GPII 1986 Insegnamenti - 5. La carità e le ascensioni dello Spirito

5. La carità e le ascensioni dello Spirito


Il breve riassunto dell'insegnamento agostiniano resterebbe gravemente incompleto se non si dedicasse un accenno alla dottrina spirituale che, unita strettamente a quella filosofica e teologica, non è meno ricca dell'una e dell'altra. Occorre tornare di nuovo alla conversione da cui ho cominciato. Fu allora che decise di dedicarsi totalmente all'ideale della perfezione cristiana. A questo proposito resto sempre fedele; non solo, ma si impegno con tutte le forze ad indicarne agli altri la strada. Lo fece attingendo alla sua esperienza e alla Scrittura, che è per tutti il primo alimento della pietà. Fu un uomo di preghiera, anzi, si direbbe un uomo fatto di preghiera - basti ricordare le celebri "Confessioni" scritte sotto forma di una lettera a Dio -, e ridisse a tutti con incredibile perseveranza la necessità della preghiera: "Dio ha disposto che combattiamo più con la preghiera che con le nostre forze"; ne descrisse la natura, così semplice eppur così complessa, l'interiorità in base alla quale identifico la preghiera con il desiderio: "Il tuo stesso desiderio è la tua preghiera: e il continuo desiderio è una continua preghiera"; il valore sociale: "Preghiamo per quelli che non sono stati chiamati, scrive, perché lo siano: forse sono stati predestinati in modo da essere concessi alle nostre preghiere"; l'insostituibile inserimento in Cristo, "che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi; prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio: riconosciamo pertanto in lui la nostra voce e in noi la sua". Sali con progressiva diligenza i gradini delle ascensioni interiori, e descrisse il loro programma per tutti, un programma ampio e articolato che comprende il movimento dell'animo verso la contemplazione: purificazione, costanza e serenità, orientamento verso la luce, dimora nella luce; i gradi della carità: incipiente, progressiva, intensa, perfetta; i doni dello Spirito Santo rapportati alle beatitudini; le petizioni del Padre nostro; gli esempi di Cristo.

Se le beatitudini evangeliche costituiscono il clima soprannaturale in cui il cristiano deve vivere, i doni dello Spirito Santo danno il tocco soprannaturale della grazia che rende possibile quel clima; le petizioni del Padre nostro, o in genere la preghiera che tutta si riduce a quelle petizioni, come alimento necessario; l'esempio di Cristo il modello da imitare; la carità poi costituisce l'anima di tutto, il centro di irradiazione, la molla segreta dell'organismo spirituale. Fu merito non piccolo del vescovo di Ippona l'aver ricondotto tutta la dottrina e la vita cristiana alla carità, intesa come "adesione alla verità per vivere nella giustizia". Vi riconduce infatti la Scrittura che, tutta, "narra Cristo e raccomanda la carità", la teologia che in essa trova il suo fine, la filosofia, la pedagogia e persino la politica. Nella carità pose l'essenza e la misura della perfezione cristiana, il primo dono dello Spirito Santo, la realtà con la quale nessuno può essere cattivo, il bene con il quale si possiedono tutti i beni e senza il quale non giovano a nulla tutti gli altri beni. "Abbi la carità e avrai tutto, perché senza di essa a nulla giova tutto ciò che potrai avere". Della carità mise in rilievo tutte le inesauribili ricchezze: rende facile tutto quanto è difficile, muove ciò che è abituale, insopprimibile il movimento verso il Bene sommo, poiché qui in terra la carità non è mai piena, libera da ogni interesse che non sia Dio, è inseparabile dall'umiltà - "dove c'è l'umiltà, ivi c'è la carità" - è l'essenza d'ogni virtù - la virtù infatti non è che amore ordinato -, dono di Dio. Punto cruciale, quest'ultimo, che distingue e separa la concezione naturalistica e quella cristiana della vita. "Da dove negli uomini la carità di Dio e del prossimo se non da Dio stesso? Poiché se essa proviene non da Dio ma dagli uomini, hanno partita vinta i pelagiani; se invece proviene da Dio, abbiamo vinto i pelagiani". Dalla carità nasceva in Agostino l'ansia della contemplazione delle cose divine, che è propria della sapienza. Delle forme più alte di contemplazione egli ebbe spesso l'esperienza, non solo quella celebre di Ostia, ma altre ancora. Dice di sé: "spesso faccio questo" - ricorre cioè alla meditazione della Scrittura perché le pressanti occupazioni non l'opprimano -, "è la mia gioia, e in questo diletto mi rifugio, allorché posso liberarmi dalla stretta delle occupazioni...

