GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla parrocchia di San Gregorio VII - Roma

Omelia alla parrocchia di San Gregorio VII - Roma

Accogliere il comando dell'amore e rinnovarne in noi la potenza



1. "Ecco, io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).

Ci sono alcuni luoghi particolari ai quali ci guida la liturgia del tempo pasquale. Il primo di questi luoghi è il cenacolo di Gerusalemme. Non c'è da meravigliarsi se proprio in questo cenacolo ritorniamo continuamente in questo periodo perché con esso sono collegati i principali avvenimenti pasquali: l'ultima cena e l'istituzione dell'Eucaristia; il primo rivelarsi di Cristo agli apostoli dopo la risurrezione, la sera del primo giorno "dopo il sabato" della Pasqua; la seconda venuta del Risorto per convincere Tommaso; e poi, dopo l'Ascensione del Signore, la presenza della comunità apostolica nella preghiera insieme con Maria, Madre del Signore, in attesa del Consolatore; infine la Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo. Il cenacolo è diventato luogo di nascondimento, in cui sono maturati gli inizi pasquali della Chiesa. In seguito è diventato il luogo di un nuovo esodo: quello del popolo di Dio della nuova alleanza nel mondo. Giustamente su questo luogo possono essere iscritte le parole dell'Apocalisse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose".


2. Col cenacolo è collegato pure il discorso d'addio di Cristo, brano che abbiamo letto nella liturgia dell'odierna domenica. E' un fatto significativo che proprio dopo l'uscita di Giuda dal cenacolo, Cristo parli della glorificazione di Dio nella sua umanità. Egli parla anche della glorificazione del Figlio dal Padre.

Pronunzia queste parole proprio quando l'apostolo traditore intraprende le azioni che portano all'imprigionamento di Gesù. Proprio nel momento in cui la sua passione e la sua morte sono già decise. Umanamente non ci si potrebbero attendere simili parole, poiché tutto ciò che sta per succedere umanamente sarà una negazione della glorificazione di Cristo; sarà un suo radicale abbassamento e spogliamento. Tuttavia le parole di Gesù non si prestano alle misure umane.

Portano in sé la misura del mistero divino. Nella croce di Cristo sarà glorificato Dio quale Amore e Verità, quale Giustizia e Misericordia. Anche Dio glorificherà Cristo, e il segno di questa glorificazione diventerà la sua risurrezione "il terzo giorno". Quindi Cristo pronunzia proprio in tali circostanze queste parole, così insolite, e contemporaneamente così piene di un'altra verità: la verità divina e salvifica. In queste parole egli "fa nuove tutte le cose".


3. La liturgia del tempo di Pasqua attinge inoltre in modo particolarmente abbondante agli Atti degli apostoli. Oggi seguiamo il cammino apostolico di Paolo e di Barnaba nelle diverse città del Medio Oriente, dove si comincia ad annunziare il Vangelo e nasce la Chiesa. Questo sviluppo graduale del Vangelo e della Chiesa è frutto del mistero pasquale avveratosi in Gerusalemme. Gli avvenimenti, collegati all'inizio con il cenacolo, hanno la loro organica continuazione proprio su queste rotte della prima evangelizzazione testimoniata dagli Atti degli apostoli. Soltanto nella potenza di Cristo crocifisso e risorto, nella potenza dello Spirito consolatore, gli apostoli e i discepoli apostolici hanno potuto annunziare che "è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio" (Ac 14,22). Infatti una tale via è stata mostrata a tutti da Cristo. La Chiesa nasceva nei cuori, nasceva nelle nuove comunità, nasceva in ogni luogo dal suo mistero pasquale, dalla croce e dalla risurrezione.


4. così è stato attraverso le generazioni. Noi, dopo quasi duemila anni, viviamo dell'eredità di questa nascita salvifica della Chiesa. Particolarmente qui a Roma, dove la Chiesa è stata costruita in modo singolare sul "fondamento degli apostoli". L'intera Chiesa romana, come ogni parte di questa Chiesa, è una viva eredità del mistero pasquale attestato nel martirio dei santi Pietro e Paolo.

Lo dovete avere costantemente davanti agli occhi anche voi, cari fratelli e sorelle della parrocchia di San Gregorio VII.


5. Il mio primo saluto va al cardinale vicario, qui presente con il vescovo ausiliare preposto a questa zona pastorale, mons. Remigio Ragonesi. Desidero altresi salutare il ministro generale dei Frati Minori, padre John Vaughn. La curia generalizia dei padri francescani è situata nel territorio della vostra parrocchia. Il mio pensiero si rivolge in particolare alla comunità religiosa dei padri francescani che servono questa comunità, sotto la guida del parroco padre Giovanni Lucci. Saluto cordialmente le numerose comunità maschili e femminili che hanno la loro sede in questa zona e che si dedicano a molteplici opere di carità e di apostolato: dalla pastorale caritativa, come il Piccolo Cottolengo e l'Istituto Sant'Antonio per bambini in difficoltà, a quella sociale e giovanile, come l'Oratorio di San Pietro; dall'accoglienza a pellegrini e turisti romei, all'attività educativa e all'assistenza sanitaria. Una esplicita menzione mi pare doverosa per la comunità delle Suore della Chiesa dell'Immacolata che da tanti anni generosamente si prodigano per la vita spirituale della zona di Monte del Gallo.

Un augurio affettuoso ai gruppi dei laici che operano in seno alla parrocchia: l'Azione cattolica, l'Apostolato della preghiera, la Conferenza di san Vincenzo, la Legione di Maria, gli Scouts, il Consiglio pastorale.


6. Oggi deve rivivere in noi in modo particolare il ricordo del cenacolo e delle parole che il Signore Gesù vi ha pronunziato. Leggiamo nell'odierno vangelo: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,34-35).

