GPII 1986 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)


1. "Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Jn 14,26).

Cristo ha pronunciato queste parole alla vigilia della sua passione e della morte in croce, allorquando si avvicinava il momento dell'addio con gli apostoli. Queste parole ricordiamo ora, dopo la risurrezione, nel periodo di Pasqua. Proprio questo periodo, infatti, è il tempo in cui la promessa dello Spirito Santo, data agli apostoli prima di Pasqua, si deve compiere in modo definitivo.

Già la sera del giorno della risurrezione, Cristo "dà" agli apostoli, riuniti nel Cenacolo, lo Spirito Santo. Dice: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22). Lo porta alla Chiesa come Dono. Il medesimo Spirito Santo verrà rivelato nell'evento della Pentecoste come Dono dato alla Chiesa.

Occorre che noi, nel corso di questi giorni e di queste settimane, abbiamo una particolare consapevolezza di tutto ciò che unisce, in modo più profondo, l'evento pasquale con la Pentecoste.


2. Cristo parla agli apostoli sullo Spirito Santo: "Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto". così dunque l'insegnamento apostolico, l'insegnamento della Chiesa è sempre radicato in questa vigilante presenza dello Spirito di Verità. E' lui che assicura la continuità del Vangelo. Egli vigila perché la Chiesa trasmetta di generazione in generazione ciò che ha sentito da Cristo: ciò che "io vi ho detto".

Egli - lo Spirito Santo, Spirito di Verità - è la sorgente invisibile di quella "memoria" della Chiesa che si manifesta nella Tradizione. Egli "vi ricorderà", dice Gesù. Tradizione è la memoria, è il "ricordare" tutto ciò che è stato detto alla Chiesa da Cristo: tutta l'eredità della rivelazione e della fede.

"La Sacra Tradizione dunque e la Sacra Scrittura - ammonisce il Concilio Vaticano II - sono strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine" (DV 9).


3. In esse si manifesta, attraverso i secoli e le generazioni, la presenza di Cristo, buon pastore. L'odierna domenica di Pasqua è la domenica del buon pastore ed è dedicata alla preghiera per le vocazioni.

Il buon pastore "offre la vita per le pecore" (Jn 10,11). Mediante il suo sacrificio salvifico dà la vita alle pecore, ci trasmette la vita nella potenza dello Spirito Santo. La vita soprannaturale: la vita della fede, della speranza e dell'amore, che è partecipazione alla vita di Dio stesso. Il buon pastore continua nei secoli questa sua opera a nostro favore mediante coloro che egli chiama ad essere ministri della sua grazia.

La giornata odierna vuole renderci consapevoli della nostra responsabilità di collaborare, in primo luogo con la preghiera, alla promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose. In unione con Maria, ognuno oggi elevi al Signore un'invocazione particolare per implorare che egli conceda alla sua Chiesa numerosi e santi sacerdoti. Domani 21 aprile ricorre, secondo la tradizione, l'anniversario della fondazione di Roma: è una data degna di essere ricordata. La città che vive da 2739 anni ha giustamente meritato, l' unica al mondo, il titolo di "eterna", non solo per la sua antichissima origine, ma anche per i singolari compiti che Iddio le ha riservato nel piano della Redenzione. Da quando il Pescatore di Galilea, designato dal Salvatore degli uomini a pascere il gregge del nuovo popolo di Dio, approdo alle rive del Tevere, la Chiesa, una santa cattolica apostolica, divenne anche romana. E' Roma la patria comune. La ricorrenza del natale di Roma, perciò, sia per gli abitanti della Città stimolo ad essere cittadini sempre più degni di questo privilegio, e per i cristiani di ogni lingua e nazione motivo di riflessione e d'impegno perché la romanità della loro fede sia anche adesione fedele all'intera verità del Vangelo di Cristo.

Data: 1986-04-20 Domenica 20 Aprile 1986




Nella parrocchia di Sant'Aurea - Ostia Antica (Roma)

Il Buon Pastore: sorgente di gioia nella Chiesa



1. "Io sono il buon pastore" (Jn 10,11)... "La Domenica del Buon Pastore" è collegata con il periodo pasquale. Mediante gli avvenimenti della passione, della morte e della risurrezione di Cristo la Chiesa, nell'arco delle generazioni e dei secoli, rilegge di nuovo tutto ciò che Gesù ha detto di se stesso come buon pastore. "Il buon pastore offre la vita per le pecore". Queste parole questo pensiero centrale ha acquistato una piena eloquenza quando Cristo, col suo proprio sacrificio, ne ha realizzato il significato. Allora divenne completamente chiaro che cosa significa che egli è il buon pastore. Ha offerto la vita in sacrificio per l'uomo. Per questo è il buon pastore! Le immagini più antiche nelle catacombe testimoniano quanto profondamente le prime generazioni dei cristiani abbiano vissuto la verità sul buon pastore. Questa verità ha le sue radici nell'Antico Testamento. Ne testimonia tra l'altro il Salmo della liturgia: "Il Signore è Dio; egli ci ha fatti". Come creature "noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo" (Ps 99,39 Ps 99, il popolo eletto il pastore, il quale vive con i suoi animali, che egli conosce custodisce dai quali ricava sostentamento, fu un'immagine familiare fin dagli inizi della sua storia. E ciò che accadeva tra lui le pecore divenne un simbolo, una metafora per le vicende della vita di Israele del suo rapporto con Dio.


