GPII 1986 Insegnamenti - Saluto alla popolazione all'aeroporto - Pereira (Columbia)

Saluto alla popolazione all'aeroporto - Pereira (Columbia)

Saldi nella fedeltà a Cristo e alla Chiesa


Cari fratelli e sorelle. La vostra presenza in questo aeroporto di Matecana mi riempie di gioia poiché vedo in questo una manifestazione della fede cristiana che ha animato la vita di tante generazioni in questo caro paese colombiano. Come successore di Pietro che conferma i suoi fratelli nella fede, nel corso di questa visita pastorale al vostro caro Paese, vi esorto caldamente a continuare, saldi nella vostra fedeltà a Cristo, Nostro Salvatore, e alla Chiesa, Nostra Madre. Che questa bella terra, che è stata benedetta da Dio con la ricchezza dei suoi doni nelle fertili piantagioni di caffè sia terreno fecondo in cui il seme del Vangelo produca abbondanti frutti di vita cristiana. Che le vostre famiglie, sull'esempio di quella di Nazaret, siano chiese domestiche in cui regnino l'amore e la pace e dove si educhino i figli alla fede cattolica e alla pratica delle virtù. Mentre invoco su tutti voi la protezione della santissima Vergine, che tanto amate, vi imparto con affetto la mia benedizione apostolica.

Data: 1986-07-05 Sabato 5 Luglio 1986




Omelia per le ordinazioni sacerdotali - Medellin (Colombia)

Senza riserve al servizio di Cristo



1. Carissimi fratelli nel sacerdozio di Cristo: "Non vi chiamo più servi... ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,15). Durante la celebrazione dell'ultima cena Gesù pronuncio queste parole, rivolte agli apostoli mentre istituiva il sacramento del suo corpo e del suo sangue e incaricava loro: "Fate questo in memoria di me" (Lc 22,19). Queste parole sono collegate in modo del tutto particolare con la vocazione sacerdotale. Cristo rende sacerdoti gli apostoli, affidando nelle loro mani il Sacramento del suo corpo e del suo sangue. Quel corpo che sarà offerto sulla croce, quel sangue che sarà sparso (ora sotto le specie del pane e del vino) costituiscono la Memoria del sacrificio della croce di Cristo. Nel cenacolo, Cristo chiama amici gli apostoli, perché ha donato loro il suo corpo ed il suo sangue. Da quel momento, realizzando sacramentalmente questo sacrificio, dovevano operare in suo nome, rappresentandolo personalmente, "in persona Christi".


2. In questo consiste la grandezza essenziale del sacerdozio ministeriale, della quale oggi farà partecipi, per mezzo del sacramento dell'Ordine, voi, figli della Chiesa di Colombia, della Chiesa di Medellin. E' un giorno molto importante nella vostra vita e nella vita di questa Chiesa, che in questa circostanza desidero salutare cordialmente. Saluto con affetto il popolo cristiano che si è riunito questa sera nell'aeroporto di "Olaya Herrera". Siete, per la maggior parte, fedeli della Provincia ecclesiastica di Medellin, Antioquia, Jerico, Santa Rosa de Osos, Sonson-Rionegro e di altre circoscrizioni vicine. La nobiltà cristiana delle vostre famiglie - vivai di vocazioni sacerdotali e religiose - e la profonda adesione alla Chiesa, sono state le caratteristiche di questa amata regione della Colombia.


3. La liturgia di oggi ci indica, in modo particolarmente profondo, la verità sulla vocazione sacerdotale. La vocazione è anzitutto una iniziativa di Dio stesso. Dio chiama continuamente persone concrete al sacerdozio, così come nel passato ha chiamato il profeta. E' impressionante la descrizione che di tale chiamata fa Geremia: "Prima di formarti nel seno materno, ti conoscevo" (Jr 1,5).

Il "conoscere" di Dio significa elezione, chiamata a partecipare alla realizzazione dei suoi piani salvifici. Alla luce del mistero dell'Incarnazione, questa scelta si ricollega strettamente con Cristo sacerdote: "Ci ha scelti prima della creazione del mondo" (Ep 1,4). "Prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato" (Jr 1,5). La consacrazione a Dio è dedizione piena, totale, per tutta la vita, a un incarico o missione, sotto l'azione dello Spirito del Signore che unge e invia (Is 61,1).