Talvolta m'introduci in un sentiero interiore del tutto sconosciuto e indefinibilmente dolce, che, qualora raggiunga in me la sua pienezza, non so dire che mai sarà, ché non sarà certo questa vita". Se si aggiungono queste esperienze all'acume teologico e psicologico di Agostino e alla sua rara capacità di scrittore, si comprende perché abbia descritto con tanta precisione le ascensioni mistiche, tanto che qualcuno ha potuto chiamarlo il principe dei mistici. Nonostante l'amore predominante per la contemplazione, Agostino accetto la "sarcina" dell'episcopato e insegno agli altri a fare altrettanto, rispondendo così, con umiltà, alla chiamata della Chiesa madre, ma insegno anche con l'esempio e gli scritti come conservare tra le occupazioni dell'attività pastorale il gusto della preghiera e della contemplazione. Vale la pena riportare la sintesi, divenuta classica, che ci offre la "Città di Dio". "L'amore della verità ricerca la quiete della contemplazione, il dovere dell'amore accetta l'attività dell'apostolato. Se nessuno impone questo peso, ci si deve dedicare alla ricerca e alla contemplazione della verità; se pero esso ci viene imposto, dev'essere assunto per dovere di carità. Ma anche in questo caso non si devono abbandonare le consolazioni della verità, perché non accada che, privati di questa dolcezza, si resti schiacciati da quella necessità". La profonda dottrina qui esposta merita una lunga e attenta riflessione. Questa diventa più facile e più efficace se si guarda ad Agostino stesso, che diede un fulgido esempio di come conciliare i due aspetti, apparentemente contrastanti, della vita cristiana: preghiera e azione.

III. IL PASTORE


Non sarà inopportuno dedicare un ricordo all'azione pastorale di questo vescovo che nessuno ricuserà di annoverare tra i più grandi pastori della Chiesa.

Anche quest'azione ebbe origine dalla conversione, perché da essa nacque il proposito di servire solo Dio. "Ormai te solo amo... a te solo voglio servire...".

Quando poi si accorse che questo servizio doveva estendersi all'azione pastorale, non esita ad accettarla; con umiltà e con trepidazione e con rammarico, ma, per obbedire a Dio e alla Chiesa, l'accetto. I campi di tale azione furono tre, che si andavano allargando come tre cerchi concentrici: la Chiesa locale d'Ippona, non grande ma inquieta e bisognosa; la Chiesa africana, miseramente divisa tra cattolici e donatisti; la Chiesa universale combattuta dal paganesimo e dal manicheismo e attraversata da movimenti ereticali. Egli si senti in tutto servo della Chiesa - "servo dei servi di Cristo" - traendo da questo presupposto tutte le conseguenze, anche le più ardue come quella di esporre la propria vita per i fedeli. Chiedeva infatti al Signore la forza di amarli in modo da essere pronto a morire per loro "o in realtà o nella disposizione". Era convinto che chi, messo a capo del popolo, non avesse questa disposizione, più che vescovo, era simile a "un fantoccio di paglia che sta nella vigna". Non vuol essere salvo senza i suoi fedeli ed è pronto ad ogni sacrificio pur di richiamare gli erranti sulla via della verità. In un momento di estremo pericolo a causa dell'invasione dei vandali, insegna ai sacerdoti a restare in mezzo ai fedeli anche col rischio della propria vita. In altre parole egli vuole che vescovi e sacerdoti servano i fedeli come Cristo li ha serviti. "In che senso chi presiede è servo? Nel senso stesso in cui fu servo il Signore". Fu il suo programma. Nella sua diocesi, da cui non si allontano mai se non per necessità, fu assiduo alla predicazione - predicava al sabato e alla domenica e spesso per l'intera settimana -, nella catechesi, nella "audientia episcopi" talvolta per tutto il giorno trascurando perfino il mangiare, nella cura dei poveri, nella formazione del clero, nella guida dei monaci, molti dei quali furono chiamati al sacerdozio e all'episcopato, e dei monasteri delle "sanctimoniales". Morendo "lascio alla Chiesa un clero molto numeroso, come pure monasteri d'uomini e di donne pieni di persone votate alla continenza sotto l'obbedienza dei loro superiori, insieme con le biblioteche...". Per la Chiesa africana lavoro parimenti senza posa: si presto per la predicazione dovunque fosse chiamato, fu presente ai frequenti concili regionali nonostante le difficoltà del viaggio, s'impegno con intelligenza, assiduità e passione per comporre lo scisma donatista che divideva in due quella Chiesa. Fu questa la sua grande fatica e, per il successo ottenuto, il suo grande merito.

