GPII 1986 Insegnamenti - Alle claustrali della Romagna, nella cattedrale - Forli

Alle claustrali della Romagna, nella cattedrale - Forli

Alla vostra santità è affidata questa terra


Carissime sorelle dei monasteri della Romagna,


1. In occasione della mia visita in Romagna, desidero rivolgervi un particolare saluto e una parola di incoraggiamento. Un saluto pieno di gratitudine per ciò che siete e per ciò che fate nella Chiesa di Dio in Romagna; un incoraggiamento, perché la vostra vita nascosta e umile, consacrata all'amore e alla gloria del Padre nella preghiera e nel sacrificio, diventi sempre più conforme a Gesù povero, umile e crocifisso e perché voi, rese a lui conformi, lo testimoniate ai fratelli nel contesto sociale nel quale la misericordia del Padre celeste vi ha posto.

In Romagna sono rappresentati i grandi Istituti di vita contemplativa: benedettine, clarisse, domenicane, agostiniane, carmelitane. Voi, care sorelle, siete l'espressione visibile di una mirabile crescita ecclesiale che, lungo i secoli, ha lasciato in questa terra un'impronta indelebile, dai più antichi monasteri, per esempio quello di S. Umiltà in Faenza, del 1266, fino al più recente: il monastero della Natività di Maria in Rimini, delle monache clarisse, che hanno iniziato a risiedervi nello scorso 1985.


2. Gustare la soavità dell'Eucaristia, innamorate della croce: ecco il ricordo che vorrei lasciarvi a vostro sostegno e incoraggiamento, affinché la vostra presenza sia sempre più feconda di sovrabbondanti opere buone. "Adorazione-Immolazione": è un binomio che riassume la missione ecclesiale che voi, claustrali, siete chiamate ad assolvere.

Che cosa dà la vita contemplativa alla Chiesa e alla società? La domanda si può rivolgere in altro modo: che cosa attendono la Chiesa e la società dalle monache di clausura? Il segreto della vostra vita è nascosto nel segreto di Cristo. Come lui, voi siete consacrate all'amore e alla gloria del Padre. Per rispondere a questo disegno, voi guardate costantemente a Colui che hanno trafitto (Za 12,10), vi circondate di silenzio nella solitudine, vivete di preghiera, vi nutrite di penitenza (PC 7). Radicata in Cristo e conforme a lui, Agnello immolato, la vostra vita è testimonianza della sequela di Gesù, dono di amore e sacrificio di lode.

Ecco, dilette sorelle, che cosa attendono da voi la Chiesa e l'umanità: che voi siate fermento dall'interno, portatrici di valori essenziali, segni visibili della presenza misericordiosa di Dio nel mondo. Per questo il Concilio Vaticano II riconosce una parte determinante alla vita contemplativa nell'edificazione del regno di Dio, come l'elemento che "interessa la presenza della Chiesa nella sua forma più piena" (AGD 18), e le assegna "un posto assai eminente nel Corpo mistico di Cristo" (PC 7).


3. Per corrispondere a questa sublime vocazione che vi pone "nel cuore della Chiesa", vi si chiede una cosa sola: occuparvi unicamente di Dio, testimoniare il primato dell'amore donandovi a Dio sommamente amato. E qui sta l'efficacia della vostra presenza, la forza della vostra attività apostolica: nella radicalità evangelica della vostra stessa vita. Anche quando nei vostri monasteri offrite ai fedeli la possibilità di pregare o di raccogliersi, questi devono trovarvi un segno visibile della presenza di Dio.

Esigente e forte è il precetto di san Benedetto: "non anteporre assolutamente nulla a Cristo", affinché si progredisca col cuore dilatato nella fede e poi si corra spinti dall'indicibile soavità dell'amore ("Regola", 72).

Com'è incisivo e profondo sant'Agostino, quando presenta la carità come forza di assimilazione, per cui siamo ciò che amiamo: "stando in terra sei già in cielo, se ami Dio" ("In Ps 85", 6), e "amando abitiamo col cuore" in ciò che amiamo ("In Ioan." 2,11). E come intenso ed esclusivo è il suggerimento di santa Chiara: "Gioisci nel Signore, sempre. Non permettere che nessuna ombra di mestizia avvolga il tuo cuore. Colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza e trasformati interamente per mezzo della contemplazione" ("Lettere", 8)! San Domenico, come si legge nella storia dell'Ordine dei Predicatori, "chiedeva a Dio una carità ardente... e desiderava essere flagellato, fatto a pezzi e morire per la fede di Cristo". E santa Teresa di Gesù, donna forte e amante, senza tentennamenti né incertezze, dice a se stessa e alle sue figlie: "Camminiamo insieme, Signore: verro dovunque andrete voi, e per qualunque luogo passerete voi, passero anch'io" ("Cammino", 26,6).


4. Sappiate che alle vostre preghiere e alla santità della vostra vita è affidata in modo particolare questa generosa terra di Romagna, verso la quale avete doveri e responsabilità. Con la forza della preghiera contribuite a sostenere la Chiesa locale e rallegratela con i frutti della fede amorosa. Siete chiamate a testimoniare qui il primato della carità di Dio. Come è noto, testimone significa "martire" e la Chiesa è fedele nel martirio, nella testimonianza. Sentitevi anche voi partecipi di questa missione, specialmente quando la solitudine o l'aridità o il senso d'inutilità vi fanno soffrire.

Dilette sorelle, vi affido alla Madonna: con lei saprete essere assidue e concordi nella preghiera (Ac 1,14), per colmarvi della gioia e della forza della risurrezione; con lei le vostre saranno comunità di fede, di speranza, nelle quali regni sovrana la carità, in modo che la vostra presenza gridi al mondo che vi circonda che Dio c'è, che Dio è amore, che ancora affascina i cuori e che solo dà valore a ogni cosa.

