GPII 1986 Insegnamenti - Incontro con la popolazione - Faenza (Ravenna)

Incontro con la popolazione - Faenza (Ravenna)

La devozione mariana di una città è un valore prezioso


Signor sindaco, carissimi Faentini.


1. Ringrazio innanzitutto il signor sindaco per le cordiali parole che ha voluto rivolgermi, a nome dell'intera cittadinanza, e soprattutto per i nobili motivi che con viva sensibilità ha espresso. Gli sono grato anche per il cenno alla Beata Vergine delle Grazie, venerata pure nella mia patria di origine.

Porgo il mio rispettoso saluto alle autorità civili e religiose qui presenti. A voi tutti, cittadini faentini, il mio saluto e il mio grazie per questa accoglienza nella vostra antica e illustre Città, erede di un prezioso patrimonio civile, culturale e spirituale, veramente degno di essere conservato, sviluppato e trasmesso sempre più ricco alle future generazioni.

Apprezzo infatti vivamente la sintesi che le genti faentine hanno saputo operare, fin dagli albori della loro millenaria storia cristiana, tra la fede religiosa e la fedeltà alla Chiesa da una parte, e la promozione dei valori umani, dall'altra: valori che, illuminati dal Vangelo e dalle sue esigenze di verità, di giustizia e di libertà, hanno segnato la vostra storia e le vostre istituzioni pubbliche e private, dando luogo alla formazione di una civiltà cristiana.


2. Nelle alterne vicende del tempo, le generazioni faentine sono rimaste fedeli ai valori perenni del cristianesimo e dell'umanesimo, e ne sono giustamente fiere.

Valori attinenti all'autentico sviluppo dell'uomo in tutti gli aspetti del suo essere e del suo agire: dal piano economico a quello sociale, dal piano artistico-culturale a quello spirituale-religioso. E la vostra storia di oggi non smentisce il passato. Negli ultimi decenni si è sviluppato un notevole processo di industrializzazione, dando origine a una rete di piccole industrie; accanto alle attività agricole, potenziate in intensità, esso ha dilatato il benessere economico, in particolare nelle zone di campagna.

Nel settore agricolo, per opera di cattolici generosi e capaci continua la tradizione cooperativistica che inizio con successo alla fine del secolo scorso, e che nell'ultimo ventennio ha avuto un fiorente sviluppo, assorbendo manodopera e permettendo l'impiego di giovani tecnici preparati. Nel contempo, tale sviluppo ha favorito una qualificata presenza culturale nel mondo cattolico.

Ma la gloria di Faenza è soprattutto nella tradizione, multiforme e creativa, dell'arte della ceramica, che ha reso la vostra Città famosa da secoli nel mondo. I vostri artigiani l'hanno diffusa in più di un Paese in Europa, e da molte nazioni continuano a venire numerosi gli allievi per apprenderla qui, mentre il Museo internazionale, risorto dalle distruzioni della guerra, suscita l'ammirazione di tutti gli amatori di quest'arte raffinata. Straordinaria è particolarmente l'iconografia sacra che la ceramica faentina ha dato al mondo, come testimonianza originale del culto e della devozione popolare.


3. Il progresso economico-sociale non può farci dimenticare l'importanza primaria dei valori morali e dell'ordine interiore della nostra vita di persone create a immagine di Dio, chiamate ad essere suoi figli. La giustizia e la pace nella comunità civile sono fragili o illusorie se non sono garantite da tali valori. Le vostre tradizioni cristiane attestano a questo riguardo una matura coscienza, di cui è testimonianza particolarmente significativa l'antica e fervente devozione alla Madonna delle Grazie, che ha avuto origine nella vostra Città, e della quale vengo a celebrare oggi la festa con voi.

Il culto alla Vergine, al di là delle vicende storiche liete o dolorose dei popoli, non ha mai conosciuto soste. Si tratta infatti di un valore prezioso e fecondissimo. Esso - come dimostra tutta la storia cristiana, anche faentina - è così strettamente unito al Mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio, che sa fondere e armonizzare meravigliosamente l'innata aspirazione religiosa dell'uomo con le forme più nobili del suo impegno terreno: da quello civile a quello artistico, culturale e sociale. La devozione mariana, nei popoli cristiani, è indissolubilmente legata con quanto di meglio sa dare l'uomo quando vuole elevarsi nella pienezza del suo essere.


4. Possiate ancor oggi e sempre, cari faentini, aver chiara coscienza di tale valore. Faenza più volte, nei secoli, ha sperimentato in momenti tragici o difficili la protezione della Madre di Dio: non lo dimenticate e siatene sempre degni! Questo è l'auspicio che desidero formulare qui, oggi, per voi: sono parole che mi escono dal cuore e che offro alla vostra riflessione.

