GPII 1986 Insegnamenti - Ai lavoratori nello stabilimento dell'ANIC - Ravenna

Ai lavoratori nello stabilimento dell'ANIC - Ravenna

Senso della solidarietà per vivere e crescere insieme


Carissimi.


1. Mi avete dato il benvenuto fra voi e io l'ho gradito, perché viene dal mondo del lavoro, al quale mi sento di appartenere da sempre. Sono molto lieto di incontrarvi e vorrei salutarvi ad uno ad uno, quasi chiamandovi per nome, come si fa tra familiari. Sarà un incontro purtroppo breve: presto ognuno riprenderà il suo posto, ma avremo passato insieme un'ora della nostra esistenza, conoscendoci, anzi riconoscendoci fratelli, figli dello stesso Padre.

Molto significativo è il fatto che questo nostro incontro sia posto all'inizio della mia visita alla città di Ravenna, quasi una primizia dunque; e che si svolga qui, in questo stabilimento che, insieme con lo sviluppo del Porto, ha determinato la trasformazione industriale della Romagna.

Ho saputo com'era la vita in Romagna anni fa, al tempo dell'arginatura dei fiumi: gli anni della dura fatica degli "scariolanti". Se nel giro di pochi decenni questa terra ha potuto compiere passi così significativi nella via dello sviluppo sociale ed economico, se città e paesi hanno potuto rinascere e le famiglie ricuperare un livello di vita degna di uomini, lo si deve alla capacità di iniziativa e alla laboriosità che accomuna tutti voi che siete impegnati sul vasto fronte del lavoro: lavoratori, imprenditori, dirigenti e tecnici, dei vari settori dell'industria, dell'agricoltura, del commercio, dell'artigianato, della cooperazione, del turismo. Voglio qui riunire in un'unica attestazione di stima e in una medesima parola di fiducia e di incoraggiamento coloro che operano nei grandi complessi, come questo stabilimento dell'ANIC; nella vasta rete di aziende di minori dimensioni, ma non meno necessarie e importanti; nelle molte attività commerciali e artigiane, in larga misura legate al turismo, nelle quali trovano peculiare espressione quelle doti di cordialità, schiettezza, comunicativa che hanno reso giustamente famosa la gente romagnola.


2. Ma io so che quanti siete qui stasera, imprenditori e lavoratori, avete in cuore l'identica preoccupazione, per la crisi che ha investito il mondo del lavoro: aziende che chiudono e braccia senza lavoro, aziende che vacillano e lavoratori in stato di tensione. Due sono le conseguenze più manifeste: ricompaiono aree di povertà e si blocca l'accesso dei giovani al lavoro. Riemerge così quel fenomeno della disoccupazione che, "quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale", si da far temere per la tenuta delle stesse istituzioni (LE 18).

Non vi fate meraviglia se il Papa insiste su questo tema. Sono venuto in Romagna, su invito dei vostri vescovi, per aiutare le comunità cristiane a prepararsi al terzo millennio. Ora, questo, del rapporto tra sviluppo economico e lavoro, si presenta già come il problema dominante dei prossimi decenni; e si rivelerà sempre più di importanza mondiale. Basta pensare che ad esso è collegata la vittoria sulla fame e la liberazione umana di interi continenti. Tutto ciò richiederà un immenso sforzo comune di tutti: economisti, ricercatori, poteri pubblici, imprenditori e lavoratori con le loro rappresentanze sindacali. Ciò vuol dire anche quando la Chiesa, di fronte alla realtà della disoccupazione, riflette sui rapporti tra lo sviluppo tecnico-economico e i principi morali che ne stanno alla base, non deborda dal suo campo, né si perde in astrattezze: l'accelerazione della storia sta già dimostrando la rilevanza sociale dei principi morali.


3. Tornando alla Romagna, è noto che a determinare la crisi del lavoro ha contribuito notevolmente l'introduzione dell'automazione in molti campi della produzione: e tutti, lavoratori e imprenditori, siamo consapevoli delle difficoltà e dei problemi che tali trasformazioni portano con sé. Tuttavia il nostro atteggiamento di fronte ai progressi della tecnologia non può essere il rifiuto o il timore. "La tecnica è indubbiamente un'alleata dell'uomo. Essa gli facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accelera e lo moltiplica" (LE 15).

Possiamo aggiungere, citando la recente "Nota pastorale" dei vostri vescovi, che le nuove tecnologie "possono esaltare la creatività delle persone nel processo di sviluppo, liberando l'uomo dei suoi aspetti più alienanti e ripetitivi".