Mediante gli ordini sacri il sacerdote partecipa dell'unzione e della missione di Cristo sacerdote e buon pastore, "mi ha consacrato con l'unzione mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio" (Lc 4,18). Da ciò consegue che l'impegno del sacerdozio porta il sigillo dell'eterno. Siete consacrati per sempre. Non è una decisione soggetta alle oscillazioni del tempo né alle vicissitudini della vita. Essa non può fondarsi su sentimenti o su emozioni passeggere. Comporta, come l'amore autentico, la permanenza nella fedeltà. Siete chiamati a restare sempre con il Signore, a perpetuare giorno dopo giorno la sua amicizia per modellarvi sul suo cuore. Soltanto alla luce di questo amore si possono comprendere e vivere le esigenze evangeliche che il sacerdozio ministeriale comporta. La vostra gioventù la dovete mettere pienamente e senza riserve al servizio di Cristo, per convertirvi in strumenti di salvezza senza frontiere. "Non temerli", ci dice la prima lettura del profeta Geremia: non c'è posto per i dubbi e per gli scoraggiamenti; "perché io sto con te" (Jr 1,8), ci ripete il profeta. La debolezza umana non è un ostacolo, quando la sappiamo riconoscere e la poniamo fedelmente e con fiducia nelle mani di Dio. Gesù risuscitato sottolinea questa presenza: "Sono io" (Lc 24,36), "saro con voi" (Mt 28,20). Per questo è possibile compiere la missione del Signore: "Va' da coloro a cui ti mandero" (Jr 1,7); "Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca" (Jr 1,9).

Sono "parole di vita eterna" (Jn 6,68), che sostengono la generosità dell'inviato e assicurano il frutto dell'apostolato, anche se attraverso il mistero della croce.


4. E' lecito aver paura della parola e della chiamata di Dio? No! Si può temere la debolezza umana, ma la chiamata che viene da Dio, mai. Essa, di fatto, indica sempre un cammino meraviglioso: chiama a una partecipazione peculiare alle "grandi cose di Dio". Conviene, pertanto, ascoltare attentamente le parole dell'apostolo nella lettera agli Efesini: "Vi esorto dunque io, prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza" (Ep 4,1-2). Amatissimi figli, pensate inoltre che il cammino verso la santità sacerdotale e l'apostolato è un cammino di povertà biblica. Quando riconosciamo la nostra debolezza, allora siamo forti (cfr 2Co 12,10). Questo atteggiamento di umiltà, che è autenticità e verità, vi farà riconoscere con gioia che la vocazione sacerdotale è un dono del cuore di Cristo e un'opzione che arriva nel più profondo del cuore e della coscienza. Nella vocazione sacerdotale si sperimenta il contrasto tra la forza e la santità del Maestro che chiama, e la fragilità e la pochezza di coloro che sono scelti. Il timore davanti alla sublimità, e la grandezza della missione che vi viene affidata, lo avrete sperimentato già in voi stessi; pero sentite anche la sicurezza e la gioia di sapere che è Gesù colui che chiama, che egli sarà sempre con voi e vi darà le energie e la gioia per essere fedeli al suo servizio. E lui non abbandona mai i suoi seguaci.


5. La vocazione sacerdotale è un dono per la Chiesa. Nella Chiesa esistono differenti doni, come ci insegna l'apostolo: "A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo" (Ep 4,7). Tutti questi doni differenti costituiscono una "parte" essenziale e irripetibile di quel "dono di Cristo". In effetti, tutte le grazie e i carismi servono congiuntamente "per edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,12). Fra tutti questi doni, il sacerdozio ministeriale acquista un'importanza peculiare. Partecipiamo in modo speciale del sacerdozio di Cristo. Anche se "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" (Jn 1,16) ciascuno partecipa di questo "dono di Cristo" secondo grazie e carismi particolari, sempre al servizio della comunità ecclesiale che è comunione di fratelli. La diversità e la peculiarità dei doni bisogna riconoscerla, amarla e viverla, proprio per costruire l'"unico corpo" di Cristo che è la Chiesa, animata da "un solo Spirito".

Nella misura in cui amerete gioiosamente il vostro sacerdozio, vi sentirete chiamati ad apprezzare, rispettare, suscitare e coltivare gli altri carismi della comunità ecclesiale, per costruire il Corpo di Cristo fino alla perfezione e alla pienezza (cfr Ep 4,12). L'identità sacerdotale è perciò una realtà gioiosa che si sperimenta quando amiamo il dono ricevuto per servire e migliorare gli altri, con l'impegno di "dare la vita" come il buon pastore (Jn 10,15).

