GPII 1986 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

"Discenda il tuo Spirito! Rinnovi la faccia della terra"



1. Cari Fratelli e sorelle, siamo riuniti qui con Maria, Madre di Cristo, come gli apostoli nel cenacolo di Gerusalemme. I giorni precedenti la festa di Pentecoste, dopo l'ascensione di Gesù da questa terra al Padre, furono per gli apostoli un tempo di preghiera particolarmente intensa. così deve essere anche per noi.

Dai nostri cuori, come già dai loro, si levi l'invocazione che bene esprime l'odierna liturgia: "Discenda il tuo Spirito e rinnovi la terra" (Ps 103,30). Cristo aveva detto: "Io preghero il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore" (Jn 14,16). Gli apostoli allora, insieme con Maria, si uniscono a questa preghiera del Maestro; domandano il Consolatore, che è lo Spirito di Verità; domandano il Paraclito.


2. "Discenda il tuo Spirito e rinnovi la terra". Sono soltanto loro a pregare così? Solo quella piccola comunità, unita a Cristo nella maniera più personale? Solamente loro? E' tutta la terra che prega allo stesso modo: tutte le creature, perfino quando mancano della voce e delle parole, innalzano questo grido: "Quanto sono grandi, Signore, le tue opere!... / La terra è piena delle tue creature... / togli loro il respiro, muoiono, / e ritornano nella loro polvere. / Mandi il tuo spirito, sono creati, / e rinnovi la faccia della terra" (Ps 103,24 Ps 103,29-30).

Lo Spirito è colui che dà la vita (cfr Jn 6,63). E' colui che rinnova la faccia della terra. Discenda il tuo Spirito!


3. L'uomo prega, facendosi voce di tutto il creato. Pregano gli apostoli riuniti con Maria nel cenacolo di Gerusalemme. Prega la Chiesa, a nome di tutta la creazione. La creazione infatti è stata sottomessa alla caducità (cfr Rm 8,20) a causa del peccato, il quale è contro lo Spirito che dà la vita.

Ed ecco, sotto ai nostri occhi cresce l'opera dell'uomo: lo splendido prodotto della scienza e della tecnica. Quest'opera svela come non mai la ricchezza nascosta della creazione. Ma svela anche la dimensione del peccato che è nel cuore umano e che si estende alla vita della società e alla storia dell'uomo.

Per questo cresce pure nel mondo il timore che la creazione, insieme all'opera dell'uomo, possa essere sottomessa a una caducità ancor più grande, a crisi e minacce di crescenti dimensioni. perciò, più che per le opere dell'uomo, la creazione mediante la preghiera dell'intera umanità grida per i figli di Dio: "attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (Rm 8,19).


4. Oggi siamo riuniti con la Madre di Cristo in questo cenacolo della Chiesa che è a Roma. Preghiamo il Signore così: "Permettici di parlare tutte le lingue del mondo contemporaneo: della cultura e della civiltà, del rinnovamento sociale, economico e politico, della giustizia e della liberazione, dell'informazione e dei mezzi della comunicazione sociale. Permettici di annunziare ovunque e in ogni cosa le grandi opere tue. Discenda il tuo Spirito! Rinnovi la faccia della terra, mediante "la rivelazione dei figli di Dio"".

[Dopo la preghiera:] Ho preparato una lettera enciclica sullo Spirito Santo. Sarà pubblicata il 30 maggio. Non volevo che passasse la Solennità della Pentecoste, senza anticiparne la notizia alla comunità cristiana. Incomincia con le parole che troviamo nel Credo niceno-costantinopolitano: "Dominum et vivificantem" ("E' Signore e dà la vita"). Essa costituisce una trilogia con le encicliche "Dives in Misericordia" e "Redemptor Hominis" dedicate al Padre e al Figlio. Si tratta pertanto di una trilogia trinitaria. Affido allo Spirito Santo questo nuovo testo, che ho preparato con profondo amore per lui e per la Chiesa e auspico che quanto ho Scritto valga a suscitare nei fedeli una sempre più viva devozione verso la Terza Persona della santissima Trinità, a cui Cristo, prima di salire al cielo, lascio il compito di guidare la sua Chiesa "alla verità tutta intera" (Jn 16,13).

Data: 1986-05-18 Domenica 18 Maggio 1986




Udienza a marinai britannici - Cercare nella preghiera il sostegno di Dio


Cari amici.

Sono felice di avere l'occasione di incontrarvi, ufficiali uomini della nave di Sua Maestà, Cardiff. Sono stato informato che siete di ritorno dopo diversi mesi di pattugliamento nell'Oceano Indiano e nel Golfo Persico. Spero quindi che la vostra visita a Roma e al Vaticano, specialmente alla tomba dell'apostolo Pietro, abbia un profondo significato personale e religioso per ciascuno di voi, e possa servire come momento di ristoro spirituale.

Il nome della vostra nave mi fa venire in mente ciò che ho detto alle migliaia di giovani che incontrai a Cardiff durante la mia visita in Gran Bretagna quasi quattro anni fa: "Attraverso la preghiera conosciamo Dio: per percepire la sua presenza nelle nostre anime, per ascoltare la sua voce che parla per mezzo delle nostre coscienze, e per custodire il suo dono di responsabilità personale per le nostre vite e per il nostro mondo" (Messaggio al Ninian Park, 2 giugno 1982).

Così esprimo la speranza che durante le vostre vite vi ricorderete, nella buona come nella cattiva sorte, di cercare il sostegno di Dio nella preghiera e di chiedere la forza per rispondere pienamente ai vostri doveri personali e professionali. Vorrei chiedervi di portare i miei più calorosi auguri agli altri membri della Compagnia Navale, alle vostre famiglie e agli amici a casa. Possa Dio benedirvi sempre.

Data: 1986-05-19 Lunedi 19 Maggio 1986




Omelia per l'Assemblea dei vescovi - Città del Vaticano (Roma)

La questione etica sempre più centrale nel nostro tempo



1. "...Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno" (Ac 4,10). E' precisamente nel nome di Gesù Cristo, cari e venerati fratelli, che noi siamo oggi raccolti intorno all'altare per celebrare, in comunione di sentimenti, il sacrificio eucaristico.

