GPII 1986 Insegnamenti - Alla Pontificia Accademia ecclesiastica - Città del Vaticano (Roma)

Alla Pontificia Accademia ecclesiastica - Città del Vaticano (Roma)

Una missione pastorale da vivere servendo il ministero di Pietro


Carissimi sacerdoti,


1. E' sempre per me una gioia incontrarmi con voi, che chiamati dalla Santa Sede d'intesa con i vostri Vescovi, vi preparate, con laborioso impegno, a servire la missione stessa del successore di Pietro presso i popoli e le nazioni delle più diverse parti della terra. Vi saluto tutti con affetto, e con voi saluto cordialmente il Presidente, Monsignor Justin Rigali, che con zelo e competenza si prende cura della vostra formazione e della vostra preparazione umana, culturale e spirituale.


2. Il compito al quale vi state preparando è un servizio posto sotto il segno della fede e dell'amore: fede in Cristo, Redentore dell'uomo e del mondo, e sincero amore a lui e alla sua Chiesa.

E' un compito innanzi tutto ecclesiale: siete chiamati a collaborare alla costruzione della Chiesa, servendo il ministero di Pietro presso le comunità cristiane a cui sarete inviati. Ed è anche un servizio agli uomini stessi del nostro tempo, in quel campo particolarmente delicato come ben sapete che è l'attività diplomatica. Un'attività che va intesa come fedele condivisione delle responsabilità apostoliche universali della Santa Sede nelle relazioni con gli Stati ed i poteri civili, collaborando per promuovere i grandi ideali della giustizia, della pace, della solidarietà, valori indispensabili per la piena tutela della dignità della persona umana.


3. Il vostro programma di formazione, pertanto, pur approfondendo gli aspetti culturali e professionali, non può che mettere al primo posto la maturazione del vostro carisma sacerdotale, con tutte le risorse che esso comporta di preparazione dottrinale e spirituale, nonché di generosa ed infaticabile dedizione al servizio di Dio e della Chiesa ed alla salvezza delle anime.

Il vostro, prima ancora che essere un ufficio da svolgere, dovrà essere un servizio di carità, un ministero pastorale da vivere.

L'alimento fondamentale e la sorgente inesauribile della vostra generosità e del vostro impegno saranno sempre l'intima unione con Cristo e la viva partecipazione ai misteri della salvezza, in special modo all'Eucaristia, nella quale voi dovrete sempre riporre il centro della vostra vita e della vostra attività. Pur addetti ad un particolare ufficio, e pur nella piena osservanza dei doveri che esso comporta e con la competenza che esso richiede, sentitevi pero sempre innanzitutto sacerdoti, pastori, apostoli, dispensatori dei misteri di Dio, guide delle anime e, direi ancor più, vittime d'amore con Cristo crocifisso. In questa coscienziosa attuazione del vostro ministero sacerdotale troverete il segreto del vostro successo non solo nel campo spirituale, ma anche in quello diplomatico, da veri rappresentanti della Chiesa e della Santa Sede.


4. L'anima dell'instancabile attività della Chiesa nel mondo, la forza misteriosa che la rende non succube degli eventi, ma capace di sormontare le innumerevoli prove a cui la storia la espone, sta proprio in questa sua intima unione col suo Sposo crocifisso e risorto, mediante la Liturgia, che è pertanto, come dice il Concilio, "il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù" (SC 10). Se questo è vero per la Chiesa nel suo insieme, lo è in particolare per il sacerdote, la cui "carità pastorale" "scaturisce soprattutto dal Sacrificio Eucaristico, il quale - come insegna ancora il Concilio - risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero" (PO 14).

Vorrei pertanto raccomandarvi di fare in modo che l'Accademia ecclesiastica sia una vera comunità sacerdotale, che mette al centro della propria giornata la celebrazione dell'Eucaristia, ad essa attingendo vigore e slancio per i quotidiani impegni e verso di essa facendo convergere fatiche, progetti, speranze, quale umano contributo da unire all'offerta della vittima divina. La Santa Messa, spirituale vertice di ogni vostra giornata, diventerà così il punto d'equilibrio che darà unità ed armonia a tutta la vostra vita.