E' questo precetto della carità che occorre sempre ricordare e vivere anche in questa vostra parrocchia, nella quale tante iniziative, sorte per il carisma di diverse istituzioni approvate dalla Chiesa, operano per il bene di un così grande numero di fedeli. "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli", dalla reciproca fraternità, conoscenza, stima, collaborazione, intesa; se ci sarà, cioè, in tutti i vostri sforzi un'unità insieme con una serena armonia, e zelo nell'intento di servire il Signore ricercando il bene delle anime: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi".


7. Mi compiaccio con voi per le iniziative promosse per le singolari celebrazioni che accompagnano questa mia visita. Si tratta del centenario della morte di san Gregorio VII, titolare di questa parrocchia e del XXV anniversario della dedicazione di questa chiesa. Desidero esprimere il mio apprezzamento soprattutto per la interessante missione popolare parrocchiale. Se la chiesa, in quanto edificio sacro è immagine della comunità di "pietre vive" edificata attorno a Cristo, e vuol essere un segno della sua presenza perenne in mezzo alla comunità sostenuta e nutrita dall'Eucaristia e dai sacramenti, la missione ha come suo fine precipuo quello di esprimere l'ansia della Chiesa nella ricerca delle anime e nel desiderio di far conoscere Cristo, ampliando le occasioni dell'annuncio. Nelle missioni parrocchiali, infatti, con ardimentosa fiducia nella grazia di Dio, voi ricercate anche i più lontani, gli abitanti nuovi del quartiere, le persone che ancora non entrano nella partecipazione della vita della Chiesa.

Con le missioni voi vi proponete una rinnovata evangelizzazione e una ripresa dell'intensa vita parrocchiale. Mediante gli incontri, il dialogo, la peculiare catechesi, la missione apre le persone alla reciproca conoscenza, donando alla parrocchia una valida speranza per una nuova vitalità comunitaria.

Un'attenzione speciale sia riservata ai giovani, non solo perché essi costituiscono tuttora una porzione cospicua della vostra popolazione, ma perché su di loro occorre fondare il futuro. E' chiaro poi che l'apostolato per i giovani trova la sua fondamentale finalità e il suo principale momento nella catechesi.

Essa deve essere organica e solida; ma anche aperta oltre le tappe dell'età infantile, intesa ad accompagnare tutta la crescita e lo sviluppo dei giovani.


8. C'è ancora un altro libro al quale si rivolge la liturgia del periodo pasquale, è il Libro dell'Apocalisse di san Giovanni. Il libro degli "ultimi tempi". La risurrezione di Cristo ha dato, storicamente, inizio all'evangelizzazione apostolica e alla Chiesa e contemporaneamente è diventata inizio dell'"ultimo compimento" di ogni cosa in Cristo. così dunque particolarmente nel tempo pasquale, la Chiesa rinnova la sua coscienza di esistere nella "dimensione" escatologica, nella dimensione del definitivo compimento.

Nella seconda lettura della Messa odierna l'ultimo compimento delle cose ci è presentato come il momento della suprema e definitiva gioia della città santa, la Chiesa, la Gerusalemme nuova. Per questo momento ultimo ed eterno essa è stata creata e voluta dal cuore di Dio. Essa allora "scende dal cielo", da Dio, perché è frutto dell'amore e dell'iniziativa divina, frutto della grazia che coronerà tutta la storia umana. "Come una sposa adorna per il suo sposo", perché nella Chiesa si compirà il momento definitivo dell'alleanza e in essa l'amore sarà portato a perfezione, alla sua pienezza.

Tutte le lacrime versate lungo la sua storia, come tutte le lacrime degli uomini, motivate dal male, dalla colpa e dalla cattiveria, spariranno, perché Dio stesso, "Dio-con-loro", asciugherà il pianto, essendo egli stesso la piena gioia di ogni uomo. La meravigliosa pagina dell'Apocalisse ci dice che nel pensiero di Dio l'uomo è destinato a questo gaudio pieno e senza tramonto, quando egli sarà definitivamente liberato come per una creazione nuova: "Faccio nuove tutte le cose".


9. Sono queste le parole che pronunzia, nell'odierna liturgia, "Colui che sedeva sul trono" nella visione di Giovanni nell'Apocalisse.

Siamo la Chiesa pellegrina. Ci troviamo sulla via della Gerusalemme celeste, verso questa definitiva "novità del cielo e della terra" che viene da Dio insieme con Cristo crocifisso e risorto. La via verso ciò che "è nuovo" in Cristo ci invita a passare attraverso il comandamento dell'amore. Infatti anch'esso è un comandamento "nuovo": "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato".

Accogliamo questo comandamento. Rinnoviamo in noi la sua potenza.

Rispondiamo alle molteplici esigenze che esso ci pone. Facciamo tutto il possibile per adempierlo nella nostra vita. In questo modo il mistero pasquale di Gesù Cristo rivestirà costantemente la realtà, tutta la realtà, anche quella normale, quotidiana, eppur sempre "nuova". Nuova nella potenza della croce e della risurrezione di Cristo. E così: saremo "suo popolo", ed egli sarà "il Dio-con-noi" (cfr Ap 21,3). [Ai rappresentanti delle organizzazioni parrocchiali:] Vi auguro di aver il più possibile quello spirito stupendo che aveva san Francesco. Certamente questo spirito lo ha ricevuto da Gesù tramite l'effusione dei doni dello Spirito Santo, ma lo ha saputo modellare nella sua vita in un modo straordinario che è rimasto per tutti i tempi, per tutte le religioni e non solamente cristiane.

Quest'anno quando ho invitato i rappresentanti delle diverse Chiese e comunità, e anche di altre religioni, per pregare insieme per la pace, ho pensato che c'era un posto nel mondo dove tutti potevano venire: Assisi. La figura di san Francesco è una figura trascendente, verso la divina trascendenza, ma anche trascendente, possiamo dire, in senso orizzontale, che parla a diverse culture, religioni e popoli, perché non solo cristiani, ma anche musulmani, ebrei, buddisti, scintoisti e altri conoscono san Francesco. Voi siete molto vicini a san Francesco, nella vostra fraternità vi auguro di possedere sempre di più il suo spirito.