La Beata Vergine faccia vivere Cristo in voi; in lei diventate anche voi madri di anime. Con questo augurio, di cuore imparto a tutte la mia benedizione.

Data: 1986-05-08 Giovedi 8 Maggio 1986




Saluto alla popolazione - Cesena (Forli)

Incessante slancio vitale dal cristianesimo ben vissuto


Carissimi cittadini di Cesena!


1. Vi sono profondamente riconoscente per questa accoglienza nella quale sento subito vibrare il vostro temperamento forte e gioviale. Dall'intimo del cuore vi saluto e vi ringrazio. Saluto in particolare il signor sindaco e lo ringrazio per le cortesi e calde parole con le quali ha avuto la bontà di accogliermi e di farsi interprete dei sentimenti della Cittadinanza. Porgo parimenti un rispettoso saluto alle autorevoli personalità e agli esponenti delle varie Istituzioni, che onorano questo incontro con la loro presenza. Ma desidero che il mio cordiale pensiero raggiunga tutti i membri della compagine cittadina e delle altre comunità, di cui si compone la circoscrizione diocesana, assicurandoli che anch'essi, ovunque si trovino, sono presenti nel mio cuore.


2. Nel mio itinerario pastorale in Romagna sono lieto di fare tappa a Cesena, città giustamente fiera delle sue remote origini e della sua lunga storia. Una storia densa di avvenimenti, dai quali emerge, con ininterrotto filo conduttore l'acuto senso di libertà che, dalle epoche lontane alle più recenti, animo i Cesenati, li sostenne nella tenace difesa di quel grande bene, li guido nella sua valorosa riconquista. Il trascorrere del tempo non ha spinto il ricordo dell'alternarsi sul vostro suolo di drammatici periodi di lotta con periodi di pacifica floridezza, in un intreccio complesso attraverso il quale è stato tramandato da una generazione all'altra un patrimonio di ricche tradizioni.

Qui hanno tuttora un linguaggio eloquente monumenti e opere d'arte di vasta celebrità. La Biblioteca Malatestiana che, nella eleganza delle linee architettoniche quattrocentesche, accoglie un copioso materiale di singolare valore culturale, ed è una delle più antiche biblioteche umanistico-conventuali; la magnifica Cattedrale, anch'essa di origine quattrocentesca, più volte trasformata nei secoli seguenti; a ridosso dei colli appenninici l'Abbazia benedettina di Santa Maria del Monte, dove fra poco mi rechero: essa è sorta là dove il vescovo san Mauro aveva fatto costruire una piccola chiesa solitaria, verso l'anno 930, sul monte Spaziano, come attesta il suo biografo san Pier Damiani. Desidero inoltre menzionare Santa Cristina, gioiello che al valore artistico assomma quello affettivo, per il suo legame con la figura del vostro concittadino, Papa Pio VII. Vanto di Cesena è, infatti, questo Pontefice, il già monaco benedettino Gregorio Barnaba Chiaramonti, e, insieme con lui, il suo immediato predecessore, Angelo Braschi, Papa Pio VI; come ella, onorevole signor sindaco, ha voluto ricordare con delicato pensiero. Ad essi mi sia consentito di aggiungere due altri presuli cesenati d'adozione, che furono chiamati al sommo pontificato dopo essere stati pastori di questa diocesi: Pietro Francesco Orsini, divenuto papa col nome di Benedetto XIII nel 1700, e Francesco Saverio Castiglioni, Pio VIII, nel secolo scorso.


3. Fedele alle proprie tradizioni, Cesena offre oggi l'immagine di una città vivace e operosa, aperta ai valori umani senza preclusioni verso quelli religiosi; sensibile al dinamismo culturale, impegnata in un metodico e costante sviluppo economico e sociale, connesso specialmente con taluni settori del mondo agricolo.

Sono degne di elogio, cari Cesenati, la vostra fervida applicazione alle varie attività e la vostra disponibilità di fronte alle nuove tecniche e ai nuovi tipi di rapporti commerciali. Vedo in questo atteggiamento un segno della vostra volontà di concordia e di reciproca comprensione, elementi indispensabili per il raggiungimento della piena giustizia sociale nella solidarietà umana più concreta e generosa.

Mi piace ricordare, in quest'ordine di idee, alcune opere della città e della diocesi: la comunità "Grazia e Pace" per emarginati e senza casa; la comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti e altri centri collegati con le strutture civili; l'Istituto "Pio XII" per portatori di handicap.

Desidero ricordare anche la "Marcia della Pace" di Capodanno e la "Festa della famiglia" che si celebra in coincidenza con la solennità della Madonna del Popolo, protettrice della città e della diocesi.


4. Il messaggio evangelico, che è stato annunziato nelle vostre terre fin dai primi secoli della Chiesa, si è mantenuto vitale pur nel susseguirsi di burrascose vicende. Da un secolo all'altro la fede cristiana è stata tramandata. In questa fede viene a fortificarsi il successore di Pietro. Viene privo di ogni nostalgica reminiscenza della sovranità di tempi andati, sollecito soltanto di far progredire nelle coscienze il misterioso dinamismo della Parola liberatrice e salvatrice di Cristo, convinto di contribuire così anche allo sviluppo integrale dell'uomo.