E' grazie allo sviluppo di una autentica devozione eucaristica che voi troverete la forza e la perseveranza necessarie per accogliere volenterosamente e con profitto la disciplina educativa propria dell'Accademia, al fine di acquistare quelle virtù di disponibilità, di equilibrio, di prudenza e di saggezza che vi saranno sommamente necessarie nell'espletamento degli incarichi, spesso delicati, che vi saranno affidati.


5. La Beata Vergine Maria, che nel corso del mese di maggio da poco concluso avete onorato con devozione fervorosa, vi segua nel vostro cammino e nella vostra preparazione. Ella che, come dice il Concilio, è "tipo" della Chiesa, essendone al tempo stesso Madre e membro elettissimo, v'insegni quel profondo amore per la Chiesa che vi sarà tanto necessario e proficuo nella missione che vi attende. La sua intercessione vi consenta di vivere una comunione con la Chiesa e coi suoi Pastori, che sia profonda ed esemplare, convinta e generosa. Tutta la vostra vita è al servizio della Chiesa. Non dimenticatelo mai.

Con questi auspici e queste esortazioni, invoco su di voi, sui vostri familiari ed insegnanti, l'abbondanza dei doni dello Spirito, mentre di vero cuore imparto a tutti una speciale e larga Benedizione Apostolica.

Data: 1986-06-02 Lunedi 2 Giugno 1986




Per l'assegnazione del Premio Internazionale della pace - Città del Vaticano (Roma)

Ampia solidarietà politica per il dramma dei rifugiati


Venerati fratelli, illustri signori.


1. E' con profondo sentimento di gioia che ho consegnato il Premio Internazionale della Pace Giovanni XXIII in questo giorno in cui ricordiamo il 23° anniversario della morte di quel caro Pontefice. Sono grato ai cardinali e ai confratelli nell'episcopato per aver voluto con la loro presenza rendere particolarmente solenne questa significativa cerimonia. Saluto i rappresentanti del Corpo Diplomatico, e gli illustri signori, che oggi qui rappresentano le Organizzazioni Internazionali e Nazionali, le quali hanno come scopo quello di soccorrere l'uomo là dove maggiore è il suo bisogno. A tutti i presenti va l'espressione del mio affetto. Con viva gratitudine mi rivolgo in modo speciale al signor cardinale Michael Michai Kitbunchu e agli esponenti del Catholic Office for Emergency Relief and Refugees (COERR). Voi, insieme con numerosi altri sacerdoti, suore e laici, e unitamente al direttore esecutivo, padre Bunlert Tarachatr, avete prontamente risposto alle attese di numerosi sofferenti e senza tetto di un'area tanto provata dell'Estremo Oriente. Siate benvenuti voi, che lavorate per i poveri, i deboli, i diseredati: voi che a quanti non avevano speranza avete offerto, con la vostra operante solidarietà, aiuto, conforto e amore. In voi e attraverso voi il mio pensiero e le mie parole intendono rivolgersi a tutti coloro che prestano la loro opera nel settore in cui voi avete tracciato la via, in Asia e in ogni parte del mondo.

Desidero indirizzare uno speciale saluto ai Thailandesi venuti a questa cerimonia accompagnati dal cardinal Kitbunchu. Vorrei esprimere il mio apprezzamento per il lavoro portato avanti dalla Thailandia in favore degli esiliati e dei rifugiati. Saluto anche i Thailandesi residenti a Roma e quelli provenienti dalla regione del Sudest asiatico, alcuni dei quali sono passati attraverso i campi profughi. A tutti loro dico: Benvenuti in questa casa.