Vorrei anche ringraziare questa diocesi per le belle figure di sacerdoti santi e dotti che hanno distinto il suo clero e per gli illustri presuli che hanno generosamente dedicato le loro energie di mente e di cuore a servizio della Santa Sede. E' una tradizione anche questa del legame particolare di Faenza col Papa.

Vi ringrazio nuovamente per la calda ospitalità e prego l'Onnipotente che, per intercessione della Vergine delle Grazie, continui ad essere largo di quell'accogliente misericordia che "spezza le frecce della severità", come viene rappresentato nell'immagine della Madonna che sovrasta la porta della vostra Città e moltissime vostre case, inducendo gli uomini all'amore vero della pace e della giustizia.

Data: 1986-05-10 Sabato 10 Maggio 1986




Incontro con gli agricoltori - Faenza (Ravenna)

La Chiesa favorisce l'esperienza cooperativistica


Cari amici.


1. E' per me una grande gioia trovarmi con voi oggi in questa città di Faenza, nota non solo per i suoi tesori artistici e storici, ma anche per il suo valido contributo al progresso economico e sociale della Nazione. Ringrazio il vostro presidente e il rappresentante dei soci per le parole che mi hanno rivolto a nome della cooperativa "Prodotti Agricoli Faentini", e delle altre aziende di questa forma associativa, che ha trovato in Romagna un fertile terreno di sviluppo. La mia presenza fra di voi intende richiamare l'attenzione sull'importanza che le cooperative possono assumere nella vita economica, per il bene dei loro associati e dell'intera comunità. E desidero esprimere a tutti voi il mio sincero apprezzamento e il mio cordiale incoraggiamento.

In un mondo che è troppo spesso contrassegnato da un'eccessiva competitività, dalla sopraffazione del più debole da parte del più forte, dal ricorso a soluzioni collettivistiche che soffocano l'iniziativa dei singoli e sviliscono le ragioni della collaborazione, questa forma di organizzazione economica e sociale, se ben gestita, può costituire una stimolante esperienza di partecipazione e insieme uno strumento efficace per realizzare un livello più alto di giustizia.


2. La comunità cristiana si è interessata in Italia a questo problema sin dalla fine del secolo scorso con l'iniziativa delle Casse Rurali. Lo spunto, per quanto concerne la Romagna, venne offerto dalla relazione svolta da don Luigi Cerutti nella sala maggiore dell'episcopio di Imola alla presenza di numeroso clero, buon numero di laici di varie diocesi, rappresentanti di società, Istituti e Ordini religiosi, in occasione della seconda adunanza regionale romagnola dell'Opera dei Congressi e Comitati Cattolici in Italia.

Le Casse Rurali della provincia di Ravenna sorsero in maggioranza nel decennio a cavallo tra l'800 e il 900, e si svilupparono soprattutto nel Lughese e qui a Faenza, dando poi origine ad una federazione.

La solidarietà e la partecipazione, connotazioni caratteristiche delle Casse Rurali e Artigiane, trovarono in Romagna generosa attuazione grazie a uomini intraprendenti e capaci, consapevoli che solo da un impegno comune di servizio poteva essere svolta un'efficace azione di progresso delle comunità locali, di difesa del risparmio delle famiglie, di sostegno alle attività imprenditoriali, soprattutto a quelle piccole e medie.

Dopo la seconda guerra mondiale le ricorrenti crisi economiche portarono in primo piano le piccole e medie imprese, e le comunità locali furono al centro della ripresa, di una rinnovata solidarietà, di un'imprenditoria e di un credito a misura d'uomo. Oggi in Romagna le Casse Rurali e Artigiane rappresentano una realtà tra le più importanti e significative dell'impegno dei cattolici nell'economico e nel sociale.

So che questa vostra Cooperativa, costituita nel 1959, si è venuta sempre più rinsaldando grazie ai risultati ottenuti e ai vantaggi concreti offerti ai soci, giungendo a imporsi come polo di riferimento per i produttori faentini.

Ad essa va con particolare cordialità il mio compiacimento e il mio augurio.


3. In questa circostanza, ricca di aspettative per voi che sentite tanto vivamente i valori insiti nella cooperazione, desidero soffermarmi proprio su questo tema, che ho sempre avuto presente nella mia vita di pastore e che è uno dei temi fondamentali dell'insegnamento sociale della Chiesa. La cooperazione, nel senso più ampio del termine, sta a significare ogni forma di attività comunitaria che si esplica nell'ambito sia culturale che sociale o economico o religioso.

Storicamente, pero, la cooperazione ha finito per identificarsi con la realtà più specifica di forme associative volte al perseguimento di obiettivi di autotutela nelle proprie necessità, particolarmente economiche, o di promozione di comuni interessi. Il dinamismo e la varietà delle cooperative sono la dimostrazione di quanto tali forme associative rispondano alle reali esigenze della popolazione.