Il cristianesimo, accettato e vissuto seriamente in tutte le sue dimensioni, rivela una straordinaria capacità di animazione anche di quei valori da cui non può prescindere la convivenza civile: valori spirituali e morali, che tanto all'individuo quanto alla famiglia e a ogni assetto comunitario infondono un incessante slancio vitale. Carissimi fratelli e sorelle di Cesena, io prego il Signore per la vostra prosperità di oggi e di domani nella luce di quei valori. Prego in particolare la Vergine santissima, della quale siete molto devoti nel solco dell'antica matrice religiosa delle vostre tradizioni. Ricordo con compiacimento che il 19 aprile 1980, durante l'udienza a un grande pellegrinaggio romagnolo, ebbi la gioia di benedire e incoronare una copia dell'affresco settecentesco della vostra Madonna del Popolo, che poi fu portato in tutte le parrocchie della diocesi. La grande Madre celeste sia dunque propizia al popolo cesenate e a quanti, rivestiti di pubbliche responsabilità, lo rappresentano.

Con questo fervido auspicio vi ringrazio per la vostra cordiale ospitalità e invoco su tutti copiose benedizioni celesti.

Data: 1986-05-08 Giovedi 8 Maggio 1986




Incontro con i Benedettini Cassinesi - Cesena (Forli)

I monaci sono un segno della realtà futura


Reverendo padre abate, cari monaci.

Desidero esprimervi innanzitutto la mia gioia per l'opportunità che mi è offerta di essere ospite presso il vostro monastero, così venerabile per una lunga storia di fedeltà a Cristo e alla Chiesa secondo il modello dell'ideale benedettino. Vi saluto tutti con viva effusione d'animo e vi dico un grazie di cuore! La mia permanenza in questo luogo sacro, seppur breve, mi darà la possibilità di ammirare le sue bellezze storiche, artistiche e ambientali, le quali tutte stimolano e orientano l'animo di chi vi abita o di chi lo visita verso la considerazione delle realtà trascendenti, verso il mistero di Dio, della sua bontà, della sua sapienza e della sua pace. Qui tutto richiama, senza stonature o incoerenze, al pensiero di quelle "cose di lassù" dalle quali sole sgorga quell'operosità e quella dedizione al servizio della dignità della persona umana, delle quali l'illustre Famiglia del patriarca Benedetto ha dato tante prove - e dà tuttora - nella costruzione e nella difesa della civiltà cristiana e dell'umanesimo secondo Cristo! Ogni monastero è un piccolo "Tabor". San Bernardo lo chiamava "paradisus claustralis": come l'apostolo Pietro davanti alla trasfigurazione del Signore, l'animo innamorato delle cose celesti non vorrebbe mai partirsene e considera privilegiati coloro che hanno avuto la vocazione di restarvi per tutta la vita.

Oh, so bene, cari fratelli, che non bisogna idealizzare né sopravvalutare nessun luogo - per quanto santo - del mondo di quaggiù! Sappiamo bene quanto sia ardua l'ascesi monastica e quanto aspre e dure siano le lotte interiori - e a volte anche esteriori - che il monaco deve affrontare e superare per progredire nella perfezione e restar fedele alla santa Regola. Tutti i grandi maestri ci avvertono di questo. E tuttavia, resta pur sempre vero che i religiosi, e in particolare i monaci come insegna il recente Concilio, sono chiamati in modo speciale ad essere un segno di speranza, un segno per tutta l'umanità delle realtà future: di quella nuova umanità inaugurata dalla risurrezione, alla quale Cristo risorto chiama ogni essere umano.

So che in questo monastero la sacra liturgia è curata con amore e competenza, nella fedeltà ai grandi tesori dell'arte sacra, come per esempio il canto gregoriano. Siate sempre vigili e gelosi custodi di questi tesori imperituri, perché essi sono affidati a voi in modo tutto speciale, e per il bene di tutta la Chiesa e dell'umanità.

So anche che nel vostro monastero ha sede il Centro Storico Benedettino Italiano, fondato da padre Leandro Novelli e promosso da tutte le famiglie monastiche italiane. Scopo del Centro è quello di stimolare e coordinare la ricerca storica sul monachesimo italiano dalle origini ai nostri giorni. Un programma interessante, e che può validamente contribuire alla riscoperta di tesori di spiritualità ancora fecondi per il presente e per il futuro. Auspico pertanto per questa Istituzione proficui lavori e fecondi incrementi.

Vi ringrazio fin d'ora per le preghiere con le quali mi accompagnerete in questo mio nuovo viaggio in terra di Romagna. Conto molto su di esse, perché il ministero che intendo svolgere fra queste care popolazioni possa portare tutti quei frutti che Gesù Signore si attende da me; e perché il Vangelo che seminero porti larghi frutti alle anime che mi ascolteranno. Questo, cari fratelli, in tale circostanza, sarà il vostro contributo a illuminare le terre di Romagna: come Mosè con le mani alzate, sul monte, farete scendere anche voi, in comunione col Papa, abbondanti benedizioni dal cielo! E io pure, nel nome del Signore, vi benedico.

Data: 1986-05-08 Giovedi 8 Maggio 1986




Alle religiose alla "Madonna del Monte" - Cesena (Forli)

Proporre la povertà come valore e sfida alla società


Care sorelle.


1. Incontrare le religiose, durante i miei viaggi apostolici, è per me una gioia che si rinnova continuamente. Voi costituite una ricchezza preziosissima nella Chiesa: la vostra consacrazione è una testimonianza pubblica della grandezza di Dio; la vostra rinuncia volontaria e serena ai beni terreni per un servizio ai fratelli nella carità evangelica, conferma che non siete estranee alla città terrena, ma presenti ai fratelli con la carità di Cristo.

Sono lieto che questo incontro con voi, suore di Romagna, avvenga nella città di Cesena, che durante il XIX secolo fu particolarmente vicina alla cattedra di Pietro! Cesena, infatti, ha donato alla Chiesa i Papi Pio VI e Pio VII, che hanno fattivamente operato in un periodo storico carico di tensioni politiche e sociali: l'opera piena di saggezza, di prudenza e di sacrificio di questi due grandi pontefici ha salvato la Chiesa dai pericoli che la minacciavano. E nella seconda metà dello stesso secolo è la città di Imola che dona Pio IX, il cui nome è legato al dogma dell'Immacolata Concezione e al Concilio Vaticano I.