2. Il riconoscimento che oggi è stato dato al COERR pone bene in risalto l'importanza che la Sede apostolica annette sia al lavoro che tale Organizzazione svolge in una zona del mondo tra le più martoriate di questo secolo, sia alle iniziative messe in atto per celebrare il 1986 quale "Anno Internazionale della pace". Perché la pace è "opera della giustizia" (Is 32,17), ed è promossa quando viene tutelato il bene della persona, quando le viene restituita la sua costitutiva dignità. E' perciò quanto mai opportuno incoraggiare una testimonianza cristiana, che è resa con grande amore verso ogni uomo bisognoso, senza discriminazioni etiche, sociali, religiose (cfr AGD 12). Ispirandovi a Cristo redentore che, già profugo egli stesso nella prima infanzia, durante il ministero pubblico percorreva le città e i villaggi per soccorrere gli uomini e le donne di Palestina, voi vi occupate dei rifugiati, oltre 120.000 in 13 campi di profughi; a tale cifra deve poi aggiungersi quella di altre 250 mila persone fuggite o scacciate dalla loro terra e provvisoriamente accolte, per ragioni umanitarie, lungo la frontiera con la Cambogia. Né si deve tacere dei 16.000 rifugiati Karen e dei 5.000 Mon provenienti dai confini dell'Ovest.

E così, tramite questa opera caritativa, la Chiesa di Thailandia, esercitando in tale ambito nessun altro diritto se non quello di servire con fedeltà l'uomo, assiste quanti sono stati colpiti dagli eventi naturali e politici, che affliggono il Sud-Est asiatico.


3. Il lavoro che avete intrapreso, tuttavia non è fatto solo da voi. In esso siete aiutati da molte organizzazioni nazionali e internazionali, che manifestano l'universale desiderio e impegno di aiutare quei fratelli e sorelle sofferenti. La Caritas d'Austria, Danimarca, Germania, Italia, Olanda, Svizzera e altri Centri di assistenza, come quello dell'Australia, gli organismi di "Misereor" e "Missio", i "Secours Catholiques" e la Commissione Cattolica Internazionale per i migranti, con il coordinamento del Pontificio Consiglio "Co Unum", hanno dimostrato con tempestività e con continuità l'impegno della Chiesa Cattolica per le situazioni penose di cui siete quotidianamente a contatto. Tali opere della Chiesa cattolica sono realizzate anche in collaborazione con l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il cui ufficio si prodiga instancabilmente in quell'area.


4. In maniera eminente, il popolo Thailandese dà esempio di solidarietà verso tali persone in difficoltà; più di ogni altro Stato, esso ha aperto la propria porta e il proprio cuore a questi suoi vicini, dimostrando ancora una volta i grandi ideali della sua gloriosa tradizione.

Desidero qui nuovamente manifestare l'apprezzamento che ho già espresso in occasione della mia visita in Thailandia: tale Paese ha trovato nell'esempio dei suoi sovrani, le loro maestà il re e la regina, l'indicazione della giusta via su cui impegnarsi. Penso in modo particolare al lavoro svolto nel campo di Khao Larn dalla Croce Rossa Thailandese sotto il patronato di sua maestà la regina.

Ringrazio tutti coloro che hanno merito nell'opera che in Thailandia è realizzata a favore dei fratelli che si trovano in un'indigenza estrema, essendo senza cibo e senza casa, lontani dalla loro patria.


5. In questa solenne circostanza desidero sottolineare che il popolo Thailandese non deve essere lasciato solo nel portare il pesante fardello della responsabilità e dell'assistenza in quella regione del mondo. Dal profondo del cuore rivolgo, pertanto, un accorato invito perché, se la solidarietà ha già conosciuto convincenti manifestazioni, un ancor più ricco e adeguato sostegno internazionale offra ai rifugiati nuovi segni di generosità. Rinnovando l'appello che espressi a Bangkok, esorto a intensificare l'impegno e a coordinare gli sforzi: il tempo e il succedersi degli eventi non diminuiscano né la generosità né la cooperazione comune.

In particolare, è necessaria la collaborazione delle varie Nazioni del mondo per poter offrire a chi lo desidera una nuova patria in cui stabilirsi. Solo la solidarietà politica su vasta scala potrà recare una soluzione soddisfacente a questo grave e annoso problema.


