GPII 1986 Insegnamenti - Alla Route nazionale dell'Agesci - Piani di Pezza (L'Aquila)

Alla Route nazionale dell'Agesci - Piani di Pezza (L'Aquila)

Siate fedeli a Cristo, perfetto educatore


Ho ascoltato parole molto nobili, parole di ringraziamento. Mi avete detto "grazie per essere venuto". Ma cosa devo dire io per la possibilità, l'occasione, il privilegio di essere qui? Allora dico anch'io grazie, un grazie profondamente sentito. Grazie di cuore per questo invito, per la possibilità di essere con voi, di essere qui, tra queste montagne; di vedere queste cime abruzzesi, di contemplare la bellezza di questa natura dell'Appennino, della vostra Patria, di essere qui "legalmente". Allora vi ringrazio per tutto questo, per l'invito, per la realizzazione odierna di questo invito e anche per la "legalità" della mia presenza tra queste montagne. Ecco, per me è un'esperienza grande e molto cara. Se non sbaglio, l'anno passato era l'Anno internazionale della gioventù e in quell'occasione ho scritto una "Lettera ai giovani e alle giovani del mondo". In quella lettera ho scritto soprattutto che Gesù fa scoprire ai giovani che la giovinezza è un tesoro, è una ricchezza. Non solamente oggi, ma da lungo tempo, penso che Baden-Powell abbia lasciato a tutti i giovani del mondo, nel programma scoutistico, una metodologia perfetta per verificare la verità di questa affermazione evangelica e anche mia: che la giovinezza, l'essere giovani, è una ricchezza. Io penso che il vostro metodo, il vostro programma di vita scout, il vostro essere scout, vi faciliti questa scoperta, questa constatazione. E lo facilita in molti modi diversi, tra cui anche il prezioso dono di essere vicini alla natura, di vivere nella natura, perché per scoprire la bellezza, la dignità dell'uomo ci vuole la vicinanza alla natura. così si scopre Dio e scoprendo Dio si scopre l'uomo, perché l'uomo è immagine di Dio. Questo lo si capisce meglio trovandosi a contatto con la natura.

Questo è uno dei modi, ma non l'unico. Voi avete certamente un programma educativo e questo programma proprio dello scoutismo - secondo i diversi gradi di essere sempre più scouts a cominciare da quello dei lupetti, delle coccinelle fino al vostro grado - ci mostra una via educativa. Soprattutto per voi, per il vostro grado, è chiaro che l'uomo, un giovane, una giovane, non può essere solamente educato. Deve essere pronto a un'auto-rieducazione, deve essere un autoeducatore. Ma per essere un autoeducatore ci vorrebbe il grande, grandissimo Educatore che ha detto di se stesso: "Io sono la via, la verità, la vita". E appunto quell'Educatore si trova nel programma del vostro cammino, nel programma del cammino dello scoutismo, nel programma dell'Agesci. Io vi auguro di essere fedeli a questo programma, di essere fedeli al più grande Educatore dell'umanità che è Gesù Cristo, il più grande e il più perfetto educatore; di essere fedeli nella vostra auto-educazione scoutistica.

Ecco perché sono venuto qui. Non per motivi protocollari, ma per motivi che nascono dal cuore, direi anche per ragioni di sentimento per i monti, per la natura, per essere così come siamo, per essere insieme, per essere - ma è un desiderio che non si potrà realizzare - intorno a un fuoco e cantare. Sono venuto qui perché vi conosco, perché vi incontro tante volte compiendo le mie visite nelle parrocchie romane. Quasi in ogni parrocchia ho l'opportunità di incontrare un gruppo di scouts, giovani attivi che vogliono realizzare la propria vocazione cristiana come scouts, cominciando da quelli più piccoli fino ai più grandi. Sono presenti e vivono lo scoutismo come un apostolato. Allora, quando mi hanno proposto di venire a incontrare questo grande gruppo di quattordicimila rovers e scolte, che conosco un po' meno dei piccoli, ho avvertito una sorta di "comando": "Devi andare perché loro sono la Chiesa e nella Chiesa sono presenti e in essa vogliono portare tutta la loro esperienza umana e cristiana, tutta l'esperienza propria del movimento scoutistico".

Vi saluto per ciò che siete e rappresentate: una parte, una parte molto preziosa della Chiesa italiana. Vorrei dire che saluto in voi non soltanto una parte tanto preziosa della Chiesa italiana, ma anche delle altre Chiese. Ho sentito infatti diverse lingue. Tra voi ci sono rappresentanti di altri Paesi. Ho sentito l'espressione francese, quella inglese, quella portoghese, quella greca.

Ci sono rappresentanti del Burkina Faso, dell'Africa, ma ho sentito anche l'espressione giapponese. Saluto tutti i vostri ospiti. Saluto anche i rappresentanti della Turchia. Auguro a tutti di essere una buona parte, una parte costruttiva della Chiesa, una parte consapevole della Chiesa. Carissimi, essere cristiani è una grande cosa, una grande vocazione.

