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale, occorre risanare le istituzioni e le condizioni del mondo, instaurare un ordine politico e giuridico nel quale siano meglio tutelati nella vita pubblica i diritti della persona.


6. La parola del Vangelo continuerà ad esercitare la sua azione salvifica nella società umana nella misura in cui i discepoli di Gesù restano ad essa fedeli.

Per riportare al senso del Vangelo la società di oggi, occorre formare adeguatamente, come ha fatto Gesù, gli evangelizzatori: sacerdoti, religiosi, laici. Occorre che le associazioni cattoliche siano scuole di autentico cristianesimo e d'impegno missionario, animate da spirito sinceramente ecclesiale.

A tali scopi è indirizzata l'azione delle varie Commissioni episcopali. Il loro influsso sarà tanto più efficace quanto più la loro azione sarà costante, organica e convergente. Abbiamo, dunque, chiari gli obiettivi davanti a noi, sufficienti i mezzi umani a disposizione per creare una piattaforma operativa di primo impatto. Non resta che accelerare i tempi dell'azione.

La mia speciale benedizione a ciascuno di voi, alle vostre diocesi del Lazio, sia pegno del particolare aiuto divino, che sinceramente tutti insieme invochiamo.

Data: 1986-04-12 Sabato 12 Aprile 1986





GPII 1986 Insegnamenti - All'Unione mondiale insegnanti cattolici - Città del Vaticano (Roma)