Illustro con innumerevoli opere la storia e la dottrina del donatismo, propose quella cattolica sulla natura dei sacramenti e della Chiesa, promosse una conferenza ecumenica tra vescovi cattolici e donatisti, l'animo con la sua presenza, propose e ottenne di rimuovere tutti gli ostacoli alla riunificazione, anche quello dell'eventuale rinuncia dei vescovi donatisti all'episcopato, divulgo le conclusioni di quella conferenza, avvio a pieno successo il processo di pacificazione. Perseguitato a morte, una volta sfuggi dalle mani dei "circoncellioni" donatisti perché la guida sbaglio la strada. Per la Chiesa universale compose tante opere, scrisse tante lettere, sostenne tante controversie. I manichei, i pelagiani, gli ariani, i pagani furono l'oggetto delle cure pastorali in difesa della fede cattolica. Lavoro indefessamente di giorno e di notte. Negli ultimi anni della vita dettava ancora un'opera di notte e un'altra, quand'era libero, di giorno. Morendo a 76 anni, ne lascio tre incompiute. Queste tre opere incompiute sono la testimonianza più eloquente della sua insonne laboriosità e del suo insuperabile amore verso la Chiesa. IV. AGOSTINO AGLI UOMINI D'OGGI A quest'uomo straordinario vogliamo chiedere, prima di terminare, che cosa abbia da dire agli uomini d'oggi. Penso che abbia da dire veramente molto, sia con l'esempio che con l'insegnamento. A chi cerca la verità insegna a non disperare di trovarla. Lo insegna con l'esempio - egli la ritrovo dopo molti anni di faticose ricerche - e con la sua attività letteraria della quale fissa il programma nella prima lettera scritta poco dopo la conversione. "A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità". Insegna pertanto a cercarla "con umiltà, disinteresse, diligenza"; a superare lo scetticismo attraverso il ritorno in se stessi, dove abita la verità; il materialismo che impedisce alla mente di percepire la sua unione indissolubile con le realtà intelligibili; il razionalismo, che ricusando la collaborazione della fede si mette nella condizione di non capire il "mistero" dell'uomo. Ai teologi che meritatamente faticano per approfondire il contenuto della fede, egli lascia l'immenso patrimonio del suo pensiero, nel complesso sempre valido, e particolarmente il metodo teologico cui resto incrollabilmente fedele. Sappiamo che questo metodo comportava l'adesione piena all'autorità della fede, che, una nella sua origine - l'autorità di Cristo - si manifesta attraverso la Scrittura, la tradizione, la Chiesa; l'ardente desiderio di capire la propria fede: "ama molto di capire", dice agli altri e applica a se stesso; il senso profondo del mistero: "è migliore la fedele ignoranza", esclama, "che la temeraria scienza"; la convinta sicurezza che la dottrina cristiana viene da Dio e ha pertanto una sua originalità che non solo dev'essere conservata integralmente - è questa la "verginità" della fede di cui si parlava -, ma deve servire anche come misura per giudicare filosofie ad essa conformi o difformi. E' noto quanto Agostino amasse la Scrittura, di cui esalta l'origine divina, l'inerranza, la profondità e la ricchezza inesauribile, e quanto la studiasse. Ma egli studia e vuole che si studi tutta la Scrittura, che se ne metta in luce il vero pensiero o, come dice, il "cuore", concordandola, dove occorra, con se stessa. Ritiene questi due presupposti leggi fondamentali per capirla. Per questo la legge nella Chiesa, e tenendo conto della tradizione, della quale mette in rilievo con insistenza le proprietà e la forza obbligante. E' celebre il suo effato: "Io non crederei nel Vangelo se non mi c'inducesse l'autorità della Chiesa cattolica". Nelle controversie che sorgono sull'interpretazione della Scrittura raccomanda di discutere "con santa umiltà, con pace cattolica, con carità cristiana" "finché non sia emersa la verità, che Dio ha posto nella cattedra dell'unità". Allora si potrà constatare che la controversia non è sorta inutilmente, perché è diventata "occasione d'imparare", determinando un progresso nell'intelligenza della fede. Per continuare ancora un poco sugli insegnamenti agostiniani agli uomini d'oggi, egli ricorda ai pensatori il duplice oggetto d'indagine che deve occupare la mente umana: Dio e l'uomo. "Che cosa vuoi conoscere?" chiede egli a se stesso.