Ma dalla Romagna un contributo all'estensione del regno di Cristo è venuto non soltanto dai pontefici che hanno avuto i natali in questa terra, ma anche dalle monache che hanno popolato i monasteri, e da fondatori e fondatrici dei diversi istituti dediti alle opere di apostolato, che hanno saputo leggere i segni dei tempi, provvedendo con coraggio e competenza alle necessità dei loro fratelli in tutti i campi. Le religiose sono state presenti ovunque la loro opera fosse necessaria: educazione dei bambini e della gioventù, formazione professionale, accoglienza agli orfani, cura degli ammalati, degli anziani, degli handicappati, servizio sociale e apostolato parrocchiale, contribuendo così in maniera eloquente ed efficace alla crescita della carità verso Dio e verso il prossimo. Vi saluto cordialmente e vi esprimo la mia viva riconoscenza e il mio incoraggiamento; col vostro prezioso servizio, care religiose di Romagna, voi contribuite grandemente all'edificazione della Chiesa e alla promozione umana in questa regione.


2. Non ignoro le reali difficoltà che incontrate; esse pero non esistono solamente qui, lo sapete bene. La ricerca incessante del benessere, il diffuso materialismo, le condizioni sociali e ambientali, la diminuzione dell'istruzione religiosa e della stessa fede in molti dei nostri contemporanei, creano una situazione non certo favorevole alla percezione della testimonianza sostenuta dalla vita religiosa. Al contempo, la diminuzione sensibile delle vocazioni in questi ultimi decenni, con il conseguente invecchiamento della comunità, frappone un serio ostacolo alla realizzazione delle opere di apostolato finora portate avanti nei vostri istituti.

Questa è una prova vera e dolorosa, che vi fa soffrire tutte nel profondo; ma essa non deve portarvi allo scoraggiamento: accolta nella fede e nell'abbandono alla Provvidenza divina, sia al contrario per voi un'occasione di approfondimento spirituale. Non è la prima volta d'altronde, che nel corso della storia la vita religiosa incontra serie difficoltà. A più riprese è passata attraverso crisi analoghe, a volta ancora più difficili, e sempre ne è uscita più generosa e più viva, dopo aver approfondito e valorizzato la propria indole.

Rammenta Paolo VI nell'esortazione apostolica "Evangelica Testificatio" (n. 3): "La tradizione della Chiesa ci offre, fin dalle origini, questa testimonianza privilegiata di una ricerca costante di Dio, di un amore unico e indiviso per Cristo, di una dedizione assoluta alla crescita del suo Regno. Senza questo segno concreto, la carità che anima l'intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il "sale" della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione".


3. Il primo vostro intimo sentimento nelle attuali circostanze sia dunque di umile fiducia in Colui che vi ha chiamate: non dubitate mai della vostra vocazione. Il Dio che vi ha invitate a lasciare tutto per suo amore è un Dio fedele: non verrà mai meno! Oggi come ieri, la vita consacrata conserva tutto il suo valore; rimanete salde nella vostra vocazione, nella certezza che essa è il mezzo più sicuro per compiere la volontà di Dio.

Adoperatevi con costanza e fervore ad essere ogni giorno testimoni sempre più autentiche del Vangelo, dando il primato alla vita spirituale. E' un'esigenza che scaturisce direttamente dalla professione dei consigli evangelici; come persone consacrate, coltivate con cura lo spirito di preghiera: che le vostre case siano sempre centri di preghiera, di raccoglimento, di dialogo personale e comunitario con Colui che è e deve rimanere il vostro principale interlocutore durante tutta la giornata! Che la vostra vocazione apostolica scaturisca da questa contemplazione come dalla sua sorgente e da essa tragga la sua vitalità.


4. Fedeli discepole di Cristo, "il quale da ricco che era si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr 2Co 8,9), vegliate poi con cura per praticare questa virtù, per vivere da povere di fatto e di spirito. In una società avida di benessere, che dà troppa importanza al denaro, che si lascia affascinare dal lusso, la povertà è un valore e una sfida: vivendo povere, individualmente e comunitariamente, diventerete libere di fronte alla tirannia della società dei consumi; questa povertà aprirà sempre di più il vostro cuore ad amare Dio e i vostri fratelli di un amore simile a quello di Gesù; essa abiliterà le vostre comunità a irradiarne il calore, oltre i loro stessi confini.

Il distacco dai beni di questo mondo si porrà come interrogativo ai vostri contemporanei, manifestando loro sia la grandezza di Dio che vi ispira, sia la fede che vi anima.


5. Assieme all'approfondimento della vita spirituale e alla pratica della vera povertà, la vita fraterna è un elemento molto importante della vocazione religiosa. Parlando dei primi cristiani, la Sacra Scrittura pone in rilievo la carità fraterna che li univa, poiché mettevano i loro beni in comune e non avevano perciò che un cuore solo e un'anima sola, ricevendo ciascuno secondo le proprie necessità. così la vostra vita fraterna deve essere un reciproco aiuto, che faciliti a ciascuna di voi la realizzazione della sua vocazione personale. La Chiesa e il mondo di oggi hanno assolutamente bisogno di queste comunità, nelle quali la condivisione e la comunione non siano solo parole, ma realtà vissute giorno dopo giorno, con umiltà. Coltivate con amore questa vita fraterna basata sull'attenzione verso gli altri e sulla sollecitudine nei loro confronti: partecipate gioiosamente agli incontri che costituiscono la trama della vostra vita quotidiana, sapendo sacrificare preferenze e gusti personali a favore delle vostre consorelle: questa unità tra di voi sarà una manifestazione della presenza di Cristo e aumenterà le vostre forze apostoliche.


