GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus sul monte Chétif (Aosta)

Recita dell'Angelus sul monte Chétif (Aosta)

Una solida unità europea sulla base dei valori cristiani



1. "Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati, da sempre e per sempre tu sei Dio" (Ps 89,2). Dinanzi al maestoso spettacolo di queste cime possenti e di queste nevi immacolate, il pensiero sale spontaneamente a Colui che di queste meraviglie è il creatore: "Da sempre e per sempre tu sei, Dio". In ogni tempo l'umanità ha considerato i monti come il luogo di un'esperienza privilegiata di Dio e della sua incommensurabile grandezza. L'esistenza dell'uomo è precaria e mutevole, quella dei monti è stabile e duratura: eloquente immagine dell'immutabile eternità di Dio. Sui monti tace il frastuono caotico della città e domina il silenzio degli spazi sconfinati: un silenzio, in cui all'uomo è dato di udire più distintamente l'eco interiore della voce di Dio. Guardando le cime dei monti si ha l'impressione che la terra si proietti verso l'alto quasi a voler toccare il cielo: in tale slancio l'uomo sente in qualche modo interpretata la sua ansia di trascendenza e di infinito. Quale suggestione si prova nel guardare il mondo dall'alto, e nel contemplare questo magnifico panorama da una prospettiva d'insieme! L'occhio non si sazia di ammirare né il cuore di ascendere ancora; riecheggiano nell'animo le parole della liturgia: "Sursum corda", che invitano a salire sempre più in alto, verso le realtà che non passano e anche al di là del tempo, verso la vita futura.

"Sursum corda": e ciascuno è invitato a superare se stesso, a cercare "le cose di lassù", secondo l'espressione paolina "quae sursum sunt quaerite" (Col 3,1), a elevare lo sguardo al cielo, dove è salito il Cristo "primogenito d'ogni creazione, giacché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra" (Col 1,16). L'uomo contemporaneo, che sembra talora seguire il principio opposto, denunciato dallo stesso Apostolo del "sapere quae supra terram", cioè del rivolgersi unicamente alle cose della terra, in una visione materialistica della vita, deve di nuovo saper guardare verso l'alto, verso le vette della grazia e della gloria, per le quali è stato creato e a cui è chiamato dalla bontà e grandezza di Dio. "Agnosce, christiane, dignitatem tuam": oltrepassa il creato, oltrepassa anche te stesso, per trovare l'orma del Dio vivente, impressa non soltanto in queste maestose bellezze naturali, ma soprattutto nel tuo spirito immortale! Cerca, come i tuoi padri, "le cose di lassù, non quelle della terra"!


2. Attratto dal fascino della montagna, l'uomo ha cercato nel corso dei secoli di scalare le cime anche più impervie, senza mai rassegnarsi di fronte ad asperità e insuccessi. Anche di questo massiccio del Monte Bianco, la vetta più alta dell'Europa, l'uomo ha continuato a vagheggiare la conquista. La difficoltà dell'impresa ha tuttavia ritardato per lunghissimi anni l'attuazione del progetto.

Solo due secoli or sono, nel pomeriggio dell'8 agosto 1786, fu dato a due scalatori coraggiosi di porre per la prima volta il loro piede sulla sommità del colosso ammantato di neve e di ghiaccio. Noi siamo qui per celebrare quello storico evento, nel quale ammiriamo la conferma del fondamentale compito di dominio sulla terra, che Dio ha affidato all'uomo fin dall'alba dei tempi, e che la Bibbia ha fedelmente registrato già nelle sue prime pagine. E qui siamo anche per riflettere sul significato del vivo interesse che suscito allora e che continua a suscitare anche oggi in tutta l'Europa quell'impresa vittoriosa. L'interesse nasce dal fatto che nell'alta cima del Monte Bianco, posta geograficamente al centro del continente, l'Europa ha sempre visto un motivo di fierezza, quasi un simbolo di se stessa. La celebrazione del bicentenario dell'ardita scalata offre perciò, in certo modo, l'occasione per riflettere sull'unità profonda che lega insieme le nazioni dell'Europa.