Essere cristiani è un grande privilegio. Come ha detto uno dei Padri della Chiesa, essere cristiano è essere "alter Christus". Questa è la definizione dell'essere cristiano. E' una grande cosa, una grande testimonianza, è una grande responsabilità. Vi auguro di essere cristiani nel senso pieno della parola, più pieno e più profondo; di essere cristiani e, come i primi cristiani, testimoni di Cristo. E' questa, possiamo dire, la definizione più sostanziale, più evangelica, più apostolica dell'essere cristiano; essere testimoni del Cristo crocifisso e risorto. Essere testimoni di Cristo crocifisso e risorto vuol dire portare la luce, portare la luce nelle tenebre, portare la risposta a domande talvolta drammatiche, portare aiuto, solidarietà, amore all'uomo, agli altri, alle umane sofferenze, a tutto ciò che si chiama genere umano, a tutto ciò che si chiama società umana, società italiana, a tutto ciò che l'essere cristiani implica.

Carissimi, vi auguro di essere cristiani. Vi auguro che questa splendida metodologia dello scoutismo vi aiuti ad essere più pienamente cristiani.

Prima di andare vorrei ancora ringraziarvi per tutti i doni che mi avete offerto così generosamente per contribuire all'educazione del clero in Africa. Poi mi avete donato questo bastone, è soltanto un simbolo, e questo fazzoletto: io non mi sento degno di portare questo fazzoletto, direi non me lo merito. Voi lo meritate, perché avete camminato per tanti chilometri. Invece, io vado con l'elicottero e allora non lo merito. Insieme con i vostri sacerdoti assistenti ringrazio il Signore per tutto questo bene che ci ha dato durante questa Route, per tutti questi doni che vi ha dato, per tutto questo bene che ha operato nei vostri cuori. E vi auguro un futuro, un avvenire degno di quella splendida preparazione che vi ha dato il metodo scoutistico durante questo campeggio. Sia lodato Gesù Cristo. Arrivederci.

Data: 1986-08-09 Sabato 9 Agosto 1986




Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Avvicinarsi al cuore di Gesù sorgente di vita e santità



1. "Cuore di Gesù, sorgente di vita e di santità"! Sorgente. Ricordiamo quando Gesù si reco nella cittadina della Samaria, chiamata Sicar, dove vi era ancora una fonte che risaliva ai tempi del patriarca Giacobbe. In quel luogo incontro una samaritana, che vi giungeva per attingere l'acqua alla fonte. Egli le disse: "Dammi da bere". La donna rispose: "Come mai, tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?".

E allora Gesù replico: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui, che ti dice: "Dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". E continuo: "L'acqua che io daro diventerà sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,5-14). Sorgente! Sorgente di vita e di santità!


2. In un'altra occasione, nell'ultimo giorno della festa delle Capanne a Gerusalemme, Gesù - come scrive ancora l'evangelista Giovanni - "esclamo ad alta voce: "Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno"". L'Evangelista aggiunge: "Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Jn 7,37-39)


3. Tutti desideriamo avvicinarci a questa sorgente di acqua viva. Tutti desideriamo bere dal cuore divino, che è sorgente di vita e di santità. In esso ci è stato dato lo Spirito Santo, che è costantemente dato a tutti coloro i quali con adorazione e amore s'avvicinano a Cristo, al suo cuore. Avvicinarsi alla sorgente vuol dire raggiungere il principio. Non vi è altro luogo nel mondo creato, dal quale possa scaturire la santità nella vita umana al di fuori di questo cuore, che ha tanto amato. "Fiumi di acqua viva" sono sgorgati in tanti cuori... e sgorgheranno ancora! Ne rendono testimonianza i santi di tutti i tempi.


4. Ti preghiamo, Madre di Cristo, sii la nostra guida al cuore del tuo Figlio. Ti preghiamo, avvicinaci ad esso e insegnaci a vivere in intimità con questo cuore, che è sorgente di vita e di santità.

Data: 1986-08-10 Domenica 10 Agosto 1986









Omelia nella solennità dell'Assunta - Castel Gandolfo (Roma)

Mediante Maria Dio permea la storia dell'uomo e lo trasforma



1. "Si apri il santuario di Dio nel cielo" (Ap 11,19). Oggi è un giorno insolito.

La Chiesa conduce noi che siamo riuniti in questo tempio terrestre sul lago di Albano verso il santuario celeste che è Dio stesso. E' un tempio che non ha né le dimensioni né le forme architettoniche conosciute nella storia delle civiltà umane: è l'"ambiente" santissimo di Dio. Ed è tutto permeato dal mistero della sua divinità, una, indivisa e infinita. Questa realtà divina, tutta santa, è insieme il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: la comunione delle Persone nell'unità inscrutabile della Divinità. Noi, qui sulla terra, siamo tutti in pellegrinaggio verso questo santuario: verso questa dimensione dell'eterno compimento, dove Dio è tutto in tutti (cfr 1Co 15,28).