6. Un pericolo che spesse volte tenta gli operai apostolici, e che a più riprese ho segnalato, è che essi, totalmente immersi nel lavoro del Signore, dimentichino il Signore del lavoro. La diminuzione delle vostre energie di azione opportunamente vi rammenta che le opere che vi sono state affidate non sono una proprietà personale vostra, né dei vostri istituti, ma devono contribuire esclusivamente all'estensione del regno di Dio. Ecco che per voi questa è un'occasione per considerarle maggiormente sul piano ecclesiale. Facendo vostre le parole di Giovanni Battista: "Egli deve crescere, e io invece diminuire" (Jn 3,30), gioirete del bene realizzato da altre religiose o dai laici. Vi impegnerete a collaborare con tutti, anzitutto per una migliore reciproca conoscenza, poi per un'azione concertata che, se necessario, porti al raggruppamento di talune opere, sapendo in tal senso praticare il distacco indispensabile.

Ovunque si realizza una simile collaborazione accresce la fecondità apostolica e porta una testimonianza di comunione ecclesiale alla quale il mondo odierno è particolarmente sensibile. Questa collaborazione contribuirà ugualmente, non bisogna per nulla dubitarne, alla ripresa delle vocazioni religiose: i giovani del nostro tempo sono particolarmente attratti alla scoperta di comunità unite nella carità.


7. Il periodo pasquale ci invita più che mai alla serenità e alla fiducia. "La pace sia con voi", "Non temete": queste sono le prime parole che il Cristo risorto rivolge ai suoi discepoli. In questo venerabile santuario, dedicato alla Madonna del Monte, vi ripeto con forza queste parole di incoraggiamento e di fiducia, chiedendo a Maria, madre e modello delle anime consacrate, di essere costantemente la vostra guida e il vostro sostegno per tutta la vita. E tutte, di cuore, vi benedico.

Data: 1986-05-09 Venerdi 9 Maggio 1986




Nella Biblioteca Malatestiana - Cesena (Forli)

Colloquio e coordinamento fra le culture


Signor direttore, gentili signori e signore.

Ben volentieri ho accolto l'invito, nel corso di questa mia visita a Cesena, di vedere e ammirare la famosa e antica Biblioteca Malatestiana, nella quale ora ci troviamo, gloria e splendore non solo della vostra Città, ma anche, nel suo genere, di quel periodo così ricco di fermenti innovativi e di fervore artistico-culturale, quale fu l'Umanesimo italiano del Quattrocento.

Abbiamo qui di fronte ai nostri occhi un monumento e un ricordo, di detto periodo, estremamente suggestivo. Entrando in questa sala, conservatasi intatta in tutti i suoi arredi e nelle sue strutture originarie, siamo riportati indietro di cinque secoli, e ci sembra di rivivere nel medesimo tempo nel quale essa fu costruita e dotata dei suoi preziosi codici, che raccolgono e affratellano illustri documenti del pensiero umano sia dell'Occidente come dell'Oriente, e che coprono tutto l'arco della storia europea, a partire dall'antica Grecia.

Per questi motivi la vostra Biblioteca non è soltanto una gloria cesenate, ma dell'Italia intera, dell'Europa, dell'umanità, e soprattutto di quell'umanità che non dimentica i tesori e le lezioni del passato, di quell'umanità che oggi è alla ricerca di un colloquio e di un coordinamento tra le culture: un obiettivo più che mai urgente per assicurare un ordinato progresso nella giustizia e nella pace.

La vostra Biblioteca è uno stupendo richiamo in tal senso. Il messaggio che, da questa sala, si diffonde nel mondo, è un messaggio di speranza: ci ricorda quanto l'uomo può e deve fare per salvare la sua dignità, per compiere veramente l'alto destino al quale è chiamato.

Vorrei inoltre sottolineare che questa straordinaria Istituzione culturale è stata ideata, e ha potuto essere realizzata, conservata, difesa e promossa fino ad oggi grazie a una collaborazione tra la Comunità religiosa (che s'incarno, in questo caso, nell'Ordine francescano) e il Potere civile: una collaborazione, un'intesa tra fede e cultura. Un fatto estremamente significativo e importante, che testimonia di quali frutti copiosi è capace questa armonia, così necessaria all'affermazione del vero Umanesimo. Nell'augurare pertanto a tutti loro di poter vivere sempre questo messaggio trasmettendolo alle generazioni future, ringrazio sentitamente per l'opportunità che mi è stata data di questa visita, e a tutti rivolgo un cordiale e benedicente saluto.

Data: 1986-05-09 Venerdi 9 Maggio 1986




Omelia alla Concelebrazione eucaristica - Cesena (Forli)

L'Eucaristia fonte di unità, fratellanza e solidarietà



1. "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo" (Jn 15,1). Con queste parole dell'odierno Vangelo desidero salutare tutti i partecipanti a quest'incontro eucaristico. Nel volgere lo sguardo a questa immensa assemblea, carissimi fratelli e sorelle delle diocesi di Cesena e di Sarsina, e di quelle confinanti di Ravenna e di Cervia, di Forli e di Bertinoro, di Rimini e di Montefeltro, sale dal mio animo un vivo senso di gratitudine verso il Signore, che è al centro di questa liturgia eucaristica; ma anche a tutti voi rivolgo il mio grazie per questa manifestazione di fede, che oggi mi offrite, e per l'occasione gradita di prendere diretto contatto con le popolazioni operose di questa terra romagnola dalle profonde tradizioni civili e religiose.

Saluto anzitutto il vescovo, mons. Luigi Amaducci, che da nove anni prodiga le sue energie nel governo pastorale delle diocesi unite di Cesena e di Sarsina; con lui saluto anche il suo venerato predecessore, il vescovo emerito mons. Augusto Gianfranceschi e tutti i cari presuli dell'Emilia-Romagna che sono presenti a questa celebrazione eucaristica.