2. Il mondo biblico nel pastore non vedeva unicamente una guida, la quale può anche essere estranea a chi conduce, ma una persona amica e premurosa, che partecipa alla vita del suo gregge, lo porta al pascolo e alle fonti, lo protegge dai predoni e dalle fiere; è, quindi, capace di sottrarlo ai pericoli: è un salvatore. Ad esso - come noi ora dobbiamo fare con Cristo - era ovvio affidarsi con cuore semplice, perché le sue cure davano sicurezza e abbondanza di vita.

In esso era facile cogliere la preminenza, la sovranità di Dio, che prende iniziativa con benevolenza e grazia, interessandosi dell'uomo e facendosi di lui sostegno fedele. Noi siamo suoi. Egli ci ha fatto suoi, noi siamo suoi e gregge del suo pascolo.


3. Ciò che leggiamo nel breve Vangelo odierno attinge e si sviluppa dall'eredità del Vecchio Testamento. Cristo dice: "le mie pecore" (Jn 10,14), e poi spiega perché "mie": perché: "il Padre mio... me le ha date" (Jn 10,29).

Ogni uomo è stato "dato" in modo particolare dal Padre al Figlio. Il Figlio stesso si è fatto uomo, per assumere dal Padre la sollecitudine di pastore per l'uomo, per l'umanità. La sollecitudine del pastore è nella Sacra Scrittura sinonimo della Provvidenza paterna di Dio. Questa Provvidenza si realizza nella storia dell'umanità mediante il Figlio. Mediante Cristo.

Buon pastore vuol dire l'espressione particolarissima della Provvidenza di Dio, della sua sollecitudine paterna per l'uomo. Nella sua attenta misericordia il Padre ha disposto che il Cristo - con la libertà dell'amore - venisse a condurre le sue pecore alla pienezza della vita, ricca e feconda come l'acqua che scorre. Il Verbo, spogliando se stesso, ci ha salvati e rivestiti di innocenza, configurandoci a lui in modo così potente che ogni cristiano, insieme con l'apostolo Paolo, può dire: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Ga 2,20).

Non dimentichiamo, tuttavia, che la confortante presenza del Redentore in noi non ci esime dalla croce quotidiana, ma è grazia consolante, la quale ci unisce a Dio, facendoci vivere e soffrire in conformità alla sua volontà a favore del prossimo.


4. così dunque Cristo - nel corso delle generazioni - compie, nei riguardi di coloro che il Padre gli ha "dato", una missione provvidenziale. E' il buon pastore. Questa missione consiste in una conoscenza particolare: nella conoscenza salvifica: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco" (Jn 10,27).

Questa è la conoscenza mediante la fede. Ossia è anche un affidamento. Il Pastore è infatti colui al quale il gregge crede. Per questo lo segue. Egli conosce il giusto valore di ciascuno e ciascuna di essi agli occhi di Dio. Egli, pastore, porta in sé il giusto prezzo di ciascuno.

Soltanto lui è capace di pagare questo prezzo: il prezzo che è contenuto nella croce, nel mistero pasquale: "offre la vita per le pecore". Questo alto, altissimo prezzo è unito alla dimensione della predestinazione, che ogni uomo ha in Cristo. E' la predestinazione alla vita eterna in Dio: "Esse mi seguono. Io do loro la vita eterna". Dobbiamo tenere davanti agli occhi questa predestinazione e questo prezzo per poter capire le seguenti parole della parabola: "non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano... nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio" (Jn 10,28-29).

Sono parole forti, molto forti. Si riflette in esse - in un certo senso - tutto il dramma del mistero della Redenzione.


5. Cristo dice: "Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti... Io e il Padre siamo una cosa sola" (Jn 10,29-30).

Nel mistero pasquale: nella croce e nella risurrezione si manifesta fino in fondo l'unità divina del Padre e del Figlio. Quest'unità si esprime nella creazione dell'uomo. Si esprime nella Provvidenza. Si esprime nella redenzione. La redenzione è, in un certo senso, lo "sforzo" radicale e definitivo di Dio, affinché non gli venga tolto ciò che ha creato a propria immagine e somiglianza; affinché l'opera salvifica dell'eterno Amore possa compiersi nella storia dell'uomo.