3. E' nell'unità che ha le sue radici nel comune patrimonio di valori di cui vivono le singole culture nazionali. E il nucleo essenziale di tale patrimonio è costituito dalle verità della fede cristiana. Uno sguardo alla storia della formazione delle nazioni europee mostra il ruolo decisivo che ha giocato in ciascuna di esse la progressiva inculturazione del Vangelo. E' perciò sulla base di tale nucleo essenziale di valori umani e cristiani che l'Europa può cercare di ricostruire una sua rinnovata, più solida unità, riconquistando così un suo posto significativo nel cammino dell'umanità verso mete di autentica civiltà. Dall'alto di questo proscenio alpino, che consente allo sguardo di spaziare sui territori di tre diverse nazioni, io rinnovo pertanto il mio appello all'Europa perché, superando anacronistiche tensioni e vieti preconcetti riscopra le ragioni della sua unità e ritrovi quei valori che ne hanno fatto grande la storia nel corso dei secoli.


4. Rinnovo questo appello alla vigilia del giorno in cui la Chiesa festeggia la Natività della Vergine santissima. Maria è la madre dell'umanità redenta, perché è la madre di Cristo, il Redentore. Nessuno più della madre è in grado di favorire la reciproca comprensione e l'intima coesione tra i componenti della famiglia. E l'Europa è una famiglia di popoli, legati fra loro dai vincoli di una comune ascendenza religiosa. A Maria rivolgo pertanto la mia preghiera perché voglia guardare con occhio di materna benevolenza all'Europa, a questo continente costellato di innumerevoli santuari a lei dedicati. Possa la sua intercessione ottenere agli europei di oggi il senso vivo di quegli indistruttibili valori, che imposero l'Europa di ieri all'ammirazione del mondo, promovendone l'avanzamento verso traguardi prestigiosi di cultura e di benessere. L'Europa ha un suo ruolo da svolgere nella vicenda umana del terzo millennio: essa che tanto ha contribuito al progresso umano durante i secoli passati, potrà essere domani ancora luminoso faro di civiltà per il mondo se saprà tornare ad attingere, in concorde sintonia, alle sue originarie sorgenti: il migliore umanesimo classico, elevato e arricchito dalla rivelazione cristiana.

Maria santissima, primizia dell'umanità redenta, aiuti l'Europa ad essere degna dei propri storici compiti e la sostenga nel fronteggiare le sfide che le riserva il futuro. A tutte le persone di lingua francese che mi ascoltano, vorrei indirizzare un saluto molto cordiale, in modo particolare ai compatrioti e ai successori dei primi alpinisti che hanno conquistato il Monte Bianco due secoli fa partendo da Chamonix. Presso questa vetta d'Europa, in cui le frontiere si congiungono in un quadro grandioso, rinnovo i miei voti agli uomini e alle donne del continente: che conservino lo spirito intraprendente dei loro predecessori! Auguro agli europei di rimanere fedeli ai valori che hanno fecondato la loro storia e di saper fronteggiare le sfide dell'epoca contemporanea. Invochiamo il Creatore del cielo e della terra: che vi accordi la forza della speranza e dell'ardore della carità! Che la Vergine Maria interceda per voi! Gli abitanti di Courmayeur hanno voluto innalzare la sua statua a questo monte Chétif per ringraziarla della sua protezione, e la invocano con il nome di "Regina della pace". Mantenga nella pace tutti i popoli di questa regione! Sia la guida dei credenti che comprendono la strada impervia che conduce a suo Figlio, il Salvatore! E che Dio vi colmi delle sue benedizioni. [Dopo la preghiera:] La nostra preghiera alla Regina della pace si fa dolorosamente implorante per i due tragici fatti di terrorismo che, a distanza di poche ore, hanno sparso sangue innocente. Sangue di fratelli in viaggio. Sangue di fratelli raccolti in un luogo di preghiera. Di fronte ad eventi tanto orrendi e quasi incredibili l'ansia per la pace si traduce in angoscia. La coscienza dell'umanità si sente ferita nell'intimo dei suoi valori e delle sue aspirazioni e proclama con forza che è necessario e ormai indilazionabile fare tutto il possibile per porre fine all'incessante scalata di odio e di terrorismo. Elevo il mio accorato pensiero alle vittime e le affido alla bontà divina, assicurando che sono spiritualmente vicino a tutti, individui e famiglie, che sono stati coinvolti in quegli insani episodi. Nello stesso tempo manifesto il mio profondo e intenso dolore, unito alla più ferma e vibrata deplorazione. Faccia il Signore, per intercessione di Maria, che l'amore prevalga sull'odio a garanzia di una convivenza umana finalmente fraterna e pacifica.