Saluto voi, sacerdoti e religiosi; voi, sorelle consacrate, che nella fedeltà generosa agli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa, siete il fermento e lo stimolo evangelico in mezzo alle comunità cristiane.

Saluto con rispetto le autorità civili. Esprimo loro il mio ringraziamento e apprezzamento per la loro partecipazione, in cui mi piace vedere un'espressione della loro volontà di collaborare con la Chiesa, nell'ambito dei ruoli propri, per il conseguimento di quegli obiettivi di ordinato progresso umano e sociale, a cui certamente aspirano tutte le persone pensose del vero bene di questa regione. Ma un saluto particolarmente affettuoso va a voi, Cesenati, che vi siete così generosamente impegnati per preparare questa accoglienza al successore di Pietro, che è venuto in mezzo a voi per confermare la vostra fede cristiana e per esprimervi solidarietà nel vostro sforzo per una società migliore. Tra voi so che ci sono numerosi coltivatori della terra: li saluto con accenti particolari fin d'ora. Un particolare pensiero rivolgo inoltre ai bambini e alle bambine che riceveranno la prima Comunione.


2. "Io sono la vite... Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto" (Jn 15,5).

Cristo rimane in noi mediante l'Eucaristia, che ci apprestiamo a celebrare.

L'invito di Gesù a rimanere in lui richiama l'altra sua parola, pronunciata nel contesto del grande discorso sul "pane della vita": "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Jn 6,56). Questo passo parallelo ci mostra come il simbolo della vite abbia pure un significato eucaristico e che quindi il rimanere in Gesù-vite si realizza mediante l'assunzione di lui come cibo. L'Eucaristia è appunto Gesù che rimane in mezzo a noi in modo vero e reale, anche se a noi appare sotto i segni sacramentali del pane e del vino. Essi, è vero, non ci permettono la gioia della sua visione sensibile, ma ci offrono la sicurezza della sua effettiva presenza e il vantaggio della sua moltiplicabilità in tutti i luoghi e in tutti i tempi. L'Eucaristia è così il punto privilegiato dell'incontro dell'amore di Cristo verso di noi: "Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9). E' un amore che si rende disponibile per ciascuno di noi, un amore che si fa cibo e bevanda per la nostra fame e sete di vita, quando Gesù stesso ci invita a "bere di questo frutto della vite" (Mc 14,25). Questo rimanere in Cristo è la condizione prima e assoluta per portare frutto. Ma come Gesù porto frutto nell'adesione al piano salvifico del Padre mediante la passione, morte e risurrezione, così i suoi discepoli porteranno i loro frutti in ordine alla vita eterna, nella misura in cui parteciperanno alla scelta di Cristo e accetteranno le necessarie "potature" da ogni inclinazione al male e al peccato.


3. Alla luce della parabola della vite e dei tralci, l'Eucaristia diventa il principale "centro" dell'operare salvifico di Dio nell'uomo. Questo operare si esprime nelle parole: "Il Padre mio è il vignaiolo" (Jn 15,1). Egli coltiva la vite, avendo cura di ogni tralcio. Poiché come Creatore è nostro Padre, egli vuole che gli uomini creati a immagine di Dio ricevano, mediante il Figlio, questa vita che è da Dio.

L'opera del Padre, fin dalla creazione, è quella di prendersi cura e provvidenza di tutte le cose, ma soprattutto di tutte le persone, che nella similitudine sono chiamate "tralci", che il Padre "pota", rimonda e purifica, perché crescano e abbiano una vita sovrabbondante. Il divino vignaiolo si mostra così Padre amoroso, che si comporta da Padre e vuole essere trattato da Padre.

Tutto questo ci richiama la realtà superiore della nostra vita, la vicenda della nostra salvezza. In essa è protagonista il Padre che veglia continuamente sopra di noi e ci stimola a desiderare e a meritare i suoi favori. Ci ricorda con i suoi interventi provvidenziali che non viviamo in un mondo cieco e fatalistico, ma sotto il suo sguardo di Padre buono, accessibile e vicino a noi, che ci chiede disponibilità e collaborazione in quest'opera di misericordia e di salvezza. Come il coltivatore rimonda i tralci, così il divino vignaiolo ci rinnova con la grazia rigeneratrice dei Sacramenti della purificazione, cioè della Penitenza e dell'Eucaristia, in cui egli attua il mistero pasquale della morte e della risurrezione.


4. Per mettere, ancora più pienamente, in rilievo questa verità, l'odierna liturgia ci dà un'ampia risposta alla domanda: chi è l'uomo? Troviamo questa risposta nel Libro del Siracide, che abbiamo ora ascoltato: "Il Signore creo l'uomo dalla terra / e ad essa lo fa tornare di nuovo. / Egli assegno agli uomini giorni contati e un tempo fissato, / diede loro il dominio di quanto è sulla terra. / Secondo la sua natura li rivesti di forza / e a sua immagine li formo" (Si 17,1-3).