Ci unisce il medesimo amore a Cristo e alla Chiesa. Nel suo nome, rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto, nel quale vorrei sentiste vibrare il profondo affetto che nutro per voi. Condivido con tutto il cuore il vostro ministero e la vostra sollecitudine, le vostre difficoltà e le vostre speranze, le vostre sofferenze e le vostre gioie. E desidero esprimervi il mio apprezzamento per il vostro zelo pastorale e per le molteplici iniziative apostoliche che, come singoli e come Conferenza, siete andati assumendo in questi anni. E vi sono al tempo stesso grato per le tante dimostrazioni di profonda comunione col successore di Pietro.

Mi piace sottolinearlo in questa circostanza che ci vede raccolti "ad cathedram Sancti Petri", in questa patriarcale basilica verso la quale ogni giorno dirigono i loro passi pellegrini di ogni parte del mondo, per confessare, accanto alle sacre reliquie dell'apostolo, la loro fede nella Chiesa da Cristo fondata su Pietro. Domina su di noi l'immagine della divina Colomba che, dall'alto della vetrata, fra gli ori della "gloria" del Bernini, sembra voler discendere sulla nostra assemblea, portatrice di luce e di conforto.


2. Verso il divino Spirito si leva la preghiera, che sgorga dai nostri cuori in quest'ora particolarmente solenne; verso di lui si protende il nostro animo, consapevole delle difficoltà con cui deve misurarsi la Chiesa che è in Italia; da lui implora l'effusione di quei doni di sapienza e di intelligenza, di consiglio e di fortezza, di conoscenza e di timore del Signore, che sono indispensabili per guidare opportunamente il gregge del Signore.

Seguendo la parola di Dio dell'odierna Liturgia, desideriamo che nella nostra assemblea riviva quella costituita dagli apostoli nel giorno della Pentecoste e prima ancora quella del Giovedi santo. L'assemblea che si formo in quella sera intorno alla tavola della cena eucaristica, mentre Cristo pronunciava il suo discorso d'addio: "Io preghero il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore... per sempre" (Jn 14,16).

Cristo chiama dunque lo Spirito "il Consolatore". Il termine greco è "parakletos", che vuol dire anche "intercessore" o "avvocato". Gesù lascia lo Spirito come l'"altro consolatore", il secondo perché egli stesso, Gesù, è il primo consolatore, avendo portato per primo la buona novella. Lo Spirito Santo viene dopo la sua ascensione al cielo e grazie a lui per continuare mediante la Chiesa, la diffusione della buona novella nel mondo.


3. così dunque Cristo non lascia i suoi apostoli orfani. E neppure noi lascia orfani. Che cosa significa essere orfani? Significa non aver più i genitori. Non aver padre. Noi invece abbiamo un Padre. L'abbiamo in modo mirabile, anche dopo la dipartita di Cristo, poiché Cristo è nel Padre suo e noi, essendo in lui, come lui è in noi, grazie all'opera dello Spirito Santo (cfr Jn 14,22), possiamo sentirci in Cristo veri figli di quel Padre.

Abbiamo il Padre mediante la partecipazione al Mistero trinitario, quali figli nel Figlio. Abbiamo il Padre e vogliamo far parte di questa nostra ricchezza alla gente, ai fratelli e alle sorelle che vivono in Italia e nel mondo.


4. Abbiamo dunque il Padre per opera dello Spirito Santo, il Consolatore, e questa nostra sacra "eredità" è la risposta definitiva a tutte le carenze, inquietudini e povertà del "mondo". Al tempo stesso, questa "eredità" è causa del nostro contrasto nei confronti del mondo, perché, come ci ha ricordato Gesù nel brano evangelico poc'anzi proclamato, "lo Spirito di verità il mondo non lo può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce" (Jn 14,17).

Vi è qui, a ben guardare, la spiegazione più radicale delle situazioni di agnosticismo, di secolarismo o, addirittura, di ateismo da cui, con motivazioni e manifestazioni diverse, è travagliato il mondo odierno. Bisogno di un Padre, per non sentirsi orfani; rifiuto del vero Padre in Cristo, per l'incapacità di accogliere il dono dello Spirito di verità, che solo può portare al riconoscimento del Padre celeste. così dunque la nostra missione apostolica si svolge all'interno di questo fondamentale contrasto: contrasto col mondo "a causa" dello Spirito di verità.


5. Tale missione ci è stata trasmessa dagli apostoli. Cristo non nascose ai suoi apostoli questo "contrasto". Egli presento anzi se stesso come primo "segno" di contrasto e di contraddizione. Contemporaneamente, pero, egli sta dinanzi a noi come "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32). La missione che in lui ha il suo inizio e la sua sorgente è missione salvifica.

Gli apostoli, che uscirono dal cenacolo nel giorno di Pentecoste, avevano piena conoscenza di essere portatori di tale missione salvifica. Ne fanno fede le parole che abbiamo ascoltato da Pietro nella prima Lettura. Il Libro degli Atti lo presenta mentre "pieno di Spirito Santo" parla ai "capi del popolo" e agli "anziani". Egli parla come rappresentante di quel primo nucleo di Chiesa, che lo Spirito ha spinto fuori del cenacolo e indotto ad affrontare il confronto col mondo.

Lo spunto è la guarigione di uno storpio, ma la vera posta in gioco è l'atteggiamento che occorre assumere di fronte a Cristo. Le parole di Pietro sono decise e solenni: "Gesù è la pietra che, scartata da voi costruttori, è diventata testata d'angolo. In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,11-12).


6. Cristo è, dunque, la "pietra angolare" di questa missione salvifica. Una pietra che i "costruttori" hanno "scartato". Non solo quelli del passato, ma anche molti che vogliono essere i "costruttori" dei tempi nostri. Eppure resta vero, oggi come ieri, che "in nessun altro c'è salvezza". Non è il caso di avere complessi nell'affermarlo. Non ne ha avuti Pietro. Non ne hanno avuti i santi nel corso della storia. Non ne ebbe, in particolare, il santo di cui oggi facciamo memoria: quel san Bernardino da Siena che seppe portare in tante città della penisola la devozione al nome di Cristo, accendendo nelle anime il fuoco dell'amore per lui.