6. Nella lettera enciclica "Pacem in Terris", Papa Giovanni XXIII tratto pure della condizione degli esiliati per ragioni politiche e, al riguardo, affermo tra l'altro: "Questi rifugiati sono persone e tutti i loro diritti in quanto persone devono essere riconosciuti. I rifugiati non possono perdere i loro diritti, nemmeno quando vengono privati della cittadinanza del loro Paese" (PT 105). Con tali parole, Papa Giovanni XXIII diede le ragioni fondamentali per le quali noi cristiani dobbiamo occuparci dei rifugiati, che vengono a noi da situazioni di sofferenza e di persecuzione. E' nostro dovere garantire sempre gli inalienabili diritti, che sono inerenti a ogni essere umano e non sono condizionati da fattori naturali o da situazioni socio-politiche, ed è in questa prospettiva che desidero venga percepito e riconosciuto il lavoro che voi insieme con tante persone di buona volontà state facendo.

Mi compiaccio per le molteplici iniziative che cercate di promuovere o di incoraggiare. Sia che si tratti di scuole elementari o di corsi per l'avviamento al lavoro, sia che si tratti di semplici scuole di taglio e cucito o di agricoltura, o anche di assistenza ospedaliera o di programmi di educazione sanitaria, ciò che voi fate è aiutare quella gente a trovare i mezzi per sopravvivere e per costruire, poi, la propria esistenza nel contesto di una vita dignitosa, come quella degli altri esseri della famiglia umana.

Il programma di aiuto materiale e di formazione culturale offrono a quelle popolazioni la possibilità di un'esistenza nuova, dove i diritti della persona sono rispettati. Tale nobile impegno accresce la dignità di quanti vi partecipano, perché in questo lavoro meraviglioso di promozione umana ognuno scopre e riafferma il valore di ogni vita e di ogni persona. Di quanto sto affermando ebbi un commovente riscontro l'11 maggio 1984, durante la mia visita al campo di Phanat Nikkon, dove vidi come le diversificate iniziative avevano dato ai rifugiati nuove possibilità, nuovi orizzonti e speranze. Vidi come il vostro lavoro aveva aiutato quegli esseri a ritrovare la dignità perduta e a riaffermare il valore della propria individualità nelle sue specifiche capacità.


7. Questo lavoro è veramente un'opera di pace. Esso è opera di pace perché prima di tutto cerca di guarire le ferite che sono state inflitte nello spirito e nei corpi di tali persone sofferenti. E' opera di pace perché offre una nuova possibilità a esseri umani che, altrimenti, sarebbero abbandonati a se stessi e alle forze distruttive della disperazione. E' opera di pace perché cerca di reinserire quelle popolazioni nella famiglia umana in un modo tale che siano rispettati la loro cultura e i loro valori, e abbiano la possibilità di costruire la propria vita in nuove e diverse culture e società.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della pace di quest'anno, ho detto: "II retto cammino verso una comunità mondiale, nella quale la giustizia e la pace regneranno senza frontiere fra tutti i popoli e in tutti i continenti, è il cammino della solidarietà, del dialogo e della fratellanza universale. E' questo l'unico cammino possibile".

Questo è il cammino che il lavoro del COERR deve aprire a quelle popolazioni. Tale senso di solidarietà deve essere al di sopra di ogni tentazione di chiusura, comportando il ripristino di una nuova solidarietà che rispetti e valorizzi le tradizioni culturali e morali di ogni popolo e che faccia di tali tradizioni il terreno d'incontro per la mutua comprensione e il reciproco rinnovato rispetto. Il genere di solidarietà, di cui la società contemporanea ha bisogno, va oltre le espressioni vaghe e inconcludenti ed esige l'affermazione del valore della vita, di ogni vita, poiché in ogni esistenza umana vi è un riflesso dell'Essere divino. Non basta dunque la semplice tolleranza, e ancor meno la rassegnazione al vivere. Non basta l'accettazione dello "status quo". E' necessario l'impegno attivo per il rispetto e l'affermazione della dignità e dei diritti di ogni persona entro i confini della sua identità culturale. Questo impegno attivo cerca il bene dell'altro, costruisce nuovi vincoli, offre nuova speranza, opera la pace. Solo con la comprensione noi possiamo risolvere i conflitti e correggere le ingiustizie e siamo capaci di offrire prospettive di solidarietà nella libertà e nella speranza. Solo così possiamo aprire la via alla concordia tra i popoli, indispensabile presupposto per la vera pace.