La Chiesa rende testimonianza a quest'Amore, rende testimonianza all'opera della redenzione dell'uomo in Cristo. Rende testimonianza alla risurrezione, mediante la quale è stata riconfermata fino in fondo la missione del buon pastore. Lo testimonia pure la prima lettura ricavata dagli Atti degli apostoli, dove Paolo e Barnaba richiamano le parole ispirate dal Signore al profeta Isaia: "Io ti ho posto come luce per le genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra" (Ac 13,47).


6. Nell'odierna liturgia la Chiesa vede la missione di Cristo, buon pastore, secondo la prospettiva dell'Apocalisse, la quale, nel brano che abbiamo ascoltato poco fa, mostra che il pastore dei fratelli è l'Agnello immolato. In lui e per lui i fratelli sono benedetti e custoditi, come l'immagine della tenda stesa su di loro (cfr Ap 7,15) significativamente indica, mentre mette pure in risalto la familiarità con Dio di cui godono i salvati. Con lui, affrontando sul suo esempio e a sua imitazione prove e tribolazioni, portano al mondo intero la redenzione. A motivo di ciò, "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua" indossa una veste bianca che esprime l'umanità nuova di Cristo, ricevuta col battesimo, e che indica la purezza dell'anima e l'incorruttibilità a cui il corpo è destinato.

Così avete vestito oggi voi, ragazze e ragazzi, questi abiti. E' una grande giornata per una parrocchia quando ragazzi e ragazze ricevono la prima Comunione. Oggi voi manifestate nei vostri abiti questa realtà stupenda di Gesù buon pastore che conosce le sue pecore, vi chiama per nome e soprattutto cerca di offrire la sua vita per ciascuno e ciascuna di voi. E poi i frutti di questo sacrificio, di questa offerta della sua vita, li porta come comunione, sotto la specie del corpo e del sangue, nei cuori dei cristiani, dei giovani e adulti, degli anziani e poi oggi, per la prima volta, in voi che dovete ricevere la comunione eucaristica. Io mi rallegro con voi, con i vostri genitori, con le vostre suore, con i vostre insegnanti per questa circostanza festosa. E' una grande giornata della comunità parrocchiale quando la nuova leva dei ragazzi e delle ragazze ricevono la prima Comunione.

Lo scopo della venuta del Figlio di Dio è di comunicare agli uomini la salvezza. I credenti, entrati con Cristo nel flusso del suo Spirito, partecipano della sua stessa missione: introdurre l'umanità nel rapporto definitivo col Padre.

E' la missione per cui sono stati scelti e resi figli adottivi. Questa adozione non è una semplice immagine, ma ciò per cui l'uomo è portato nella vita di Dio, facendo si che la verità evangelica penetri il suo modo di concepire le cose e di impostare l'esistenza.


7. Il compito di annunciare il Vangelo e di testimoniarlo non è una presunzione, è una responsabilità. Anzi è una scelta di amore da parte del Dio fedele, giusto e leale (cfr Dt 32,4), che interpella tutti i credenti, soprattutto quelli che con speciale predilezione egli chiama al suo servizio mediante il sacerdozio ministeriale e la vita religiosa.

E in questa quarta Domenica di Pasqua, nella quale si celebra la XXIII Giornata mondiale per le vocazioni, mi è gradito trovarmi in una parrocchia, perché nel messaggio che al riguardo ho indirizzato alla Chiesa lo scorso gennaio, il mio pensiero si è rivolto in particolare a tutte e singole le comunità parrocchiali del mondo, invitandole a considerare la cura delle vocazioni come un'attività pienamente inserita nella loro vita e azione. La mia presenza fra voi oggi è quindi, per me, felice circostanza per rinnovare l'esortazione alla preghiera. Siate una comunità orante, che pone l'Eucaristia al centro della sua vita, del suo fraterno radunarsi, domandando al Padrone della messe di mandare operai per la sua messe (cfr Mt 9,38). Siate una comunità di carità, dove l'amore a Dio faccia una cosa sola con quello dei fratelli.


8. Mentre rivolgo un sincero saluto a tutti voi, fedeli della parrocchia di Sant'Aurea in Ostia Antica, esprimo la mia letizia per essere tra voi e per il vedervi qui numerosi, devoti e attenti: è un segno di sincera comunione ecclesiale.

Insieme col signor cardinale vicario e col vescovo ausiliare di zona, mons. Clemente Riva, che saluto entrambi di cuore, sono venuto fra voi per l'amore pastorale che porto alla diocesi di Roma e distretto, di cui questa comunità è parte dinamica e giovane, ma con radici di fede nella storia. Dal terzo secolo infatti Ostia è sede vescovile, il cui titolo è assegnato al signor cardinale decano del Sacro Collegio, e ben undici Papi sono stati suoi pastori.