In Cristo solo c'è salvezza. E' una consapevolezza che la Chiesa ha ereditato - e noi con essa - dagli apostoli. Questa consapevolezza si è manifestata nel Concilio Vaticano II, ove è ricordato che la Chiesa "è spinta dallo Spirito Santo a cooperare perché sia eseguito il piano di Dio, il quale ha costituito Cristo principio della salvezza per il mondo intero" (LG 17).

Mossi da questa medesima consapevolezza voi vi siete raccolti per questa vostra assemblea, nel corso della quale vi soffermerete a riflettere in particolare sul tema: "Comunione e comunità missionaria". Voi vi interrogherete cioè su quali impegni comporti in concreto, per la Chiesa che è in Italia, la missione di annunciare Cristo "pietra angolare", sulla quale soltanto si può edificare l'autentica salvezza dell'uomo.


7. "Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno... costui vi sta innanzi sano e salvo" (Ac 4,10). Della salute dell'uomo dunque si tratta, del suo vero bene. Diverse sono le malattie, diverse le infermità che insidiano la salute dell'uomo, delle comunità, delle nazioni. Vi sono le malattie del corpo, vi sono le malattie dello spirito.

Su queste ultime si è soffermato con particolare preoccupazione il vostro presidente, il card. Poletti, nella sua prolusione sottolineando il "triste spettacolo di dilagante immoralità, con manifestazioni oggi insidiosamente allettanti e persuasive, perché accettate come innocue e naturali".

Questi giorni di riflessione vi consentiranno di fare una diagnosi accurata delle malattie spirituali più insidiose e di tracciare le linee dell'opportuna terapia. Certo, quanto accade ogni giorno sotto i nostri occhi conferma che la questione etica è sempre più questione centrale del nostro tempo così che sempre più urgente si fa l'esigenza di una mobilitazione di tutte le forze sane della nazione per fronteggiare le spinte autodistruttive che la minacciano.


8. Una cosa, tuttavia, è certa; per lenire le molteplici ferite dell'uomo moderno e per curare le infermità di cui soffre non v'è altro modo che quello di farci guidare dall'amore. Quell'amore che Cristo qualifico come il "comandamento mio".

E' necessario che ogni nostra iniziativa sia suggerita, animata, orientata nella sua progressiva esecuzione dall'amore: l'amore verso Cristo e l'amore verso l'uomo. Con questo amore dobbiamo tornare costantemente a tutti i problemi "dolorosi" dell'uomo, anche se si cerca di "cacciarci via" da essi o ci si "deride".

Non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalla propaganda che viene fatta dai diversi apparenti programmi di risanamento, nell'illusione di rendere felice l'uomo riducendo in vari modi ciò che l'uomo veramente è... La carità è paziente.

In questo consiste la fortezza dell'amore, che Cristo ci ha insegnato.


9. Pertanto siamo qui riuniti con grande fede in Cristo, guidati dal suo Spirito.

"Anche chi crede in me, compirà le opere che io compio" (Jn 14,12), nonostante la nostra totale indegnità, nonostante la nostra umana debolezza. Anche gli apostoli erano uomini deboli. Anche Pietro era uomo debole.

Ci riuniamo quindi pieni di umiltà, con la preghiera nel cuore e sulle labbra: "Qualunque cosa chiederete nel nome mio..." (Jn 14,13) nel nome di Gesù il Nazareno! Siamo riuniti fiduciosi che, mediante la preghiera, Maria è presente nella nostra assemblea - così come nel giorno della Pentecoste - lei, la Madre del nostro Signore, Maria, "Mater Ecclesiae", resti con noi oggi e sempre. Lei, la Madre della Chiesa. Anche grazie alla sua materna presenza noi non ci sentiamo orfani.

Data: 1986-05-20 Martedi 20 Maggio 1986









Messaggio alla Chiesa ugandese - Città del Vaticano (Roma)

Nel ricordo del centenario del sacrificio di 22 giovani


Ai miei fratelli vescovi e beneamati sacerdoti, religiosi e fedeli della Chiesa in Uganda.

Poiché celebrate il centenario dei santi martiri dell'Uganda, vostri illustri antenati nella fede, desidero offrirvi i miei sinceri saluti di pace di durevole gioia. In questo momento sono spiritualmente vicino a tutti voi che partecipate alle celebrazioni commemorative dell'eroico sacrificio dei 22 martiri che versarono il loro sangue per amore di Cristo. Confido che le celebrazioni contribuiranno a far meglio conoscere e amare i martiri, mentre forniscono un'ottima opportunità per tutti voi di rinnovare la vostra vita cristiana nella fedeltà alle vostre promesse battesimali.

Sono lieto di unirmi a voi nel lodare e ringraziare Dio per le numerose grazie e benedizioni che ha concesso al popolo ugandese durante gli ultimi anni fino alla morte dei martiri. In special modo sono grato che la potenza della parola di Dio abbia messo radici nei vostri cuori e che molti abbiano abbracciato la buona novella di salvezza in Gesù Cristo. E' seguendo l'esempio di Cristo per il vero fine che i Martiri diedero grande testimonianza di amore. Sia nel modo di vivere che in quello di morire c'è motivo per ringraziare e lodare Dio. Nelle loro vite manifestarono un'incontrollabile fede in Cristo, un profondo attaccamento al suo santo Vangelo, un generoso amore vicendevole e uno spirito di gioia e di perdono. Fu la loro costante risposta all'amore e alla grazia di Dio che li rese fortemente capaci di compiere l'ultimo sacrificio delle loro vite. Possa la testimonianza delle vite dei martiri e la loro totale oblazione ispirarvi nella vostra generosa risposta a Cristo. La testimonianza a Cristo un tempo offerta dai santi martiri dell'Uganda costituisce una speciale sfida per voi che partecipate alle celebrazioni del centenario.

Attraverso l'eroico esempio di fede dei martiri, noi possiamo vedere Cristo che vi chiama oggi al pentimento, a una fede più profonda e alla riconciliazione! Questa triplice sfida è appropriata al tempo presente considerando le difficili e penose circostanze nelle quali vi trovate come conseguenza di anni di spargimento di sangue e di violenza. I martiri stessi subirono molte forme di estrema crudeltà, di odio e di vendetta; tuttavia ponendo la loro speranza in Cristo essi furono capaci di perdonare i loro persecutori e di rimanere saldi nella loro professione di fede.