2. E tra tutti coloro, per i quali Dio è tutto, si trova in primo piano Maria.

L'odierna festività è, in un certo senso, la sintesi delle sue feste, il coronamento dell'intera via da lei percorsa prima nel pensiero divino, poi nell'arco della vita terrestre inserita, per una straordinaria missione, nella storia della salvezza. La liturgia ci consente di contemplarla come donna vestita di tutto l'universo visibile, creato da Dio. Tale essa fu nell'eterno disegno della Trinità divina, e tale l'ha vista l'evangelista Giovanni, il discepolo e apostolo destinato a divenire suo figlio nell'ora della morte di Cristo in croce.

Tale è Maria agli occhi, pieni d'amore, dell'autore dell'Apocalisse.

Ella è collegata con tutto il creato visibile, ed è insieme presente eternamente nel "santuario" di Dio.


3. E' presente in esso come l'"arca dell'alleanza". Il Signore infatti che è Dio dell'alleanza si è proposto di portare in lei, Maria, la sua alleanza con l'uomo al vertice più alto, allo zenit; portarla a una pienezza tale che supera il raggio dei pensieri e delle aspettative non soltanto dell'uomo, ma anche degli spiriti angelici. Dio ha voluto "farsi" uomo nel suo eterno Figlio. E la "donna vestita di sole" doveva diventare, per questo Figlio che ha la stessa sostanza del Padre, la Madre umana. L'"Arca dell'alleanza" è colei nella quale "il Verbo si fece carne".

"Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio" (Jn 3,16).

La Donna, predestinata eternamente ad essere Madre del Figlio di Dio, è "vestita" eternamente del sole dell'Amore divino... Amore che muove i mondi: il mondo visibile e quello invisibile.


4. E perciò lei è "un segno grandioso". Questo "segno grandioso" della Donna fu rivelato da Dio agli inizi della storia dell'uomo. Fu rivelato quando questi, per la disobbedienza al Creatore, si allontano dall'alleanza dell'amore con il Padre, ed entro nelle vie false del peccato. E ciò avvenne "per la tentazione del Maligno" (cfr LG 63), il "serpente antico" (cfr Ap 12,9) che Cristo chiamerà, a suo tempo, "padre della menzogna" (Jn 8,44). Dio Creatore, dopo aver maledetto il tentatore, pronunzio le parole che riecheggiano chiaramente anche nell'odierna lettura dell'Apocalisse. Il Signore Dio disse: "lo porro inimicizia tra te e la donna", tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno" (Gn 3,15).


5. Con queste parole del Libro della Genesi, che appartengono a quello che è chiamato il protoevangelo, la Donna vestita di sole, vestita dell'eterno amore - la Donna dei disegni salvifici di Dio - entra nella storia dell'uomo. Prima entra nella storia delle attese messianiche, che appartengono in modo particolare al popolo eletto dell'antica alleanza: a Israele. Quindi entra nella storia degli adempimenti messianici, ai quali rende testimonianza l'intero Nuovo Testamento, in particolare il Vangelo. Dal momento in cui Maria per opera dello Spirito Santo ha concepito e partorito, in modo verginale, il Figlio che il Padre ha eternamente deciso di "dare", perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Jn 3,16), si compie il tempo della salvezza. Ne rende testimonianza, nell'Apocalisse, la voce del cielo che dice: "Ora si è compiuta / la salvezza, la forza e il regno / del nostro Dio / e la potenza del suo Cristo" (Ap 12,10). E così è in realtà. L'umanità vive nel tempo della salvezza. Vive sotto la potenza "del Cristo Dio", nel regno di Dio. così è in realtà, benché la coscienza di questa verità non sia sulla terra così universale e così forte come è in cielo, nel santuario di Dio stesso.


6. Similmente non cessano di compiersi le parole del protoevangelo. "L'inimicizia", provocata dal peccato all'inizio, perdura lungo il corso della storia dell'uomo, e vi sono periodi in cui essa sembra crescere di particolare intensità. così, dunque, quell'"enorme drago" dell'Apocalisse si pone continuamente "davanti alla donna", moltiplicando, nella storia dell'umanità, il peccato, e soprattutto cercando di allontanare l'uomo da Dio e di legarlo al mondo in maniera che Dio Creatore e Padre sparisca dall'orizzonte del pensiero e del cuore degli uomini. Anzi tenta, per quanto possibile, di spingere l'uomo al disprezzo e all'odio contro Dio e contro tutto ciò che è da Dio: "amor sui usque ad contemptum Dei", come si è espresso sant'Agostino.


7. L'odierna solennità ha, quindi, un duplice carattere. Primo: è in essa contenuta la testimonianza della vittoria riportata dal Figlio della Donna: "ti schiaccerà la testa". Ecco, infatti, "Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti... e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Co 15,20 1Co 15,22) e la risurrezione: e tra di loro la prima è Maria, perché ella appartiene di più a Cristo. La Chiesa gioisce oggi per la gloria della sua Assunzione. Da tale vetta guarda tutto il corso della storia della salvezza fino all'"inizio". Ecco, come si è compiuto in Dio il mistero della "donna vestita di sole", vestita dell'eterno amore.