La tecnica e le macchine anche più sofisticate sono dunque frutto e strumento del lavoro umano; ma il vero soggetto del lavoro rimane sempre e soltanto l'uomo. Lo strumento non può essere eretto a protagonista e venir posto al di sopra dell'uomo lavoratore senza un capovolgimento dell'ordine della realtà e una funesta inversione tra i mezzi e il fine. L'esperienza di questi anni conferma che la tecnica, se il suo impiego non è guidato e illuminato da un superiore criterio morale, può trasformarsi da alleata quasi in avversaria dell'uomo, come quando la meccanizzazione del lavoro "soppianta" l'uomo, sottrae l'occupazione a molti lavoratori o, mediante l'esaltazione della macchina, riduce l'uomo a esserne servo (cfr LE 5).

Siamo chiamati a dominare il cambiamento e non a esserne dominati. Ma ciò potrà avvenire solo nella misura in cui riusciremo a superare quella frattura fra l'etica e l'economia che ha impedito alle grandi conquiste dell'epoca moderna di tornare pienamente a vantaggio dell'uomo.


4. Nel contributo a ricomporre una simile frattura, vorrei collocare anche il senso della mia venuta tra voi, lavoratori e imprenditori di Romagna. Voi sapete che, mentre in passato si tendeva a presentare il lavoro come l'unica fonte e l'unica misura del valore dell'uomo, ora emergono prospettive dette "funzionali", secondo le quali il lavoro avrebbe senso soltanto come occupazione in vista del guadagno. Proprio per questo, diventa più che mai necessario recuperare la convinzione che "il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra", a condizione pero di non porsi come fine ultimo, ma di subordinarsi a quel fine che è l'uomo (LE 4 LE 6).


5. Da questa verità, carissimi lavoratori e imprenditori, sale a tutti voi un appello pressante: l'appello della solidarietà. Da sempre gli uomini, per vivere e crescere insieme, hanno avuto bisogno di trovare le vie dell'intesa, dell'aiuto reciproco, della collaborazione. La solidarietà ha le sue leggi: essa richiede che nessuno ambisca a un ruolo egemonico, ma sia invece disposto a riconoscere le funzioni di altre forze e componenti e ad accogliere in maniera costruttiva i loro contributi. Ciò vale all'interno della singola azienda come nell'intero processo produttivo e più ampiamente nella vita sociale.


6. Collocati nella prospettiva della solidarietà, acquistano maggiore e più autentico significato i ruoli, diversi ma complementari, di ogni categoria impegnata nel lavoro e nella produzione. Agli imprenditori e ai dirigenti andrà riconosciuta la funzione di dare unità decisionale, coordinamento e dinamismo all'attività aziendale.

I lavoratori autonomi, assumendo continuamente in proprio responsabilità, impegni e rischi del lavoro, danno elasticità all'intero sistema produttivo e vanno opportunamente sostenuti sulla base del principio di sussidiarietà, per il quale né lo Stato, né alcuna società devono sostituirsi all'iniziativa dei singoli e delle comunità intermedie negli spazi in cui questi possono agire. A loro volta i lavoratori dipendenti hanno non solo il diritto a una giusta retribuzione, tale da consentire ad essi e alle loro famiglie un adeguato tenore di vita, ma sono anche chiamati a partecipare corresponsabilmente alle iniziative e alle decisioni che riguardano la vita delle aziende, e quindi anche il proprio futuro. Devono inoltre poter operare in condizioni tali che siano tutelati, insieme con la salute fisica, la dignità e gli spazi di creatività del lavoro umano: così essi potranno sentirsi autenticamente "comproprietari" del grande banco del lavoro (cfr LE 14-15).

Carissimi lavoratori e imprenditori, vi è ben noto come ogni diritto porti con sé un preciso dovere: questo principio di giustizia e di equità regola non soltanto i nostri rapporti reciproci, ma parimenti il contributo che ciascuno è chiamato a dare al bene comune. Se vogliamo una società più giusta, una migliore qualità della vita, dobbiamo tutti saper guardare al di là del nostro vantaggio particolare e immediato ed essere disposti a portare con lealtà la nostra parte degli oneri collettivi.