Il mio saluto va, poi, al parroco, padre Amedeo Eramo, O.S.A., che ha ben preparato questa visita e che è coadiuvato da sacerdoti, i quali si prodigano per questa comunità in fraterna unione con lui. Saluto anche le Suore dell'Apostolato cattolico, le Suore francescane missionarie dell'Eucaristia e la Comunità "Humanitas", le quali collaborano attivamente alle iniziative, che sono coordinate dal Consiglio pastorale. Saluto, infine, le associazioni: l'Azione Cattolica Ragazzi, l'Agesci, la Caritas, i Catechisti, la Commissione parrocchiale per gli affari economici, il coro, il gruppo del dopo-cresima e, in special modo, l'Associazione santa Monica. Carissime sorelle, sull'esempio della madre di sant'Agostino, che a Ostia intensamente prego e piamente mori, alimentate nelle famiglie un amore dolce. Pazienti nelle difficoltà, ferme nella speranza, custodite il vincolo nuziale e educate i figli, facendoli crescere sereni nella conoscenza di Cristo come sant'Agostino.

Ai vari gruppi parrocchiali [Ai bambini:] Questa domenica del buon pastore ci dice che siamo le sue pecorelle, ma questo, naturalmente, secondo la parabola del buon pastore, è un paragone, un'analogia, siamo così preziosi per lui che cerca ciascuno di noi e dona la sua vita per ogni uomo, per ciascuno di noi. E' questa la prima idea che mi ha colpito ascoltando le parole dei vostri colleghi e colleghe.

Una ragazza mi ha chiesto come io abbia deciso di essere Vicario di Gesù: io non ho scelto questo, mi hanno scelto ed erano 120 cardinali che lo facevano riuniti in Conclave. Là anche loro erano soltanto uno strumento; quello che veramente ha scelto è lo Spirito Santo, è Gesù. Questa è la mia fede, non sarebbe possibile, altrimenti, essere papa. Quella fede è più importante come lo era per Simon Pietro. Anche lui fu molto sorpreso quando Gesù lo scelse, perché era uomo, anche un uomo debole e constatava sovente la sua debolezza. Ma Gesù lo scelse e lui ha creduto in quella scelta di Gesù e lo ha seguito, accettando la sua scelta. Ma io vorrei dire che tutti noi, ciascuno di noi è chiamato, ha una vocazione. La vocazione, diciamo, di essere Papa, vocazione innanzitutto sacerdotale, episcopale e poi anche papale. Tutto questo è certo importante, ma ogni vocazione, quella sacerdotale o religiosa, anche papale, va letta nel quadro della vocazione cristiana, la nostra vocazione principale, la nostra vocazione fondamentale è quella di essere cristiani e così siamo chiamati dal momento - momento del quale pochi di noi si ricordano - del Battesimo. Siamo chiamati ad essere cristiani, diceva un grande scrittore dell'antichità, con l'espressione: "cristiano è un altro Cristo". Questa è la vocazione fondamentale, più importante.

E questa è propria di ciascuno di noi. A ciascuno di voi, carissimi presenti, ecco io porgo il mio ringraziamento per questa bella accoglienza in un giorno tanto bello, anche stupendo, pieno di sole in questa Ostia Antica dove vivono tanti giovani e tanti ragazzi. Ostia Antica, ma grazie a voi sempre giovane.

Vorrei ringraziare tutti i presenti offrendovi una benedizione con i vescovi presenti. Continuate una buona preparazione alla prima Comunione, alla Cresima, alla vita sinceramente e pienamente cristiana. Questa è la nostra vocazione, questa è la nostra dignità, questa è l'opera del buon pastore.

[Al consiglio pastorale e ai gruppi religiosi:] Cari fratelli, vi saluto in questo ambiente sacro che è la vostra parrocchia, una parrocchia tanto stimata come Sant'Aurea, dove vive la tradizione di santa Monica madre di sant'Agostino e dello stesso sant'Agostino, specialmente in quest'anno in cui si ricorda il XVI centenario della sua conversione.

Carissimi, avete visto che ho cercato di dare la mano a ciascuno di voi, e vorrei dirvi che questo gesto ha anche un significato simbolico perché da un lato voi tendete la mano al vostro Vescovo, al Vescovo di Roma, ma sono io che cerco le vostre mani, la vostra collaborazione. Per questo vi ringrazio, per il vostro apostolato, molto diversificato: apostolato di carità, di catechesi e anche in campo economico. E poi apostolato dei giovani, e degli scout in particolare, degli altri gruppi, del gruppo di santa Monica soprattutto. Diverse dunque le forme del vostro apostolato, del vostro apostolato di laici. Con questo apostolato voi date una mano al vostro parroco, al pastore di questa porzione di Chiesa, e al vostro vescovo. E così siamo legati spiritualmente. così facevano con gli apostoli i laici dei primi secoli, della prima generazione della Chiesa, i laici dei tempi di santa Monica. così oggi voi siete i successori di una schiera di apostoli laici e proseguite nell'opera di evangelizzazione per far si che Cristo sia presente in tutti gli ambienti della vita umana.