8. Secondo: la solennità dell'Assunzione è destinata a noi: agli uomini che sono ancora pellegrini in questo mondo, dove continua a svolgersi la lotta tra il bene e il male. E l'uomo coinvolto in questa lotta, come ricorda l'ultimo Concilio, può facilmente perdersi per le vie false della contemporaneità, se non fisserà gli occhi su quel "segno grandioso", che lo raggiunge costantemente dal santuario del Dio Vivente. "La donna vestita di sole", vestita dell'eterno amore divino.

Mediante lei questo amore salvifico permea costantemente la storia dell'uomo e lo trasforma. Occorre, quindi, che l'uomo alzi gli occhi. Occorre che ascolti la voce che accompagna inseparabilmente il segno grandioso della Donna: Ora si è compiuta / la salvezza, la forza e il regno / del nostro Dio / e la potenza del suo Cristo" (Ap 12,10). Si. Si è compiuta la salvezza!

Data: 1986-08-15 Venerdi 15 Agosto 1986




Ai partecipanti all'89° Katholikentag

"Venga il tuo regno": una dimensione per costruire il futuro



1. "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (Ep 1,2).

Con queste parole di augurio desidero salutare - in occasione dell'apertura dell'89° Katholikentag ad Aquisgrana -, insieme ai pastori della città e della diocesi ospite, i miei confratelli nel ministero episcopale e sacerdotale, i religiosi e tutti i fratelli e le sorelle, che sono qui convenuti, per dare pubblica testimonianza della nostra fede comune. "Venga il tuo regno!". Ho scelto per voi questa invocazione del Padre nostro come espressione di ciò che deve animare e caratterizzare la vostra preghiera, la vostra riflessione, i vostri discorsi e i vostri incontri. Infatti, il desiderio di un futuro migliore, l'anelito di pace, il grido di giustizia che salgono dai cuori di miliardi di uomini, non trovano altra efficace via per la loro realizzazione di questa instancabile invocazione. Nella città di Aquisgrana, che è così profondamente legata alla storia della ricerca temporale di un regno che promuova pace, unità e giustizia, sullo scenario del vostro duomo, che rispecchia la Gerusalemme celeste, questa preghiera al Padre di tutti gli uomini e al Signore della storia assume una particolare efficacia,


2. "Venga il tuo regno!". Nella mia parola di saluto con questo motto del vostro Katholikentag vorrei esprimere tre pensieri, che oggi mi sembrano particolarmente importanti. Questa invocazione del Padre nostro conferisce innanzitutto una dimensione e un punto di riferimento agli sforzi umani per la costruzione del futuro. Il nostro secolo è pieno di ideologie che fanno intendere all'uomo di poter raggiungere con le sole proprie forze un regno indistruttibile e perfetto di felicità e di pace; le conseguenze sono state sangue e lacrime, conflitti e morte.

Le forme secolarizzate di attesa del regno di Dio, che volevano trasformarlo in un regno dell'onnipotenza umana, hanno causato gravi conseguenze al giusto impegno degli uomini per il progresso e lo sviluppo. Di conseguenza oggi, proprio nel mondo delle civiltà più altamente industrializzate, la delusione e la paura, la rassegnazione e un'amara negazione del futuro sono particolarmente diffuse.

In ultima analisi esiste soltanto un'alternativa alla cieca fiducia dell'uomo nella sua illimitata potenza futura e anche al suo rifiuto e alla sua disperazione davanti al futuro: credere in un futuro che, al di là di tutte le possibilità umane, come al di là di tutti i pericoli che minacciano l'uomo, Dio stesso ci ha promesso e dischiuso in Gesù Cristo una volta per sempre; la speranza nel futuro di Dio nel suo regno che verrà. Quanto sant'Agostino dice di un singolo uomo, vale per la società e per l'umanità tutta. Inquieto è il cuore dell'umanità finché non trova la pace nella speranza e nella fiducia nel regno di Dio che viene e che un giorno si compirà.


3. "Venga il tuo regno!". Questa invocazione del Padre nostro tuttavia ci fa riflettere non soltanto sul futuro, ma anche sul passato, su ciò che è già accaduto 2000 anni fa, quando il Figlio di Dio si è fatto carne, quando ha annunciato la lieta novella, quando ha portato a compimento l'opera di redenzione con la croce e la risurrezione. Anche se nascosto, in embrione già da allora il regno di Dio c'era stato dato. Il regno di Dio vive in mezzo a noi, dove il Signore vive in mezzo a noi. Perché quindi invochiamo questo regno? La potente vicinanza di Dio rivelata una volta per tutte in Gesù Cristo è un dono sempre nuovo per ogni giorno, per ogni epoca. Il Signore ci fa sempre riscoprire e cogliere nuovamente ciò che ci ha già donato. Una nuova evangelizzazione è necessaria, soprattutto nei paesi che hanno una lunga tradizione culturale cristiana. In questi si viene a creare molto spesso una profonda e talvolta crescente frattura tra il messaggio cristiano e la coscienza dell'uomo nella sua totalità. I comportamenti morali non si conformano più ai criteri del Vangelo; la partecipazione al servizio divino e alla vita sacramentale della Chiesa viene meno; mancano le vocazioni al sacerdozio; in molte famiglie il bene della fede cristiana non viene più trasmesso alle nuove generazioni. Che il Katholikentag di Aquisgrana con il suo motto "Venga il tuo regno" essere l'impulso a una nuova evangelizzazione. E' di grande importanza il fatto che questo Katholikentag si leghi al pellegrinaggio della venerabile città di Aquisgrana, che già da molti secoli unisce ogni sette anni un gran numero di persone nell'adorazione dei misteri dell'incarnazione di Dio. Possa questo, insieme agli altri pellegrinaggi che nel corso dell'anno si susseguono nella diocesi di Aquisgrana, divenire espressione di tutto il popolo di Dio in cammino, che si avvia verso le origini, per conformare la propria vita secondo i misteri della salvezza attraverso Gesù Cristo.