E risponde: "Dio e l'uomo". "Nulla di più? Proprio nulla". Di fronte al triste spettacolo del male, ricorda loro altresi di avere fiducia nel trionfo finale del bene, cioè di quella Città "dove la vittoria è verità, la dignità è santità, la pace è felicità, la vita è eternità". Invita inoltre gli uomini della scienza a riconoscere nelle cose create il vestigio di Dio e a scoprire nell'armonia dell'universo le "ragioni seminali" che Dio vi ha inserito. Agli uomini poi che hanno in mano le sorti dei popoli raccomanda di amare soprattutto la pace e di promuoverla non con la lotta ma con i metodi di pace, perché, scrive sapientemente, "è titolo più grande di gloria uccidere la guerra con la parola che gli uomini con la spada, e procurare o mantenere la pace con la pace, non con la guerra". Infine vorrei dedicare una parola ai giovani che Agostino molto amo come professore prima della conversione e come pastore dopo. Egli ricorda ad essi il suo grande trinomio: verità, amore, libertà; tre beni supremi che stanno insieme; e li invita ad amare la bellezza, egli che ne fu un grande innamorato. Non solo la bellezza dei corpi che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, né solo quella dell'arte, ma la bellezza interiore della virtù e soprattutto la bellezza eterna di Dio, da cui la bellezza dei corpi, dell'arte e della virtù discende; di Dio che è "la bellezza di ogni bellezza", "fondamento, principio e ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e belli". Agostino, ricordando gli anni precedenti la sua conversione, si rammarica amaramente di aver amato tardi questa "bellezza tanto antica e tanto nuova", e vuole che i giovani non lo seguano in questo, ma che, amandola sempre e soprattutto, conservino perpetuamente in essa lo splendore interiore della loro giovinezza. V. CONCLUSIONE Ho ricordato la conversione e ho delineato un rapido panorama del pensiero di un uomo incomparabile di cui un po' tutti nella Chiesa e in Occidente ci sentiamo discepoli e figli. Esprimo di nuovo il vivo desiderio che la sua dottrina sia studiata e largamente conosciuta e il suo zelo pastorale imitato, affinché il magistero di tanto dottore e pastore continui nella Chiesa e nel mondo a favore della cultura e della fede. Il XVI centenario della conversione di sant'Agostino offre una occasione assai propizia per incrementare gli studi e diffondere la devozione verso di lui.

Esorto a tale impegno e fine in particolare gli ordini religiosi - maschili e femminili - che portano il suo nome, vivono sotto il suo patrocinio o che in qualsiasi modo ne seguono la regola e lo chiamano padre. Vogliano essi profittare di questa occasione per rivivere o far rivivere più intensamente i suoi ideali.

Alle varie iniziative e celebrazioni, che sono state organizzate ovunque per questo motivo, saro presente con animo grato e beneaugurante; sopra ciascuna di esse invoco di cuore la celeste protezione e l'efficace ausilio della vergine Maria, che il vescovo d'Ippona ha esaltato come madre della Chiesa, auspice la mia apostolica benedizione, che con questa lettera mi è caro impartire. Dato a Roma presso San Pietro, il 28 agosto, nella festa di sant'Agostino, vescovo e dottore della Chiesa, nell'anno 1986, ottavo del mio pontificato.

Data: 1986-08-28 Giovedi 28 Agosto 1986




Recita dell'Angelus - Castel Gandolfo (Roma)

Mediante il proprio sangue Gesù entra nel tabernacolo eterno



1. "Cuore di Gesù, spezzato a causa dei nostri peccati". Gesù di Nazaret, che durante l'ultima cena ha detto: "questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi... Questo è il calice del mio sangue versato per voi". Gesù: sacerdote fedele, che mediante il proprio sangue entra nel tabernacolo eterno; Gesù: sacerdote, che secondo l'ordine di Melchisedek ci lascia il suo sacrificio: fate questo!... Gesù - Cuore di Gesù!


2. Cuore di Gesù al Getsemani, che "si rattrista fino alla morte", che sente il "peso" terribile. Quando dice: "Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice!" (Mc 14,36) egli sa, in pari tempo, qual è la volontà del Padre, e non desidera più altro che adempirla: versare il calice fino in fondo. Cuore di Gesù - spezzato con l'eterna sentenza: Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito...


3. Tanti secoli prima lo aveva detto Isaia: "Egli si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori / e noi lo giudicavamo castigato, / percosso da Dio e umiliato" (Is 53,4). Egli si è immolato per i nostri delitti; e tuttavia, non dicevano sul Golgota: "se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!" (Mt 27,40)?


4. così dicevano: E tuttavia il profeta sapeva. E tuttavia Isaia diceva, tanti secoli prima: "Egli è stato trafitto per i nostri delitti, / schiacciato per le nostre iniquità... / Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, / ognuno di noi seguiva la sua strada; / il Signore fece ricadere su di lui / l'iniquità di noi tutti... / Si, fu eliminato dalla terra dei viventi, / per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte" (Is 53,5-8).