7. Vorrei ancora invitarvi ad allargare lo sguardo, al di là dell'ambito dei vostri diretti impegni di lavoro, in due direzioni, una più vicina e l'altra più lontana. La prima si riferisce ai rapporti umani all'interno dell'azienda. Il mondo del lavoro non è tutto nel contratto di lavoro, è anche nell'accordo di amicizia. Pienamente umano esso diventa solo quando, oltre la zona dell'utile, compare la fraternità, quella comunione degli animi che è ingrandimento della vita di ognuno nella partecipazione alla vita degli altri. Vi raccomando i giovani al primo contatto con il nuovo mondo, fate attenzione alla prima loro accoglienza: essi potranno riceverne un grande e significativo orientamento. Ricordatevi poi dei vostri impegni sociali. Mi riferisco in particolare al vostro rapporto con la famiglia: la solidità dei legami familiari ha costituito nel passato per la gente di Romagna un grande serbatoio di energie morali, con influssi largamente positivi in fatto di laboriosità e di rettitudine di comportamento. Oggi proprio la crisi della famiglia, che traspare dalle piaghe del divorzio e dell'aborto, dalla bassa natalità e dalla stessa riluttanza a contrarre il vincolo matrimoniale, potrebbe condurre a una perdita di significati e di valori, con conseguenze imprevedibili anche sul piano dell'impegno e della fedeltà al lavoro.

L'altra direzione, verso la quale desidero esortarvi a guardare, abbraccia lo spazio immenso dell'umanità sofferente e minacciata: dagli immigrati che cercano presso di voi un lavoro e un pane, fino alle moltitudini innumerevoli dei popoli della fame, passando attraverso tutti coloro che subiscono la tragedia della guerra, del terrorismo, della privazione dei diritti fondamentali, a cominciare da quello della libertà religiosa.


8. Ravenna è un antico faro di civiltà, che ha proiettato la propria luce tra oriente e occidente, tra popoli antichi e popoli nuovi. Ora anche attraverso il vostro lavoro, essa sappia contribuire alla realizzazione di una solidarietà universale che sia costruttrice di pace.

Questa mia visita allo stabilimento dell'ANIC vuol essere per tutti voi, lavoratori e imprenditori di Romagna, il segno dell'attenzione e della fraterna partecipazione della Chiesa alla vostra vita, ai vostri problemi, al vostro progresso spirituale e materiale. I vostri vescovi e le vostre diocesi hanno assunto l'impegno di sviluppare "un'organica pastorale sociale, che dia voce ai lavoratori e ai loro problemi nelle comunità ecclesiali, a livello parrocchiale, vicariale e diocesano, promuova e organizzi la presenza dei sacerdoti e dei laici cristiani negli ambienti di lavoro, assuma e condivida fraternamente le difficoltà dei disoccupati e delle loro famiglie, dando ragioni di speranza e di fiducia, anche attraverso iniziative di solidarietà volte a creare occasioni di lavoro". E io so che tali iniziative sono già state attuate nella vostra Romagna con esiti promettenti e soddisfazione diffusa. Il Signore benedica questi sforzi e questi propositi. Il mondo del lavoro, che spesso ha sofferto per primo di quel distacco tra fede e vita che ha condizionato negativamente le vicende della storia moderna e ha prodotto effetti contrari all'uomo, possa ora beneficiare di un rinnovato incontro con Cristo, redentore dell'uomo.

Con questo auspicio, che viene dal profondo del mio cuore, imparto a tutti e alle vostre famiglie la mia benedizione.

Data: 1986-05-11 Domenica 11 Maggio 1986




Saluto alla popolazione in Piazza del Popolo - Ravenna

Impegnandosi per l'uomo si può collaborare insieme


Signor sindaco e onorevoli autorità cittadine, cari fratelli e sorelle.


1. Con viva emozione prendo il mio primo contatto con questa vostra città, illustre per le memorie di un passato glorioso e per gli splendidi monumenti che ne abbelliscono piazze e contrade, ma insigne soprattutto per le doti dei suoi figli che, nel corso dei secoli, ne hanno reso grande il nome del mondo. Di qui irradio gli ultimi bagliori l'impero d'Occidente nel periodo tumultuoso del suo tragico tramonto; di qui s'avvio la provvidenziale fusione tra le giovani energie dei popoli barbari e le ricchezze culturali del genio romano; di qui si spinsero nella regione circostante i primi testimoni della fede cristiana. Tra essi grandeggia sant'Apollinare, il vostro primo vescovo, nel quale la chiesa ravennate riconosce il proprio padre spirituale, che con le sue fatiche e le sue sofferenze ha posto le salde radici della vostra storia cristiana.

Col cuore colmo dei sentimenti che questi pensieri solenni suscitano, io rivolgo a voi tutti il mio saluto deferente e affettuoso, mentre ringrazio tutte le autorità per la loro presenza e il signor sindaco per le nobili parole con cui mi hanno accolto, confermando le tradizioni di ospitalità di una popolazione che si è sempre distinta per generosità e cortesia.