[Ai rappresentanti delle associazioni, movimenti e gruppi:] Io saluto cordialmente tutti e attraverso voi saluto cordialmente tutti i membri dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti che voi rappresentate qui. Tutti sono in questa parrocchia un lievito evangelico che deve far crescere la massa, così come diceva Cristo. Naturalmente lui intendeva in parabola, facendo un'analogia dalla realtà materiale alla realtà spirituale, dalla realtà delle cose, la farina, il pane, alla realtà umana, delle persone. La Chiesa cresce con le persone, tramite le persone: sono quelli che devono crescere tramite voi, le persone che compongono la comunità di questa parrocchia. Avete una bella Chiesa: questa costruzione architettonica si deve riempire sempre, anche quella chiesa nel senso spirituale che è come sappiamo da san Paolo "un corpo di Cristo", questo corpo di Cristo deve sempre essere completato, riempito dalle anime, dalle persone umane, persone viventi nella grazia di Dio, persone aventi nel loro cuore lo spirito del Signore, lo Spirito Santo. E per questo voi siete gli apostoli: lo siamo tutti, tutti serviamo la stessa finalità e opera, un'opera del corpo di Cristo che deve crescere in questa terra, perché tutto quello che è nella terra passa, passa e deve scomparire, non c'è sulla terra una vita eterna. Invece Cristo con la testimonianza della sua croce e risurrezione ci ha portato la vita eterna, di cui è segno. Allora se vogliamo non condividere solamente quello che è di questa terra per passare, per scomparire, per morire, se vogliamo avere la vita in Dio dobbiamo cercarla in Cristo per noi e per gli altri.

[Alla comunità albanese:] Questo nostro incontro, il primo che si verifica qui a Roma con una comunità di albanesi, mi commuove profondamente. Non si tratta di una commozione di circostanza; si tratta di una commozione direi continua. Ogni giorno, soprattutto durante il sacrificio eucaristico, cerco di vivere il martirio del vostro popolo, dei vostri credenti, dei nostri fratelli e sorelle albanesi e prego ogni giorno per la vostra patria, per tutti i credenti delle diverse religioni e per la Chiesa in Albania che è scomparsa esternamente.

Ma sappiamo bene che la Chiesa non può scomparire dai cuori perché è costruita dallo Spirito Santo, dalla parola di Cristo, dalla stessa persona di Cristo che vive nei suoi fedeli. Io credo profondamente, insieme con voi, che Cristo vive, come vive in noi qui a Roma, nella vostra comunità albanese romana, vive anche nei nostri martoriati fratelli della vostra patria. Vive lui, vive la Chiesa. Non si può uccidere Cristo! Si, lo hanno ucciso; lo hanno crocifisso; è morto sulla croce. Ma è risorto. Non si può uccidere Cristo! E così non si può uccidere la Chiesa. Non si può uccidere l'uomo nella forza della fede viva, della fede in Cristo. Questa è la nostra speranza. Ci incontriamo in questa fede e in questa speranza. Il vostro conterraneo, il padre Daniele Gjecaj, si è riferito al brano del vangelo che narra l'episodio quando Cristo, che si trovava nella barca di Pietro, mentre questa era nel mare in tempesta, sembrava dormire. Ma sappiamo bene che nel momento decisivo si è alzato e ha fatto tacere la tormenta, ha fatto tacere le onde e tutto è tornato calmo, è tornata la pace nell'ambiente che prima si mostrava così pericoloso. Dobbiamo gridare a Cristo, così come gridavano gli apostoli. Dobbiamo gridare insieme. Io lo faccio davanti al mondo perché il mondo deve capire questa sofferenza, deve capire questa ingiustizia. Non può esserci ingiustizia maggiore di quella che uccide l'uomo per la sua fede in Cristo! L'uomo ha dei diritti, dei diritti fondamentali, inviolabili. Questi diritti sono rispettati nel mondo. Se non sono rispettati allora vuol dire che il mondo non è più umano. E' un mondo anti-umano. Se si distrugge Dio, nella vita dell'uomo, si distrugge l'uomo. Non si può parlare di un mondo umano.

Le mie sono parole improvvisate, ma la mia emozione è molto più profonda perché sento e condivido profondamente questa grandissima sofferenza dei nostri fratelli e sorelle albanesi, che non possono godere neanche di un minimo di libertà religiosa che, al contrario, tutti i documenti internazionali attestano come principio fondamentale. Uniamoci nella preghiera per i fedeli della vostra patria, per i credenti di tutte le diverse religioni, per i credenti cristiani e cattolici. Vogliamo portare a loro, con questa nostra preghiera, un sollievo, un conforto nello spirito. Questo conforto nello spirito può penetrare dovunque e nessuna forza umana lo potrà mai distruggere! [Alle religiose:] Quando vi incontro debbo pensare all'opera dello Spirito Santo che sa arricchire la Chiesa con i suoi carismi e questi carismi che si esprimono con tante istituzioni della vita consacrata. Carismi molto specifici ed evangelici che nascono dal Vangelo e dal suo contenuto più fondamentale e sono, nella vita della Chiesa, come nella primavera i fiori, sorti per arricchire il volto di questa nostra terra. Ma voi non siete solo una decorazione, un ornamento: di quello che la Chiesa possiede siete il più essenziale e sostanzioso perché la vostra consacrazione religiosa vuol dire un battesimo ricevuto fino alla fine, fino alle sue ultime conseguenze. Battesimo che come sappiamo ci fa morire con la morte di Cristo per risorgere con Cristo, per avere la sua vita. Questo è il mistero della vostra ricchezza, che ciascuna di voi porta nella sua vocazione, professione, nella propria comunità, nel suo insieme, così da vivere più intimamente lo Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, il suo mistero pasquale, la sua morte, la sua risurrezione. Vi auguro di trovare nella vostra vocazione una gioia pasquale, profonda, più grande dei nostri sentimenti e soprattutto di vivere la fede. Vi auguro di portare la vostra ricchezza in questa parrocchia dedicata a san Gregorio VII, grande Papa, testimone di Cristo nella sua Chiesa in tempi difficili.