5. Spezzato a causa dei nostri peccati! Cuore di Gesù spezzato per i peccati...

Le sofferenze dell'agonia abbracciano gradatamente tutto il corpo del Crocifisso. Lentamente la morte giunge al cuore. Gesù dice: "Tutto è compiuto!" "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Quanto diversamente dovevano adempiersi le scritture? Quanto diversamente dovevano compiersi le parole del profeta che dice: "Il giusto mio servo giustificherà molti... / si compirà per mezzo suo la volontà del Signore" (Cfr Is 53,11 Is 53,40). La volontà del Padre! Non la mia, ma la tua volontà!


6. Siamo uniti nella preghiera con te, Madre di Cristo: con te, che hai partecipato alle sue sofferenze ("condoluit")... Tu ci conduci al cuore del tuo Figlio agonizzante sulla croce: quando nella sua spogliazione si rivela fino in fondo come Amore. O tu, che hai partecipato alle sue sofferenze, permettici di perseverare sempre nell'abbraccio di questo mistero. Madre del Redentore! Avvicinaci al cuore del tuo Figlio! Per il VI centenario del "battesimo" della Lituania Il mio pensiero si rivolge oggi alla Chiesa che è in Lituania, a tutti i fratelli e le sorelle di quella Nazione, a noi tutti particolarmente cara. In questi giorni, nell'approssimarsi della festa della Natività della Beata Vergine Maria numerosissimi fedeli, secondo una tradizione plurisecolare, si recano in pellegrinaggio al santuario di Siluva, cuore della pietà mariana di quel popolo.

E' un'ammirevole manifestazione di preghiera e di penitenza, che pubblicamente testimonia la forte fede di quei nostri fratelli, i quali si preparano a celebrare, l'anno prossimo, il 600° anniversario del "battesimo" cioè, della conversione al cattolicesimo, attraverso cui la Lituania entro a far parte della grande famiglia dei popoli cristiani d'Europa. Invochiamo insieme l'intercessione di Maria santissima per quella comunità cattolica, perché conservi il dono della fede e della vocazione cristiana ricevuto sei secoli or sono e mantenuto vivo nelle vicende alterne, talora dolorose, della sua lunga storia. Affidiamo soprattutto alla materna protezione della Vergine le nuove generazioni di quella nobile terra, perché sappiano raccogliere con gioia e con responsabilità dai loro padri tale inestimabile dono, e lo vivano e lo trasmettano, a loro volta, con generosa fedeltà.

Data: 1986-08-31 Domenica 31 Agosto 1986




Saluto alle autorità e alla popolazione - Anagni (Frosinone)

Sono venuto per confermare gli animi nella fede


Carissimi fratelli e sorelle di Anagni!


1. Grande è la mia gioia in questo momento, nel trovarmi qui, in questa celebre città di Anagni, così importante nella storia della Chiesa, e nel rivolgervi la mia parola in occasione di questa mia visita pastorale, purtroppo breve, ma tuttavia profondamente cordiale. Porgo il mio deferente saluto al vescovo e ai suoi collaboratori, come pure a tutte le autorità civili e religiose; e rivolgo il mio pensiero affettuoso a tutti voi, che ringrazio per la vostra presenza.

La stupenda cattedrale dedicata all'Annunziata, fatta costruire negli anni 1077-1104 dal vescovo Pietro, una delle più belle chiese romaniche del Lazio, che si è arricchita dell'opera marmorea dei Maestri Cosmati e dei meravigliosi affreschi della cripta, sia per voi sempre un simbolo e un ideale, per mantenere salda e ferma la vostra fede cristiana, approfondendo e chiarificando ogni giorno il suo contenuto di verità e di salvezza, e vivendo con coerenza i comandamenti di Dio, riguardanti la vita morale e la carità fraterna.


2. Il pensiero corre in questo momento alle epoche passate e a tante figure storiche: Leone IV, a metà del secolo IX, che qui si rifugio per salvare la sua indipendenza; Adriano IV, che sfido Federico Barbarossa; Alessandro III. Non si può inoltre non ricordare Innocenzo III e Alessandro IV, oriundi di questo territorio, e Gregorio IX nato ad Anagni come Bonifacio VIII, successore di Celestino V, che qui subi l'affronto di Guglielmo Nogaret, regio cancelliere di Filippo il Bello, e di Sciarra Colonna, che Dante Alighieri ricorda con i suoi celebri versi ("Purgatorio", XX, 86-89). Quanti secoli sono passati! Quante vicende, talvolta drammatiche e burrascose, si sono succedute sul quadrante della storia sia civile che ecclesiastica! Nei tempi a noi vicini brilla indimenticabile e paterna la figura di Leone XIII, nativo di Carpineto Romano, che resse la Chiesa in un periodo assai delicato; la profonda spiritualità, la notevole intelligenza e cultura, e l'esperienza ecclesiale prima come nunzio a Bruxelles e poi come vescovo di Perugia, contribuirono a formare in lui una personalità lungimirante, aperta a tutte le novità assillanti e prementi dell'epoca, come ben dimostrano, tra le altre, le sue encicliche "Aeterni Patris" (1879), "Immortale Dei" (1885), "Libertas" (1888), "Rerum Novarum" (1891), "Providentissimus Deus" (1893). Nella sua lunga esistenza, e particolarmente durante il suo pontificato, Leone XIII fu un vero faro di luce, e il suo messaggio dottrinale e morale rivolto alla Chiesa e all'umanità intera è tuttora ricco e illuminante. In questa sua amata città è tuttora presente il Pontificio Collegio Leoniano, da lui fondato, che nel corso di novanta anni di attività ha dato alla Chiesa circa mille sacerdoti, sotto la guida dei padri Gesuiti.