4. Per concludere vorrei esprimere ancora un altro pensiero. Chi invoca Dio affinché venga il suo regno, deve essere egli stesso pronto a preparare la via per questo regno. La preghiera ci impone di fare la nostra parte. E' buona tradizione dei Katholikentag tedeschi quella di assumersi compiti di formazione nell'ambito della società e della Chiesa nello spirito della fede. Questo si è prefisso anche il Katholikentag di Aquisgrana. Questa è la città dove hanno sede le più grandi organizzazioni della Chiesa mondiale che vedono impegnati i cattolici tedeschi: Missio, Misereor e la Pontificia Opera Missionaria per i bambini. Riprendete coscienza dell'impegno di rafforzare e approfondire la responsabilità e la comunità delle Chiese mondiali. Aquisgrana è una città che sta all'origine della storia d'Europa, una città presso confini che dovrebbero più unire che dividere. La responsabilità nei confronti dell'Europa, nei confronti della sua comune eredità e del suo futuro, sia un impegno di questo vostro Katholikentag. La città e la diocesi di Aquisgrana sono strettamente legate alla storia del cattolicesimo sociale in Germania. Vedete anche in questo un appello per il presente. In questa città, si trovano molti ordini e comunità religiose. Chiedetevi come sia possibile oggi risvegliare e incoraggiare le vocazioni. Aquisgrana ha un importante Istituto Tecnico Superiore.

Rivolgete perciò la vostra attenzione sul rapporto che esiste fra lo sviluppo tecnologico e la responsabilità per il futuro dell'umanità.


5. così io spero e prego con voi, affinché anche il Katholikentag di Aquisgrana porti un fruttuoso contributo a quella civiltà dell'amore, che spazzi via il timore diffuso del futuro e sproni gli uomini e soprattutto i giovani a dire si alla vita e a mettersi al servizio per il futuro della vita. "Venga il tuo regno!": un messaggio di speranza, che va al di là di questo mondo; messaggio della fede che rinnova, attraverso il Vangelo, la nostra vita, la nostra società e la nostra Chiesa; messaggio dell'amore, che ci aiuta a costruire, qui e adesso, una civiltà dell'amore: è questo l'impegno del Katholikentag di Aquisgrana, che io accompagno con grande partecipazione e con le preghiere. A tutti voi, che partecipate e collaborate a questo Katholikentag, imparto di cuore la mia particolare benedizione apostolica: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Dal Vaticano, 15 agosto 1986.

Data: 1986-08-15 Venerdi 15 Agosto 1986




Per la Giornata del migrante - Città del Vaticano (Roma)

Gravi e dolorose le condizioni delle famiglie coinvolte


Venerati fratelli, carissimi figli e figlie della Chiesa!


1. La celebrazione annuale della Giornata Mondiale del Migrante inducendoci a riflettere ancora una volta sulla condizione di migliaia di fratelli emigranti e sui loro problemi spesso gravi e dolorosi, ci fa volgere lo sguardo in modo speciale alle famiglie coinvolte nella migrazione. Si tratta di situazioni complesse e difficili da risolvere, che risultano al centro di tanti problemi e costituiscono quasi il punto più vivo, più acuto e spesso più doloroso di tutto il grande fenomeno migratorio umano. La famiglia, infatti, sembra essere la struttura più fragile, più vulnerabile e di fatto maggiormente investita dagli aspetti scabrosi e negativi della migrazione. Ciò risulta evidente tanto se si considerano le condizioni che affliggono le famiglie lasciate dai migranti, quanto se si riflette sulle difficoltà di intere famiglie che emigrano o che si formano in terra straniera, quanto infine se si pensa ai non pochi problemi emergenti per quei nuclei familiari che sorgono dall'incontro di persone di differente cultura, lingua, religione, costume. Per tutti questi motivi la famiglia del migrante costituisce un singolare fenomeno che interessa la Chiesa a causa della cura pastorale che essa deve offrire a tutti i propri membri, specialmente a quelli che si trovano in situazioni più gravi; tanto più che la condizione delle famiglie dei migranti si riflette profondamente sia nelle comunità ecclesiali di partenza del migrante, sia - e forse ancor più - nelle comunità di arrivo, di insediamento e di accoglienza.