[Ai giovani:] Avete preparato un programma molto ricco per questo incontro. Ringrazio tutti coloro che hanno contribuito a preparare questo programma tematico, religioso e artistico. Vorrei dirvi una cosa. Voi conoscete certamente quella parabola evangelica che parla dei talenti: essa dice a noi tutti, e specialmente lo dice ai giovani, che la vita umana deve essere creativa.

Così ci ha creato il Creatore a sua immagine e somiglianza che si esprime con la nostra creatività umana e sotto diversi indirizzi e orientamenti, diverse espressioni. Seguendo la nostra rappresentazione e anche gli altri momenti del programma offerto, ho pensato a questi talenti e a questa ricca e differenziata creatività dei giovani che si esprime nei canti, in danze, in gesti e in modi di parlare e di rappresentare le situazioni, le persone e tutto ciò che costituisce le diverse opere d'arte o musica o scenica o anche letteraria. Allora io auguro ai giovani di saper scoprire questi vostri talenti, di identificare e poi sviluppare questa creatività che è propria a ciascuno di voi. Ma, vorrei dirvi ancora che tra i talenti che noi possediamo come doni del Creatore, ve ne sono alcuni specialmente preziosi, anche se più nascosti e meno visibili. Sono come i tesori nascosti nel cuore dell'uomo, nella nostra anima, e qualche volta non si sa che uno possiede tale dono e talento. Un tale dono, per esempio è la preghiera che è l'espressione della fede; perché, che cosa è la fede? E' incontro con una persona divina, un incontro personale che si fa preghiera, si fa conversazione. Questo è un dono, un tesoro nascosto nelle nostre disponibilità e possibilità umane che si deve sviluppare e deve divenire creativo. Non solamente nella preghiera, ma anche nelle altre opere proprie della vita cristiana: il cristiano deve essere creativo in un modo stupendo, deve saper creare molto da questo tesoro interno che porta in sé, nella sua anima, che viene dal suo battesimo, dal suo essere cristiano. Io vi auguro di poter identificare questi tesori, questi talenti e di poter essere creativi, come uomini giovani e poi come cristiani. Voglio ringraziare i giovani GAM per quello che sempre mi dicono: "Noi giovani GAM ti amiamo! Tu sei Pietro e noi ti amiamo". Allora voglio assicurarvi che vi amo. Ma non solamente voi, anche gli altri, anche quelli che hanno danzato, e anche gli scouts. Ho ammirato anche i vostri giovani amici artisti che brevemente hanno potuto dire molte cose, riassumere tutto un grande libro di un grande scrittore, naturalmente in un adattamento. Grazie ancora una volta! Che il Signore vi conceda di sviluppare la vostra creatività giovanile per il bene delle vostre persone, di questa comunità dedicata a san Gregorio VII Papa e per la vostra patria carissima, per l'Italia.

[Ai ragazzi:] Io mi rallegro molto di essere oggi tra voi per visitare la vostra parrocchia dedicata a san Gregorio VII Papa, grande Papa, grande eroe della fede, dell'unità e dell'autenticità e identità della Chiesa di nove secoli fa. A questo grande Papa, san Gregorio VII è dedicata la vostra Chiesa, la vostra parrocchia. E' una grande gioia per me visitare questa comunità religiosa di Roma, tanto vicina al Vaticano! Sono contento soprattutto perché voi vi preparate alla prima Comunione e alcuni tra voi, i più cresciuti, già alla Cresima. Mi rallegro molto per questa preparazione che è importante. Voi sapete bene che dovete ricevere nella vostra casa, nel vostro cuore, Gesù. Allora voi vi preparate, ma anche Gesù si prepara per venire da voi: lui si prepara con il suo amore perché vuole donarvi il grande amore del Padre. Si, vuole portare a ciascuno di voi un grande amore, maggiore di tutto quello che possiamo immaginare. Allora voi dovete prepararvi per incontrare quell'amore, per ricevere Gesù e ricevere il suo amore, ricevere il suo Spirito Santo perché questo amore è personificato nello Spirito Santo, così dopo la prima Comunione viene anche la Cresima che è un sacramento specifico dello Spirito Santo.

Io vi auguro di prepararvi bene! Gli apostoli per primi hanno ricevuto la Comunione, il Giovedi santo prima della Pasqua, prima della crocifissione di Gesù, nell'ultima cena. Questo vuol dire che voi che ricevete la Comunione, specialmente la prima, anche voi dovete diventare apostoli: la prima Comunione, ogni anno nella parrocchia, è un grande momento nell'apostolato della Chiesa e voi divenite anche apostoli ricevendo la prima Comunione. Dovete non solamente ricevere Gesù per ciascuno di voi, ma anche ricevere Gesù per aprire delle strade sue verso gli altri, verso i vostri coetanei, verso i vostri genitori, fratelli e sorelle e altre persone che vivono in questo ambiente, in questa parrocchia.

Questo è il mio augurio cordiale per la vostra prima Comunione.

Quando sono entrato qui, alcuni ragazzi e ragazze mi hanno detto così: Tu sei Pietro, e noi giovani ti amiamo. Conosco queste parole molto bene e so che quelli che le hanno pronunziate appartengono alla Ardente gioventù mariana. Allora io vorrei dare una risposta a quelli che mi hanno salutato così e a tutti. Non solamente voi giovani, ragazzi e ragazze, amate il Papa: il Papa vi ama, vi ama molto! Vi ama perché è apostolo di Gesù: vi ama Gesù, non può non amarvi il suo apostolo. Il successore di Pietro non può non amarvi, vi ama molto e si trattiene con voi con grande gioia e vi guarda negli occhi, è contento di incontrarvi, di vedervi qui nella parrocchia, di vedervi dopo la catechesi preparatoria alla prima Comunione e alla Cresima, di ascoltare i vostri canti, le vostre parole e i vostri discorsi. Vorrei dire una parolina specifica a questi ragazzi che si chiamano "lupetti" e "coccinelle". Sono molto bravi loro e sono lupetti buoni, non mangiano nessuno, anzi cercano di offrire le proprie anime per gli altri!