Per tutte queste ragioni, desidero dirvi che il vostro lavoro è un'opera di pace. Voi siete operatori di pace e meritate di essere chiamati i benedetti da Dio, perché avete riconosciuto il volto del suo Figlio nelle migliaia di volti che avete incontrato nel vostro lavoro tra i rifugiati e in quanti sono stati provati da eventi tristi e dolorosi.


8. Cari amici, il vostro lavoro non è ancora finito. Non terminerà fino a quando ci sarà gente che soffre attorno a voi, e voi, sensibili al loro grido, risponderete donando i mezzi per perseverare e riaffermare la loro dignità. Non stancatevi di prodigarvi per coloro, le cui vite sono state sconvolte e il cui futuro e incerto.

Questo vostro impegno ha ancora un altro compito da svolgere. Voi non avete solamente risposto alle loro necessità aprendo a quelle popolazioni nuove possibilità, nuova speranza, nuova vita, ma avete mostrato loro pure la via per ricostruire e riaffermare ciò che è caratteristico della loro identità culturale che esse devono portare nelle nuove condizioni di vita. Aiutatele in tal senso ora e anche per l'avvenire. Instillate in loro, con la parola e con l'esempio, l'amore per l'essere umano, per gli uomini e per le donne, per i bambini e per gli anziani, così che lo stesso spirito, da cui sono animati i vostri sforzi apostolici, possa ispirarli e guidarli nel loro oggi e nel loro domani. Mossi da tale amore, dopo aver trovato il dovuto posto nel mondo, soccorreranno altri e diverranno loro stessi portatori di quella carità che li renderà costruttori di pace in questo mondo diviso.

Da parte mia, auspico per loro che possano alla fine, in un futuro non lontano, abitare nuovamente nella terra natale. Come ebbi a dire nel mio discorso al Corpo Diplomatico a Bangkok: "Essi hanno il diritto di ritornare alle loro radici... hanno il diritto a tutti i rapporti culturali e spirituali che li nutrono e li sostengono come esseri umani".

Ciascuno, dunque, mentre prega e lavora per tale giusta soluzione secondo le proprie capacità e secondo le occasioni che gli si presentano, deve continuare ad agire per la riconciliazione tra gli uomini e tra i popoli. "In ultima analisi il problema non può essere risolto senza che siano create le condizioni mediante le quali una genuina riconciliazione può aver luogo: riconciliazione tra le nazioni, tra i vari settori di una data comunità nazionale, all'interno di ogni gruppo etnico e tra i medesimi gruppi etnici. In una parola, c'è una urgente necessità di perdonare e di dimenticare il passato e di lavorare insieme per costruire un futuro migliore".

Il vostro lavoro è uno dei più veri e fattivi contributi alla attuazione di questa speranza di riconciliazione. I vostri sforzi stanno facendo molto e continueranno a fare di più per costruire un avvenire migliore, che tutti desideriamo.


9. Sono convinto che se il nostro tempo sarà un giorno ricordato come un secolo di civiltà, ciò accadrà non tanto per il progresso tecnologico e culturale che avrà saputo realizzare, quanto piuttosto per lo sviluppo sociale che avrà conseguito al fine di permettere il bene completo dell'uomo. In tale sviluppo ha un posto di primo piano la soluzione da dare al problema riguardante i milioni di rifugiati, in qualunque continente essi si trovino.

Il ricordo di quanto l'umanità ha sofferto a motivo dell'ultima guerra mondiale, che costrinse milioni di persone a fuggire, abbandonando la propria casa e la propria terra, favorisca un'acuta sensibilità alle medesime tragedie, ovunque esse accadano. Esso porti a operare senza stancarsi affinché cessino le discordie e le divisioni, le rivalità ideologiche e di potere; perché venga abbandonata la logica inumana dell'egoismo e prevalga quella del rispetto dell'uomo. Ciò permetterà di edificare la civiltà della verità e dell'amore, nella solidarietà tra tutti i popoli.