Abbiamo qui la risposta all'interrogativo sull'uomo e sul suo destino: "a sua immagine lo formo". L'uomo è perciò "il volto umano di Dio" secondo una geniale espressione di Gregorio di Nissa (PG 44, 446). Per un'adeguata comprensione dell'uomo, non si dovrebbe mai perdere di vista la rivelazione biblica che, dalla Genesi all'Apocalisse, mette in piena luce la vera dimensione dell'uomo, creato a immagine di un Dio che per riscattarlo, liberarlo dal peccato, è divenuto lui stesso uomo. Da quando Dio si manifesto ad Abramo e il dialogo, interrotto dal peccato di Adamo, è stato ripreso tra la creatura e il Creatore, l'umanesimo biblico non ha cessato di affermare l'eminente e singolare dignità di ogni persona umana, fatta a immagine di Dio, riscattata dal Cristo e chiamata a entrare in comunione con lui. E' questo il posto che l'uomo ha nel mondo e nella scala dei valori. E' vero, la letteratura, lo spettacolo e l'arte ne esaltano spesso impietosamente le debolezze, le deficienze, la sensualità, l'ipocrisia e le crudeltà, ma noi sappiamo che egli è pure e soprattutto l'essere capace di stupirci per la genialità del suo pensiero e delle sue scoperte scientifiche, per l'afflato del suo lirismo poetico, per lo splendore delle sue creazioni artistiche, per le risorse del suo eroismo morale e per la testimonianza della sua santità. Ecco, cari fratelli e sorelle, che cosa è l'uomo, ecco a quali altezze egli è capace di giungere, se non deforma in sé l'immagine originale, creata da Dio, e se vive in profondità il mistero della redenzione in Cristo Gesù.


5. L'Eucaristia è sacramento dell'unione vivificante con Cristo. Essa è, a un tempo, sacramento che costruisce la comunità. La vite e i tralci sono anche immagine della comunità di tutti coloro che sono uniti in Cristo mediante la grazia e la verità.

L'immagine della vite e dei tralci ci richiama sulla necessità di vivere in profonda comunione la realtà della Chiesa, che è corpo mistico, di cui il Cristo è il capo e tutti i fedeli le membra, un corpo vivificato dalla linfa soprannaturale della grazia e illuminato dalla luce solare dello Spirito Santo che ne è l'anima. E' qui "la forza interiore" (cfr Tm 3,5) della nostra religione; è qui il tessuto connettivo che dà senso e unità alle comunità cristiane che vivono in tutto il mondo. Questa verità riposa su un evento ben preciso che l'apostolo Paolo, con un'immagine tratta anch'essa dall'agricoltura, chiama innesto. Nel battesimo noi siamo stati innestati in Cristo (cfr Rm 11,16), siamo cioè diventati tralci della vera Vite. Siamo quindi stati chiamati a vivere uniti a Cristo e ai fratelli e a formare così la comunità dei battezzati e dei redenti. E tali siamo nella misura in cui restiamo uniti e viviamo in una specie di osmosi spirituale. Gesù ci fa intravedere anche le conseguenze, nel caso di un distacco da lui e dai fratelli: se il tralcio non rimane unito alla vite, si secca, viene tagliato e gettato nel fuoco.

Ma l'Eucaristia non dice solo rapporto intimo di ogni singolo fedele con Cristo, ma è stata istituita anche per l'unione di tutti i fedeli cristiani tra loro. Essa tende a formare in noi la coscienza dell'unità, della fratellanza, della solidarietà e dell'amicizia. Essa stimola il senso della coesione spirituale e sociale tra coloro che, nutriti di un medesimo pane, formano un solo corpo (cfr 1Co 10,17).

Ci venga da questa celebrazione eucaristica la grazia di vedere tutti i fedeli di questa comunità diocesana più uniti fra loro e più concordi nel dare alla propria fede cristiana un'espressione efficace e convincente in un mondo che vive spesso nell'indifferenza e apatia spirituale; ci venga la grazia di vedere un maggiore impegno nel costruire una comunità radicata sui veri valori e sul rispetto della vita dal suo nascere fino alla sua morte naturale.

"Il Padre mio è il vignaiolo". Egli coltiva la vigna dell'umanità mediante l'unità di ciascuno e di tutti con il Figlio eterno il quale - essendo generato prima di ogni creatura - ha ricevuto in eredità tutte le generazioni della terra.


6. Sono queste le ragioni per le quali questa celebrazione eucaristica rappresenta il momento culminante del mio incontro con la vostra comunità, che qui vedo largamente rappresentata in tutte le sue componenti. Ma il fatto che i segni sacramentali del pane e del vino di questa Eucaristia sono frutto delle fatiche e del sudore dei coltivatori di questa vostra terra romagnola richiama la mia particolare attenzione alla gente dei campi, che oggi si è stretta in gran numero attorno all'altare.

Cari coltivatori, il Vangelo che è stato proclamato ha presentato alla nostra riflessione la similitudine della vite e dei tralci, mettendo in risalto l'opera del "vignaiolo" celeste che prodiga le sue cure perché questa pianta cresca, si sviluppi e porti molto frutto. E' un'immagine, questa, che vi è familiare, essendo voi dediti in gran parte alla coltura delle viti e alla produzione di vini conosciuti dappertutto. Ma i Vangeli sono ricchi anche di molti altri particolari che si riferiscono alla vita dei campi. In essi si parla dei mutamenti del tempo (Mt 16,3), del biondeggiare delle messi (Jn 4,35), del seminatore che esce a seminare (Mt 13,3ss). Questo per dire come il Signore era vicino al cuore degli agricoltori e come ne osservava e seguiva non solo tutte le loro fatiche, i sacrifici e la tenace dedizione, ma anche gli aspetti poetici e lirici della loro esistenza, che si dipana in stretta comunione con i ritmi della natura da Dio creata. Questa mia visita mi offre l'occasione per esprimervi il mio affetto e il mio apprezzamento per il lavoro che svolgete in questa regione, prevalentemente agricola. Sapendo di parlare a generose popolazioni romagnole, desidero invitarvi a continuare con rinnovato coraggio sulla via dello sviluppo economico in un quadro di articolata e viva solidarietà. Conforta constatare l'odierno ritorno a un più sentito riconoscimento della funzione primaria dell'agricoltura, che restituisce ad essa quel valore che le spetta in ogni economia. Dopo una fase critica di abbandono dei campi per la corsa ai grandi centri abitati e alle industrie e dopo l'emorragia dovuta all'emigrazione, il settore agricolo sta ricuperando il suo posto primitivo di indispensabile componente nello sviluppo economico e sociale di questa regione, come di tante altre in Italia.