Data: 1986-04-27 Domenica 27 Aprile 1986





Al Consiglio del Centro Anglicano - Città del Vaticano (Roma)


Sono molto felice di dare il benvenuto ai membri del Consiglio del Centro Anglicano che sono venuti a Roma per il 20° anniversario della fondazione del Centro. La vostra presenza qui richiama quello storico incontro che ebbe luogo nel marzo 1966 tra il mio predecessore Papa Paolo VI e l'allora Arcivescovo di Canterbury, il dottor Michael Ramsey, fu poco dopo quell'incontro che i metropoliti della Comunione Anglicana, incontratisi a Gerusalemme, firmarono per la creazione del Centro Anglicano a Roma. Costruito sull'amicizia nata tra il Papa Paolo VI e l'Arcivescovo Ramsey, il Centro Anglicano ha continuato a lavorare per l'adempimento delle speranze e delle aspirazioni di coloro che lo fondarono. E' stato un luogo di studi ecumenici, un centro d'incontri tra cristiani di differenti ambienti, e soprattutto un posto che ha incoraggiato quell'amicizia tra cattolici e anglicani che è la base per ulteriori progressi sul cammino dell'unità.

Prego affinché il Signore continui a guidarci avanti, e perché possiamo essere sempre aperti alla guida della luce dello Spirito Santo. Dio onnipotente vi benedica con la sua profonda e costante pace.

Data: 1986-04-30 Mercoledi 30 Aprile 1986




Al convegno su "Evangelizzazione e beni culturali"

La fede illumina e ispira la produzione artistica


Illustri Signori.


1. Sono lieto di porgere a tutti voi il mio saluto più cordiale, con un particolare e deferente pensiero ai signori cardinali Egano Lambertini e Luigi Dadaglio. Desidero poi salutare mons. Pietro Garlato, che ha organizzato il presente Convegno di studi sul tema "Evangelizzazione e beni culturali della Chiesa in Italia", d'intesa col Ministero italiano dei Beni culturali.

Nel manifestare il mio apprezzamento per la qualificata attività che svolgete e confortare i vostri propositi di presenza, cristianamente ispirata, nel mondo culturale e artistico, vi do il benvenuto qui in Vaticano, dove è facile cogliere l'apertura al trascendente che è propria dell'arte, la quale con una molteplicità di stili manifesta la pluriforme intuizione che gli artisti hanno avuto della realtà intera: di quella terrena e di quella celeste.


2. Nell'arte cristiana la freschezza e la novità dell'esperienza religiosa sono state egregiamente espresse mediante opere, che ben a ragione possono essere considerate manifestazioni luminose dello spirito, perché con bella varietà rivelano la percezione e la consapevolezza che i credenti - lungo i secoli e fino ai giorni nostri - hanno avuto dell'avvenimento salvifico. A riunire tali diverse forme d'arte è la tradizione, la quale offre così a tutte le generazioni ciò che la Chiesa crede e spera, perché sia accolto, compreso e quotidianamente vissuto.

Le ricchezze custodite nella pratica e nella vita del popolo di Dio sono rivelate dall'arte in modo così degno, che fanno avvertire nella loro chiara armonia il valore dello spirito, l'appassionata domanda dell'uomo al Signore, l'incontro col Mistero fatto carne. E' una domanda amorosa, non priva di sofferenze, che imprime alla materia il volto dell'uomo pellegrino e il riverbero dell'infinita maestà del Creatore, origine prima e scopo ultimo di ogni vita.

L'Incarnazione ha reso possibile l'interpretazione del Mistero mediante segni sensibili, rivelando agli uomini la luce profonda di Dio. Con questo evento il Verbo è entrato a far parte della storia: l'Uomo-Dio è stato veduto, conosciuto, amato. L'arte cristiana registra l'umanità visibile e le azioni divine del Cristo, mentre con la trasparenza del suo linguaggio apre un varco all'intuizione di qualche aspetto dell'Ineffabile.


3. La bellezza, unita alla verità, brilla in ogni essere, svelandone l'intimo segreto. Di conseguenza l'arte è autentica quando riveste il connotato della bellezza e diventa allora universale, leggibile, di immediata penetrazione, con gaudio per lo spirito che ne trae incitamento a cose nobili e grandi.

La Chiesa tiene in gran conto l'arte vera, perché vi vede un elemento fondamentale di cultura e di umanità, ed è pure convinta che la fede può esercitare e, di fatto, ha frequentemente esercitato sulla produzione artistica una funzione illuminante e ispiratrice. "Fra le più nobili attività dell'ingegno umano - insegna il Concilio Vaticano II - sono, a pieno diritto, annoverate le arti liberali, soprattutto l'arte religiosa e il suo vertice, l'arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l'infinita bellezza divina, che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell'uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all'incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, e indirizzare le menti degli uomini a Dio" (SC 122).

Per questo la Chiesa ha chiamato le arti al servizio della liturgia, affidando ad esse il compito di un aiuto al dialogo degli uomini con Dio e ammettendo negli edifici sacri quelle forme artistiche che, "con linguaggio adeguato e conforme alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio" (GS 62), in un culto che dispone le persone al reciproco amore e a un unico servizio all'Onnipotente.


4. La storia delle arti in Italia, fin dai primi tempi del cristianesimo, registra una coincidenza di luce e di splendore, che ha le sue testimonianze suggestive in ogni secolo. L'impegno artistico ha così prodotto un patrimonio culturale immenso e di alta qualità, che oggi è legittimamente considerato patrimonio di tutti i popoli.