6. Se la azione sacerdotale è un dono così grande per la Chiesa, ciò vuol dire che non appartenete più a voi stessi, ma siete divenuti proprietà di Cristo che vive nella Chiesa e che vi aspetta nei molteplici campi dell'apostolato. Appartenete a Cristo e appartenete alla Chiesa, che è la sua "Sposa senza macchia", "quella che Cristo ha amato e ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25). Questo si chiede a voi: che amiate. L'amore a Cristo e l'amore al sacerdozio non sarebbero possibili senza amare profondamente la Chiesa, la quale, nonostante le limitazioni proprie della sua condizione di pellegrina, non cessa di essere il corpo di Cristo, la sua sposa e il popolo di Dio.


7. Servite il gregge come presbiteri, "sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo... facendovi modelli del gregge" (1P 5,2-3). Che le comunità vi possano riconoscere quali annunciatori del Vangelo, dediti a questa missione di cui il mondo ha tanta urgenza, a tempo pieno, senza invadere altri campi e lavori secolari che non vi riguardano, nel luogo indicatovi dal vescovo, del quale sarete collaboratori, in leale unità, quali pastori solleciti che rispecchiano in tutto la loro condizione sacramentale: nel profondo dell'anima, nel comportamento pastorale e nel comportamento esterno.

Seguire Cristo comporta inoltre che vi sentiate davvero Chiesa, con amore di figli, disposti alla collaborazione responsabile, con un attaccamento pronto e generoso alla sua disciplina e alle sue norme, cooperando lealmente con il vostro vescovo. Soltanto rimanendo con Cristo, vivendo con lui, facendo si che informi la nostra vita, sarà possibile annunciarlo con decisione, con franchezza, con slancio, comunicando l'esperienza che si vive nel mistero e nella comunione con la Chiesa "sacramento universale di salvezza" (AGD 1).


8. In tal modo, carissimi fratelli e sorelle, sperimentiamo oggi, tutti noi qui presenti, in maniera particolare, quell'amore del Padre di cui parla Cristo agli apostoli nella vigilia della sua morte. "Come il Padre ha amato me, così anche io ho amato voi" (Jn 15,9). In Cristo l'amore del Padre si converte per noi in sorgente inesauribile di vita e di luce. "Il sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù", soleva dire il santo curato d'Ars, di cui celebriamo, quest'anno della vostra ordinazione, il secondo centenario della nascita. Effettivamente, "nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici" (Jn 15,13). Ed è proprio Cristo colui che dà la vita per noi. E questo suo "dare la vita", questo sacrificio rimane nella Chiesa e, mediante la Chiesa, rimane nell'umanità di generazione in generazione. Rimane attraverso la parola del Vangelo e nell'Eucaristia, sacramento della morte e risurrezione di Cristo. Rimane, pertanto, per mezzo del ministero dei sacerdoti. E attraverso questo ministero si rinnova e si fa presente in tutti i tempi. Dall'alto della croce e dal cuore del suo sacrificio salvifico, Cristo continua dicendoci: "Rimanete nel mio amore" (Jn 15,9).


9. Il Signore dice oggi a voi tutti, carissimi ordinandi, in modo del tutto particolare: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore". Si! "Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" (Jn 15,10). In queste parole si manifesta davvero il vincolo o la relazione divina traslata alla dimensione dell'esistenza dell'uomo. Sappiamo bene quali sono i comandamenti che costituiscono la fermezza di questo vincolo di permanenza nell'amore di Cristo. Sappiamo molto bene quali sono i principi della vita sacerdotale, quali sono le esigenze della disciplina sacerdotale che costituiscono la fermezza di questa corrispondenza. Si tratta davvero, di un seguire sacrificato che esclude ogni forma di collocazione ed esige la maggiore disponibilità possibile, come si richiede a colui che non ha dove poggiare il capo. E' un impegno che include tutta l'esistenza, senza ritardi, senza compromessi, così come esige il Messia, Figlio di Dio, che con la sua parola calma la tempesta, cura gli infermi, evangelizza i poveri, caccia i demoni, riconcilia l'umanità per rigenerarla alla vita. Egli esige la piena sottomissione alla volontà del Padre, il quale vi può condurre, come Pietro, là dove non vorreste andare (cfr Jn 21,18). Pero egli va sempre avanti, portando amorosamente la stessa croce che mette sulle nostre spalle e che rende più leggera. In effetti, dice il Signore: "Il mio giogo è soave e il mio carico è leggero" (Mt 11,30).