Ma oggi qui tra noi ci sono religiosi e religiose, i vostri sacerdoti Agostiniani e le suore di due congregazioni. I religiosi hanno un compito specifico nella vita della Chiesa. Sono persone consacrate. Noi tutti siamo consacrati in virtù del Battesimo, anche le suore e i religiosi qui presenti. Ma essi hanno attinto una consacrazione specifica, personale, particolarmente indirizzata a Cristo, per vivere secondo i suoi precetti nello spirito delle Beatitudini: in castità e in obbedienza, secondo quello che significano la stessa vita e lo stesso esempio di Gesù Cristo. Questa forma di consacrazione è molto importante per la Chiesa, per il suo apostolato e per la sua testimonianza. Per questo ringrazio tutti per il vostro impegno apostolico e benedico i vostri cari, gli ambienti dove lavorate e soprattutto le vostre famiglie.

[Ai ragazzi degli Scout Agesci:] Mi sento sempre molto vicino a voi, interiormente, spiritualmente. Accetto questo fazzoletto come segno della vostra solidarietà. L'ho ricevuto molte altre volte ed è sempre per me un invito ad essere con voi. E vi ripeto che io, a voi, mi sento sempre molto vicino.

Associazioni o movimenti specifici come il vostro io ne ho conosciuti anche nella mia patria d'origine. E ho imparato ad apprezzare questo programma di vita, un programma molto semplice ma allo stesso tempo esigente e profondamente formativo, diffuso in molti Paesi del mondo. Grazie a questo vostro programma di vita molti si sentono ancora giovani anche se non lo sono più, proprio in virtù di questa vostra esperienza, di questa vostra disciplina. Per questo vi ringrazio e voglio dirvi una cosa che mi sembra molto significativa. Con il vostro impegno voi fate coraggio agli altri: vi educate a essere coraggiosi e a dare coraggio al vostro prossimo. Ai vostri coetanei, ai vostri amici, in tutti gli ambienti in cui vivete. E date coraggio anche agli anziani come per esempio a me, anche oggi mi avete dato un nuovo coraggio. Continuate a dare coraggio al mondo che vi circonda, mostrate a questo mondo che si può essere giovani ed essere allo stesso tempo onesti cercando i veri valori; che si può vivere gioiosi, e che l'unica strada per essere veramente gioiosi è appunto quella di essere esigenti con se stessi. E' un programma, questo, che è molto vicino al Vangelo, al programma di Cristo. Il programma del sermone della montagna, delle beatitudini: programma del Vangelo.

Questo nostro incontro è per me tanto prezioso e io vorrei concluderlo con queste parole: spero che possiate continuare a dare coraggio a questa parrocchia, a tutti i parrocchiani di Ostia Antica, per poter fare di questa Antica Ostia, con il vostro coraggio, una Ostia sempre giovane. Grazie.

Data: 1986-04-20 Domenica 20 Aprile 1986




Ad un convegno culturale - Città del Vaticano (Roma)

L'eredità della cultura cristiana per una nuova coscienza


Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato e cari amici.


1. Gioisco vivamente nell'accogliere questa mattina i partecipanti al Convegno sull'eredità cristiana della cultura cristiana e del Consiglio Pontificio per la cultura, per riflettere sulla vitalità spirituale della cultura europea, plasmata da due millenni di esperienza cristiana. Ora la domanda che vi ponete con lucidità e coraggio è questa: quale coscienza della loro eredità cristiana hanno effettivamente gli europei? Recentemente numerosi simposi europei, a differenti livelli di responsabilità (vescovi, sacerdoti) si sono interessati con sollecitudine a questo tema. Il bilancio a prima vista sembra comportare sia ombre che luci. Da un lato migliaia di europei danno l'impressione di vivere senza memoria spirituale, come degli eredi che hanno dilapidato il loro patrimonio sacro. Quanti uomini e donne infatti, passano il loro tempo di lavoro e di svago senza alcun riferimento al Vangelo o a Dio! Le loro gioie, le loro speranze, le loro prove sembrano racchiuse in un orizzonte terrestre, e molti sembrano vivere e morire in un vuoto religioso. Questo agnosticismo pratico, quest'indifferenza tranquilla, è purtroppo spesso il dramma delle società economicamente più avanzate, che hanno evacuato il sacro della vita quotidiana e non hanno ancora imparato a creare uno spazio religioso nel cuore delle nuove culture. Quanti giovani respirano e crescono in questo clima religioso, fatto d'ignoranza e di disinteresse verso il fatto religioso!


2. Guardiamoci tuttavia dal fermarci unicamente all'aspetto oscuro del paesaggio umano e culturale di questo continente. Dapprima alcuni ambienti, forse a causa delle prove esteriori che li affliggono, manifestano una considerevole fedeltà alle loro radici spirituali e una forte vitalità religiosa, vissuta a livello delle famiglie e del popolo, tesa verso l'avvenire. E soprattutto le vie della Provvidenza sono misteriose, e lo Spirito è sempre all'opera nel segreto dei cuori, attirandoli verso l'amore dell'Assoluto, verso la giustizia, verso la pace.