3. Tutto questo complesso di avvenimenti che nel passato remoto e più recente hanno come perno la città di Anagni devono confortare i nostri propositi di fiducia e di fermezza. Cari fedeli! Rimanete saldi nella fede! Tutto passa: passano gli uomini con le loro avventure e loro ambizioni; ma la Verità che Gesù ci ha rivelato rimane in eterno, insegnata e difesa dalla Chiesa, che è appunto madre e maestra di Verità. Non dobbiamo lasciarci sconcertare dagli avvenimenti; dobbiamo sempre avere una visione soprannaturale delle cose e della storia.

Possa la mia visita pastorale alla cara città e diocesi di Anagni confermare i vostri animi nella fede e stimolarvi a una vita cristiana sempre più impegnata e fervorosa, aperta alle richieste e alle necessità della comunità civile, e sensibile alla carità fraterna, per l'amore di Dio, per il bene della Chiesa e della società, nella reciproca costante edificazione.

Con questi auguri, a voi tutti la mia benedizione.

Data: 1986-08-31 Domenica 31 Agosto 1986




Omelia alla concelebrazione - Anagni (Frosinone) Domenica 31 agosto

La vera saggezza è l'umiltà di fronte a Dio



"Sei tu, Signore il Padre degli umili".


1. Abbiamo cantato insieme questo versetto del salmo responsoriale, che è come il motivo conduttore di tutta la liturgia della Parola di questa domenica, che ho la gioia di celebrare insieme con voi, in questa storica cattedrale. I giusti si rallegrino... e cantino di gioia. Cantate a Dio, inneggiate al suo nome. "Signore" è il suo nome (cfr Ps 67). La gioia a cui siamo invitati è quella di saperci amati da Dio: da quel Dio che è il Signore e, allo stesso tempo, il Padre degli umili. Siamo chiamati a prostrarci davanti a lui, alla sua maestà, nella consapevolezza della nostra pochezza. E' lui che esalta e consola (Manzoni). E' lui che ama i piccoli e i poveri. E' lui che disperde i superbi, rovescia i potenti, e innalza gli umili (cfr Lc 1,51). "Sei tu, Signore, il Padre degli umili".


2. La parola di Dio ritorna insistentemente in questa Messa sul valore e sulla necessità dell'umiltà. E' una lezione molto importante, che dobbiamo imparare a fondo se vogliamo davvero camminare per la via della Verità. Infatti l'umiltà è verità. E la prima fondamentale Verità è l'assoluta trascendenza di Dio creatore, manifestata nell'infinita bontà di Cristo redentore: realtà supreme e decisive, davanti alle quali l'uomo si sente insieme esaltato come figlio e abbassato come umile creatura, che non può vantarsi di nulla. Tutto ciò nel mondo ci educa a ciò: la nostra piccolezza di fronte alle meraviglie della creazione, la nostra impotenza davanti alle forze della natura, terribili e indomate. La scienza stessa ci aiuta a mantenere in noi questo spirito di umiltà: considerando l'immensità dell'universo che ci attornia, con i suoi spazi forse in espansione e con la moltitudine sconfinata delle galassie e dei sistemi planetari; meditando sul microcosmo che è l'atomo, con le sue particelle subatomiche e le sue forze coesive, e sul prodigio organico dei cromosomi, con i geni e le componenti chimiche che li strutturano; riflettendo sulle straordinarie azioni e reazioni dei neuroni del cervello umano, del cui apporto l'anima si serve per esprimere il pensiero, si giunge logicamente alla lode e all'ammirazione di quella Intelligenza infinita, che tutto ha creato e ordinato in modo così armonioso e perfetto. Non rimane allora che il riconoscimento della propria totale dipendenza dall'Altissimo: la vera saggezza è solo l'umiltà di fronte a Dio, che di conseguenza diventa senso dell'adorazione, della confidenza nel suo amore, della fiducia nella sua Provvidenza, anche quando i suoi disegni possono apparire oscuri e intricati. Ecco perciò risplendere di suprema sapienza le parole del Siracide: "Figlio, nella tua attività sii modesto... Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore, perché dagli umili egli è glorificato" (Si 3,17-20). La storia insegna che purtroppo l'orgoglio è stato ed è la causa di infiniti mali; anche la negazione di Dio o la rivolta contro di lui sono quasi sempre espressione della ragione che si crede autosufficiente, e non vuole piegarsi di fronte alla maestà onnipotente del Creatore, né accettarne il mistero.