Data: 1986-09-07 Domenica 7 Settembre 1986




Incontro con il clero e i religiosi in cattedrale - Aosta

Impegno per la formazione permanente e la pastorale d'insieme


Carissimi sacerdoti, religiosi e religiose della città e della Valle di Aosta!


1. La commemorazione della conquista del Monte Bianco, avvenuta duecento anni fa, l'8 agosto 1786, per opera del dottor Michel Gabriel Paccard e del valligiano Jacques Balmat, è stata motivo anche della mia visita pastorale alla vostra città.

La storica data, segnata dall'ardimentoso coraggio dei due pionieri delle Alpi, è stata giustamente festeggiata non solo dall'Italia e dalla Francia, ma dall'intera comunità internazionale. Anche la Chiesa vuole partecipare a questa rievocazione, volendo camminare a fianco degli uomini nelle loro imprese e incoraggiare i loro ideali. In questa cornice storica, che tanto dice a tutti gli abitanti della Valle, bene si inserisce questo mio incontro con voi. Vi saluto con grande gioia, carissimi, sacerdoti, religiosi e religiose, che, chiamati da Dio per una consacrazione totale a lui e alle anime, formate la parte eletta e più responsabile della Chiesa. Vi ringrazio non solo per la vostra affabile accoglienza, ma soprattutto per il lavoro che svolgete in diocesi, nei vari settori dell'apostolato, in aiuto e sotto le direttive del vescovo. Il mio incontro con voi perciò vuol essere prima di tutto uno stimolo a una sempre più cosciente e fervorosa perseveranza nell'opera della vostra personale santificazione e nell'impegno del ministero, convinti che veramente il Vangelo deve essere annunziato costantemente a tutti gli uomini e che la grazia divina di illuminazione e di conversione, pur sempre libera nelle sue manifestazioni e nella sua efficacia, passa ordinariamente attraverso la nostra opera e la nostra testimonianza.


2. Approfittando della straordinaria occasione dell'incontro con voi nella storica cattedrale dedicata a san Grato, di cui proprio oggi ricorre la solennità liturgica, desidero proporvi alcune brevi considerazioni, che vi possano servire come programma di vita e di apostolato. E' necessario oggi prima di tutto l'impegno per una "formazione permanente". Se questa necessità è sempre presente, essa lo è specialmente oggi, in questa società così complessa ed esigente nella quale viviamo. La formazione permanente comporta innanzitutto un approfondimento teologico: il sacerdote, il religioso, la suora sono gli "specialisti di Dio"! Non possono bastare gli studi compiuti in seminario o in noviziato; occorre un aggiornamento continuo, richiesto dal progresso degli studi biblici, teologici, liturgici. Bisogna perciò riuscire a dedicare ogni giorno un po' di tempo allo studio serio e metodico, tenendo nel debito conto i documenti ufficiali del magistero della Chiesa, le interpretazioni autentiche che vengono espresse su determinate questioni, le direttive della Conferenza episcopale. Da tale arricchimento scaturisce la pienezza della preghiera, in un contatto vivo con Dio, nel "gusto" delle cose spirituali. Lo studio infatti deve essere accompagnato dalla docilità della mente e della volontà. La formazione in campo dottrinale deve essere accompagnata dalla continua formazione nel campo ascetico: l'umile e ardente preghiera deve alimentare tale proposito individuale e collettivo. Molto utili infatti sono gli incontri periodici di cultura e di aggiornamento per il clero e per i religiosi, durante i quali alla trattazione di determinati argomenti da parte di maestri sicuri ed esperimentati si unisce la preghiera liturgica e comunitaria. Come non pensare, parlandovi in questa città di Aosta, all'esempio di sant'Anselmo, il grande filosofo e teologo, che pur essendo stato abate di Bec in Francia e vescovo di Canterbury, sempre viene distinto con il nome della terra d'origine. Egli fu profondo pensatore, uno studioso di primo piano, un assertore convinto del valore della ragione nella ricerca della verità e anche un operatore dinamico e lungimirante nel campo della pastorale, ma si può dire che fu soprattutto un mistico, un contemplativo, un'anima illuminata dalla luce della fede, che tra le vicende della storia e della vita quotidiana e tra le controversie della dialettica razionale, anelava continuamente a Dio, nel fuoco della carità.