L'eredità che i martiri vi hanno lasciato è la chiamata a "credere nel Vangelo" (Mc 1,15). Questa chiamata si ripete in ogni epoca. Ultimamente compromette ancor più la vostra vita nell'armonia con il Vangelo. Comporta il concreto sforzo quotidiano nello svestirsi dell'uomo vecchio e nel vestirsi dell'uomo nuovo; di superare in voi stessi ciò che è della carne perché lo spirito possa trionfare. Dovete essere superiori alle cose di quaggiù e "tenendo fisso lo sguardo su Gesù" (He 12,2). La chiamata al perdono e alla fede richiede una conversione personale che passa dai cuori alle azioni, che determina la trasformazione della vostra vita.

La grazia della conversione è una sorgente di pace e una fonte di gioia; per la trasformazione interiore che porta al raggiungimento della riconciliazione con Dio, con se stessi e con gli altri. Supera il rifiuto di Dio che è il peccato e rende capaci di sperimentare la vera libertà di figli di Dio. Questa è la gioia e la pace che i santi martiri hanno sperimentato fedeli a Cristo a ogni costo.

Invito voi membri della Chiesa ugandese, specialmente i giovani, a pensare a questi 22 martiri, quali giovani sani e forti. Come i martiri siate forti nella lotta: non per quella dell'uno contro l'altro nel nome di qualche ideologia o pratica separata dalle vere radici del Vangelo, che offende Dio, ma contro ogni ingiustizia e sfruttamento, contro ogni falsità e inganno, contro tutto ciò che offende e umilia, contro tutto ciò che profana la dignità umana e le relazioni umane, contro ogni crimine contro il dono sacro della vita umana: contro ogni peccato. Prima di tutto sta il compito di costruire una nuova Uganda, sul fondamento dell'amore, della riconciliazione, della vera giustizia. Assumete le vostre responsabilità, da voi dipende il futuro del vostro Paese. Ponete la vostra speranza in Cristo. Egli vi renderà capaci di portare le vostre responsabilità per formare un mondo migliore, libero dalla violenza, dalla discriminazione e dall'ingiustizia. In questa occasione storica della vita della Chiesa in Uganda prego che nel seguire la testimonianza dei martiri la missione di propagare il Vangelo sia generosamente condivisa da tutti voi. Affido questa celebrazione del centenario dei santi martiri all'intercessione di Maria Regina dei martiri. Possa sostenervi nel compito di far sempre più conoscere e amare suo Figlio. In segno di forza e gioia in nostro Signore Gesù Cristo imparto la mia benedizione apostolica.

Dal Vaticano, 21 maggio 1986.

Data: 1986-05-21 Mercoledi 21 Maggio 1986




All'Unione Internazionale delle Superiori Generali - Città del Vaticano (Roma)

Per riconoscere Cristo nel povero, incontrarlo nella preghiera


Care sorelle.


1. E' per me una gioia sempre rinnovata ritrovare le delegate delle Superiori Generali delle religiose del mondo intero, e manifestare loro la profonda riconoscenza della Chiesa per la testimonianza evangelica che danno le suore con la propria e con la loro collaborazione al regno di Cristo. Ma vedo nell'incontro di oggi una doppia circostanza che ne accresce l'interesse.

Innanzitutto questo incontro ha luogo nella settimana di Pentecoste che corona il mistero pasquale: lo Spirito Santo viene a compiere l'opera realizzata da Cristo nel corso della sua vita terrestre. Dopo il ritorno al Padre del Verbo Incarnato, lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio e che dà la vita ci è inviato per santificarci. D'altronde, il tema dei vostri lavori sulla formazione delle religiose di vita apostolica alla preghiera è in piena armonia con questo periodo liturgico.


2. Voglio congratularmi vivamente per questa scelta e al tempo stesso vi incoraggio ad approfondirla in modo che i membri dei vostri Istituti la vivano sempre più pienamente. La preghiera è infatti il grande atto spirituale che esprime in modo fondamentale la dipendenza dell'anima nei confronti del Signore che ci ha riscattati: noi viviamo continuamente della sua grazia. La vita cristiana, la vita religiosa è una vita che si riceve da Dio, nell'azione di grazia, nella supplica e nella disponibilità naturale dell'anima. E si può dire anche che la preghiera cristiana è una partecipazione alla preghiera di Cristo.

Gli evangelisti ci presentano Gesù come uomo di preghiera, modello perfetto di dialogo con Dio. La sua parola ci insegna cos'è la preghiera e la sua vita ci indica come realizzare e vivere questo rapporto filiale. Cristo è prima l'uomo di Dio, che rivela e glorifica Dio come Figlio unico totalmente dedito alla realizzazione dell'opera di suo Padre.

Il Concilio Vaticano II ha parlato della priorità della vita spirituale per le anime consacrate, sperando che al seguito di Cristo le religiose "che professano i consigli evangelici, cercano Dio e amano prima di tutto lui che ci ha amati per primo (1Jn 4,10), e si applicano in ogni circostanza a tenersi nella vita nascosta in Dio con Cristo, da dove si apre e si fa pressante la dilezione del prossimo per la salvezza del mondo e l'edificazione della Chiesa" (PC 6). Uno sguardo superficiale tende talora a opporre contemplazione e azione, come se si trattasse di vocazioni differenti, l'una delle quali escluderebbe l'altra. Il riferimento al Vangelo, al contrario, mostra che se Cristo si dà pienamente alle folle che lo cercano, guarendo gli ammalati, curando le loro infermità, senza risparmiare il suo tempo e la sua pena, passa anche lunghe ore in luoghi appartati dove si dedica alla preghiera. Oggi è di conforto constatare che le giovani riscoprono il senso della preghiera e comprendono la sua necessità. Se la preghiera è un elemento fondamentale di tutta la vita cristiana, per i religiosi essa è una manifestazione privilegiata della loro unione con Dio e della loro generosità al suo servizio. E' anche un atto difficile, un cammino esigente e talvolta austero nel quale si cerca di progredire umilmente, con la grazia di Dio come un discepolo che ha gli occhi fissi sul suo Signore, sostenuto anche dall'esempio dei maestri spirituali.