10. Mentre auspico che l'implorazione di aiuto che viene dai profughi e dai rifugiati tocchi la mente e il cuore di ogni uomo, affido le vostre persone e il vostro impegno quotidiano alla Vergine Maria. Ella, con la sua materna sollecitudine, vi faccia crescere nella carità di Cristo e nel servizio ai fratelli, con la gioia dello Spirito Santo, che è "Spirito di forza, di amore e di saggezza" (2Tm 1,7). Formulo altresi voti, affinché le popolazioni del Sud-Est Asiatico possano riavere il loro legittimo posto nella famiglia umana, e siano a loro volta capaci di portare la vera pace a coloro, tra i quali troveranno nuove dimore.

Nell'assicurare un particolare ricordo nella preghiera per i numerosissimi rifugiati e profughi nel mondo, invoco da Dio per voi qui presenti, per i vostri collaboratori e per il nobile popolo della Thailandia una serena e operosa prosperità. A tutti la mia benedizione.

Data: 1986-06-03 Martedi 3 Giugno 1986









Ad amministratori tedeschi - Città del Vaticano (Roma)

Al servizio dell'uomo e della sua dignità


Gentili signore ed egregi signori, vi saluto cordialmente e mi rallegro del vostro desiderio di incontrarmi. Voi rappresentate ufficialmente una serie di comunità del Land Baden-Württemberg della Repubblica Federale Tedesca e siete membri dei comuni di quella zona. Il livello di autonomia comunale che voi rappresentate è di enorme importanza nella struttura della società, è infatti l'istanza media tra le più alte autorità statali e il singolo cittadino, la singola famiglia. Attraverso una maggiore vicinanza agli uomini, alle loro domande più vere e ai loro bisogni voi avete la possibilità e nello stesso tempo la responsabilità di costruire, rinforzare e approfondire la fiducia fondamentale del cittadino verso l'ordinamento statale, le sue strutture e i suoi rappresentanti.

Questo può accadere se il vostro lavoro è un servizio "convinto" agli uomini e alla loro dignità, se voi, anche al di fuori delle stagioni elettorali, cercate la via d'azione negli ambiti concreti della vita degli uomini, di qualsiasi età, e in casi di necessari compromessi nel vostro agire politico fate vostri i fondamentali principi e valori umani. In questo modo potete realizzare il principio della sussidiarietà in molteplici modi, un principio che sta molto a cuore alla Chiesa, è di grande importanza il suo insegnamento sociale per la libertà e l'autodeterminazione dell'uomo. Per questo mi rivolgo alla vostra responsabile attività, quale fondamento di una sempre più feconda fede cristiana e un'attenzione sempre maggiore all'uomo, alla sua vocazione personale e comunitaria.

Dono a voi e alle vostre famiglie la mia benedizione e la mia preghiera.

Data: 1986-06-06 Venerdi 6 Giugno 1986




Al Pontificio Consiglio per i Laici - Città del Vaticano (Roma)

Necessitano laici santi perché sono autentici riformatori


Signor cardinale, cari fratelli nell'episcopato, tutti voi membri del Pontificio Consiglio per i laici.


1. Il nostro incontro in occasione dell'assemblea plenaria del vostro Dicastero è diventato ormai quasi tradizionale. Mi sforzo di seguire durante l'anno, con un interesse particolare, la realizzazione dei vostri programmi, negli incontri periodici che ho con il presidente e il vicepresidente del Consiglio, e i loro collaboratori. Il cardinale Eduardo Pironio può testimoniare l'incoraggiamento del Papa per l'istituzione della nuova "sezione giovani", per la realizzazione della Giornata mondiale della gioventù, per il vostro permanente lavoro di dialogo e di cooperazione con le organizzazioni cattoliche internazionali e con i movimenti ecclesiali, per le riunioni continentali dei vescovi e dei dirigenti laici che avete promosso e per molti altri aspetti del vostro lavoro compiuto come un servizio ecclesiale nel campo dell'apostolato dei laici, in collaborazione con il mio ministero di successore di Pietro. Questi appuntamenti annuali sono in ogni caso dei momenti forti che esprimono bene il legame di comunione di pensiero e di servizio che unisce il vostro Dicastero, come comunità di lavoro e di preghiera con il Papa.