Lo studio delle verità rivelate da Cristo e il necessario aggiornamento delle varie questioni ad esse attinenti, devono portare a una vita sempre più intima con Dio, devono spingere alla santità e far sentire sempre più intensamente l'ansia pastorale. Dovremo fare nostra la sua preghiera: "Ti prego, o Dio, fa' che io ti conosca, ti ami per godere di te. E se non lo posso pienamente in questa vita, che io avanzi almeno di giorno in giorno fino a quando giunga alla pienezza: cresca qui la mia conoscenza di te e diventi piena nell'altra vita" ("Proslogio", 14). La formazione permanente è poi assolutamente necessaria per la predicazione: senza aggiornamento si diventa aridi, vuoti, ripetitivi, o addirittura - come diceva san Paolo in altro contesto - "cembali squillanti" (cfr 1Co 13,1). Il problema della predicazione, sia intesa come "omelia "liturgica, che come "catechesi" e "istruzione religiosa" è attualmente di massima importanza: i fedeli, giovani e adulti, abituati ormai a sentir parlare e stimolati a riflettere, desiderano ascoltare persone preparate e convincenti, che hanno già maturato e vissuto interiormente quanto annunziano con la voce. Ma non si può dare ciò che non si possiede. L'impegno fondamentale dell'evangelizzazione, tanto più nel mondo moderno così sensibile ed esigente, presuppone una grande ricchezza interiore, frutto appunto anche della continua preparazione e formazione.


3. Una seconda esortazione che mi sta particolarmente a cuore riguarda la "pastorale d'insieme", cioè la strategia della collaborazione ai fini dell'evangelizzazione e della formazione cristiana delle coscienze. E' questo un argomento molto attuale e anche assai delicato, perché tocca l'unità di intenti e di azione che i battezzati devono perseguire, pur nella pluralità dei carismi e dei metodi, a cui occorre dare anche riconoscimento e spazio. La via concreta per giungere a ciò sta nelle direttive del Concilio Vaticano II, che ha appunto voluto e promosso il "Consiglio presbiterale" e il "Consiglio pastorale" nell'ambito della diocesi, e il "Consiglio parrocchiale" nell'ambito delle singole comunità particolari. Entro tali strutture, tutti sono perciò chiamati a recare il loro contributo mediante suggerimenti e proposte, ma tutti sono anche tenuti a dar prova di docilità, di sensibilità comunitaria, di spirito di comunione, accettando le eventuali - prevedibili - rinunce in vista del maggior bene delle anime.

L'ecclesiologia del Vaticano II tende a valorizzare comunità, movimenti, associazioni esistenti nel territorio, ma vuole coordinare tali diversi poli di riferimento entro le legittime forme istituzionali, in modo da promuovere la comunione e dare efficacia alle iniziative. Non si può e non si deve contrapporre l'istituzione al carisma; si deve invece far convergere le due realtà nella "pastorale d'insieme". Questa direttiva fondamentale è tanto più necessaria oggi, nella società moderna, in cui le varie ideologie imperanti tentano di disgregare il tessuto della fede cristiana e i fedeli si sentono soli e quasi emarginati, pur dovendo essere luce del mondo e sale della terra. Sia dunque vostro ideale e vostra preoccupazione lavorare uniti per il regno di Dio.


4. Infine vorrei ancora raccomandarvi la "pastorale familiare e giovanile", con particolare riguardo alla cura delle vocazioni di speciale consacrazione. Si può dire che la famiglia è oggi il problema veramente fondamentale della pastorale.

Infatti le condizioni psicologiche, economiche e sociali della famiglia esigono una cura specifica e costante. Essa è il nucleo centrale della Chiesa e della società, e non può essere una cellula a sé stante, una monade staccata e autonoma.

Essa è influenzata dall'ambiente esterno e nello stesso tempo essa contribuisce a orientarlo e qualificarlo. Bisogna perciò dedicare con grande amore il proprio tempo e la propria fatica alla formazione dei giovani al matrimonio e alla cura della famiglia. Conosciamo quali fattori sociali e politici incidano oggi negativamente sui nuclei familiari: la disoccupazione, la mancanza di casa o di ambienti adatti, l'insufficienza dello stipendio, la fragilità di carattere causata dai costumi correnti, l'instabilità e l'emotività prodotte dai mass-media e dalle vicende politiche, e tanti altri elementi inducono a chinarsi sulla famiglia con estrema sensibilità e carità per poter far capire e accettare la volontà di Dio circa l'esistenza dell'uomo e della donna nel disegno della Provvidenza. Un amore fedele, esclusivo, generoso suppone un'intensa vita spirituale, profonde convinzioni dottrinali e coraggioso esercizio dell'ascetica e della carità.