Si sa che il cooperativismo è passato attraverso diversi stadi e che le forme in cui questo tipo di attività si esprime sono state classificate, nel modo più semplice, in base alla natura dei servizi prestati agli associati: cooperative di lavoro e di produzione, cooperative di consumo e cooperative di produttori.

La Chiesa è sempre stata favorevole a tali ricche esperienze di pratica comunitaria, adoperandosi perché esse non si limitino alla sola dimensione economica della cooperazione ma assicurino anche la crescita umana, sociale, culturale e morale degli aderenti. Ciò che ha spinto i lavoratori ad associarsi in organizzazioni di tipo cooperativistico è stata certamente innanzitutto una necessità di natura strettamente economica: sopravvivere e difendersi dagli effetti negativi della nuova società industriale. Non è mancata pero anche la spinta derivante dal desiderio di vivere un'esperienza di unità e di solidarietà, che consentisse di superare le differenze economiche e perfino i conflitti sociali fra i diversi gruppi. Si può dire che la novità dell'esperienza cooperativistica risiede nel suo tentativo di sintesi fra la dimensione individuale e quella comunitaria. In questo senso, è un'espressione concreta della complementarità, che la dottrina sociale della Chiesa ha sempre tentato di promuovere fra la persona e la società; è la sintesi fra la tutela dei diritti del singolo e la promozione del bene comune. Si tratta pero di una sintesi che non si situa solo sul piano economico, ma anche su quello più vasto dei beni culturali, sociali e morali che arricchiscono e modellano una società degna dell'uomo.

Il valore dell'impresa cooperativistica si caratterizza sul piano economico per lo sviluppo di un'economia locale che cerca di meglio rispondere alle necessità della comunità. Analogamente, sul piano morale, essa si distingue per l'accentuazione del senso di solidarietà, pur nel rispetto della necessaria autonomia del singolo, che deve crescere verso una piena maturità. Qui risiede uno degli aspetti più chiari dell'importanza della cooperazione: essa suppone la valorizzazione del ruolo di ciascuno nella comunità, attraverso un impegno di carattere etico, che non esclude la difesa degli interessi legittimi della persona. Oggi le esperienze cooperativistiche sono veicolo di un nuovo tipo di economia sociale, favorito dalla moderna società come strumento di ricostruzione e di sviluppo. In questa prospettiva le cooperative agricole si propongono come veri strumenti di trasformazione sociale in molti paesi, e la Chiesa sente perciò di dover essere solidale con tali iniziative. Esse infatti consentono non soltanto un più celere-miglioramento delle condizioni di vita delle comunità locali, ma anche una più efficace promozione della persona nelle sue molteplici relazioni con gli altri, con le cose e con Dio. Ora, proprio questo costituisce una delle più profonde dimensioni dell'opera di evangelizzazione che la Chiesa compie nel suo lavoro quotidiano di presenza nel mondo e di dialogo con gli uomini e con i loro problemi.


4. Su questo aspetto mi preme di attirare la vostra attenzione. Vorrei cioè sottolineare quegli elementi di una struttura umana e sociale come è quella della Cooperativa, che contribuisce al miglior sviluppo e alla più efficace valorizzazione della persona umana. Su tali elementi ha già insistito il mio predecessore Giovanni XXIII nell'enciclica "Mater et Magistra" (MM 110-135), ricca di principi che possono illuminare anche le mutate circostanze dei giorni nostri. Le sue osservazioni sull'importanza della solidarietà e della collaborazione per tutti coloro che lavorano nel settore agricolo vanno di pari passo con la sollecitudine per il bene comune, come mezzo per esaltare il valore di una cooperazione che risulti, si, direttamente vantaggiosa per i soci, ma i cui frutti positivi si riversino anche su tutti i membri della società.

La vostra personale esperienza vi porta certamente a riconoscere che la solidarietà e la collaborazione richiedono il concorde impegno per il raggiungimento di scopi precisi, quali la produttività, lo sviluppo, la garanzia di un adeguato compenso per tutti i soci, il miglioramento della qualità e l'espansione del mercato. Ma voi siete pure in grado di attestare che il conseguimento di quegli obiettivi si volge a beneficio dei singoli soci. Voi sapete quindi che il bene dei singoli membri può essere portato a coincidere con quello di tutti e che il bene comune si rivela più grande della somma dei beni individuali; è un bene che supera, per qualità, la somma dei singoli beni individuali.


5. E' su questo aspetto specifico che desidero soffermarmi in occasione di questo nostro incontro faentino. Vi è infatti il pericolo che i criteri per misurare il successo delle cooperative siano desunti soltanto dai risultati di mercato, siano cioè tratti esclusivamente dai vantaggi materiali che esse offrono ai soci.