7. So che in questo vasto settore non mancano problemi, ma so anche che non vi mancano intelligenza, volontà e operosità per affrontarli e giungere a una soluzione. Occorre far fronte anzitutto alla necessità di incrementare la possibilità e la qualità del lavoro, ma soprattutto l'elevazione del tenore di vita del lavoratore. A questo proposito è necessario che l'impegno di ciascuno sia sostenuto dalla solidarietà di tutti. Tale solidarietà deve tener conto dei lavoratori più disagiati, che conducono un'azienda agricola su base familiare, aiutandoli a migliorare e accrescere gli strumenti del proprio lavoro. E' necessario tutelare e garantire l'effettivo rispetto delle norme contrattuali e legislative; la tutela previdenziale e l'assistenza morale materiale delle persone anziane o infortunate sul lavoro dei campi. Tale solidarietà deve guardare pure al problema dei giovani, i quali si attendono di poter godere di nuove condizioni nella vita rurale e agricola e di poter soddisfare alle loro giuste esigenze sia sul piano economico che su quello culturale e spirituale. Essi hanno diritto di potersi creare una propria famiglia in un rinnovato ambiente, che offra sempre più serene condizioni di vita per loro e per i propri figli.

A nessuno sfugge che, per risolvere tutti questi problemi, occorre in radice la formazione di una genuina coscienza civile, che abbia a fondamento un retto costume morale. Nella formazione di tale coscienza giovano le virtù naturali dell'onestà, della laboriosità e della giustizia, ma giovano anche e soprattutto i valori morali, che ci vengono dalla pratica cristiana illuminata e convinta, e che ci fa vedere nel nostro vicino un nostro fratello.

Ecco la consegna che vi lascio, o coltivatori e coltivatrici di Cesena, che vedete nella coltura della vite il vostro simbolo prestigioso; fatevi sostenitori della causa della solidarietà e della promozione di ogni vostro fratello e di ogni vostra sorella, che lavorano e sudano accanto a voi. Offrite a tutti la testimonianza di una comunità che sa collaborare in spirito di concordia e di pace. Operate con fiducia e valorizzate ogni mezzo a vostra disposizione per superare le difficoltà che immancabilmente incontrerete sui solchi del vostro lavoro quotidiano.


8. "Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia", dice l'apostolo (Ac 20,32). In occasione dell'odierno incontro desidero ripetere le sue parole.

Desidero che questa visita rinnovi il vostro legame con Cristo-Vite.

A tutte le generazioni dei suoi discepoli e seguaci Cristo dice: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9).

La santissima Eucaristia non cessi di esser la sorgente del vostro rimanere in Cristo; della vostra unione con lui; della vostra comunità cristiana.

"Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" (Jn 15,10).

L'Eucaristia esige e favorisce la vita secondo i comandamenti, di cui il più grande è quello dell'amore. Ecco la piena espressione dell'unione vivificante con Cristo-Vite.

Vi auguro quest'unione: questo legame salvifico. L'auguro a tutti e a ciascuno. Essa è sorgente di una vera gioia. Di una felicità. Gesù dice: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Si! Questo vi ho detto.

[Al termine della Messa:] Cari fratelli agricoltori di Cesena, abbiamo lodato insieme quel coltivatore celeste, quel padre coltivatore. Abbiamo celebrato il Mistero della sua coltivazione: noi Chiesa di questa parte d'Italia, Chiesa di tanti coltivatori. Abbiamo ringraziato per questa "vite", vite mistica, nella quale viene inserita tutta la coltivazione divina del Padre. Abbiamo ringraziato per Gesù Cristo che si è fatto vite ed Eucaristia. Per la prima volta ha inserito oggi nel suo Mistero eucaristico i ragazzi e le ragazze che hanno ricevuto per la prima volta la comunione eucaristica. E ci ha implantati nel suo mistero della vite divina, ha inserito noi, figli di questa terra, perché possiamo vivere la vita umano-divina; questa è la nostra vocazione; questo è il nostro destino eterno grazie alla Provvidenza che ha fatto crescere questa Chiesa nella vostra terra da tanti secoli, una Chiesa di coltivatori in cui viene sempre il coltivatore celeste, tramite il suo figlio, per coltivare le anime immortali destinate alla vita eterna in Dio. Vi ringrazio per questa bella preparazione, per questa vostra profonda partecipazione, per tutto quello che oggi avete fatto, per lo splendore liturgico "dovuto" a questo incontro del Papa, Vescovo di Roma, con la vostra Chiesa. Vi ringrazio anche per tutto quello che fate ogni giorno, continuamente, per far vivere questa Chiesa con una vita autenticamente cristiana: la vita dei figli nel Figlio. E vi auguro di continuare così con il vostro Pastore, Vescovo di questa Chiesa, con i vostri sacerdoti, pastori delle comunità parrocchiali, con tutte le famiglie consapevoli della loro missione umana e cristiana e della loro missione eucaristica. Cristo, il pane della vita, rimanga sempre con voi. Questo è l'ultimo augurio che vorrei consegnare alla Chiesa che una volta ha dato alla Chiesa di Roma due insigni successori di Pietro, Papa Pio VI e Papa Pio VII in tempi difficili, e anche altri due Papi: Benedetto XIII e Pio VIII. Il Pane della vita rimanga sempre con voi e sia continuo nutrimento delle vostre anime. Vi faccia crescere nella sua vigna, in cui viene rappresentata la Chiesa, il regno di Dio sulla terra e il regno di Dio nei cieli.

Data: 1986-05-09 Venerdi 9 Maggio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alle claustrali della Romagna, nella cattedrale - Forli