Nella nostra società, accanto a spinte deteriori, emergono ogni giorno più un profondo bisogno di certezza, un ardente desiderio di amore puro e stabile, una viva ansia di verità, e quindi di serietà e di coerenza. Specialmente i giovani sentono la delusione delle prospettive e delle conquiste solamente umane e terrene e la necessità di ancoraggi stabili e sicuri. La pastorale giovanile deve appunto considerare attentamente questa intima aspirazione dell'animo del giovane e non temere di chiedere molto. E' questo un momento della storia denso di tensioni spirituali e culturali, in cui si percepisce in tutto il suo grandioso valore il senso della parola di Cristo: "Chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà!" (Mt 10,39). Anche in questi nostri tempi moderni, il Signore fa comprendere a tanti giovani e adolescenti il vero significato dell'esistenza nella prospettiva della propria santificazione e del dono di sé per la salvezza degli altri. L'ideale della vita tutta consacrata a Dio e ai fratelli, la vocazione sacerdotale e religiosa, fanno parte anche oggi del disegno della Provvidenza. Voi pero, cari sacerdoti e religiosi, con il vostro esempio, la vostra preghiera e una metodica pastorale vocazionale, basata specialmente sulla direzione spirituale, ne siete gli strumenti ordinari e qualificati.


5. Carissimi! Congedandomi da voi, voglio ancora ricordare le vette alpine che circondano questa vostra magnifica regione, i ghiacciai eterni, le cuspidi dentate, il Monte Bianco! E vengono in mente le parole del salmista: "Chi salirà il monte del Signore, chi starà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro!" (Ps 23,3-4). La santità a cui dobbiamo tutti aspirare si può davvero paragonare a una vetta impervia, che esige ogni giorno l'impegno della salita dura e faticosa. Non scoraggiatevi mai, aiutatevi a vicenda, riprendete con gioia e generosità il vostro quotidiano cammino, ritemprate le forze spirituali nella preghiera e nell'Eucaristia, guardate sempre in alto, alla vetta, sicuri di raggiungerla con l'aiuto del Signore! E confidate in Maria santissima, nostra Madre celeste, che ci sostiene e ci consola. Vi accompagni la mia benedizione apostolica, che ora di gran cuore vi imparto, e che estendo con affetto ai vostri confratelli e alle vostre consorelle.

Data: 1986-09-07 Domenica 7 Settembre 1986




Omelia alla concelebrazione - Campo di Mont Fleury (Aosta)

Il cristiano al servizio di una umanità divisa e minacciata



1. Mentre siamo riuniti attorno all'altare per offrire il sacrificio di lode, parli - in questo luogo circondato da montagne stupende - il meraviglioso salmo della creazione, di cui è ricolma l'intera giornata odierna. La creazione stessa proclama la gloria del Creatore. La catena delle Alpi, che ho potuto ammirare stamattina, entra ora, in un certo senso, nelle parole della liturgia che la Chiesa pronuncia. Sono parole espresse dall'uomo che diventa così voce di tutto il creato: "Grande è il Signore e degno di ogni lode...

/ il Signore ha fatto i cieli. / Maestà e bellezza sono davanti a lui, / potenza e splendore nel suo santuario" (Ps 95,4-6). Desideriamo racchiudere, per così dire, nella nostra preghiera pomeridiana, questa "maestà" e questa "bellezza" del Creatore, di cui parlano le vette alpine e tra di esse la più alta, il Monte Bianco. Desideriamo anche che tutta la liturgia della creazione sia compenetrata da questo mistero specifico al quale è stato chiamato l'uomo: l'uomo in mezzo a tutto il creato; l'uomo corona del mondo visibile.


2. La liturgia parla oggi della vocazione dell'uomo da parte di Dio. E' la sconvolgente testimonianza del profeta Geremia che abbiamo ascoltato nella prima lettura. Il profeta avverte con tutta umiltà la propria debolezza, la propria impreparazione: "Sono giovane - dice -; non so parlare". L'uomo, con le sue sole forze, non è capace di proferire le parole di Dio, se non è Dio stesso che, in certo senso, gliele "mette sulla bocca". Ora, Geremia è appunto incaricato da Dio di essere messaggero della parola divina, la parola profetica.