Una vita coerente con queste esigenze, una vita vissuta con questo amore, apre davanti a noi nello stesso tempo la prospettiva della gioia divina.

"Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Jn 15,11). "E' questa la vera gioia pasquale" (PO 11), caratteristica dell'identità sacerdotale e preludio alla fioritura di vocazioni sacerdotali. Questo è il senso della vocazione sacerdotale e del servizio, o ministero sacerdotale del popolo di Dio. "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi" (Jn 15,16), dice il Signore. Queste parole le abbiamo tutti incise a fuoco nei nostri cuori: voi e io! Sono le parole di Gesù nel contesto familiare e intimo dell'ultima cena, quando il Signore apre amichevolmente il suo cuore ai discepoli. E' la gratuità della scelta di quelli che costituisce suoi ministri, ai quali affida una missione di particolare importanza. E' Dio che inizia il dialogo nella storia della salvezza, intessuta della meravigliosa realtà del suo amore. E' lui che prende l'iniziativa con la forza trasformante della sua Parola che tutto ricrea. "Lui ci ha amato per primo" (1Jn 4,9). Per questo aggiunge il Signore: "Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga" (Jn 15,16). così come rimane, in modo ammirevole, il frutto della prima semina del Vangelo in questa terra e in questo continente, così resterà il vostro frutto, oggi, in questo scorcio finale del secondo millennio cristiano, mentre si sta per compiere il quinto centenario dell'inizio dell'evangelizzazione dell'America Latina. 10. Perché rimane questo frutto di vita cristiana? Forse perché coloro che lo hanno seminato seppero, nello stesso tempo, pregare, chiedere nel nome di Cristo: "perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome ve lo conceda" (Jn 15,16). E lo concederà anche a noi. L'amore fraterno sarà la garanzia della nostra unione con Cristo e segno efficace di evangelizzazione: "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri" (Jn 15,17). L'efficacia del Vangelo produce frutti che molte volte i nostri occhi non vedono. La grazia del Signore attende segretamente nei cuori. Viviamo oggi del seme che generazioni di generosi missionari piantarono nella feconda terra colombiana e che la grazia di Dio ha fatto germogliare e dare frutto. In questo giorno così importante per la Chiesa della Colombia, guardiamo verso il futuro con fiducia. La Chiesa vi ringrazia per lo sforzo che voi, amati fratelli vescovi e superiori religiosi, state realizzando nel campo delle vocazioni, con la cooperazione di solleciti e idonei formatori, attenti alle norme della Chiesa e all'integra formazione spirituale, accademica e pastorale dei candidati al sacerdozio e alla vita religiosa. Ringrazio e benedico per l'ingente lavoro che si è realizzato nella pastorale delle vocazioni. L'incremento di questa deve aprire generosamente il cuore con spirito di corresponsabilità e missionario, in modo che si possa prestare l'aiuto necessario alle altre Chiese sorelle che soffrono oggi di carenza di sacerdoti. Guardando Maria, Madre della Chiesa e Madre amorosa dei sacerdoti, in questo momento così solenne, ognuno si sentirà invitato a imitare il suo amore materno: "La Vergine infatti nella sua vita fu il modello di quell'amore materno, del quale devono essere animati tutti quelli che nella missione apostolica della Chiesa cooperano alla rigenerazione degli uomini" (LG 65).

"Passa la scena di questo mondo" (1Co 7,31). Passano le generazioni di tutti i popoli e di tutte le nazioni. Ma le parole del Signore non passano. Le parole di Gesù pronunciate nell'ultima cena si faranno adesso realtà per mezzo del sacramento dell'Ordine che stiamo per conferire ai candidati qui presenti. L'intera Chiesa della Colombia intorno ai suoi vescovi; la Chiesa universale intorno al successore di Pietro, rivolge la sua fiduciosa orazione al Padre per questi diaconi che oggi, nella città di Medellin, riceveranno l'ordine del presbiterato. Amen. [Al termine della concelebrazione:] Questo è un giorno di gioia e di speranza per la Chiesa di Dio, che è pellegrina in Colombia, così come per la Chiesa universale. Ma la gioia che risveglia in noi questa fiorente primavera sacerdotale di ordinazioni, è profondamente turbata nel mio spirito e in quello di tutti i figli della Chiesa - anzi, direi che anche in tutte le persone sensibili all'esigenza della libertà e del dovuto rispetto ai diritti fondamentali dell'uomo e del cittadino - è profondamente turbata, dico, per la triste notizia che mons.