Segni di speranza e di conforto non mancano se noi sappiamo discernerli con attenzione. Come non rallegrarsi, per esempio, nel vedere tanti cristiani, in parecchi paesi d'Europa che si impegnano con generosità e intelligenza in questo progetto promettente che chiamiamo ora la nuova evangelizzazione? La fede viva di questi cristiani è tutta tesa verso uno sforzo di inculturazione del Vangelo che non mancherà di portare i suoi frutti. La promessa del Vangelo ce ne dà conferma così come dai segni già evidenti del successo. Gli europei, così fieri della loro libertà, della loro creatività, del loro senso della partecipazione, possiedono dei valori culturali che, fecondati dallo spirito del Vaticano II, affretteranno l'incontro della Chiesa con le culture emergenti.


3. D'altronde, riconosciamolo, le prove e le divisioni che hanno lacerato questo vecchio continente costituiscono, anch'esse, un pressante invito per gli Europei, li impegnano a ritornare alle fonti della loro storia, per ritrovare la loro fratellanza comune e la loro cultura indelebile. Rispettando il pluralismo delle società moderne, sappiamo ridare vita e significato all'eredità cristiana dell'Europa. Eredità non vuol dire passato antiquato, come se lo immaginano troppe persone che hanno la tendenza a vedere il cristianesimo attraverso alcune istituzioni vecchie e sorpassate. Per noi che lo viviamo, il patrimonio cristiano è sempre attivo e creatore di cultura. Sappiamo attraverso un dialogo franco e coraggioso, rivendicare le libertà e le garanzie indispensabili affinché i cristiani e tutti i credenti possano apportare il loro contributo indispensabile alla costruzione futura di tutte le società di questo continente, dal nord al sud, dall'est come dall'ovest.


4. Avete ragione di porre il problema in termini di coscienza. L'Europa non deve attingere le sue forze vive nei soli campi economico, ideologico, politico, militare. La posta decisiva sarà la qualità della cultura vissuta a livello della coscienza europea.

Ecco la frontiera dove si gioca l'avvenire di questo continente e in un certo senso del mondo intero, poiché l'Europa occupa un posto di primo piano nella geografia culturale del mondo.

Il vostro contributo supera ampiamente i confini della carta geografica dell'Europa e il lavoro di presa di coscienza culturale, che voi saprete attuare, sarà anche a beneficio di tutta la comunità umana.


5. Incoraggio il Consiglio Pontificio per la Cultura e gli organismi come l'Istituto polacco di Cultura cristiana e suscitare numerosi incontri come questo, nei quali, uomini e donne prendono coscienza che il destino dell'Europa, come comunità umana distinta dipende dal vigore che essa saprà dare alla propria cultura. Uomini e donne di cultura voi detenete un potere immenso sugli spiriti e le anime. Siate i testimoni accorti e convinti della memoria cristiana di questo continente e con tutti i mezzi moderni mostrate alle giovani generazioni il potere sempre rigeneratore della Buona Novella di Gesù Cristo. Che la vostra fede, la vostra speranza, la vostra carità, nutrite alle fonti del Vangelo, facciano di voi e di tutti coloro che lavoreranno nello stesso senso in diverse iniziative, degli strumenti privilegiati per l'opera urgente che costituisce la nuova evagelizzazione del vostro paese e di tutta l'Europa, chiamata a ritrovare la sua anima e la sua creatività spirituale. La prosperità, la pace e il vero sviluppo umano dell'Europa dipendono da ciò. Formulo questo augurio con voi, davanti al Signore del quale imploro la Benedizione su di voi.

Data: 1986-04-20 Domenica 20 Aprile 1986




Costituzione apostolica "Spirituali militum curae" - Città del Vaticano (Roma)

Per una più efficace cura spirituale dei militari


La Chiesa ha sempre voluto provvedere con lodevole sollecitudine e in modo proporzionato alle varie esigenze, alla cura spirituale dei militari. Essi, infatti, costituiscono un determinato ceto sociale e, "per le peculiari condizioni della loro vita", sia che volontariamente facciano parte in modo stabile delle forze armate, sia che per legge vi siano chiamati per un tempo determinato, hanno bisogno di una concreta e specifica forma di assistenza pastorale; a questa esigenza, nel corso dei tempi, la sacra gerarchia, e in particolare i Romani Pontefici, per il loro dovere di servizio ovverosia di "diaconia", hanno provveduto nei singoli casi, nel modo migliore con una giurisdizione più rispondente alle persone e alle circostanze. In tal modo furono costituite man mano delle strutture ecclesiastiche nelle singole Nazioni, alle quali veniva preposto un prelato munito delle necessarie facoltà. La Congregazione Concistoriale emano in materia sagge norme con l'Istruzione "Solemne semper" del 23 aprile 1951. Ora pero si deve dire che è venuto il tempo per rivedere dette norme, affinché possano avere maggiore forza ed efficacia. A ciò porta innanzitutto il Concilio Vaticano II, che apri la strada a realizzare nel modo più consono peculiari iniziative pastorali e prese in attenta considerazione l'intervento della Chiesa nel mondo contemporaneo, anche in ciò che riguarda l'edificazione e la promozione della pace in tutto il mondo. In questa linea quelli che prestano servizio militare debbono considerarsi "come ministri della sicurezza e della libertà dei popoli", infatti "se adempiono il loro dovere rettamente, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace".