2. In questa mia visita in terra di Romagna giungo a voi, ravennati, per attestarvi la mia stima e la mia amicizia, nel desiderio di incoraggiare l'impegno solidale per il bene comune. In questa prospettiva vorrei esprimere, innanzitutto, la mia convinzione che l'ordine etico, radicato in quello religioso, fonda più di ogni altro valore le scelte che occorre operare per fornire una sempre più completa risposta alle esigenze della vita personale e comunitaria. Proprio per questo la chiesa, sospinta da un acuto senso dell'umano e sorretta soprattutto dal divino messaggio che le è stato affidato, si sforza di immettere nella società il fermento della fede e della carità portate ad efficacia di vita, pur senza voler esercitare con mezzi puramente umani un qualche dominio esteriore. Uno sguardo al vostro passato conferma lo straordinario apporto che il cristianesimo ha saputo dare al progresso civile della vostra città, suscitando personaggi di grande levatura umana oltre che di santa vita, e insieme determinando quella fioritura di bellezza nei vari campi dell'espressione artistica, di cui anche noi oggi siamo testimoni ammirati e riconoscenti. E non è, a questo proposito, significativo che proprio in questa terra, che sta "su la marina dove 'l Po discende" ("Inferno" V, 98), abbia cercato e trovato rifugio il massimo poeta italiano, e che, qui fra le mura di questa città, egli abbia portato a compimento "il poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra" ("Paradiso" XXV, 1-2)? Egli seppe legare con un vincolo indissolubile le origini della lingua italiana ai grandi contenuti della fede cattolica, in una sintesi che ancora oggi costituisce il principio formatore dell'identità nazionale italiana. Le ceneri di Dante, che qui riposano, sono per voi, ravennati, motivo di comprensibile vanto, ma insieme costante e severo monito a non dimenticare quei valori cristiani di cui la "Divina Commedia" è celebrazione impareggiabile.


3. Poggiando su tali valori Ravenna ha svolto un compito storico di intelligente mediazione tra culture diverse, riuscendo a fondere insieme il mondo greco e quello latino, i barbari invasori e i "cives" romani. Non mancarono i periodi bui, nei quali la città pare dover soccombere sotto gli urti dell'avversa fortuna.

Sempre pero essa seppe trovare in se stessa la forza per risorgere a novello splendore: dai tempi dell'ultima Roma a quelli dei giovani regni barbarici, dai fasti dell'Esarcato bizantino a quelli del Sacro Romano Impero, dal periodo dei liberi comuni a quello delle signorie aristocratiche, nelle quali si distinsero alcune famiglie rimaste celebri, quali gli Anastagi e i Traversari, eternati da Dante.

Esempio mirabile di lungimirante saggezza e di perseverante coraggio quello offerto dai vostri antenati, cittadini di Ravenna! Esempio alla cui base sta l'inconcussa adesione ai fondamentali valori dell'uomo, ma anche l'attaccamento fermissimo alle superiori certezze della fede cristiana. Connubio, questo, tra valori umani e valori cristiani, dal quale può scaturire la grandezza anche della Ravenna di oggi.

Conosco, carissimi fratelli e sorelle, le accese tensioni ideologiche e politiche che hanno contribuito, soprattutto nel secolo scorso e all'inizio dell'attuale, ad appartare dalla chiesa alcuni strati della popolazione. Né mi nascondo l'incidenza che, in tal processo, ebbe la vicenda storica del "potere temporale" pontificio. Penso che oggi, col passaggio di generazioni, dopo la dolorosa esperienza di due grandi guerre e il cammino di progresso civile e sociale, dopo la felice composizione della "questione romana" a cui si è aggiunta la grande stagione del concilio Vaticano II, gli animi godano di una prospettiva più pacata e serena che consenta a tutti di percepire l'immagine vera della chiesa e della sua missione, quale i sacerdoti e i laici cattolici di questa terra generosa non avevano mai cessato di testimoniare.


4. L'unica ambizione della Chiesa di oggi è di servire l'uomo, sostenendolo nel suo cammino sulla terra, pur senza stancarsi di additargli al tempo stesso la meta eterna, nella quale soltanto può trovare pienezza di significato e di valore lo sforzo che egli quotidianamente esprime quaggiù. Della sincerità di questi intendimenti voi, ravennati, avete numerose prove sotto i vostri occhi. Penso, ad esempio, a iniziative quali l'"Opera per l'infanzia abbandonata" di mons. Giulio Morelli o quella "per i malati abbandonati" di mons. Angelo Lolli, istituzioni che hanno commosso e commuovono tuttora la gente di Romagna, la quale, se ha un carattere forte, ha pure un cuore molto sensibile alla pietà per i deboli e i sofferenti. Come non menzionare, poi, la "casa di accoglienza" per madri nubili, che da quattro anni è aperta a Cervia, e alle due che prenderanno avvio proprio in occasione di questa mia visita? Né posso tralasciare di ricordare il Centro CEIS per tossicodipendenti, attorno al quale si sono raccolti generosi volontari e che è oggetto di gratitudine da parte delle famiglie colpite da tale drammatico problema.