Pablo Antonio Vega Mantilla, vescovo prelato di Juigalpa e vicepresidente della Conferenza episcopale di Nicaragua, è stato allontanato con la forza dalla sua prelatura ed espulso dalla sua propria patria. Questo fatto quasi incredibile mi ha profondamente rattristato, tanto più che evoca epoche oscure - non ancora troppo lontane nel tempo, ma che ben si potevano ragionevolmente credere superate - nell'attività che compie la Chiesa. Vorrei sperare bene che i responsabili di questa decisione riflettano sulla gravità della misura presa, che inoltre contraddice reiterate affermazioni di volere una pacifica e rispettosa convivenza con la Chiesa. Nella mia pastorale sollecitudine per la Chiesa nicaraguense innalzo, con la mia più viva deplorazione, la mia fervida preghiera all'Altissimo perché assista con la sua grazia mons. Vega, il clero, i religiosi e le religiose e i fedeli della sua prelatura di Juigalpa, i miei fratelli nell'episcopato col caro cardinale Obando Bravo, e tutta la Chiesa del Nicaragua, in questi momenti di prova, nei quali contano la preghiera di tutta la Chiesa e la mia affettuosa benedizione apostolica.

Data: 1986-07-05 Sabato 5 Luglio 1986




Discorso agli abitanti dei "barrios" - Medellin (Colombia)

Autentica solidarietà continentale


Cari fratelli e sorelle.


1. E' per me motivo di gioia profonda incontrarmi questo pomeriggio con voi, sacerdoti e laici impegnati in parrocchie povere e operose, che, insieme a numerose delegazioni dei quartieri popolari, rappresentate settori del paese dove si vive una particolare situazione di povertà e di emarginazione. So bene che questo incontro, preparato con tanta cura, rappresenta il culmine di un lungo e paziente lavoro d'insieme, indirizzato a conoscere e a servire meglio le vostre comunità parrocchiali. Il papa è con voi. Mi sento unito a ciascuno di voi e a quanti agiscono come il buon samaritano con i fratelli più bisognosi. Per questo motivo vorrei che le mie parole giungessero in tutte le parrocchie povere della Colombia, e in modo particolare nelle vostre case, nei vostri quartieri, nei vostri posti di lavoro.

Quando il cristiano ripone senza riserve la sua fiducia nel Padre celeste, scaturisce spontaneamente dal suo cuore un flusso di gratitudine e di speranza.

Sappiamo che tutti i doni provengono da lui; che vuole il bene dei più deboli, dei bisognosi, di coloro che portano sul volto i segni di Cristo sofferente.

Mentre guardo voi, giunti da diversi luoghi della Colombia, e in particolar modo dalle zone industriali di Medellin, elevo a Dio il mio fervente rendimento di grazie per il dono della fede, che è tanto radicata nei vostri cuori. Lo faccio con le parole di Gesù: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Questa preghiera di Cristo risuona questo pomeriggio con una forza e un significato particolari, perché agli umili, ai semplici sono rivelate le ricchezze del regno di Dio.


2. In questo passo del Vangelo di san Matteo, Gesù, il Figlio di Dio, ci rivela il mistero della paternità divina; e "esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta, infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui "piccoli"" (DEV 20). Nella Chiesa, cari fratelli e sorelle, sperimentate in modo particolare la dignità di figli di Dio, che è il titolo più nobile e bello cui può aspirare l'essere umano. Mantenete sempre viva e operante tale dignità; in essa risiede la grandezza che la Chiesa, corpo di Cristo, conserva, tutela e promuove. Nessuno dà tante ragioni per amare, rispettare e far rispettare i poveri come la Chiesa, che è depositaria della verità rivelata sull'uomo, immagine di Dio, redento da Cristo.