Geremia riceve una missione tutta speciale, straordinaria: quella di essere "profeta delle nazioni": un messaggio per l'intera umanità, presente e futura. Dall'eternità Dio ha pensato a questa sua missione; e ora gliela rivela, promettendogli gli aiuti necessari al suo pieno compimento.


3. Il testo del profeta Geremia ha carattere autobiografico. Parla della propria vocazione. Al tempo stesso vi è in questa descrizione un "modello" universale secondo il quale occorre leggere il mistero divino della vocazione in ogni caso: in relazione a ogni uomo. Oggi ricordiamo in modo speciale la vocazione del vescovo san Grato, patrono della vostra diocesi. Assai scarse, per la verità, sono le notizie certe che si hanno della sua vita, svoltasi tanti secoli fa, all'inizio dell'èra cristiana. Ciò tuttavia non ha impedito, lungo il corso della storia, la fioritura di un culto fervente, perseverante e tenace non solo tra i fedeli di Aosta, ma anche tra altre buone popolazioni di queste vallate alpine, soprattutto tra gli agricoltori, che lo considerano loro protettore. Anche san Grato - come il profeta Geremia - senti la chiamata da parte di Dio per una consacrazione totale all'annunzio del Vangelo, per la conversione dei popoli a Cristo e per la loro salvezza. La sua opera fu talmente efficace, che dopo tanti secoli noi ancora lo veneriamo e lo preghiamo, e la città di Aosta si sente affidata alla sua intercessione. Le vicende particolari della vita e dell'apostolato di san Grato si perdono nell'oscurità del passato; tuttavia si conosce con certezza la solidità della sua fede in Cristo, Verbo incarnato, in tempi in cui serpeggiava l'eresia dell'arianesimo (sottoscrizione al Concilio provinciale di Milano nel 451), la sua devozione per i martiri, la sua strenua difesa della dottrina e della morale cristiana. Egli si senti totalmente a servizio di Cristo e delle anime e visse pienamente questa missione e questo ideale. Sembra inoltre che egli fosse greco di origine e quindi l'essere venuto da una terra lontana unicamente per servire Dio e le anime dimostra quanto grande fosse il suo amore a Cristo e quanto eroica la sua virtù.

4. La considerazione della "vocazione" del profeta Geremia e del vostro patrono san Grato, deve essere letta sempre di nuovo alla luce della nuova alleanza, che chiama ciascuno di noi e ci inserisce nella storia della salvezza. San Paolo, scrivendo ai Corinzi, afferma: "L'amore di Cristo ci spinge". Infatti, "Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto ed è risuscitato per loro" (2Co 5,14-15). Queste parole ci riportano alla radice stessa della vocazione cristiana: essa inizia nel mistero del Battesimo. Noi crediamo fermamente che, nel piano provvidenziale della creazione, ogni persona umana ha una sua speciale missione da compiere. Ad ognuno Dio rivolge la sua chiamata per il fatto stesso che gli dà la vita. Ma soprattutto il Battesimo è una vera vocazione che Dio ci rivolge, una chiamata misteriosa ma reale, che trasforma e responsabilizza. Infatti, mediante il Battesimo incominciamo a vivere della vita stessa di "Colui che è morto e risuscitato per noi". Per mezzo di Cristo diventiamo "una creatura nuova" (2Co 5,17).


5. Scendendo da questi presupposti teologici al piano concreto della nostra vita, vediamo che vivere della vita di Cristo - diventare in Cristo "una creatura nuova" - vuol dire servire. "Io sto in mezzo a voi come colui che serve" dice Cristo (Lc 22,27). E lo dice agli apostoli tra i quali era sorta una discussione: "chi di loro poteva essere considerato il più grande" (Lc 22,24). Cristo risponde: il più grande è colui che serve. La vocazione cristiana è una vocazione di "servizio", in quanto è un mettersi a disposizione: di Dio, anzitutto, per accogliere la sua volontà su di noi, e poi degli uomini, al fine di aiutarli nel loro cammino verso Dio e verso la salvezza. Tutti sono chiamati, in tal senso, a vivere con la vita di Cristo, a servire l'uomo e a servire Dio come lui, li ha serviti. Anche voi, cari fratelli di Aosta, avete la vostra particolare missione di servizio, sia come singoli, sia come comunità di fede, sia a favore della diocesi, sia nella linea di una missione extradiocesana, i cui confini sono quelli del mondo stesso e della storia intera, come avvenne per le grandi vocazioni di Geremia e di san Grato, la cui voce risuona ancor oggi e risuonerà nei secoli, perché seppero farsi strumenti e portavoce di quella verità, di quella parola di vita divina, che non passa, ma dà luce e vita a tutti gli uomini, quali che siano i luoghi e i tempi ai quali essi appartengono.