3. Le comunità religiose devono dunque essere delle vere scuole di preghiera, presentando le condizioni indispensabili all'entrare in contatto col Signore. Le candidate che si presentano nelle vostre famiglie religiose devono trovarvi un clima fatto di raccoglimento, di silenzio, di vita semplice e povera favorendo il dono di se stesse nella gioia, nella disciplina personale che permette loro di ascoltare la voce interiore del Maestro. Per mezzo di un distacco progressivo di se stesse, l'accettazione delle loro compagne in una comunione fraterna basata sul perdono reciproco delle debolezze, le suore giovani adotteranno poco a poco le prospettive e i ritmi di una vita apostolica realizzata secondo lo spirito proprio dei vostri Istituti. La preghiera personale delle religiose si esprime nell'ascolto e nella meditazione della parola di Dio, nella comunione alla vita divina trasmessa attraverso i sacramenti: penso in particolare all'Eucaristia e anche alla Riconciliazione, nell'orazione silenziosa, nel desiderio costante della ricerca di Dio e della sua volontà, negli avvenimenti e nelle persone. Si troverà anche un'espressione di scelta e di stimolo nella preghiera comunitaria. Una comunità religiosa orante costituisce un luogo in cui si realizza in verità la promessa di Cristo: "Dove due o tre si riuniscono nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,19). Dopo il Concilio, tutti i vostri Istituti hanno compiuto sforzi notevoli e lodevoli per applicare la riforma liturgica. La vostra azione e quella delle formatrici per migliorare la qualità della vita liturgica nelle vostre comunità porta un elemento di primo piano in favore della preghiera delle vostre suore.


4. Questa preghiera personale e comunitaria sarà necessariamente una preghiera apostolica. La preghiera apostolica non significa una semplice identificazione del lavoro e della preghiera. Il lavoro diventa preghiera solo se la persona che lo realizza sa interromperlo regolarmente per dedicarsi alla preghiera, in modo da vivere il lavoro e gli sforzi apostolici in unione con Dio, per Dio, al suo servizio, con tutta la disponibilità al suo piano di salvezza, e a portare nella preghiera stessa la sollecitudine per le anime.

La consacrazione religiosa, per se stessa, è un modo di partecipare in profondità alla missione salvifica di Cristo. Vi ricordate della preghiera sacerdotale di Gesù: "Padre... come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso perché siano anch'essi nella verità" (Jn 17,18-19). Questa consacrazione significa santificazione, offerta sacrificale e spirituale, disponibilità totale alla volontà del Padre, affinché attraverso questo dono plenario, la salvezza raggiunga tutti gli uomini. Le anime consacrate si offrono a Cristo nella preghiera e nell'apostolato perché migliori l'opera missionaria, il cui scopo è l'adesione alla fede e la conversione.

Gioisco nel constatare che i vostri Istituti hanno la preoccupazione di essere presenti ai poveri nei quali riconoscono Cristo. Ma per riconoscere Cristo nel povero, bisogna prima di tutto incontrarlo e conoscerlo nella preghiera: l'attività per il Signore non deve mai far dimenticare colui che è il Signore dell'attività, il quale dona per mezzo dello Spirito Santo il suo frutto autentico. Il Codice di diritto canonico, fedele interprete degli insegnamenti conciliari, lo richiama perfettamente: "L'apostolato di tutti i religiosi consiste innanzitutto nella testimonianza della loro vita consacrata che essi sono tenuti a conservare con la loro preghiera e la penitenza" (CIC 673).

E nel ritmo spossante dei vostri impegni apostolici la preghiera personale e comunitaria dovrà avere dei momenti quotidiani e settimanali ben curati e sufficientemente prolungati. Questi momenti costituiranno al tempo stesso una preziosa occasione per trattenere presso le suore la preoccupazione di rinnovare costantemente il dono di se stesse al Signore per la realizzazione della loro missione ecclesiale, in una fedeltà amorevole e generosa alla loro vocazione e agli insegnamenti del magistero della Chiesa.

Che lo Spirito Santo, il Dono di Dio, fortifichi in voi questa disposizione al dono. E che la Vergine Maria che accompagnava gli apostoli al cenacolo per attendere lo Spirito Santo nella preghiera sia costantemente il vostro modello e il vostro sostegno.

Glielo chiedo per voi stesse, per ciascuna delle vostre suore, specialmente per coloro che sono colpite da infermità o da malattie e vi benedico tutte di cuore.

Data: 1986-05-22 Giovedi 22 Maggio 1986




Ai vescovi dell'Angola in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

La Chiesa indica le vie della vera e totale liberazione dell'uomo


Signori cardinali, miei amati fratelli nell'episcopato.


1. Salutandovi cordialmente, nell'"unità dello spirito mediante il vincolo della pace" (Ep 4,3), provo nei vostri riguardi gli stessi sentimenti che, in modo così gentile ed eloquente, mi sono stati espressi dal signor cardinale don Alexandre do Nascimento, in nome di tutti i membri della CEAST.

Confesso, carissimi vescovi dell'Angola, Sao Tomé e Principe, che desiderando vedervi e ascoltarvi, quando mi fu annunciata la vostra "visita ad limina Apostolorum", intensificai le mie abituali preghiere. Nel clima liturgico della Pentecoste, implorai lo Spirito Santo di poter comunicare a voi, in questo incontro tra fratelli, qualche grazia spirituale, con il fine di "confermarvi" e rafforzarvi; o prima ancora parafrasando l'apostolo "per confortarmi di nuovo con voi, per mezzo vostro, grazie alla fede comune" (cfr Rm 1,11-12).

E' sempre stato per me motivo di letizia l'incontro con tutte le categorie dei fedeli e altre persone, qui nel cuore della cristianità, ed è maggiore la mia gioia quando, come successore di Pietro al servizio della Chiesa universale, posso indirizzarmi ai vescovi delle Chiese particolari. così, qui riuniti nell'amore di Cristo, "saldi nella fede" della sua presenza tra noi e "incrollabili nella speranza" che in lui abbiamo riposto (cfr Col 1,23 2Co 1,10), stiamo celebrando la collegialità, come successori degli apostoli, dei "suoi, che lui non chiama più servi, ma amici, mantenendovi come egli vi volle "voi che siete tutti fratelli"" (cfr Mt 23,8); e "tu Pietro conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32).