Ebbene, occorre dire che una prospettiva così riduttiva non può essere armonizzata con la visione cristiana della persona. Essa infatti ne umilia la dimensione spirituale sottovalutandone la creatività e la capacità di apporto originale al complesso reticolo dei rapporti sociali. Occorre assumere i progressi fatti attraverso gli sforzi cooperativi nel contesto di un più elevato livello di valori, nel quale la persona sia riconosciuta e valorizzata in ogni sua dimensione. E' la persona, infatti, la vera misura di ogni iniziativa volta a favorire un cammino di crescita e di progresso.


6. Richiamare un simile principio equivale ad affermare che il criterio quantitativo non è di per sé mai sufficiente. Deve essere integrato col criterio qualitativo, che è dato dalla maggiore o minore valorizzazione delle capacità della persona nel contribuire con scelte responsabili alla promozione del bene comune. Tale valorizzazione, infatti, porta alla scoperta che il raggiungimento del bene di ogni membro supera i suoi interessi personali e costruisce una situazione che è qualitativamente migliore per tutti. Avviene così che, tramite la cooperativa, i singoli membri apprendono che la solidarietà negli sforzi per raggiungere il progresso materiale non è pienamente soddisfacente, se non si esprime anche nella solidarietà degli spiriti, e sperimentano che la partecipazione caratteristica della cooperativa chiede di completarsi nella condivisione caratteristica della solidarietà fraterna. Il servizio che voi rendete al gruppo diventa così un atto fraterno, aperto a trasformare in profondità le vostre vite, rafforzandovi nei vostri valori trascendenti.

Tutti voi, ne sono certo, avete in un modo o in un altro sperimentato quanto ho appena detto. Attività, cominciate in comune con altre persone aventi gli stessi scopi, diventano valori che ci si partecipa a vicenda nel contesto di un clima di vera amicizia; e si finisce così per scoprire che c'è in gioco qualcosa di più del puro profitto e che l'impegno di tutti supera il semplice lavoro in comune. Ci si ritrova allora in modo nuovo colleghi gli uni degli altri, e ci si accorge che il lavoro fatto insieme porta un bene più grande, non solo a se stessi ma anche a coloro che beneficiano dei risultati del lavoro comune. Voi avete potuto così constatare che il frutto del vostro lavoro ha un significato e un valore che va oltre il prodotto in se stesso per divenire mezzo di comunicazione e testimonianza di ciò che è ognuno di voi, di ciò che siete tutti voi insieme.


7. Le cooperative appartengono a quegli organismi che nella enciclica "Laborem Exercens" (LE 14) ho chiamato "corpi intermedi". Esse infatti costituiscono una via fra tante altre, per associare, per quanto possibile, il lavoro alla proprietà e al capitale. Tale associazione è capace di "dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita".

Questa nozione di "corpi intermedi", già utilizzata nella enciclica "Mater et Magistra", è anche in relazione col "principio di sussidiarietà", secondo il quale il potere pubblico non deve sostituirsi all'iniziativa dei cittadini, sia essa individuale o associativa, nel campo economico, sociale e culturale. Per questo motivo l'insegnamento sociale della Chiesa ha incoraggiato e promosso le diverse forme di associazione nei vari campi dell'attività umana, sottolineando l'importanza dei mezzi capaci di esprimere la doppia dimensione, personale e sociale, dell'essere umano. Questi mezzi, allo stesso tempo di "socializzazione" e di "personalizzazione", quali i sindacati, le organizzazioni professionali, le cooperative di diverso tipo e altre simili associazioni, dovranno ovviamente essere sempre regolate e misurate col metro delle esigenze del bene comune.


8. In questa prospettiva ci si rende conto come il successo - e persino l'insuccesso - materiale di una società possano diventare via alla scoperta dell'esistenza di un bene più grande della somma dei beni materiali ricevuti.

Quando si è compreso questo, allora si è in grado di capire il valore fondamentale che le cooperative promuovono: è il valore di una vita umana migliore, perché aperta alla percezione più profonda del senso vero di ogni impegno umano, che è il senso della comunione. Ed è allora chiaro che il risultato di tale impegno non può più essere misurato solamente col metro del profitto ricavato o del successo di mercato. Il risultato vero risiede nel fatto che "mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità ma anche realizza se stesso come uomo e anzi, in un certo senso, "diventa più uomo"" (LE 9).


9. Prima di concludere, voglio scendere a un'applicazione finale, che è più di un appello. Quando nella "Laborem Exercens" ho trattato della questione del lavoro agricolo, ero soprattutto preoccupato dei milioni di persone dei Paesi in via di sviluppo, che non hanno i mezzi di produzione e i sussidi previdenziali considerati normali nelle società più evolute. In quel documento (n. 21) dicevo che "in molte situazioni sono necessari cambiamenti radicali e urgenti per ridare all'agricoltura il giusto valore come base di una sana economia".