E' ai problemi specifici della famiglia in stato di migrazione che io desidero dedicare questo mio messaggio annuale per la Giornata dei migranti. Situazione della famiglia emigrata


2. La situazione in cui vengono a trovarsi i migranti è spesso paradossale: obbligati a decisioni coraggiose per il bene della famiglia che hanno o che vogliono formarsi, essi vengono, di fatto, privati della possibilità di raggiungere le loro legittime aspirazioni. La famiglia, che ha la missione di trasmettere i valori della vita e dell'amore, in emigrazione trova difficoltà a vivere questa sua vocazione proprio a motivo dell'esodo migratorio, che la colpisce in modi diversi. Accanto ai ricongiungimenti familiari continuano a sopravvivere, anzi si moltiplicano, sistemi che perpetuano la separazione forzata degli sposi. I lavoratori, non solo quelli stagionali o in posizione irregolare, sono costretti a rimanere lontani per lunghi mesi e anni dalle loro spose, le quali debbono perciò assumersi ruoli a cui non sono abituate. I coniugi sono così condannati a un distacco che rende ancor più traumatica l'esperienza migratoria. Più spesso l'emigrazione comporta la separazione dei genitori dai figli, costretti a una socializzazione priva dell'immagine parentale ed educati secondo i comportamenti delle persone anziane, non sempre capaci di aiutare le giovani generazioni a proiettarsi verso il futuro. Ma anche nel caso della famiglia immigrata, ricongiunta dopo anni di separazione, la precarietà del permesso di soggiorno e di lavoro incide non di rado nella situazione familiare di migliaia di lavoratori, con la conseguente incertezza per qualsiasi loro progetto, incluso quello della scolarizzazione dei figli, che richiederebbe di per sé una certa stabilità per un lungo arco di tempo.

Peraltro, non è solo la precarietà del lavoro a minare la stabilità delle famiglie migrate. Non è raro che persistano nei loro confronti discriminazioni che si manifestano nella condizione degli alloggi, situati nei settori fatiscenti delle grandi metropoli; o nel rifiuto della loro partecipazione a livello socio-politico; o nell'emarginazione della donna emigrata. L'assunzione di lavori pesanti ricusati dalla popolazione nativa spesso comporta turni e durate di lavoro che rendono assai difficile una sana e armoniosa crescita del nucleo familiare.

Tutto questo può indurre la famiglia dei migrati a non aprirsi alla società ospitante e a rifiutarsi di assumere responsabilità al di fuori dei piccoli interessi privati. Superato, dopo le difficoltà iniziali, il problema della sussistenza, la famiglia immigrata è tentata di seguire solo i valori materialistici e consumistici e a trascurare le pur necessarie scelte di ordine culturale e spirituale. Per quanto poi riguarda l'educazione dei figli, la famiglia immigrata è spesso privata della possibilità di trasmettere la lingua e la cultura materne: i genitori immigrati divengono così testimoni passivi di una scuola e di una società che impongono ai loro figli modelli e valori non integrati con i valori familiari.

E questo genera un conflitto che, alle volte, finisce per risolversi o con la totale amara capitolazione dei genitori o con la totale separazione dei figli, che hanno appreso una cultura diversa, impermeabile ai valori parentali.

Ancor più drammatiche sono le condizioni di vita delle famiglie relegate nei campi-profughi, dove è impossibile progettare il futuro per tutti i membri della famiglia, perché questi sono completamente in balia dell'altrui disponibilità. Richiamo alle responsabilità


3. Questo rapido sguardo alle condizioni della famiglia emigrata ci porta a considerare i valori fondamentali, comuni a tutti gli uomini di buona volontà, che vanno perseguiti per la loro realizzazione ed espansione sempre più piena. Tali sono, ad esempio, l'unità sia della coppia che del nucleo familiare, come pure l'armonia dell'integrazione vicendevole degli sposi dal punto di vista morale, affettivo e della loro fecondità di amore; armonia che esige la crescita ordinata di tutti i membri della famiglia, per la formazione di personalità individualmente sicure e socialmente impegnate, e che nello stesso tempo richiede ampia solidarietà e disponibilità al sacrificio. La fede reca a questo riguardo una luce e una forza che esalta profondamente e sviluppa in perfezione i valori insiti nell'istituzione familiare, definita dal Vaticano II "Chiesa domestica". Questi valori impongono precisi doveri per chi ha l'impegno di favorire il bene comune verso quanti vogliono rispondere alle profonde esigenze che il Creatore ha messo nel cuore dell'uomo.