2. Spontaneamente voglio esclamare come il salmista: "Come è bello, com'è gioioso, che assieme congiunti stiano i fratelli!" (Ps 132,1). Di questa esclamazione ringrazio il Padre, rendo lode al Figlio e supplico lo Spirito Santo: per l'unità dell'episcopato dell'Angola e Sao Tomé in sé e con il successore di Pietro, fatto di cui ho inequivocabili prove, che è al servizio delle Chiese africane, già da molto tempo evangelizzate e ciò nonostante giovani, in via di sviluppo, rilevatrici di segnali di intensa vitalità in mezzo a difficoltà ben conosciute.

Nel contesto africano e della Chiesa universale, le comunità cristiane dell'Angola e Sao Tomé, si presentano nello stesso tempo, come missionarie e di missione. Anche li il Vangelo si incontro con lo spirito tendenzialmente e ambientalmente religioso delle popolazioni. Risultato di questo incontro, di questa "prima evangelizzazione", furono le conversioni, i Battesimi e le adesioni a Cristo di un elevato numero di figli di queste terre, dove il benemerito lavoro missionario viene da lontano ed ebbe in questo secolo un grande impulso.

Sono sicuro che, insieme a voi, i fedeli delle vostre diocesi sentono una gratitudine profonda nei confronti dei missionari, per l'annuncio del Vangelo e anche per ciò che insieme ricevettero nella linea di promozione umana e sociale, mediante scuole, ospedali e tutta una serie di iniziative di carattere educativo, assistenziale, e caritativo.

Qui, insieme a voi, voglio rendere omaggio a questi missionari, testimoni di Cristo e portavoci del messaggio evangelico. E, come mi avete confermato, ancora oggi i vescovi, le comunità ecclesiali e la gente della vostra terra, sentono la necessità, apprezzano e desiderano avere missionari - sacerdoti, religiosi e laici - e ci chiedono in primo luogo "pregando il Signore della messe che mandi operai per la sua messe", che già biondeggia pronta per la mietitura" (Mt 9,37). Consapevoli di ciò, con spirito costruttivo e ottimismo cristiano, fatti "voce di un popolo che continua ad essere privato di questa voce", come scriveste, avete condiviso con me speranze e problemi, vittorie e ostacoli, insieme a non poche sofferenze, che accompagnano il vostro compito di pastori che desiderano vegliare e guidare il gregge che il Signore vi affido, con buona volontà, non come dominatori, ma come modelli (cfr 1P 5,2-3).


3. E' il caso di ricordare la storia di più di quattro secoli di presenza della Chiesa in queste regioni. Non permettendolo pero il tempo, guardiamo al presente, alla luce della speranza. Sono a conoscenza della Chiesa e del mondo, circostanze peculiari a tutto un nuovo contesto socio-politico in cui la Chiesa deve continuare ad affermarsi come regno di Dio, ben definito nelle parabole del Maestro, raccolte nel Vangelo, soprattutto quella del "fermento".

Dopo la recente indipendenza, in particolare nelle promettenti terre dell'Angola, il vostro popolo attraversa un momento delicato nella definizione della propria identità, come giovane nazione, e nella ricerca della direzione delle linee del suo cammino storico, nel concerto dei popoli. Il quotidiano dramma della mancanza di sicurezza e della lotta armata non cessa di seminare lutto, distruzione e desolazione nelle vostre circoscrizioni ecclesiastiche. Forse non completamente conosciuto dagli uomini, ma ben conosciuto da Dio, questo calvario di sofferenze e privazioni del popolo dell'Angola, non ha risparmiato i servitori della Chiesa dai sacrifici: si è giunti all'estremo dei rapimenti di persona, inclusi alcuni missionari - obbligati repentinamente ad abbandonare le comunità in cui prestavano il servizio pastorale o esercitavano la carità e l'assistenza - evidenziando ovviamente i numerosi casi di coloro che sigillarono con il proprio sangue l'amore di Cristo, al servizio dei fratelli.

Questa non è una sorpresa. Il Signore amorosamente l'aveva previsto: "Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Jn 15,18). Ciò è comunque doloroso e a volte gravoso. Non sarebbe necessario dirvelo di nuovo: il Papa è stato e continua ad essere più che mai presente per tutti, con la preghiera o con il suo amore per il Signore, affratellato con questi membri che soffrono nel corpo di Cristo (cfr 1Co 12,26).


4. Fu in questo momento e congiuntura storica che il Signore vi chiamo, scelse e invio per diffondere in questo popolo - segnato dalla inquietudine, incertezza e sofferenza - le meraviglie del suo amore. Fu li che volle voi quali "ambasciatori di Gesù Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo vostro" (cfr 1Co 5,20): "Esortasse ogni uomo a cogliere in sé e negli altri la profonda necessità di amare e di essere amato nella verità, nella giustizia e nella condivisione del bene comune"; "esortasse" ad accogliere il suo amore e la sua misericordia che, nella storia umana, hanno una forma e nome: Gesù Cristo. In altre parole, fu li che lui vi volle ad evangelizzare "in primo luogo dando testimonianza, in modo semplice e diretto, di Dio, rivelato da Gesù Cristo, nello Spirito Santo" (cfr EN 26).

Ci sarebbero moltissimi punti da trattare, nell'insieme dei problemi pastorali o con incidenza pastorale, toccati nella relazione e di cui mi avete parlato nei nostri incontri individuali. Vorrei limitarmi ad alcuni che sembrano essere, e voi stessi me li presentaste come tali, i più urgenti, sempre con la grande certezza che tutti viviamo: "Se il Signore non fabbrica la casa, lavora invano chi la costruisce" (Ps 127,1).