2. L'incontro di oggi si rivela particolarmente significativo in questo periodo in cui tutta la Chiesa è già impegnata nella preparazione del Sinodo del 1987 sul tema: "Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo vent'anni dopo il Concilio Vaticano II". Qualche mese fa eravate già riuniti a Roma alla vigilia del Sinodo straordinario relativo al Concilio Vaticano II. Niente potrebbe infatti restituire e rilanciare la partecipazione dei laici alla vita e alla missione della Chiesa che un'attenzione rinnovata all'ecclesiologia di comunione del Concilio e all'impulso che ha dato per una nuova evangelizzazione del mondo contemporaneo. Si tratta di realizzare nelle condizioni attuali il comandamento del Signore: "Andate e in tutte le nazioni fate miei discepoli" (Mt 28,19). Si tratta di mettere in pratica, a tutti i livelli, questa ecclesiologia di comunione e di missione, nella docilità allo Spirito di Dio, prendendo una coscienza accresciuta della dignità e responsabilità battesimale di tutti i membri del corpo di Cristo, che devono essere sale e luce del mondo. Si, dobbiamo nutrirci degli insegnamenti del Concilio per essere in grado di rivelare la presenza di Cristo nel cuore di tutti gli uomini, nelle ammorsature delle loro culture, nel più profondo dei bisogni e delle speranze dei popoli. Bisognerebbe con la grazia di Dio risvegliare coloro la cui fede è addormentata, ridare dinamismo a coloro la cui fede è inerte ed entusiasmo a coloro che sono scettici.


3. Il lavoro di preparazione del Sinodo offre al Consiglio Pontificio per i Laici una felice occasione per scoprire e valutare tutto ciò che si manifesta tra le forze vive del laicato e nelle riflessioni dei Pastori a loro riguardo: i bisogni religiosi della pietà popolare, i carismi e le esperienze missionarie delle associazioni e movimenti ecclesiali, le diverse responsabilità di servizio prese dai laici nell'edificazione della Chiesa, il loro impegno nei differenti ambienti sociali e professionali, i loro sforzi per rispondere alle gravi domande poste dalla vita attuale e dal destino dei popoli. Tutto ciò va ad arricchire l'esperienza che il vostro Dicastero ha acquisito dopo quasi vent'anni e permette di portare un contributo valido alla preparazione del Sinodo in unione con il suo segretario.

Possa il vostro Consiglio aiutare affinché tutte queste esperienze di partecipazione dei laici alla vita ecclesiale si facciano in profonda comunione con i pastori, essi stessi uniti alla cattedra di Pietro! E possano questi pastori - con la larghezza di vedute e la simpatia che convengono, coniugate con il discernimento e la preoccupazione di comunione inerenti alla loro responsabilità - accogliere, rispettare e armonizzare le molteplici forme di carismi e di metodi pastorali che caratterizzano l'azione dei laici!


4. Ciò che caratterizza l'attività del laico cristiano è che essa è unita a Dio come alla sua fonte, che è orientata conformemente alla sua volontà, che è realizzata secondo il suo spirito, secondo lo spirito delle beatitudini. Essa è l'opera coraggiosa e intelligente dell'uomo, e al tempo stesso è l'opera dello Spirito Santo presente nell'uomo. Si, lo Spirito continua a parlare alle Chiese come ho scritto recentemente nell'enciclica "Dominum et Vivificantem" (DEV 26); continua a suscitare in ogni persona e nelle comunità la riscoperta della preghiera; mette in luce il peccato dell'uomo, i segni di morte che sono le conseguenze dell'allontanamento o della negazione di Dio; ma anche i sogni di speranza per un mondo che Dio cessa di amare e di salvare; egli dona la vita, infonde nella Chiesa la sua carità. Voi, membri del Consiglio per i laici, portate con molti altri la testimonianza di questo nuovo soffio nella Chiesa, che può essere un frutto del Concilio Vaticano II nella misura in cui noi siamo fedeli alla sua ispirazione, cioè a una nuova messa in opera del Vangelo. E poiché voi lavorate al centro della Chiesa, potrei dire all'incrocio di tutte le comunità ecclesiali e dei loro movimenti laici, voi sperimentate, lungi da ogni spirito campanilistico, la ricchezza multiforme della presenza agente di Dio. Sentite più profondamente la gioia e l'impegno di una Chiesa veramente "cattolica", "universale". Partecipate al suo cammino verso la santità.