5. L'adesione sincera a Cristo ha come normale conseguenza la passione incondizionata per l'uomo, per la sua tutela e per la sua autentica promozione. Ed è precisamente sul piano di questo impegno per l'uomo che possono realizzarsi l'incontro, il dialogo e anche la collaborazione con chi, pur non condividendo la stessa fede religiosa, fa tuttavia propri i fondamentali valori connessi con la dignità umana. Più il cristiano vive coerentemente la propria fede, più è in grado di cooperare con gli altri uomini di buona volontà nel promuovere, come dice l'apostolo Paolo, tutto ciò che è vero, che è giusto, che è santo (cfr Ph 4,8).

Cittadini di Ravenna, questa intesa costruttiva deve realizzarsi in particolare nella vostra terra, che ha nel suo passato tradizioni tanto nobili al riguardo. Sia vostra ambizione dare testimonianza di concorde impegno in questa scelta a favore dell'uomo. Da essa dipende il futuro della vostra città. Ravenna conoscerà giorni degni del suo migliore passato, se saprà raccogliere tutte le sue energie per porle al servizio dell'uomo, senza precludergli la dimensione che trascende il tempo e si spinge nell'eterno.

Mentre auspico pace e vita operosa per tutti, rinnovo l'espressione dei miei sentimenti di affetto e prego con insistenza la Vergine santa, che qui è venerata nell'effigie della Madonna greca, perché sostenga con materna sollecitudine questo popolo, sul quale di vero cuore invoco la benedizione di Dio onnipotente.

Data: 1986-05-10 Sabato 10 Maggio 1986




Agli ammalati nell'Istituto Santa Teresa - Ravenna

Il dolore, enigma che trova conforto solo in Cristo


Carissimi fratelli e sorelle.


1. Sono lieto, all'inizio di questa giornata, di avere potuto visitare alcuni reparti di questo "Ospizio Santa Teresa", voluto e realizzato dallo zelo sacerdotale di don Angelo Lolli. A lui, che fu strumento docile del Signore ed esempio di dedizione totale ai fratelli sofferenti, va il mio pensiero riconoscente.

E' sempre per me motivo di profonda commozione incontrarmi con persone che, come voi, soffrono nel corpo e nello spirito: eccomi in questa Cappella per chiedere al Signore il dono della consolazione per ognuno di voi e quello della pace per il mondo intero. A tutti giunga il mio cordiale saluto, che si fa particolarmente affettuoso per i più piccoli, che sono qui ospitati. E, mentre mi rivolgo a quanti sono qui davanti a me, intendo essere vicino e abbracciare spiritualmente tutti i malati, ricoverati nei vari reparti.

A voi chiedo di diventare sempre più consapevoli della missione che il Signore vi ha affidato. Sapete che Cristo vi chiama a prendere parte alla sua stessa opera, come fratelli privilegiati? Non è facile capire questo, e ancor meno facile è accettarlo. Ma voi desiderate certamente realizzare tale ideale. Voi, come insegna san Paolo, avete ricevuto l'importante compito di completare nella vostra vita quello che manca alle sofferenze di Gesù in favore del suo Corpo, la Chiesa (cfr Col 1,24), e così contribuite ben da vicino a un avvenire di fraternità e a un'esistenza più accettabile e serena.

Nei momenti più difficili, quando la prova si fa particolarmente dura, auspico che vi tornino alla mente le consolanti parole del fondatore di quest'opera: "Non rimpiangiamo nessuna cosa di questo mondo, che possiamo aver perduta: consoliamoci della grande fortuna di amare, possedere, servire il buon Dio".


2. Tutti coloro per i quali il dolore è un drammatico enigma, cui sembra impossibile dare adeguata soluzione, troveranno conforto nell'esempio di Gesù, che si è avvicinato e incessantemente si pone accanto al mondo dell'umana sofferenza, prendendola su di sé. Egli, l'Innocente - come innocenti sono i bambini qui accolti e assistiti con cura - illumina il mistero della sofferenza con l'amore, il quale rende utile e salvifico il dolore. In lui, Dio ha fatto del soffrire e del morire uno strumento di redenzione e la porta per entrare nella vita senza fine.