L'annuncio della buona novella del regno dà motivo di questa gioia che oggi condividiamo, nonostante le particolari difficoltà della vostra esistenza. La recente istruzione su libertà cristiana e liberazione mette opportunamente in rilievo: "Questa è la loro dignità (quella dei poveri) che nessuno dei potenti può loro strappare; questa è la gioia liberatrice, presente in loro". Si, i "piccoli", i poveri, "si sanno amati da Dio, come tutti gli altri e più degli altri. Essi vivono così nella libertà che scaturisce dalla verità e dall'amore" ("Libertatis Conscientia", 21). Gesù proclama beati i poveri in un'affermazione che rompe l'apparente solidità di criteri che hanno la pretesa di identificare la felicità con il godimento dei beni temporali, con il possedere, con la ricchezza materiale.


3. Gesù, che si fece povero per salvarci, è l'unico che ci rivela al Padre: "Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare" (Mt 11,27). Con queste parole il Signore ci manifesta le sue relazioni ineffabili e uniche con il Padre suo, invitando così coloro che lo ascoltano a farsi suoi discepoli, "piccoli", poveri in spirito. E' nella sua dignità di Figlio di Dio che affondano le loro radici i diritti di tutti gli uomini, il cui garante è Dio stesso. perciò la Chiesa, obbediente al mandato ricevuto, sprona ai doveri di solidarietà, di giustizia e di carità con tutti, in particolar modo con i più bisognosi. "Amando i poveri, infine, la Chiesa rende testimonianza alla dignità dell'uomo" (Libertatis Conscientia, 68). Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, il Signore Gesù si mostra pietoso e misericordioso con tutti coloro che soffrono: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorero. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime" (Mt 11,28-29). Oggi, in modo particolare, desidero rivolgere a voi un invito e un appello, sacerdoti e fedeli delle parrocchie più povere della Colombia: a voi stanchi e oppressi dalla povertà, dall'ingiustizia, dalla mancanza di posti di lavoro, dalle carenze nell'ambito dell'educazione, della salute, degli alloggi, dalla mancanza di solidarietà da parte di coloro che pur potendo aiutarvi non lo fanno.


4. Nelle vostre persone, cari sacerdoti, religiosi, religiose e laici, che dedicate il vostro sforzo generoso al servizio dei più bisognosi, voglio ringraziare il lavoro apostolico di tante persone che vedono nei poveri "i lineamenti del Cristo sofferente, il Signore che ci pone in questione e ci interpella" (Puebla, 31). Il lavoro della Chiesa a favore dei più bisognosi è un fatto che ha animato sempre la vita delle comunità cristiane. Questo amore preferenziale deve continuare a essere caratteristica e attività prioritaria della Chiesa, fedele al suo Signore, povero e umile di cuore, "da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9). Amati sacerdoti, voi rappresentate numerosi fratelli nel sacerdozio di Cristo, che con gioia evangelica esercitano il loro ministero nella parrocchie più bisognose. Io vi chiedo vivamente di continuare con gioia il vostro edificante compito di assistenza e di santificazione, mediante la Parola e i sacramenti, in piena comunione con i vostri pastori e con gli insegnamenti della Chiesa, e ispirati alla sua dottrina sociale. Siete chiamati a rendere testimonianza di santità e dedizione con la vostra vita e con il vostro ministero, consapevoli che la missione che svolgete è di carattere religioso, spirituale. Non ci si può avvicinare ai poveri se non si ha un cuore da povero, che sappia ascoltare e ricevere la parola di Dio così com'è. Per questo c'è bisogno di apostoli che seguano e imitino Cristo nella sua vita di povertà, senza ambizioni egoistiche e con grandi capacità di ascolto e di sensibilità con i fratelli. Voi stessi siete testimoni dell'apprezzamento e della gratitudine dei fedeli, quando non intervengono interessi di carattere ideologico e politico, che sono estranei al Vangelo o alle esigenze della vostra vocazione. Atteggiamenti non conformi alla missione evangelizzatrice del sacerdote danneggerebbero la comunità e lederebbero l'integrità del ministero che il Signore vi ha affidato nella sua Chiesa.