5. Per questo ho molto apprezzato la scelta del tema della vostra assemblea plenaria: "Chiamati alla santità per la trasformazione del mondo". Non dissociate questo appello e questa missione. La Chiesa ha bisogno di santi laici cristiani.

Si, più che di riformatori essa ha bisogno di santi, perché i santi sono i riformatori più autentici e più fecondi. Ogni grande periodo di rinnovamento della Chiesa è legato a importanti testimonianze di santità. Senza la ricerca di quest'ultima l'aggiornamento conciliare sarebbe un'illusione.


6. Ma la convinzione che noi dobbiamo condividere e diffondere questa chiamata alla santità è indirizzata a tutti i cristiani. Non è privilegio di un'élite spirituale. Non è il fatto che alcuni si sentono il coraggio eroico. Essa è ancor meno un rifugio tranquillo, adattato a una certa forma di pietà o ad alcuni temperamenti originali. E' una grazia proposta a tutti i battezzati, secondo modalità e gradi diversi (cfr Ep 4,7). Essa non è riservata a degli stati di vita particolari, ancora che alcuni la favoriscano, né all'esercizio di alcune professioni. San Francesco di Sales - gioisco di andare presto a onorarlo ad Annecy - ha mostrato considerevolmente che la santità, come la pietà o la devozione, è propria degli uomini e delle donne di qualsiasi situazione familiare o mestiere. Bisogna dunque aiutare i laici a vivere santamente, nella fede, speranza e l'amore, tutto quanto costituisce la loro vita nel mondo, nelle circostanze specifiche in cui Dio li ha posti. In questo senso, c'è un tipo di santità specifica propria dei laici.


7. I laici cristiani devono quindi cercare di raggiungere la pienezza della loro umanità, di un umanesimo cristiano che vive dello Spirito di Dio nel cuore delle mentalità e dei problemi del vostro tempo. Lucidi sugli ostacoli, puntano con certezza sulla potenza salvifica della croce, nella condivisione della prova di coloro che soffrono, negli sforzi per realizzare migliori condizioni di vita, con le strutture sociali corrispondenti, nella preghiera orientata verso il giorno della nostra liberazione completa. Il santo è l'uomo vero, la cui testimonianza di vita attira, interpella e trascina, perché egli manifesta un'esperienza umana trasparente, colmata dalla presenza di Cristo, il Figlio di Dio, il Santo per eccellenza, "che ha vissuto la nostra condizione di uomo in tutto eccetto il peccato". Il Cristo è l'uomo perfetto, la vita cristiana cerca di raggiungere in lui la piena statura dell'uomo, creato a immagine di Dio e ricreato per la salvezza nella percezione dell'amore. La santità comporta una novità di vita che a partire da una profonda intimità con Dio, da Cristo, nello Spirito Santo penetra tutte le situazioni umane, tutti gli stili di vita, tutti gli impegni, tutti i rapporti con le cose, con gli uomini, con Dio. Non dimentichiamolo mai, per non cadere in un attivismo tagliato dalla sua fonte divina: è Dio che santifica, che apre gli occhi al peccatore, che dona la forza della conversione e che sostituisce all'errore, all'ingiustizia, all'odio e alla violenza, grazie all'azione degli uomini che egli ha santificato, la verità, la libertà, la speranza, la pace e l'amore fraterno.


8. Cari fratelli e amici, ecco il mio augurio anche per voi: che Dio vi faccia crescere in santità, voi stessi, le vostre famiglie, i vostri amici! Allora il servizio che voi rendete alla Chiesa, per aiutare i laici cristiani e lavorare con loro alla trasformazione del mondo secondo lo Spirito di Dio, porterà frutti abbondanti. Chiedetelo anche a Maria, la Vergine santissima, Madre di Gesù e Madre nostra, affinché diventiate, presso di lei, i discepoli che il Signore attende. A ciascuno dei membri di questa assemblea, a tutti coloro che lavorano quotidianamente al servizio del Consiglio Pontificio per i laici, dono di tutto cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-06-07 Sabato 7 Giugno 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alla Pontificia Accademia ecclesiastica - Città del Vaticano (Roma)