Che la grazia di Dio dilati i vostri cuori, perché siate in grado di conoscere e comprendere l'amore profondo di Chi è luce e vita per tutti gli uomini (cfr Jn 1,4). Sappiate che Dio vi ama e vi è vicino. Egli conosce bene le vostre tribolazioni e insieme le vostre aspirazioni. La fede in lui vi sia sempre di luce e di conforto. Vi affido alla Vergine Maria. Abbiate per questa Madre dolce e sollecita una devozione costante e spontanea. Insieme con lei ricorrete a Dio per le vostre necessità materiali e spirituali. Rivolgetevi a lei, pregandola per la Chiesa: perché il Signore abbia sempre su questa terra il posto dovuto; perché ogni essere umano sia rispettato e amato, compreso e aiutato.

A tutti di cuore imparto la mia benedizione apostolica, propiziatrice di ogni bene.

Data: 1986-05-11 Domenica 11 Maggio 1986




Omelia concelebrazione in Sant'Apollinare - Ravenna

Le forze morali per una rifondazione dell'Europa



1. "Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria" (Ep 1,17). A lui, al Padre della gloria, si rivolgono oggi i nostri pensieri; a lui si indirizzano gli sguardi di noi raccolti in questa incomparabile basilica di Sant'Apollinare in Classe che da 14 secoli tramanda negli splendidi mosaici l'"Evangelium aeternum" dell'Apocalisse; a lui la Chiesa innalza il suo cuore, meditando il Mistero pasquale di Gesù Cristo nel suo momento culminante.

Insieme con la risurrezione è iniziata l'esaltazione di Cristo. Colui che spoglio se stesso e si fece obbediente fino alla morte di croce (cfr Ph 2,7-8), è stato esaltato da Dio. E' stato glorificato. Poiché il Dio di Gesù Cristo è il Padre della gloria. Questa esaltazione di Cristo - secondo il testo degli Atti degli apostoli - è durata qui, sulla terra, per 40 giorni dopo la risurrezione. Nel corso di questi giorni egli è apparso agli apostoli, parlando del regno di Dio (cfr Ac 1,3). Il 40° giorno "egli fu assunto in cielo" (cfr Ac 1,2). La liturgia odierna celebra questo evento. Il vero luogo dell'esaltazione di Cristo, della sua glorificazione non è la terra, ma il "seno del Padre".


2. Il "cielo" parla di un universo differente da quello della terra. Esso è l'"universo di Dio", di quel Dio che sussiste nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e che, al tempo stesso, "si realizza interamente in tutte le cose" (Ep 1,23) come "il Padre della gloria".

Questo "universo di Dio" è il luogo definitivo dell'esaltazione di Cristo. Là egli riceve l'adorazione come Eterno Figlio, della stessa sostanza del Padre e anche come Signore del creato redento. Infatti il Padre tutto "ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ep 1,22-23).

Cristo, il Signore del creato redento, esaltato nella risurrezione, glorificato nell'ascensione, continua a operare con la stessa potenza divina, che si è rivelata in lui sulla terra. Questa Potenza, suggellata nel mistero pasquale, conduce l'umanità e tutto il creato verso la gloria del Padre. Suo frutto è tutto il tesoro di gloria racchiuso nella sua eredità fra i santi, e, nello stesso tempo, è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti (cfr Ep 1,18-19). così, dunque, il giorno 40° dopo la risurrezione, solennità dell'Ascensione del Signore, ci parla anche della vocazione alla gloria, che l'uomo e tutto il creato devono trovare definitivamente in Dio, per mezzo di Cristo, asceso al cielo.


3. Questo è il giorno di una conclusione e, in pari tempo, il giorno di un nuovo inizio: giorno di una separazione e insieme inizio di una nuova presenza.

Fin dall'ultima cena Cristo parla con grande chiarezza agli apostoli della venuta dello Spirito consolatore. Dopo la risurrezione ritorna a questo preannunzio e a questa promessa. "Quella... che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni" (Ac 1,5). Quindi gli apostoli chiedono: "E' questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?", poiché il loro modo di pensare era ancora totalmente impregnato dalle attese della nazione, alla quale appartenevano, e di cui condividevano l'oppressione. La risposta di Gesù è la stessa, come sempre: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta" (Ac 1,8).


4. Vi sono i tempi della storia terrena dell'uomo, i tempi dei popoli e delle nazioni, delle loro cadute e delle loro riprese. Ma il "tempo" a cui pensa Gesù è un altro: "Avrete forza dallo Spirito che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,8). Dunque: un tempo diverso, una storia diversa, un regno diverso da quello terreno di Israele. Lo Spirito Santo vi condurrà fuori, sulle vie di Gerusalemme; e poi vi spingerà oltre, fino agli estremi confini della terra, a tutti i popoli, alle nazioni e alle genti, a tutte le lingue, culture e razze, ai continenti interi.