Desidero ora invitare tutti voi a vedere fin dove è possibile usare l'esperienza che avete acquisito, le capacità tecnologiche raggiunte, le migliori conoscenze accumulate circa l'uso appropriato delle risorse a servizio del bene di altri. Vi invito a cercare il modo di mettere in comune questo ricco patrimonio di conoscenze e i positivi risultati da voi raggiunti con coloro che aspirano a emularvi nei Paesi in via di sviluppo. La ricompensa sarà grande e consisterà non solo nell'allargamento delle conoscenze di cui potete disporre, ma anche, e soprattutto, nella gioia di rendere altre persone capaci di farsi carico del loro futuro in aree del mondo che si apriranno alla speranza di un miglioramento proprio grazie alle conoscenze di cui voi li renderete partecipi. Ciò sarà per voi e per tutti un nuovo bene. E non è "questo nuovo bene - frutto del lavoro umano - una piccola parte di quella "terra nuova" dove abita la giustizia" (LE 27)? Cari fratelli e sorelle, prego per voi e per le vostre famiglie, per il vostro lavoro e per il frutto della vostra fatica. Prego perché la solidarietà, la partecipazione e il servizio comune, che hanno caratterizzato le vostre cooperative per il bene dei soci, diventino bene di fraternità e di realizzazione per gli altri. Allora queste fatiche porteranno un frutto che supererà gli obiettivi iniziali, diventando così un contributo di arricchimento umano, culturale e spirituale per tutta la società.

Dio benedica voi e il vostro solidale impegno!

Data: 1986-05-10 Sabato 10 Maggio 1986




Saluto alla popolazione - Brisighella (Ravenna)

La filiale devozione alla Vergine delle Grazie


Ringrazio il signor sindaco e mons. arciprete per le toccanti espressioni che mi hanno rivolto. Sono tanto contento di essere qui. Sin dal momento in cui si è programmata la visita pastorale in Romagna, sapevo che Brisighella aveva un titolo particolare perché io venissi tra voi: è il motivo del pensiero riconoscente del Papa e della Santa Sede per gli illustri cardinali e presuli, vostri concittadini, che hanno servito in modo così segnalato la Chiesa.

Ricordo particolarmente i due fratelli Lega, cardinale Michele, eminente giurista, e arcivescovo Antonio, pastore per lunghi anni a Ravenna; e i due fratelli Cicognani, cardinale Gaetano, che promosse le prime riforme della sacra liturgia negli anni anteriori al Concilio, e cardinale Amleto Giovanni, segretario di Stato di Giovanni XXIII e di Paolo VI, nel tempo del Concilio Vaticano II, a cui egli diede il contributo della sua saggezza e del suo grande equilibrio. Mi piace vedere unito a queste alte personalità l'umile padre Igino Bega, religioso gesuita, ricordato come eroe della carità e apostolo della devozione al Sacro Cuore.

Voi giustamente siete orgogliosi di questi e di altri vostri conterranei, il più antico dei quali fu mons. Andrea Callegari, che fondo la vostra Collegiata e che è caro anche a me per la sua missione di Nunzio in Polonia. Vorrei sottolineare il grande significato che ha per voi, per la comunità ecclesiale di Brisighella e della Valle, il fatto che essi, in questa cittadina, nacquero al mondo e alla fede, e furono educati all'amore a Gesù. Furono infatti le loro mamme e i loro padri a portarli al fonte battesimale della parrocchia, furono le loro famiglie dove si pregava ogni giorno, e i loro parroci che li incoraggiavano nella vocazione, ad avviarli al sacerdozio, trasfondendo nel loro animo la dedizione, la fedeltà e l'amore alla Chiesa. E fu la Madonna, che voi venerate qui col titolo di Vergine delle Grazie e lassù nel santuario con quello di Madonna del Monticino, e farli crescere buoni, attraendoli sulla via che li portava a divenire apostoli del suo Figlio.

So che la Madonna - alla quale Brisighella, più volte nei secoli, si è sentita debitrice di particolare gratitudine per speciali benefici e grazie - ancora vi riunisce tutti intorno a lei ogni anno, per le due feste maggiori, a maggio e settembre, e vi invito a rendere sempre più viva la devozione a lei nei cuori dei vostri figli, dei vostri bambini. Questo è il mistero di grazia della nostra vita cristiana: Maria ci porta a Gesù, la Vergine Madre sempre ci raccoglie intorno al suo Figlio salvatore.

Chiedo alla Vergine santa, sentinella amorevole e vigile di questa Valle di Lamone, di benedire oggi e nel futuro tutte le famiglie di Brisighella e degli altri centri del Comune e della Vallata, e di aiutare e proteggere in ogni occasione la vostra cara gioventù.