5. So che compite un importante e significativo sforzo di pastorale sociale con obiettivi rivolti alla promozione umana e cristiana dei più poveri. E' da ricordare che questa dimensione della pastorale non consiste solamente nello sforzo profetico della denuncia dei mali; e nemmeno può ridursi, come succede a volte per disgrazia, a mansioni e strategie socio-politiche. Questa pastorale dev'essere, secondo il Vangelo, un autentico servizio ai più poveri. Si tratta di una pastorale sociale non esente da difficoltà. Pertanto è necessario che segua molto da vicino i passi del Signore Gesù e che sia fedele ai suoi insegnamenti nello spirito del discorso della montagna; è necessario che si alimenti della saggezza della fede, alla luce del parola di Dio e nella fedeltà e nell'amore alla Chiesa. Per garantire la sua efficacia, tale pastorale deve inserirsi nella pastorale d'insieme di ciascuna Chiesa particolare, con un grande senso di collaborazione con tutta la comunità cristiana e in spirito di comunione con il presbiterio, tutti uniti intimamente con il vescovo. La presenza della Chiesa tra i poveri non può in alcun modo ridursi alla sola dimensione della promozione umana nel campo della giustizia sociale. La sua missione con loro è tanto ampia da abbracciare tutti i campi dell'azione pastorale. Il suo fulcro deve essere una preoccupazione evangelizzatrice dato che questa, concepita integralmente, è il miglior servizio ai fratelli più bisognosi (cfr Puebla, 1145). In tal senso una catechesi solida e profonda, che insegni senza ambiguità ciò in cui si deve credere, secondo i criteri del magistero autentico, è un servizio essenziale per la promozione cristiana e per la coscienza della dignità del povero, della sua vocazione cristiana e della sua appartenenza al corpo mistico di Cristo.


6. La Chiesa non può in alcun modo lasciarsi strappare da nessuna ideologia o corrente politica la bandiera della giustizia, che rappresenta una delle prime esigenze del Vangelo e, nello stesso tempo, il frutto della venuta del regno di Dio. Questo fa parte dell'amore preferenziale per i poveri e non può dissociarsi dai grandi principi ed esigenze della dottrina sociale della Chiesa. "L'oggetto primario di questo insegnamento sociale è la dignità personale dell'uomo, immagine di Dio, e la tutela di tutti i suoi diritti inalienabili" (Puebla, 475). Pertanto, un aspetto imprescindibile dell'evangelizzazione dei più poveri è dare maggior vigore a un'attiva sollecitudine sociale, guidati sempre dalla parola di Dio, in sintonia perfetta con il magistero della Chiesa e in comunione intima con i pastori. Dalla parola di Dio e da tutta la tradizione cristiana, nella quale il povero ha sempre occupato un posto di privilegio, la Chiesa ha estratto il miglior tesoro e il più ricco patrimonio per la sua dottrina sociale. La Chiesa colombiana, da parte sua, ha sempre voluto essere al servizio dei poveri e continua a confermare questo impegno. Nel suo seno, e per sua iniziativa, è nata l'organizzazione sindacale operaia. In numerose parrocchie vi sono servizi completi di assistenza e di promozione, secondo lo spirito liberatore del discorso della montagna, che mettono in pratica, in questo modo, la prima beatitudine: "Beati i poveri in spirito" (Mt 5,3). L'istruzione su libertà cristiana e liberazione ricorda opportunamente che: "La beatitudine della povertà, che egli ha proclamato, non può dunque, significare in alcun modo che i cristiani si possono disinteressare dei poveri... Questa miseria è un male da cui bisogna liberare, per quanto è possibile, gli esseri umani" ("Libertatis Conscientia", 67). Per questo la Chiesa, nel suo insegnamento sociale, avverte coloro che vivono negli eccessi e nel lusso dell'abbondanza di uscire dalla cecità spirituale; del fatto che la dignità umana non risiede nel solo "avere"; di prendere coscienza della situazione drammatica di coloro che vivono nella miseria e che soffrono la fame. Chiede loro inoltre di condividere quanto hanno con coloro che hanno poco o nulla, per costruire così una società più giusta e solidale.

"L'uomo vale di più per quello che è che per quello che ha" (GS 35).