Il Salmo dell'odierna liturgia parla della stessa cosa: "Applaudite, popoli tutti, / acclamate Dio con voci di gioia; / perché il Signore è re di tutta la terra. / Dio regna sui popoli" (cfr Ps 46,2-3 Ps 46,9). Il regno che "non è di questo mondo", il regno di Dio, viene rivelato in queste parole ancora una volta - come introduzione all'ascensione, all'esaltazione di Cristo nella gloria del Padre. Questo regno si realizza mediante la storia dei popoli e delle nazioni, mediante tutto l'insieme della storia dell'uomo sulla terra. Si realizza per opera di Cristo: egli infatti è la pienezza di tutte le cose.

E' quindi necessario che si aprano più profondamente gli occhi dello spirito umano, che si aprano attraverso tutte le vicende della temporalità, mediante la storia del mondo, del mondo nostro contemporaneo. E' necessario che il Padre della gloria illumini gli occhi della mente di tutti, per far capire a quale speranza siamo chiamati in Cristo, a quale gloria! E proprio per questo Cristo dice agli apostoli: "Sarete battezzati in Spirito Santo... e mi sarete testimoni... fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,5 Ac 1,8).

Testimoni di Cristo! Testimoni della vocazione dell'umanità in Cristo! Insieme alla partenza di Cristo dalla terra, inizia il tempo di questa testimonianza: il tempo della missione apostolica, della missione della Chiesa tra le nazioni e tra i popoli. "Applaudite, popoli tutti, / acclamate Dio con voci di gioia". La vita umana sulla terra ha un suo significato splendido. L'uomo è abbracciato dalla salvezza di Dio mediante il mistero di Cristo; l'uomo è chiamato alla gloria.


5. Con senso di profonda commozione rifletto oggi con voi, carissimi fratelli e sorelle, su queste grandi verità del messaggio cristiano. E' infatti per me motivo di vera letizia spirituale trovarmi qui a Ravenna per questa solenne celebrazione, alla quale partecipano vescovi e parlamentari europei e le rappresentanze delle città di Romagna; una celebrazione che vuole commemorare l'11° centenario della morte di san Metodio. La vostra presenza sottolinea la vocazione storica di questa città, che è stata centro d'incontro tra Oriente e Occidente nel momento fervido in cui le culture del mondo germanico, longobardo, danubiano si fondevano con quella romana, per dare origine alla rinnovata società dell'Europa medioevale.

E non è senza un suo particolare significato che questa celebrazione avvenga nel giorno dell'Ascensione, nel quale abbiamo sentito risonare le parole di Cristo: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni" (Mt 28,19). Tali parole infatti sono un invito a oltrepassare i confini, a raggiungere ogni popolo, ogni nazione, a diffondere il messaggio di Cristo in ogni parte della terra. E' un invito che la comunità cristiana dell'antica Ravenna fece proprio con singolare impegno. Qui infatti venne costituendosi, già agli inizi dell'èra cristiana, una sorta di ponte ideale tra Oriente e Occidente, che nei secoli successivi poté essere percorso nell'uno e nell'altro senso: si avvio così quell'ininterrotto scambio di fede, di cultura e di civiltà tra i popoli e le Chiese, che tanto contribui all'affermarsi di una Europa unita nella fede, pur nella pluralità delle tradizioni locali.

Questa Città seppe esprimere le grandi verità che danno senso alla vita dell'uomo nella stupenda bellezza delle sue opere d'arte, nei mosaici, nelle basiliche, nelle pievi romaniche circostanti. In tali realizzazioni non c'è solo talento, arte, ispirazione, come è stato scritto, ma s'indovina qualcosa di misterioso che affascina l'intelligenza e la porta insensibilmente a riflettere sulla sorgente ispiratrice degli ignoti artisti di quei tempi lontani. "Questo qualcosa di misterioso è precisamente il mistero cristiano di una visione "cristocentrica" che dalla croce di Cristo si espande... Questa croce, segno e strumento della salvezza di tutti... brilla dovunque nel centro teologico di tutti gli edifici di Ravenna" (A. Frossard, "il Vangelo secondo Ravenna", p. 101).


6. Io saluto questa città che con straordinaria vigoria di immaginazione poetica è riuscita a scrivere in una pagina di autentica arte il Vangelo di Cristo, e formulo l'auspicio che a tutti i visitatori di questi luoghi l'immagine suggerisca l'annuncio del Signore e il desiderio di conoscerlo di più. Saluto l'arcivescovo di questa Chiesa, mons. Ersilio Tonini, saluto il clero, i religiosi e le religiose. Rivolgo un deferente pensiero alle autorità e saluto l'intera popolazione di Ravenna, auspicando che sia sempre fedele alla sua eredità cristiana.