Ciò è consigliato anche dai grandi cambiamenti che si sono prodotti non solo per quanto concerne la professione militare e le sue circostanze di vita, ma anche nel senso comune attribuito dalla società del nostro tempo alla natura e ai compiti delle forze armate nella realtà della vita umana. A questo passo, infine, ha condotto la promulgazione del nuovo Codice di diritto canonico che, per la verità, ha lasciato immutate le norme relative alla cura pastorale dei militari, fin qui vigenti, che tuttavia oggi sono opportunamente riviste, affinché dalla loro equilibrata composizione ne derivino frutti più abbondanti.

Norme di questo genere, invero, non possono essere identiche per tutti i Paesi, non essendo uguale, né in assoluto né relativamente, il numero dei cattolici impegnati nel servizio militare, essendo molto diverse le circostanze nei singoli luoghi. E' quindi opportuno che vengano qui stabilite certe norme generali, valide per tutti gli Ordinariati militari - chiamati finora Vicariati Castrensi -, che vanno poi completate, nel quadro della predetta legge generale, con gli statuti emanati dalla Sede apostolica per ciascun Ordinariato.

Vengono pertanto stabilite le seguenti norme: I. § 1. Gli Ordinariati militari, che si possono chiamare anche castrensi e che vengono giuridicamente assimilati alle diocesi, sono peculiari circoscrizioni ecclesiastiche, rette da propri statuti emanati dalla Sede apostolica, nei quali verranno precisate più dettagliatamente le prescrizioni della presente costituzione, fatte valide dove esistono le Convenzioni stipulate tra la Santa Sede e gli Stati.

§ 2. Dove le circostanze lo richiedono, sentite le Conferenze Episcopali interessate, verranno eretti dalla Sede apostolica nuovi Ordinariati militari II. § 1. All'Ordinariato militare è preposto, come proprio, un Ordinario normalmente insignito della dignità episcopale, il quale gode tutti i diritti ed è tenuto agli obblighi dei vescovi diocesani, a meno che non consti diversamente dalla natura delle cose o dagli statuti particolari.

§ 2. Il Sommo Pontefice nomina liberamente l'Ordinario militare oppure istituisce o conferma il candidato legittimamente designato.

§ 3. Perché possa applicarsi con tutte le sue forze a questa specifica missione pastorale, l'Ordinario militare sarà di norma libero da altri uffici che comportino cura di anime, a meno che particolari esigenze di una Nazione consiglino diversamente.

§ 4. Fra l'Ordinario militare e le altre Chiese particolari deve esserci uno stretto vincolo di comunione e un coordinamento delle forze nell'azione pastorale.

III. L'Ordinario militare fa parte di diritto della Conferenza Episcopale di quella Nazione in cui l'Ordinariato ha la propria sede.

IV. La giurisdizione dell'Ordinario militare è: 1) personale, così che può esercitarsi verso le persone che fanno parte dell'Ordinariato, anche se talvolta si trovano fuori dei confini nazionali; 2) ordinaria tanto in foro interno che in foro esterno; 3) propria ma cumulativa con la giurisdizione del vescovo diocesano, poiché le persone appartenenti all'Ordinariato non cessano di essere fedeli di quella Chiesa particolare del cui popolo, in ragione del domicilio o del rito, costituiscono una porzione. V. Gli ambienti e i luoghi riservati ai militari in primo e principale modo sottostanno alla giurisdizione dell'Ordinariato militare; in via secondaria, pero, anche alla giurisdizione del vescovo diocesano, ogniqualvolta, cioè, manchino l'Ordinario militare e i suoi cappellani: in tal caso, sia il vescovo diocesano che il parroco agiscono per diritto proprio.

VI. § 1. Oltre a quanti vengono considerati nei seguenti paragrafi 3 e 4, il presbiterio dell'Ordinariato castrense è formato da quei sacerdoti, tanto secolari che religiosi, i quali, forniti delle necessarie doti per svolgere proficuamente questo speciale ministero pastorale, e con il consenso del proprio Ordinario, svolgono un servizio nell'Ordinariato militare.

§ 2. I vescovi diocesani nonché i competenti superiori religiosi concedano all'Ordinariato castrense in numero sufficiente sacerdoti e diaconi idonei a questa missione.

§ 3. L'Ordinario militare può, con l'approvazione della Santa Sede, erigere un seminario e promuoverne ai sacri ordini nell'Ordinariato i suoi alunni, una volta completata la specifica formazione spirituale e pastorale.

§ 4. Anche altri chierici possono essere incardinati, a norma del diritto, nell'Ordinariato castrense.