5. Se già accompagnavo con la preghiera e pensavo con sollecito amore alle comunità cristiane dell'Angola e Sao Tomé, anche prima di questa vostra "visita ad limina", ora lo faccio ancor più motivato; vorrei che portaste loro, con la certezza del mio apprezzamento e della mia simpatia e benevolenza, una parola di stimolo, insieme a un interesse particolare per i vostri cari rappresentanti: i sacerdoti. Anche loro sono "ambasciatori di Cristo, come se Dio stesso esortasse per mezzo loro" (cfr 2Co 5,20) grazie a tutto il loro essere e agire di testimoni di un'altra vita, differente da quella terrena.

Fra le preoccupazioni che assorbono le vostre energie di pastori, so che nel vostro quotidiano date priorità alla formazione presbiterale: dei sacerdoti già ordinati, che sono pochi in relazione alle difficoltà, e dei candidati al sacerdozio, presupponendo tutta la problematica della pastorale vocazionale. E' continuamente verificato che, generalmente, la configurazione delle comunità cristiane e degli aspiranti alla vita sacerdotale dipende direttamente dalla figura dei sacerdoti che ha di fronte: costoro costituiscono il punto di riferimento e il modello per la maturazione nella fede e nella vocazione battesimale alla santità della vita, diversificata nelle scelte esistenziali, nel corpo della Chiesa.

perciò è necessario che, nella formazione iniziale e in quella continua dei "ministri di Cristo e dei dispensatori dei misteri di Dio", prevalga l'attenzione al plasmare e coltivare testimoni convincenti di Gesù Cristo, che rappresentino nella propria persona e nel comportamento, una norma di vita per quanti li circondano, così come aveva intuito san Pier Damiani: "Che si legga nella vostra vita ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare... basta un po' di sale per dare sapore a molti alimenti: basta un piccolo numero di sacerdoti per istruire e formare la moltitudine di una cristianità" (Lettera ai Cardinali: II, 1: PL 144,258).


6. Non fu per caso che il Santo utilizzo l'analogia del "sale"; è evangelica e significa qualcosa di "differente" da ciò che deve essere "condito". perciò il Concilio accentuo questa "differenza" soprattutto nei decreti "Optatam Totius" e "Presbyterorum Ordinis". "Uomo per gli altri", il sacerdote sarà una misura del suo peculiare e coerente modo di essere "uomo per Dio" (cfr He 5,1), nel cammino verso l'imitazione di Cristo, redentore dell'uomo: cammino di umiltà e obbedienza, di continenza, perfetta e perpetua, di spirito di povertà, perché il Signore è sua parte ed eredità.

Continuate inoltre, cari fratelli, nell'impegno meritevole di encomio, che avete riferito nella Relazione Generale II, ossia nel formare e aiutare i vostri sacerdoti nella considerazione e nell'esercizio di ciò che li rende "uomini per Dio e per gli altri", come la Chiesa madre e maestra vi vuole: vivendo in intimità con Dio la grazia che vi fu data attraverso l'"imposizione delle mani"; vivendo il dolore dello Spirito che è il celibato, disciplina che la Chiesa è decisa a conservare come un tesoro; nonostante sia conscia di "portare questo tesoro in vasi di fango" (cfr Codice di diritto canonico, 277). E' questa la strada di un cuore indiviso e libero, per dedicarsi al servizio di Dio e degli uomini. Perché eminentemente spirituale, questo servizio non si può comparare all'esercizio di una professione liberale: è una missione, nella missione della Chiesa. E per questo fine la stessa Chiesa conta sui sacerdoti dell'Angola e Sao Tomé e confida in loro.


7. Fra i numerosi altri motivi di consolazione, mi informaste con gioia che sta crescendo il numero delle vocazioni autoctone, maschili e femminili: è una speranza che non deve essere frustrata dalla mancanza di una formazione seria e profonda di chi ha la vocazione. Al numero, tanto di chi è consacrato, quanto nelle file sacerdotali, deve corrispondere la qualità dei prescelti. E' un lavoro paziente, oscuro e non sempre accompagnato da frutti visibili; ma non si deve alterare nel suo ritmo e rigore per nessun motivo. Dipendendo dalla grazia divina, in una buona percentuale, formare i futuri "consacrati" e "inviati" deve essere come il lavoro del contadino che fatica e "aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di primavera (Jc 5,7).

Mi avete confermato che in Angola e Sao Tomé si spera e si aspetta molto dalle Congregazioni religiose, per la formazione del clero diocesano e dei "consacrati". Sono certo che la generosità delle Famiglie religiose continuerà a manifestarsi fino a che si disporrà di personale nelle diocesi, in condizione di plasmare anime entusiaste della loro donazione totale, sacerdoti ardenti di zelo, interamente dedicati al ministero e convinti della grandezza dell'essere "inviati da Dio", forse missionari nel significato corrente della parola, destinati a "generare Chiese".


8. E' di consolazione per me sapere che il popolo della vostra terra, con la sua religiosità quasi congenita, è aperto al Vangelo e manifesta una profonda sete di Dio; e che i laici delle vostre Chiese, data la scarsezza dei sacerdoti, prendono ogni volta di più coscienza delle proprie responsabilità nell'evangelizzazione. In molti campi - come sappiamo e il Concilio relaziono - senza l'opera dei laici costerebbe molto alla Chiesa poter essere presente e operante, affinché la forza del Vangelo porti a modificare gradualmente i criteri di giudizio, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita che sono, a volte, in contrasto con la dignità umana e con il disegno universale di salvezza: "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4).

Conoscendo la collaborazione prestata da tanti laici che cercano di vivere il compromesso cosciente e attivo con la missione della Chiesa nelle vostre comunità, soprattutto nel campo della catechesi, desidero stimolarli verso la generosità, che va verso il sacrificio, e incoraggiare voi a dare una mano a questo aiuto prezioso. Mi congratulo con voi, ancora, per la creazione dell'Istituto di scienze religiose dell'Angola (ICRA) in vista di una più accurata formazione di un laicato all'altezza del momento che vive la Chiesa e la Nazione. Che l'influenza di questo Istituto, attingendo dai settori intellettuali e universitari - i grandi operai della società pluralista - rimedi le rotture fra il Vangelo e la cultura o le culture nella vostra terra.