3. Su questa stessa linea è l'insegnamento del Vangelo odierno, che espone in forma semplice e piana questa realtà. Gesù, infatti, partecipando a un pranzo in casa di uno dei capi dei farisei, coglie l'occasione per insegnare ad essere umili. Ci dice di scegliere l'ultimo posto, di accontentarci del poco, di cercare non l'appariscenza del sembrare, ma la realtà dell'essere. Davanti a Dio siamo nulla; e anche davanti agli uomini siamo ben poco, anzi diventiamo ridicoli, persino miserevoli se prendiamo pose e atteggiamenti di autosufficienza, di vanagloria. Gesù, pero, non vuole soltanto suggerire delle indicazioni di buona educazione e di comportamento avveduto; egli vuole soprattutto quadrare la mente, e dare idee grandi e luminose per la nostra vita. Egli infatti soggiunge: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11).

Questo talvolta può già avvenire su questa terra, in questa nostra vita; ma ciò è secondario. Essenziale è che l'umile sarà esaltato in cielo da Dio stesso. "Vuoi essere grande?", chiedeva sant'Agostino; e rispondeva: "Comincia dalle cose più piccole. Vuoi innalzare una costruzione di grande altezza? Prima pensa al fondamento della bassezza" ("Sermo 69", 1,2). Se vogliamo veramente costruire l'edificio della nostra santificazione, bisogna fondarlo sull'umiltà.

Gesù ci è di modello. Egli, come dice san Paolo, "pur essendo di natura divina... spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo...; umilio se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,6-8). Come non sentirsi, come non essere piccoli e umili davanti al mistero dell'incarnazione e della redenzione, davanti al Figlio di Dio che vagisce a Betlemme, che si avvolge di silenzio a Nazaret, che vive un'esistenza di povero, che muore su una nuda croce? E' Gesù il primo, il vero umile, l'unico che ha veramente glorificato Dio - infatti Dio è "glorificato dagli umili", ci ha ancora detto il Siracide (Si 3,20) - perché si è umiliato in tutta la sua esistenza, pur manifestando vittoriosamente la sua potenza di Signore, ed è stato ciò che egli stesso si è definito: "mite e umile di cuore" (Mt 11,29). "Sei tu, Signore, il Padre degli umili".


4. Quando l'uomo si colloca davanti a Dio in questa dimensione, che è l'unica giusta, allora, come per uno straordinario paradosso, Dio lo esalta. Dio si china verso la sua bassezza per elevarlo fino a sé; gli dona se stesso in eredità; lo chiama al possesso dei beni più grandi, lo rende partecipe della sua vita, dei suoi doni, delle realtà eterne che sono le sole che rendono grande l'uomo.

Questo insegnamento ci è dato dal brano della Lettera agli Ebrei che abbiamo udito nella seconda lettura. L'autore fa notare che, mentre il popolo d'Israele si avvicinava a Dio con paura e timore, ora, dopo che Gesù, il Verbo incarnato, è venuto ad abitare tra noi, ci possiamo accostare con gioia "al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al mediatore della nuova alleanza" (He 12,22-24). Carissimi fratelli e sorelle! Ecco, tutte queste realtà trascendenti sono diventate nostre nell'atmosfera soprannaturale, in cui siamo immersi. La parola di Dio ci spinge e ci stimola alla fiducia piena e totale in Colui che ci ha creati per il fatto che Cristo è diventato uno con noi e come noi, tutto ciò che è suo è diventato nostro, come ben sottolinea san Giovanni della Croce in un suo celebre passo: il cielo e la terra, il presente e l'avvenire, i meriti dei santi, la Chiesa dispensatrice di grazia, l'amore e la comunione di vita con Dio Trinità, tutto è ormai nostro possesso: "Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio" (1Co 3,22-23). Ecco la vera grandezza dell'uomo e della donna, la grandezza che non passa mai, che non si altera con l'alternarsi delle vicende storiche, che non appassisce né muore. Tutto è nostro perché Dio si è abbassato fino a noi per elevarci fino a sé. La vera grandezza è quella data da Dio a chi lo accoglie con cuore umile e puro. "Sei tu, Signore, il Padre degli umili".