Data: 1986-05-10 Sabato 10 Maggio 1986




Omelia alla Messa per le famiglie - Brisighella (Ravenna)

Rivolgersi fiduciosi a Dio garante dell'indissolubilità



1. "Dio mando il suo Figlio, nato da donna". Con queste parole san Paolo professa la divina maternità di Maria. Il Figlio di Dio, nascendo da una donna, si fa Uomo.

Come vero Uomo realizza l'eterno disegno di Dio Padre: che noi uomini, cioè, ricevessimo l'"adozione a figli". Quindi non siamo più "schiavi" - insegna l'apostolo - ma siamo figli. "E se figli, siamo anche eredi per volontà di Dio". E che noi siamo figli, ne è prova il fatto che "Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre!" (Ga 4,4-7).

Così dunque per volontà del Padre siamo diventati figli di adozione divina: figli nel Figlio. Questa nostra "adozione" mediante la grazia si attua nella Potenza dello Spirito Santo. Colei che ha dato la vita umana al Figlio eterno di Dio, la Madre di Cristo, è pure la nostra Madre per grazia. E' Madre della divina grazia.


2. Pronuncio questa professione di fede, corrispondente all'insegnamento apostolico e all'intera Tradizione della Chiesa, insieme con voi tutti, cari fratelli e sorelle, qui a Faenza, dinanzi all'effigie tanto venerata della Madre di Dio: la Madonna delle Grazie.

E' per me motivo di intima gioia potermi trovare con voi davanti a questa effigie così caratteristica, che tanto ha segnato di sé la vostra storia, nelle ore liete come in quelle buie, e soprattutto - si direbbe - in queste ultime, richiamando i cuori a una sempre rinnovata fiducia nel soccorso della Madre di Dio, che non è mai mancato.

La devozione alla Madonna delle Grazie, originata nel Quattrocento presso la chiesa dei padri Domenicani, divenne poi una devozione cittadina, e tanto essa fiori e divenne feconda, da estendersi fino alta lontana Polonia - a Varsavia e a Cracovia - e persino in Lituania. La devozione alla Madonna mi lega pertanto a voi, carissimi cittadini di Faenza, in modo particolare.

Le porte stesse delle vostre case sono spesso segnate dalla presenza dell'immagine della Vergine, la quale si presenta di frequente nelle forme gentili e delicate di quell'arte della ceramica, che ha resa la vostra Città famosa in tutto il mondo. Sia ancor oggi e sempre la Madonna delle Grazie protettrice e patrona della vostra Città, col suo dolce e materno richiamo ai cuori pentiti a confidare nella misericordia di Dio.

Davanti a questa venerata effigie, desidero salutare cordialmente tutti i presenti: le autorità religiose e civili, il vescovo mons. Tarcisio Bertozzi, il clero, i religiosi e le religiose, i ministranti, i malati, gli anziani, i sofferenti, i giovani, tutto il popolo di Dio presente a questa celebrazione liturgica. Saluto nello stesso tempo tutte le comunità di Modigliana.


3. "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mando il suo Figlio, nato da donna" (Ga 4,4). In questa nascita del Figlio, del Verbo eterno da una donna: dalla Vergine nazaretana, si realizza una specialissima unione. L'unione della divinità con l'umanità nella divina persona del Figlio. L'Unione ipostatica, cioè personale. Questa unione è - secondo la testimonianza dell'intera rivelazione - manifestazione di un particolare amore di Dio per l'uomo. Quest'amore riveste tratti sponsali. Assomiglia all'amore che unisce lo sposo alla sposa. E' proprio di tale amore di Dio verso l'uomo che hanno dato testimonianza i profeti dell'Antico Testamento: Isaia, Osea, Ezechiele. Si trattava, secondo loro, di amore non soltanto verso un individuo, ma verso l'intero popolo eletto, verso Israele. Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Efesini riprende lo stesso argomento: Cristo è Redentore e insieme Sposo della Chiesa - sua sposa. Il suo amore verso l'uomo ha un carattere redentore e sponsale. Secondo l'insegnamento contenuto nella suddetta Lettera, questo amore sponsale di Cristo verso la Chiesa è sorgente e modello dell'amore, che nel "grande mistero" (il matrimonio) (Ep 5,32) unisce gli sposi. Il matrimonio sacramentale è immagine e partecipazione del "sacramento" degli sponsali del divino Sposo con la Chiesa.