So che in questi giorni avete preso in considerazione i modi concreti di una possibile collaborazione con lo Stato italiano, perché questa eredità artistica sia fruibile da tutti, senza tuttavia perdere la natura della sua matrice originaria. Sia la vostra collaborazione ampia, sincera, aperta e intelligente, come si conviene a chi vuol contribuire all'affermarsi della civiltà dell'amore.

L'amore, in definitiva, ha permesso la creazione dell'opera d'arte ed è ancora l'amore che deve ora ispirare una conservazione, la quale giovi non solo alla memoria storica ma anche alla crescita dell'uomo contemporaneo in riferimento ai valori trascendenti. Il visibile linguaggio dell'arte, come dissero con felice intuito i Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente, trova ancor oggi una palpitante espressione nei templi, dove gli artisti hanno lasciato non tanto un'immagine di se stessi e della loro visione della vita, quanto piuttosto la rappresentazione della fede della comunità cristiana.


5. perciò, da parte dei sacerdoti e degli operatori pastorali, l'arte sacra va seguita e aiutata a ricuperare le sue leggi. Al riguardo, una scuola di formazione potrà essere il Museo diocesano, che raccogliendo alcune voci significative del passato artistico, promuoverà una genuina sensibilità al linguaggio dell'arte, diventando privilegiato luogo di incontro del passato con l'oggi e insostituibile palestra di maturazione per gli artisti di domani.

Mentre formulo gli auspici più fervidi per i programmi futuri, che mirano a fare in modo che i fedeli abbiano sempre decorosi edifici sacri, dove essere guidati all'approfondimento della fede, nella saldezza della speranza e nella comunione dell'amore, prego il Signore affinché vi assista con la sua luce e la sua grazia. Con questi sentimenti vi imparto di cuore l'apostolica benedizione, che estendo volentieri ai vostri cari.

Data: 1986-05-02 Venerdi 2 Maggio 1986




Ai vescovi dell'Emilia-Romagna in visita ad "limina" - Città del Vaticano (Roma)

I cristiani artefici di un autentico umanesimo familiare


Signor cardinale, venerati arcivescovi e vescovi dell'Emilia-Romagna!


1. "Pace a voi tutti che siete in Cristo" (1P 5,14). Con questo augurio, tratto dalla prima Lettera dell'apostolo Pietro, desidero esprimervi il mio cordiale saluto e la mia profonda gioia di trovarmi ancora con voi, in occasione della vostra seconda visita collegiale "ad limina Apostolorum", dopo quella del 4 gennaio 1982. Profonda gioia perché questo incontro permette a me e a voi di esperimentare la misteriosa realtà della Chiesa, che si esprime anche negli stretti vincoli di comunione nella fede e nella fraternità apostolica che ci legano nel servizio pastorale. Gioia perché questa visita ci consente di ribadire e rivivere quei legami spirituali che da sempre hanno caratterizzato i vicendevoli rapporti tra la Sede di Pietro e le vostre rispettive comunità diocesane, le quali hanno saputo dare, attraverso i secoli, chiara testimonianza di quell'unità, su cui è fondata la Chiesa e per la quale prego insistentemente il Cristo il giorno prima di morire sulla croce: "Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi" (Jn 17,11).

La vostra presenza evoca alla mia mente anche le visite pastorali, che ho avuto l'opportunità di compiere nel 1982 a Bologna, e poi alla piccola, ma fervida comunità cristiana dell'antica Repubblica di San Marino, e alla diocesi di Rimini, in occasione dell'annuale "Meeting dell'amicizia dei popoli".

Questo incontro, infine, assume un significato peculiare per il fatto che esso avviene quasi alla vigilia e in preparazione del mio terzo pellegrinaggio alla vostra operosa regione di Emilia-Romagna, il quale mi porterà tra le care popolazioni di Forli, Cesena, Imola, Faenza e Ravenna. Nel pregustare la letizia di incontrarmi personalmente con esse, esprimo loro fin d'ora il mio affettuoso saluto e l'augurio di pace e di bene nel nome del Signore.


2. Nel prendere visione delle vostre relazioni per questa visita "ad limina", ho potuto rilevare, da una parte, motivi di speranza e di fiducia per il bisogno di fede e di verità evangelica che si percepisce in ogni strato della popolazione, e per lo zelo apostolico del clero, dei religiosi, delle religiose e dei movimenti ecclesiali impegnati nella testimonianza cristiana, nel ministero della parola e nella carità fattiva; dall'altra, motivi di preoccupazione per la crescente diffusione, come del resto in altre regioni industrializzate d'Italia, di una mentalità secolarizzata e materialistica.