5. Da questi ampi orizzonti oggi Cristo ci invita ad aprire il cuore alle stesse dimensioni del suo cuore santissimo. Come lui, noi dobbiamo far nostre le sofferenze e le ansie di tutti gli umili del mondo, dei poveri, degli affamati, degli emarginati. Gesù è venuto per questo, come abbiamo cantato al versetto dell'Alleluia: "Il Signore mi ha mandato ad annunziare ai poveri la buona novella a proclamare ai prigionieri la liberazione" (Lc 4,18). E infatti il Vangelo oggi ascoltato è anche e soprattutto una grande lezione di amore ai fratelli più provati. Nell'accettare l'invito a pranzo, Gesù dimostra di gradire molto la gentilezza dell'ospite; ma lo invita a una più grande generosità: "Quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi". così Gesù dimostra la sua preferenza per i sofferenti, e lancia il messaggio fondamentale del Vangelo, che è servizio compiuto per amore di Dio e dei fratelli: "Sarai beato perché non hanno da ricambiarti... Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti" (Lc 14,13-14). Tali parole sono una continua sfida alla nostra fede. Bisogna credere, ma bisogna anche agire, cioè testimoniare e vivere il cristianesimo mediante la carità disinteressata e concreta. Anche ai nostri giorni, nonostante tutte le conquiste della scienza e della tecnica e la più vasta dilatazione della cultura e del benessere, la carità continua ad essere necessaria, perché è sempre presente tra noi il fratello che soffre. Tutti devono esserne consapevoli, a livello sia personale sia sociale. Quindi ogni cristiano, come ogni diocesi e parrocchia, ogni famiglia cristiana e ogni gruppo laicale devono sentirsi impegnati nell'esercizio della carità, nelle forme che oggi si offrono alla disponibilità di ciascuno: "Caritas", Volontariato, Conferenze di san Vincenzo, opere assistenziali e di ricupero, aiuto e assistenza alle persone anziane, inferme o in comunque handicappate. Per vivere in modo autentico la propria fede cristiana, bisogna fare in modo di giungere alla sera di ogni giorno dopo aver realizzato l'impegno della carità: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli - dice il divin Maestro - se avrete amore gli uni per gli altri" (Jn 13,35).


6. Carissimi fedeli di Anagni. Vi ripeto la mia gioia per essere venuto tra voi a celebrare questa Eucaristia. Ringrazio e saluto ancora una volta mons. Umberto Florenzani, il sindaco e le altre autorità; ringrazio e saluto i vostri sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tutti voi che siete venuti così numerosi. Mi è caro esprimervi il mio vivo compiacimento per quanto avete realizzato sotto la guida del vostro pastore: la Missione popolare nell'aprile scorso e il IV Congresso eucaristico diocesano; e ricordo l'indizione del Sinodo, che verrà celebrato nell'autunno del 1989. Invoco dal Signore sui vostri propositi e sulle varie iniziative pastorali l'abbondanza dei celesti favori: egli continuerà a illuminarvi e a confermarvi nella via del bene, per un'autentica prosperità umana e cristiana, mantenendo sempre vivi e fervorosi i principi religiosi ereditati dai vostri antenati fin dal secolo II dopo Cristo, quando il Vangelo raggiunse queste terre e si radico anche a prezzo di martirio.


7. "I giusti si rallegrino... e cantino di gioia". Questa gioia perenne vi auguro dal profondo del mio cuore: la gioia di amare Dio, di vivere in Cristo, di essere Chiesa. E vi raccomando di prepararvi al Sinodo con impegno esemplare, nella preghiera assidua e nello studio volenteroso della dottrina cristiana, perché siano illuminate le vostre menti, infervorati i vostri cuori, e anche i lontani possano essere toccati dalla grazia. Che Maria santissima sia sempre la stella limpida e benigna che guida i vostri passi sulle vie del Signore. In questa terra che fu del grande Leone XIII non possiamo dimenticare con quanta insistenza e premura, con quanta ricchezza di dottrina e tenerezza di pietà egli abbia raccomandato a tutto il mondo l'amore a Maria, specialmente con la recita del Rosario, da lui stupendamente illustrato con innumerevoli documenti. Lei, che nel Magnificat ha celebrato quel Dio che innalza gli umili; lei, che ha affidato queste parole alle labbra della Chiesa orante, ci insegni ad amare la vera grandezza, che consiste nell'umiltà, e a praticare il Vangelo che è la buona novella ai poveri. Sei tu, Signore, il Padre degli umili. Per Cristo, mite e umile di cuore. Con Maria, l'umile Vergine di Nazaret. Amen.






GPII 1986 Insegnamenti - 5. La carità e le ascensioni dello Spirito