4. Sullo sfondo di questa dottrina rivelata, l'avvenimento riferito dall'odierno Vangelo assume una particolare eloquenza. All'inizio del suo servizio messianico, Gesù di Nazaret si trova a Cana di Galilea per un banchetto di nozze. E non è neanche solo: vi è là sua Madre, ed egli ha condotto con sé i suoi discepoli. Ciò manifesta l'importanza che egli ha voluto dare all'avvenimento, e potrebbe a tutta prima sorprendere. Difatti, i Vangeli ci presentano Gesù tutto dedito "alle cose del Padre celeste" (cfr Lc 2,49); la sua missione, per sua esplicita dichiarazione, è tesa a fondare il "regno di Dio", che non è un regno "di quaggiù", di "questo mondo". La sua partecipazione a un banchetto di nozze sembrerebbe a tutta prima essere in contrasto con i suoi interessi e il suo stile di vita. E invece non è così. Il Maestro divino vuole insegnarci come orientale al regno di Dio le cose di questo mondo. Le nozze di Cana sono un episodio caratteristico di questa pedagogia divina che Gesù usa nei nostri confronti, per farci capire come i valori umani autentici possono e devono servire a un destino che trascende i limiti della vita terrena.


5. La presenza di Gesù alle nozze di Cana, se vogliamo comprenderla bene, va intesa anch'essa come un gesto col quale Gesù vuole orientarci verso il regno di Dio e farci "pensare alle cose di lassù" (cfr Col 3,2). In quell'episodio, il Signore ci vuol richiamare al significato profondo, spirituale, dell'amore coniugale, un amore che, per essere segno e partecipazione dell'amore stesso che intercorre tra Cristo e la Chiesa, non può evidentemente essere alla mercé delle contingenze e degli imprevisti della vita presente, ma può e deve aprirsi, come legame interpersonale, indissolubile e incorruttibile, alle prospettive sconfinate del regno di Dio e della vita eterna.

E' il richiamo a questo modello supremo e trascendente, illustratoci nella Lettera agli Efesini, che costituisce il criterio di una scelta coniugale veramente felice e conforme alla volontà di Dio, nonché la forza che sostiene e salva l'amore nei momenti della prova, facendolo uscire più puro, più profondo, più fecondo.

Vagliare i propri affetti e sentimenti alla luce di quel criterio, vuol dire saper riconoscere in essi ciò che può garantire un amore autentico e un matrimonio veramente cristiano: il matrimonio come sacramento. Vuol dire poter discernere quell'ideale di amore e di fecondità al quale, con l'aiuto della grazia, si dovrà e si potrà restare sempre fedeli.


6. Il mutuo consenso che si prestano un uomo e una donna, quando intendono contrarre il matrimonio cristiano, non è soltanto l'espressione di un umanissimo sentimento e patto d'amore che li coinvolge per tutta la vita, ma è anche e ancor più il "si" che si pronuncia davanti a un mistero di fede, al quale essi s'impegnano di essere partecipi: il mistero stesso del loro matrimonio come riflesso e immagine dell'unione mistica e sponsale tra Cristo e la Chiesa.

Sposarsi, quindi, per due cristiani, è innanzitutto un atto di fede, è un far entrare il loro affetto umano nell'ordine soprannaturale, è un affidare a Dio il loro amore, così che Dio stesso se ne prenda cura, garantendolo con la sua grazia e la sua benedizione. Secondo le parole stesse del divino Maestro, non sono tanto loro a unirsi, quanto è piuttosto il Padre celeste che li unisce. E loro dovere principale sarà quello di non spezzare questa unione. E ci riusciranno nella misura in cui ricorderanno che Dio stesso si è fatto garante di quell'unione e quindi, nei momenti difficili, a lui ricorreranno con piena e illimitata fiducia.


7. Carissimi sposi novelli, il Signore è particolarmente vicino a voi in questo momento tanto importante e tanto decisivo della vostra vita. E' vicino a voi per trasformare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e così nobili con quelli della sua grazia; è vicino a voi per rendere stabile e indissolubile il vincolo che vi unisce; è vicino a voi per sostenervi e per accompagnarvi con la sua grazia nella vita che oggi iniziate insieme ai piedi dell'altare.

Voi, cari novelli sposi, rappresentate davanti ai nostri occhi l'innumerevole schiera delle famiglie della Romagna che, con la benedizione di Dio, hanno posto le fondamenta della loro "chiesa domestica", come il Concilio ha chiamato la famiglia. A tutte le famiglie di Faenza e della Romagna il mio cordiale saluto e il mio benedicente augurio di ogni bene.


8. così dunque, dinanzi alla Madonna delle Grazie di Faenza, meditiamo sull'importanza del sacramento che l'apostolo chiama "mistero grande in riferimento a Cristo e alla Chiesa" (cfr Ep 5,32). E questo sacramento si svolge oggi in un periodo particolarmente importante del ciclo liturgico della Chiesa.

Ecco infatti che nel 40° giorno dopo la risurrezione Cristo, ascendendo al Padre, ordina agli apostoli di aspettare nella preghiera la discesa dello Spirito Santo.

Leggiamo quindi negli Atti degli apostoli che "ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme... salirono al piano superiore (cioè al cenacolo)... erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con Maria, la madre di Gesù" (Ac 1,12-14).