§ 5. Il consiglio presbiterale abbia i suoi statuti, approvati dall'Ordinario, tenute presenti le norme emanate dalla Conferenza episcopale.

VII. Nell'ambito loro assegnato e nei confronti delle persone loro affidate, i sacerdoti che sono nominati cappellani nell'Ordinariato godono dei diritti e sono tenuti a osservare i doveri dei parroci, a meno che dalla natura delle cose o degli statuti particolari non risulti diversamente; tuttavia cumulativamente con il parroco del luogo, a norma dell'art. IV.

VIII. Quanto ai religiosi e ai membri delle Società di vita apostolica che prestano servizio nell'Ordinariato, l'Ordinario si preoccupi che essi perseverino nella fedeltà verso la vocazione e il carisma del proprio Istituto e mantengano stretti legami con i loro superiori.

IX. Dovendo tutti i fedeli cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo l'Ordinario e il suo presbiterio facciano in modo che i fedeli laici dell'Ordinariato, tanto a livello personale che in modo associato, svolgano la loro parte come fermento apostolico, ma anche missionario fra gli altri militari con cui vivono. X. Oltre a coloro che sono determinati negli statuti, a norma dell'art. I, appartengono all'Ordinariato militare e si trovano sotto la sua giurisdizione: 1) i fedeli che sono militari, nonché quelli che sono al servizio delle forze armate, purché vi siano tenuti a norma delle leggi civili; 2) quanti compongono le loro famiglie, cioè coniugi e figli, anche maggiorenni, se abitano nella stessa casa, e così i parenti e le persone di servizio che, parimenti, abitano nella stessa casa; 3) coloro che frequentano scuole militari o si trovano degenti o prestano servizio negli ospedali militari, nelle case per anziani o in altri simili istituti; 4) tutti i fedeli, uomini e donne, membri o meno di un Istituto religioso, che svolgano stabilmente un compito loro affidato dall'Ordinario militare o con il suo consenso. XI. L'Ordinario militare fa capo alla Congregazione per i vescovi o a quella per l'Evangelizzazione dei popoli e, a seconda dei casi, tratta le questioni con i competenti Dicasteri della Curia Romana.

XII. Ogni cinque anni l'Ordinario militare presenterà alla Sede apostolica la relazione sulla situazione dell'Ordinariato, secondo la prescritta formula.

Parimenti l'Ordinario militare è tenuto agli obblighi della "visita ad limina", a norma del diritto.

XIII. Negli statuti particolari, nell'osservanza, dove esistono, delle Convenzioni stipulate fra la Santa Sede e gli Stati, saranno precisate, fra le altre, queste cose: 1) in quale luogo saranno collocate la chiesa dell'Ordinario castrense e la sua Curia; 2) se ci debbano essere uno o più vicari generali e quali altri officiali di curia debbano essere nominati; 3) quanto concerne la condizione ecclesiastica dell'Ordinario castrense e degli altri sacerdoti o diaconi addetti all'Ordinariato militare durante l'incarico e al momento di lasciare il servizio, nonché le prescrizioni da salvaguardare circa la loro situazione militare; 4) come si debba provvedere in caso di sede vacante o impedita; 5) ciò che si debba dire circa il consiglio pastorale sia dell'intero Ordinariato che locale, tenute presenti le norme del Codice di diritto canonico; 6) quali libri si debbano tenere tanto per l'amministrazione dei Sacramenti che per lo stato delle persone, secondo le leggi universali e le prescrizioni della Conferenza episcopale.

XIV. Circa le cause giudiziali dei fedeli dell'Ordinariato militare, competente in prima istanza è il Tribunale della diocesi nella quale ha sede la curia dell'Ordinariato militare; negli statuti si designerà in modo permanente il tribunale di appello. Se poi l'Ordinariato ha il suo tribunale, gli appelli vanno fatti al tribunale che, con l'approvazione della Sede apostolica, lo stesso Ordinario Castrense avrà designato stabilmente.

Quanto è prescritto in questa nostra costituzione entrerà in vigore in data 21 luglio del corrente anno. Le norme di diritto particolare, invero, rimarranno in vigore nella misura in cui concordano con questa costituzione apostolica. Gli statuti di ciascun Ordinariato castrense, redatti a norma dell'art. I, dovranno essere sottoposti alla revisione della Santa Sede entro un anno, da computarsi a partire dalla stessa data.

Vogliamo poi che queste nostre disposizioni e norme siano valide ed efficaci ora e in futuro, nonostante, se fosse necessario, le Costituzioni e le Ordinanze apostoliche emanate dai nostri predecessori, e ogni altra prescrizione anche degna di particolare menzione o deroga.

Data: 1986-04-21 Lunedi 21 Aprile 1986









Ai vescovi dell'Abruzzo e del Molise in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Educare la pietà a una più cosciente partecipazione liturgica


Amatissimi fratelli nell'episcopato.


GPII 1986 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)