7. Nel vedervi oggi qui riuniti così numerosi in questo stadio, spinti dall'impulso della vostra fede, mi viene spontaneo rivolgervi un appello alla solidarietà. La fede comune in un Dio Padre e misericordioso, la speranza in una terra nuova alla cui creazione collaboriamo tutti con la nostra attività, e il sapere che, proprio per mezzo di questo Padre comune siamo tutti fratelli in Gesù Cristo, devono spingerci a cercare solidalmente le condizioni necessarie, affinché ciò che può apparire un'utopia vada già facendosi realtà nella vita delle vostre comunità. Sarà, questo, frutto della "nobile lotta per la giustizia", che non è una lotta del fratello contro il fratello, né del gruppo contro il gruppo, ma dovrà essere sempre ispirata ai principi evangelici di collaborazione e di dialogo, escludendo pertanto ogni forma di violenza. L'esperienza di secoli ha dimostrato come la violenza generi maggior violenza e come questa non sia il giusto percorso verso la vera giustizia. La solidarietà, alla quale oggi vi invito, deve mettere le sue radici più profonde e prendere il suo alimento quotidiano dalla celebrazione comunitaria dell'Eucaristia, il sacrificio di Cristo che ci salva. Nella partecipazione eucaristica scoprirete l'esigenza di solidarietà e di far parte della meravigliosa realtà dell'essere membri di un'unica famiglia: la Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo. So che ci sono tra voi dei cristiani esemplari, che compiono azioni comuni a favore di vostri concittadini e del bene comune in generale. A questo deve muoversi la coscienza della vostra dignità, che è il fondamento dei vostri diritti inalienabili. Deve muoversi, soprattutto, l'amore degli uni per gli altri.

Ogni donna, ogni uomo è un fratello, una sorella. Fate si che anche di voi possa dirsi come dei primi cristiani: "Guardate come si amano". Abbiate un solo cuore e una sola anima. Condividete come dei veri fratelli. In questo modo manterrete nelle vostre parrocchie e nelle vostre comunità lo spirito dei "piccoli", ai quali viene rivelato il messaggio del regno. così vi renderete allo stesso modo degni della beatitudine promessa dal Signore: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3). In questo spirito solidale, consapevoli del fatto che tutti formiamo una grande famiglia, ciascuno deve far fronte alle proprie responsabilità affinché tutti i colombiani possano usufruire di condizioni di vita conformi alla loro dignità di figli di Dio e di membri di una società che si vanta di essere cristiana.


8. Se guardiamo la realtà di molti paesi in via di sviluppo, in particolare nell'America Latina, vediamo che alla base del complesso problema della povertà ci sono cause non solo congiunturali ma anche strutturali, relative all'organizzazione socio-economica e politica della società. E' questo un fattore che deve essere tenuto molto in considerazione. Ma dietro a queste cause c'è anche la responsabilità degli uomini che creano strutture e organizzano la società; c'è l'uomo con il peccato dell'egoismo, causa radicale di tanti mali sociali. perciò la Chiesa chiede la conversione del cuore affinché tutti, agendo solidalmente, collaborino alla creazione di un nuovo ordine sociale che sia più consono alle esigenze della giustizia. Dal cuore di questa città di Medellin, che fu sede della II Conferenza generale dell'episcopato latino-americano, desidero lanciare un nuovo appello alla giustizia sociale. Un appello ai paesi progrediti affinché, superando gli schemi di un'economia orientata quasi esclusivamente in funzione del massimo rendimento, che ha come obiettivo solamente il proprio beneficio, cerchino congiuntamente con i paesi in via di sviluppo soluzioni reali ed effettive ai gravi problemi che ogni giorno assumono via via proporzioni sempre più preoccupanti e le cui vittime sono quasi sempre i più deboli. Desidero inoltre invitare i paesi dell'America Latina a impegnarsi nel creare un'autentica solidarietà continentale, che contribuisca a trovare vie d'intesa nelle gravi questioni che condizionano il suo progresso e sviluppo nell'ambito dell'economia mondiale e della comunità internazionale. Ai responsabili colombiani della politica, dell'economia, della cultura, rivolgo un pressante appello: la pace, tanto necessaria, è opera di tutti, e una pace vera sarà realtà solo quando si saranno eliminate le cause di ingiustizia. Mettete tutto il vostro impegno affinché si creino strutture rinnovate che permettano a tutti i colombiani di vivere in pace e in armonia.


9. A conclusione di questo incontro, nella fede e nell'amore che ci unisce, elevo la mia preghiera fervente alla Vergine di Chiquinquira, regina e patrona della Colombia, affinché infonda in voi, cari sacerdoti, fratelli e sorelle, lo spirito del Magnificat. "Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. E' a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza" ("Libertatis Conscientia", 97). E' questo il mio ardente desiderio e la mia fiduciosa richiesta a Dio per tutti e per ciascuno di voi, che benedico di tutto cuore.

Data: 1986-07-05 Sabato 5 Luglio 1986





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