San Metodio, del quale la Chiesa di Ravenna vuole ricordare l'11° centenario della morte, e il suo fratello Cirillo proteggano questa città, la cui storia è tutta una trama di scambi, prima tra il cristianesimo greco-bizantino e quello latino, e poi tra l'Europa di san Benedetto e l'Europa degli Apostoli Slavi. "Attuando il proprio carisma, Cirillo e Metodio recarono un contributo decisivo alla costruzione dell'Europa non solo nella comunione religiosa cristiana, ma anche ai fini della sua unione civile e culturale" ("Slavorum Apostoli", 27). Noi siamo grati a Dio per l'eredità a noi lasciata da questi due meravigliosi apostoli, che edificarono la Chiesa mossi dal senso della sua universalità e unità, ma non meno attenti alla multiforme varietà delle sue espressioni particolari. Il loro messaggio è un invito al continente europeo a riscoprire nel cristianesimo la comune radice e la forza per costruire la civiltà di domani. Nel ricordo dei santi Cirillo e Metodio io saluto con profondo affetto i vescovi d'Europa qui presenti e con deferenza ossequio i rappresentanti del parlamento europeo, auspicando per l'Europa dei nostri giorni un vero clima di fraternità, di pace, di comprensione e di intesa tra i popoli.


7. Facendomi interprete della viva speranza che pervade tutta la Chiesa, vorrei rivolgerne alle nuove generazioni cristiane, chiedendo loro di adoperarsi, con efficace impegno, per attuare una nuova evangelizzazione della società europea.

Sarà necessario riflettere sulle significative forze morali che hanno costituito l'originaria coscienza dell'Europa: il senso del diritto, l'unità nella molteplicità delle nazioni, la volontà di partecipazione responsabile, la creatività nell'arte e nel pensiero. Occorrerà inoltre cercare le vie di un rinnovato dialogo tra fede e cultura, riflettendo sulla situazione contemporanea e raccogliendo le promettenti prospettive che sembrano aprirsi a una più attenta valorizzazione del passato, grazie alla quale si potrà meglio comprendere il presente e, soprattutto, si potrà appoggiare su più solide basi la preparazione del futuro.

E' questo un compito che si impone specialmente ai giovani, ai quali l'Europa moderna lancia come una sfida. La rifondazione della cultura europea è l'impresa decisiva e urgente del nostro tempo. Per rinnovare la società, occorre fare rivivere in essa la forza del messaggio di Cristo, redentore dell'uomo.

Per questa impresa l'esperienza vissuta secoli addietro in questa Città acquista il valore di un simbolo ricco di luminosi insegnamenti: come Ravenna riusci a scrivere nei suoi monumenti la meravigliosa grandezza dell'annuncio evangelico nel corso di tempi particolarmente travagliati e difficili, così la presente generazione deve cercare di incarnare in nuovi modelli di pensiero e di vita il messaggio di pace e di fraternità, che scaturisce dalla fede in un unico Padre e in un unico Redentore. Occorre cioè tentare di ricostruire l'Europa secondo la sua vera identità, che è, nella sua originaria radice, identità cristiana.


8. In questa impresa ci accompagna Cristo, asceso al cielo, come ci ricorda la liturgia odierna, e che un giorno ritornerà. Il 40° giorno dopo la risurrezione sul pendio del monte degli Ulivi, verso Betania, Gesù lascio i suoi amici sulla terra. "Una nube lo sottrasse al loro sguardo" (Ac 1,9). La nube, secondo la Scrittura, è segno della presenza di Dio; segno che rivela e insieme vela la gloria della divinità.

Per gli apostoli questo avvenimento fu fonte di nuovo stupore, così come era avvenuto all'apparire del Risorto nel cenacolo il terzo giorno dopo la crocifissione. E allora udirono la voce: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo" (Ac 1,11).

E' venuto. E' passato attraverso la nostra storia, camminando sulla nostra terra. Ci ha lasciato il Vangelo e la croce come segno della salvezza. Ci ha lasciato nella risurrezione "la chiamata alla gloria". Poi se n'è andato.

Ritornerà.

La Chiesa lo professa tutti i giorni nella liturgia eucaristica: "Annunziamo la tua morte... Proclamiamo la tua risurrezione... Attendiamo la tua venuta nella gloria". Lo Spirito e la sposa dicono costantemente: "Vieni!" (Ap 22,17). La storia dell'uomo, la storia dei popoli e delle nazioni, delle culture e dei continenti è una preparazione a questa venuta definitiva. E' un'attesa. Un'attesa che non sarà delusa, perché lui ritornerà.

Data: 1986-05-11 Domenica 11 Maggio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Ai lavoratori nello stabilimento dell'ANIC - Ravenna