Di qui l'urgenza di un'azione pastorale intesa a risvegliare nelle coscienze una più forte sensibilità per le realtà spirituali e una chiara consapevolezza della priorità che, nella scala dei valori, ha la persona umana, fatta "a immagine e somiglianza" di Dio. Contro di essa oggi congiura una certa tendenza alla disgregazione della famiglia, che rimane sempre l'alveo naturale, in cui la persona nasce, cresce, si nutre materialmente e spiritualmente, e afferma la sua personalità. Non si può perciò difendere la persona, senza salvaguardare l'istituto familiare. So che voi siete partecipi di questo convincimento e lo avete manifestato sia negli incontri privati che ho avuto con voi, sia anche nella recente nota pastorale, in cui avete giustamente avvertito che: "massima attenzione va data alla pastorale della famiglia, sia nei suoi traguardi sacramentali (dal matrimonio al battesimo e alla cresima dei figli), sia nelle circostanze ordinarie e quotidiane. Nella famiglia infatti le persone vengono raggiunte nella loro più intima e coinvolgente esperienza di vita". Questo impegno si rivela tanto più urgente in quanto la vostra azione pastorale si svolge in un contesto nel quale "la pratica religiosa risulta complessivamente molto bassa, per motivazioni che vanno dall'indifferenza e dal materialismo pratico ai residui dell'anticlericalismo e anche a fasce di ateismo esplicito, ideologicamente e politicamente motivato". Ma fortunatamente (e lo dico con profonda soddisfazione) non mancano tra le dinamiche popolazioni dell'Emilia-Romagna "importanti fattori di coesione, come la generosità e l'impegno di solidarietà, la lealtà e la proverbiale schiettezza, la passione per la giustizia, il senso e il gusto della famiglia che, pur nella grave crisi attuale, rimane profondamente radicato" ("L'Osservatore Romano", 20 febbraio 1986, nn. 5.4). Occorre far leva su queste preziose doti per riprendere un discorso nuovo ed intraprendere iniziative adeguate "affinché la fede cristiana abbia, o ricuperi, un ruolo-guida e un'efficacia trainante, nel cammino verso il futuro", come ebbi a dire nel Convegno della Chiesa Italiana a Loreto. Ora "l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia": questa constatazione, che riassume, per così dire, tutto il messaggio della esortazione apostolica "Familiaris Consortio" (FC 86), richiama l'impegno primario per ogni pastore, quello cioè di promuovere i valori e le esigenze della famiglia.


3. La catechesi sul matrimonio e sulla famiglia non può prescindere anzitutto dal mettere in giusta luce la spiritualità della coppia. Gli sposi devono essere illuminati sul fatto che il matrimonio e la famiglia non sono opera dell'uomo soltanto, ma rispondono ad un progetto eterno di Dio, che oltrepassa le mutevoli condizioni dei tempi e perdura immutato attraverso le vicende della storia. Con l'istituzione del matrimonio uno e indissolubile, Dio ha voluto rendere l'uomo partecipe delle sue prerogative più alte, che sono il suo amore per gli uomini e la sua facoltà creatrice. Per questo esso ha una trascendente relazione con Dio, in quanto da lui viene e a lui è ordinato. La famiglia, è vero, si fonda e vive nella sua fase iniziale sulla terra, ma è destinata a ricomporsi in cielo.

Qualunque dottrina che non tiene conto di questa relazione essenziale e trascendente con Dio, rischia di non comprendere la profonda realtà dell'amore sponsale e di non risolverne problemi.

Nato dall'amore creatore di Dio, il matrimonio trova la sua legge fondamentale e il suo valore morale nell'autentico amore reciproco, per cui ciascuno dei coniugi si impegna con tutto s stesso ad aiutare l'altro; e nel desiderio comune di interpretare fedelmente l'amore di Dio, creatore e padre, generando nuove vite. Questa missione ricevuta da Dio richiede oggi agli sposi un impegno maggiore e un'accresciuta coscienza delle loro responsabilità umane e cristiane; e devono essere certi che Dio non mancherà di elargire loro quelle grazie che sono proprie del sacramento del matrimonio, e tanto più necessarie nelle odierne difficoltà. In esse gli sposi troveranno la luce e la forza per risolvere i loro problemi personali; con esse sapranno vivere una carità veramente piena e universale: la carità verso Dio in primo luogo, di cui devono desiderare la gloria e la dilatazione del Regno; la carità verso i figli in secondo luogo, alla luce del principio paolino che "la carità... non cerca il proprio interesse" (1Co 13,5); la carità vicendevole infine, per cui ciascuno cerca il bene dell'altro e ne previene i buoni desideri, senza imporre arbitrariamente il proprio volere. Questo dice come la spiritualità matrimoniale richiede un coerente impegno morale e un lungo cammino verso la santificazione, che si nutre delle gioie e dei sacrifici di ogni giorno. Nel conseguire questi fini, i coniugi non devono sentirsi soli. Il Concilio infatti ricorda loro che: "lo Sposo della Chiesa per mezzo del sacramento del Matrimonio viene incontro agli sposi cristiani.

Rimane con loro perché, come egli ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa, così anche gli sposi si amino l'un l'altro con fedeltà perpetua. Il legittimo amore coniugale viene assunto nell'amore divino e viene governato e arricchito dalla forza redentrice del Cristo e dall'opera salvifica della Chiesa, perché gli sposi siano condotti efficacemente verso Dio e siano aiutati e confortati nella sublime missione di padre e di madre" (GS 48).


4. Ma una pastorale che miri solo all'interno di una famiglia non basta. Occorre esaminare la situazione familiare in una cornice più larga, nel contesto storico e culturale, in cui essa vive e opera. Come ho detto ancora nell'esortazione "Familiaris Consortio" (FC 3), viviamo in "un momento storico, nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla". Voi sapete bene come la famiglia sia stata investita da una serie di trasformazioni economiche e sociali che ne hanno modificato il volto nei suoi stessi connotati fondamentali; come una nuova mentalità ne abbia sviato i valori.

La Chiesa non può limitarsi a registrare i molteplici mutamenti, ma deve entrare in questo tessuto storico e trasformarlo. I cristiani devono porsi come coscienza critica di questa mentalità ed essere artefici di un autentico umanesimo familiare. Ciò comporta il discernimento evangelico, cioè la lettura e l'interpretazione della realtà familiare alla luce di Cristo "lo Sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità unendola a sé come suo corpo". Solo alla luce del Vangelo di Cristo si potranno correggere criteri di giudizio, linee di pensiero e modelli di vita che sono in contrasto col disegno divino sull'uomo e sulla donna. In fondo, all'origine della crisi familiare c'è la rottura tra Vangelo e cultura, che è il dramma della nostra epoca, come lo è stato di altre.

Il cardinale Biffi, nel suo scritto "Itinerario pastorale", ha dedicato alcune interessanti pagine alle insidie e alle speranze della famiglia. Egli afferma, tra l'altro, che "la famiglia è oggi la grande malata della nostra società", che talvolta è perfino irrisa. Risanare la famiglia significa perciò fare ogni sforzo per evangelizzare la cultura. Se essa viene rigenerata mediante l'incontro con la buona novella, la famiglia risalirà "al principio", si realizzerà pienamente e vivrà la propria identità di comunione e di comunità di persone, nel pieno rispetto di tutti i suoi componenti: della donna, dell'uomo, del bambino, del giovane e dell'anziano.