9. So del vostro impegno premuroso e efficace anche nella "funzione di ambasciatori di Gesù Cristo, come se Dio esortasse attraverso la vostra bocca", e nei due campi a cui ora mi riferiro:
1) la problematica della famiglia con le insidie che la minacciano. So che la considerate priorità pastorale, come emerge dalla Lettera che pubblicaste due anni fa; mi limito a stimolare questo programma e impegno, a favore delle famiglie secondo Dio: il futuro dell'uomo nel mondo, nella Chiesa e, in concreto, nei vostri Paesi passa attraverso la famiglia;
2) i giovani promessa di un domani migliore. Anche su questo aspetto mi confidaste le vostre giustificate preoccupazioni pastorali. Con apprensione vidi confermato, nelle vostre relazioni, quanto la gioventù, principalmente in Angola, sia segnata dal momento storico che li si sta vivendo. Comunicate ai cari giovani della vostra terra la grande simpatia e l'affetto con cui il Papa e tutta la Chiesa in generale li accompagnano e si interessano a loro. Dite ancora loro: che non si lascino strumentalizzare, né ribassare; insistete, "opportunamente e inopportunamente... con bontà e dottrina", affinché sappiano reagire ai controvalori; che coltivino la propria capacità e generosità per abbracciare ideali nobili; che vivano la certezza di non poter edificare su altro fondamento se non Gesù Cristo, redentore dell'uomo; fate loro vedere, infine, che alle loro aspettative in relazione alla Chiesa corrisponda la grande speranza che la Chiesa stessa deposita in loro, che è voto e insieme preghiera al grande Amico dei giovani, Gesù Cristo: affinché mai si lascino catturare da ideologie o sistemi che predicano la violenza e l'odio, poiché solamente l'amore può costruire una civiltà d'amore.


10. Non si presenta facile il contesto della vita e della missione delle Chiese dove siete pastori: desidero in questo momento spingervi, "fermi nella speranza", a guardare di fronte e in alto. Attenti, con la semplicità della colomba e la prudenza del serpente all'evolversi delle situazioni e delle mentalità, all'irruente infiltrazione delle ideologie e ai disastri della lotta armata, cercate di unire alla vostra fermezza il possibile adattamento alle circostanze.

La vostra speranza e la speranza che diffondete non è alienante e non vi lascerà confusi, "perché l'amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo" (Rm 5,5), lo Spirito della Verità. Ed è la forza della verità che vi indicherà, mantenendo la fermezza, l'apertura e il contributo per il dialogo, nella ricerca della riconciliazione dettata dall'amore. L'unica rivoluzione che la Chiesa può, vuole e sa fare, per esperienza vissuta, è la rivoluzione dell'amore: del comandamento nuovo, inquadrato nel "sermone della montagna" e inserito nel codice delle Beatitudini.

Sono estremamente complesse le cause dei conflitti che torturano il continente africano, così come i meccanismi politici di potere, degli interessi di parte e degli schieramenti che li determinano e sostentano. Nel frattempo continua con completa validità l'appello che, avvertitamente, la vostra Conferenza episcopale lanciava già nel 1975: "E' necessario finirla con le violenze che non conducono a nulla...".


11. La Chiesa, come è risaputo, desiderosa di dare, secondo il principio degli aiuti, il suo specifico contributo per la costruzione della società, a qualsiasi latitudine, non si arroga nessuna competenza per proporre modelli alternativi alle società stesse; non rivendica privilegi; ma rispettando diritti legittimi, al servizio della dignità e della vocazione personale e sociale dell'uomo, desidera il rispetto della propria libertà di agire e di esprimere il proprio messaggio, nella realizzazione della sua missione universale di illuminare gli uomini con la luce delle genti, che è Cristo redentore; desidera poter servire e amare, contribuendo per l'unità dell'uomo con Dio e per la fraternità nella famiglia umana.

In questo senso mi è gradito registrare, con lode, l'opera benemerita e generosa dei figli - sacerdoti religiosi e laici - della Chiesa dell'Angola; nei settori dell'insegnamento e dell'educazione, negli ospedali e ambulatori e nelle tante opere di assistenza e promozione umana; e, meno vistosa, anche nel contributo ispirato dalla carità cristiana, per un'indispensabile ricostruzione del tessuto sociale, fra vari gruppi etnici e unioni, risvegliando la coscienza della responsabilità comune, dinanzi alle sfide che si pongono a tutti.

Ben conscia che la trasformazione delle strutture politico-sociali non può verificarsi né consolidarsi se non per espressione di una conversione interiore, delle menti e dei cuori, alla causa dell'uomo la Chiesa non cessa di presentare, nella verità e nell'amore, strade per la liberazione. L'amore divino, che è la sua vita, la spinge a ciò, così come la porta ad essere realmente solidale con ogni uomo che soffre, a cercare di discernere fra i segni dei tempi quelli che portino con sé garanzie di libertà, da quelli che si rivelano ingannevoli e illusori (cfr "Libertatis Nuntius", 60-61). Che il Padre di misericordia e Dio di ogni consolazione faccia si che il popolo dell'Angola incontri presto l'agognata pace, possa liberamente scegliere e costruire il proprio futuro nella fedeltà ai genuini e sani valori etnici e alle tradizioni storiche, senza ingiuste interferenze, attraverso il cammino del dialogo, della riconciliazione e della fraternità, fino all'amore: incontro nel dono e arricchimento reciproco, di tutti i cittadini angolani. Includo in questa preghiera e in questi voti, con la stessa stima, il popolo di Sao Tomé.

Miei cari fratelli: affido questi voti - per un Angola armonico, pacifico e che percorra il cammino della prosperità fino al suo raggiungimento - a Nostra Signora, che voi felicemente sceglieste e proclamaste patrona della Nazione, con il nome di "Cuore Immacolato di Maria". Rallegrandomi e rendendo grazie al Signore insieme a voi, per il lavoro che state realizzando e per lo spirito che vi anima, vi prego di portare i miei cordiali saluti al presbiterato, ai religiosi e le religiose - senza dimenticare quelli di clausura -, le persone consacrate, ai laici impegnati nei movimenti e nelle associazioni di spiritualità e apostolato, ai cari catechisti, insomma a tutti i fedeli diocesani, con un'ampia e affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1986-05-23 Venerdi 23 Maggio 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)