Questo permanere della comunità apostolica nella preghiera insieme con Maria ha preceduto il momento della nascita della Chiesa nel giorno della Pentecoste. In questo giorno lo Spirito di Verità, il Paraclito-Consolatore discese sugli apostoli in modo sensibilmente percepibile. Ne furono testimonianza l'impetuoso rombo del vento, le lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno dei presenti, e il dono di parlare in altre lingue: preannunzio della missione apostolica tra tutti i popoli.

Tuttavia, più ancora che nei segni esterni, la venuta dello Spirito Santo si è manifestata nella trasformazione interiore degli apostoli. Sotto il suo soffio essi diventarono spiritualmente capaci di rendere testimonianza a Cristo crocifisso e risorto. La Madre di Dio fu presente alla nascita della Chiesa. Vi partecipo maternamente così come a Cana di Galilea durante le nozze.


9. Qui, ora, presenti davanti all'immagine della Madonna delle Grazie, dobbiamo renderci consapevoli che essa esprime il mistero mirabile della Maternità divina.

Il mistero di Nazaret. E quello di Betlemme. E quello di Cana di Galilea. E quello del cenacolo della Pentecoste: Maria presente in modo particolare nel mistero di Cristo e della Chiesa, come insegna il Concilio Vaticano II. Presente quando, col sacramento del matrimonio, prende inizio la "Chiesa domestica". Presente di generazione in generazione, come particolare testimone dell'amore di Dio verso l'uomo e dell'amore sponsale di Cristo per la Chiesa.

E a tutti noi, nelle diverse circostanze, nei momenti gioiosi e in quelli tristi, nel tempo della prova e della sofferenza, all'inizio o alla fine della nostra vita, ella ripete incessantemente le stesse parole che ha pronunziato a Cana di Galilea: "Fate quello che (egli) vi dirà" Jn 2,5).


10. Divina Madre delle Grazie, Madre di Dio e celeste patrona di Faenza, non cessare di ripetere queste parole a noi tutti! Tu, che il popolo di Dio in questa terra ama e venera come Madre. Tu, nella quale esso ha fiducia senza limiti e alla quale si affida in ogni cosa, non cessare di condurci a Cristo! Nella vita e nell'ora della morte. Amen. [Al termine della concelebrazione:] Prima di partire e prima di concludere questa nostra assemblea eucaristica, voglio affidare ancora una volta con tutto il cuore alla Madonna delle Grazie gli sposi novelli. Assieme con loro voglio affidare a Maria tutti gli sposi, tutte le famiglie della vostra città e diocesi di Faenza e Modigliana.

In questo giorno che è anche per me un giorno molto felice a motivo di questa visita da tempo attesa, vorrei ringraziare la Madonna Faentina per tutta la sua protezione, non solamente per la vostra Città e per l'Italia, ma anche per la mia Patria. Sono nomi diversi, luoghi diversi, sia Faenza, sia Czestochowa, sia Lourdes, sia Fatima i posti prediletti, ma dappertutto e dovunque c'è sempre la stessa Vergine Madre di Dio, Madonna delle Grazie. E quando lo diciamo, siamo qui, carissimi fratelli e sorelle, davanti a un oceano immenso e insondabile perché così immenso e insondabile è il mistero della Grazia divina.

Vogliamo essere, carissimi fratelli e sorelle, in questa nostra assemblea eucaristica di oggi universali; vogliamo pensare a tutte le Grazie di Dio dappertutto e dovunque in ogni cuore umano. Grazie che sono talvolta sconosciute e solamente conosciute forse da un cuore nascosto; forse in prigione, forse nella sofferenza, forse nell'ultimo momento della vita. Tutta questa dimensione viene toccata quando parliamo della Grazia di Dio e quando invochiamo la Madonna delle Grazie.

Lascio alla vostra città e Chiesa di Faenza questa missione che viene espressa con il nome amatissimo, Madonna, Maria, Vergine Madre di Dio delle Grazie. Vorrei offrirvi di nuovo questo carisma con cui la vostra Chiesa vive da tanti secoli e che viene espressa con questa immagine, tradizione, religiosità e devozione alla Madonna delle Grazie. Ringraziando lei per le grazie dell'odierno incontro, ringrazio nello stesso tempo anche tutti voi e ciascuno, in qualche modo partecipi di quest'incontro, della sua preparazione ed efficacia ecclesiale, soprannaturale e carismatica.

Ringraziamo allora la Madonna che costituisce il segno della divina Provvidenza e il carisma della vostra Chiesa. Davanti a lei lasciamoci tutti insieme uniti nella gratitudine reciproca e continua. Amen.

Data: 1986-05-10 Sabato 10 Maggio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Incontro con la popolazione - Faenza (Ravenna)