Così lungi dal chiudersi dentro le pareti domestiche e dal fossilizzarsi in atteggiamenti rinunciatari col rischio di diventare vittima di altre forze operanti nella società, la famiglia si fa protagonista dell'avvenire della società, di cui è prima cellula. La famiglia deve quindi aprirsi alle molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri e degli emarginati, deve sfociare nell'impegno civile per animare cristianamente le realtà temporali.

Anche nella Chiesa la famiglia cristiana ha un suo posto e un suo ministero, essendo chiamata a condividere, proprio come famiglia, la missione di salvezza della Chiesa stessa. Questo la famiglia compie nella misura in cui è fedele alla sua identità e si sviluppa come comunità credente ed evangelizzante, nel dialogo con Dio e nel servizio di ogni uomo secondo il comandamento della carità. In questo modo la famiglia diventa anche sorgente di vocazioni, perché, quale "chiesa domestica", partecipa alla triplice missione della Chiesa di Cristo, alla missione sacerdotale, regale e profetica.

In questo contesto, i Padri sinodali, radunati a Roma nel 1980 per discutere su "I compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo", affermarono nel loro Messaggio finale (n. 20) che la speranza del "rifiorire di vocazioni sacerdotali e religiose" riposa nelle famiglie illuminate evangelicamente.


5. La sollecitudine della Chiesa non può limitarsi solo alle famiglie cristiane più vicine, deve invece allargare i propri orizzonti sull'insieme delle famiglie, e, in particolare, su quelle che si trovano in situazioni difficili. Per queste ultime soprattutto i vostri centri pastorali non dovranno mai cessare di spendere una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza e di partecipazione ai loro problemi e di interessamento per rimuovere le cause dei loro disagi. A voi sono note le gravi situazioni in cui sono costrette a vivere certe famiglie di emigrati, dei militari, dei naviganti e di itineranti di ogni tipo, i quali sono costretti a lunghe assenze; le famiglie dei carcerati, dei profughi e degli apolidi; le famiglie con figli handicappati, drogati o alcolizzati; le famiglie composte da coniugi anziani, i quali vivono nella solitudine e nell'emarginazione umana e civile. Conoscete pure i casi penosi di famiglie segnate da discordie e liti, in cui l'operato dei genitori viene contestato dai figli che si mostrano irrequieti e ingrati; i casi dolorosi della perdita di un coniuge, che apre la dura esperienza della vedovanza; o della morte di un familiare, che mutila il nucleo familiare, gettandolo nel lutto e nel dolore. Ci sono poi le situazioni religiosamente, e talvolta anche civilmente, irregolari. Esse pongono alla Chiesa ardui problemi pastorali per le gravi conseguenze che ne derivano e che non possono lasciare indifferenti quanti hanno a cuore il bene delle anime.

Sarà loro cura approfondire queste situazioni: studiarne le cause remote e prossime; avvicinare i conviventi con discrezione e rispetto e adoperarsi con azione paziente e amorevole a rimuovere gli impedimenti e a spianare la strada verso la regolarizzazione della situazione, con l'aiuto della grazia divina, che non viene mai negata a chi la invoca con cuore sincero. I pastori non si stanchino di esortare i conviventi a non considerarsi separati dalla Chiesa e a perseverare nella preghiera e nelle opere di carità per ottenere prima o poi la grazia di Dio.

Anche se non è possibile ammetterli alla comunione eucaristica, non siano pero esclusi dal loro affetto, dalla benevolenza e dalla preghiera.

La pastorale familiare esige perciò uno speciale impegno e il coinvolgimento di tutte le forze. Gioverà a tal fine uno specifico studio dei vasti e complessi problemi riguardanti la famiglia sia a livello nazionale da parte di persone particolarmente preparate, sia nell'ambito delle singole Chiese particolari, le quali si sforzeranno di applicare alla realtà locale le grandi direttive elaborate al centro. Occorrerà coordinare anche gli sforzi dei consultori e di tutti gli uffici per la famiglia operanti nel territorio, al fine di rendere più incisiva ed efficace la loro azione.


6. Le statistiche e i rilevamenti compiuti nella vostra Regione a proposito della famiglia danno segnali preoccupanti per la percentuale dei matrimoni contratti col solo rito civile, dei divorzi e, ciò che più addolora, degli aborti. Questo significa che i frutti della pastorale familiare non sono immediati. Esigono tempo e pazienza. Ma occorre seminare oggi, se si vuole che il domani del vostro popolo sia cristianamente più fervido e coerente. Ma siate certi che quello che farete nel campo della famiglia e dell'educazione in genere renderà il cento per uno a gloria di Dio e a salvezza delle anime.

Abbiate fiducia! Il futuro è nelle mani di Dio, ciò che oggi è impossibile all'uomo, sarà possibile a Dio. Invocate sulle vostre famiglie la protezione della Santa Famiglia: di san Giuseppe, perché le custodisca, come un giorno protesse la casa di Nazaret; della Vergine Maria, perché conforti e asciughi le lacrime di quelle famiglie in difficoltà; di Gesù, che a Cana benedisse con la sua presenza la gioia di due giovani sposi, perché conceda ad ogni focolare la gioia, la serenità e la fortezza cristiana.

E ora, a conclusione di questo incontro fraterno e nella prospettiva imminente della mia visita a cinque vostre Comunità diocesane, che mi auguro sia ricca di frutti spirituali, imparto di cuore a voi e alle popolazioni che qui rappresentate la mia benedizione, in segno della mia benevolenza.

Data: 1986-05-02 Venerdi 2 Maggio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla parrocchia di San Gregorio VII - Roma