La Chiesa ribadisce con insistenza che, per uno Stato di diritto, la tutela delle famiglie, e in particolare di quelle dei migranti e dei rifugiati aggravate da ulteriori difficoltà, costituisce un progetto prioritario inderogabile. Lo Stato deve essere garante della parità di trattamento legislativo e deve perciò tutelare la famiglia emigrata e profuga in tutti i suoi diritti fondamentali, evitando ogni forma di discriminazione nella sfera del lavoro, dell'abitazione, della sanità, dell'educazione e cultura (cfr. Discorso ai Vescovi della Calabria, 10 dicembre 1981). Una politica atta a favorire e a privilegiare i ricongiungimenti familiari viene continuamente invocata nell'insegnamento della Chiesa. Giovanni XXIII ha chiamato la separazione delle famiglie per motivo di lavoro una "dolorosa anomalia" e ha sottolineato che "ciascuno ha l'obbligo di prendere coscienza e di far tutto ciò che è in suo potere per eliminarla" (Messaggio Radiofonico, 28 giugno 1959). Condizioni di emergenza che portano alla separazione temporanea dei coniugi non devono trasformarsi in scelte permanenti poiché, come ho ribadito ai lavoratori di Francia a Saint-Denis, il 31 maggio 1980, il "codice di lavoro ha per soggetto proprio l'uomo e non solo la produzione e il profitto" di gruppi di interesse. Il categorico monito divino "l'uomo non separi quello che Dio ha congiunto" suona come implicita condanna per una società che concede qualche vantaggio economico a danno dei valori morali. Lo sforzo per superare una simile situazione, "obiettivamente difficile" (cfr FC 77), deve essere proprio di tutti: dei governanti, delle forze economiche e sociali, e degli stessi migranti. Creare strutture di accoglienza, di informazione e di formazione sociale che aiutino la famiglia immigrata a uscire dall'isolamento e dall'ignoranza dell'ordine giuridico, sociale, educativo e previdenziale del paese di accoglienza, per quanto concerne il diritto di famiglia, è un altro obbligo della società e dello Stato. Il paese di accoglienza deve anche impegnarsi a perseguire una politica che incrementi tutte le genuine espressioni culturali, locali e immigrate, presenti sul territorio nazionale, poiché ogni famiglia ha diritto alla sua identità culturale specifica (cfr. Discorso al Corpo Diplomatico, 15 gennaio 1983). Ai figli degli immigrati devono essere offerte uguali possibilità scolastiche perché - a parità di preparazione - possano accedere ai posti di lavoro, alle stesse condizioni dei figli della popolazione locale. La politica degli alloggi, inoltre, dovrà prevedere un'equa distribuzione di case popolari senza discriminazioni di sorta. Il negare la riscossione di assegni familiari a quei lavoratori i cui figli sono rimasti in patria, comporta un'ulteriore grave ingiustizia nei confronti della famiglia immigrata. Sono queste alcune delle sfide poste al paese di accoglienza dalla presenza di famiglie immigrate e profughe. L'impegno a realizzare una vera uguaglianza e la volontà di tutelare i settori sociali più deboli, verso cui spesso confluiscono discriminazioni e razzismo, portano alla costruzione di una società più giusta e quindi più umana. Le nazioni di provenienza devono a loro volta progettare misure adeguate perché il ritorno delle famiglie emigrate comporti un reinserimento produttivo, e genitori e figli non si sentano doppiamente discriminati e non si vedano costretti a riprendere la via dell'esodo.

Per una pastorale familiare


4. La Chiesa "sacramento di salvezza" per tutti gli uomini, per tutto l'uomo, difende i valori fondamentali della famiglia, al di là del modello culturale su cui questa è strutturata, e denuncia gli impedimenti che vi si oppongono, rivendicando la libertà di movimento e di decisione, nonché il primario diritto educativo che compete alla famiglia medesima: a tal riguardo va affermato che, in caso di conflitto tra società e famiglia, è, per principio, quest'ultima a dover prevalere. La pastorale dovrà perciò aver ben presenti gli accennati valori fondamentali, e promuoverli con un determinato stile di intervento. Nel caso, purtroppo ancora molto diffuso, di divisione dei membri di una stessa famiglia, si dovranno da una parte lenire i disagi, soprattutto attivando la comunità ecclesiale perché faccia propri i problemi che ne derivano, e dall'altra non trascurare nulla perché sia superata qualsiasi condizione di provvisorietà.

Ci si dovrà sempre adoperare perché le famiglie siano interamente unite e perché alla famiglia del migrante vengano riconosciuti quegli spazi di cui ha bisogno e che le competono a pari dignità e diritto con le altre famiglie locali.

"Le famiglie dei migranti... devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria... Per quanto è possibile siano assistite da sacerdoti del loro stesso rito, cultura e idioma" (FC 77). Le famiglie degli immigrati vanno accostate dalla comunità ecclesiale ove risiedono, che deve essere disponibile alle loro eventuali necessità, al tempo stesso in cui le invita a partecipare alla vita della parrocchia. La costituzione di nuove famiglie è un momento decisivo per il futuro dei giovani interessati e per il benessere della società civile ed ecclesiale, un problema che in un certo senso si trova al centro della giovinezza. L'esperienza della pastorale migrazione insegna doviziosamente, e sottolinea con forza, che i futuri coniugi devono essere illuminati sia sugli ostacoli di vario genere che incideranno sulla loro unione, sia soprattutto sui fattori positivi che dovranno arricchire tale unione, che, per essere solida, presuppone una fondamentale identità di vedute con la disponibilità a un mutuo adattamento il più completo possibile. Su questo punto è necessario che la pastorale sia chiara, oggettiva e ben configurata. Essa deve prevedere che i maggiori ostacoli per i contraenti il matrimonio sono rappresentati dalle differenze di cultura, di educazione, di religione, di convinzione personale.

Il nuovo Codice di diritto canonico affida ai pastori d'anime "l'obbligo di provvedere che la propria comunità ecclesiale porti ai fedeli quell'assistenza mediante la quale lo stato matrimoniale perseveri nello spirito cristiano e progredisca in perfezione" (CIC 1063); e indica come punti vitali di tale assistenza la predicazione e la catechesi, la preparazione personale dei futuri coniugi, la fruttuosa celebrazione liturgica del sacro rito, il continuo sostegno agli sposi dopo la celebrazione del matrimonio. L'osservanza delle norme giuridiche e l'assidua cura pastorale - contemplata dallo stesso Codice - assumono un'incidenza speciale nel mondo migratorio, per la varietà delle situazioni che esso presenta. Matrimoni misti


5. Per unirsi in uno stesso amore, bisogna amare Dio del medesimo amore. Questo criterio deve essere ben tenuto presente quando si tratta di matrimoni tra credenti e non credenti, tra cattolici e non battezzati. Se in paesi a maggioranza cattolica vi è oggi una presenza migratoria sempre più consistente di non cristiani, è da prevedere che, in avvenire, i matrimoni misti porranno problemi sempre più gravi, e specialmente se il coniuge cattolico sarà costretto a vivere in un paese con una cultura che non si apre alla fede cristiana, anzi vi si oppone dottrinalmente e praticamente nella vita corrente, nella legislazione e nei costumi. I migranti si trovano, del resto, più esposti di altre persone o gruppi a scelte che coinvolgono rapporti tra culture e fedi diverse. La catechesi appropriata per i nubendi di mista religione non si limiterà pertanto ad alcune istruzioni prima del matrimonio, ma dovrà mirare a formare persone religiosamente convinte e civilmente impegnate, che conoscano le motivazioni della propria fede e speranza, nonché quelle della coscienza e della fede altrui; che siano impegnate nel servizio ai poveri e alla comunità intera.

Conclusioni


6. La pastorale familiare in emigrazione non può essere identica per ogni luogo e tempo. Le modalità della sua espressione devono tener conto della situazione del migrante, dell'ambiente da cui egli proviene e in cui vive, delle prospettive concrete di cui egli è in possesso. La creatività e lo zelo dei missionari e degli operatori pastorali, sotto la guida dei pastori, hanno qui un ampio spazio di azione, sempre nel quadro delle norme che la Chiesa si è data con il nuovo Codice di diritto canonico e con le varie disposizioni delle Conferenze episcopali e dei singoli vescovi. Infatti, nella diversità dei metodi e delle proposte non si deve mai perdere l'orientamento fondamentale comune, che è quello di attuare il piano di Dio, che ha voluto che l'uomo e la donna formassero una sola carne (cfr Mt 19,6) nel vincolo del matrimonio e che significassero nella famiglia il grande mistero dei rapporti tra Cristo e la Chiesa (cfr Ep 5,32). I giovani nubendi, le coppie di sposi, le famiglie vanno educate alla solidarietà vicendevole, in seno alla comunità ecclesiale e verso l'intera società. Il matrimonio e la famiglia, pur prendendo il loro avvio da una scelta libera e personale, costituiscono sempre un fatto sociale, e sono parte integrata nella comunità ecclesiale. Anche la liturgia può svolgere al riguardo un ruolo ragguardevole, permettendo di porre al centro della propria azione di lode e di grazie la realtà familiare, che si irrobustisce e si impone alla ammirata attenzione di tutti, specialmente dei giovani. Nell'ambito dell'animazione cristiana proprio dei laici, non va dimenticata l'azione evangelizzatrice della famiglia emigrata i cui membri sono chiamati a evangelizzare e ad essere evangelizzati (cfr FC 52). Ad essi si ricorda che l'avvenire religioso e morale del focolare domestico risiede in buona parte nelle loro mani: se le famiglie si lasciano evangelizzare, esse diverranno a loro volta strumento di evangelizzazione di molte altre, influendo favorevolmente sull'ambiente di lavoro, nel quale vivono. Anche le famiglie nate da matrimoni misti non sono esenti dal dovere di annunciare Cristo ai figli, anzi sono invitate ad essere artefici di unità. Auspico che questo messaggio incontri, tra quanti sono coinvolti nel fenomeno migratorio, attenta accoglienza e generosa rispondenza alle sue indicazioni, dettate dalla mia affettuosa, paterna sollecitudine pastorale. Di cuore imparto a tutti la mia speciale benedizione, con particolare pensiero per i più bisognosi, gli ammalati e i bambini, nella dura situazione dell'emigrazione. Dal Vaticano, il 15 agosto 1986, solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, anno ottavo del mio pontificato.

Data: 1986-08-15 Venerdi 15 Agosto 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Alla Route nazionale dell'Agesci - Piani di Pezza (L'Aquila)