6. A voi, cari fratelli, intendo ora rivolgermi con un cordiale saluto: al vescovo, mons. Ovidio Lari, ai suoi collaboratori, alle autorità civili qui convenute, al clero, religiosi e religiose qui presenti, ai fedeli che stanno partecipando a questa assemblea eucaristica, ai giovani in modo particolare. So infatti che essi hanno atteso con viva partecipazione il momento di questo nostro incontro. A voi, dunque, cari giovani, un mio particolare pensiero. Possiate voi contemplare, in questa santa liturgia, la bellezza della vocazione cristiana. Al di là dei suoi elementi universali, propri ad ogni vocazione, essa, nel concreto, si realizza in modi sempre nuovi e sempre diversi. E aggiungiamo anche: sempre belli e meravigliosi. Perché Dio è sempre meraviglioso in tutto ciò che fa. Noi possiamo guastare, purtroppo, le sue opere; ma esse sono belle. E la vocazione è, tra tutte le sue opere, la più bella, perché ci assimila a Cristo, la più stupenda di tutte le opere del Padre, il centro e il vertice di tutta la creazione visibile e invisibile. Corrispondete, cari giovani, al disegno di Dio su di voi. Questo è, per voi, il mio augurio e la mia esortazione.


7. E anche a voi tutti, cari fratelli qui presenti, vorrei rivolgere in modo particolare alcuni pensieri che concretizzano, in qualche modo, le istanze che nascono da quella parola di Dio dalla quale oggi siamo interpellati. La novità di vita in Cristo alla quale ci chiama la nostra vocazione cristiana spinge oggi i credenti a sottolineare alcuni valori che l'andamento del mondo vorrebbe in qualche modo offuscare o dimenticare. Mi riferisco in modo speciale alla necessità di perseverare e di testimoniare con coraggio nell'accoglienza e nel rispetto della vita dal suo primo sorgere fino al suo estremo palpito; alla necessità di coltivare e rafforzare, a tutti i livelli, lo spirito di comunione e solidarietà; al dovere di liberarci o restare liberi dalle tentazioni del materialismo e dell'individualismo, aperti o mascherati che siano. Occorre vigilanza, coraggio, senso profondo della comunione ecclesiale, conoscenza quanto più esatta possibile dei reali bisogni dell'uomo in ordine alla venuta del regno di Dio. Occorre uno sforzo nuovo per cogliere la novità e la gratuità del messaggio evangelico, il quale, nel momento in cui soddisfa le esigenze più profonde dell'uomo, le oltrepassa, indicando all'uomo una prospettiva di vita - la vita eterna -, alla quale egli senza il soccorso della grazia divina non potrebbe mai giungere.

La "novità di vita" portata dal cristianesimo non si risolve quindi nell'ambito dell'umano - che essa pur porta a radicale rinnovamento - ma assurge a un livello di realtà - quello divino - del quale dice san Paolo: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udi, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano" (1Co 2,9 Is 64,3).


8. così dunque, uniti in Gesù Cristo, divenendo in lui "una creatura nuova", assumendo, ciascuno, questo servizio al quale egli ci chiama, ci accostiamo all'altare, per fungere da ambasciatori di Dio stesso per Cristo (cfr 2Co 5,20).

Dio infatti ha riconciliato con sé l'intera umanità mediante Cristo. Dio riconcilia costantemente con sé il mondo, non imputando agli uomini i loro peccati, rimettendoli "a un prezzo" che supera ogni cosa: col sacrificio della croce di Cristo! Infatti, in questo sacrificio sovrabbondante del Figlio, vi è la divina potenza di riconciliazione, alla quale noi uomini possiamo partecipare.

Ecco, Dio stesso ha affidato "a noi la parola della riconciliazione" (2Co 5,19). Dio stesso ha affidato a noi il "ministero della riconciliazione". Lo ha affidato a noi sacerdoti in modo speciale, rendendoci ministri del sacramento della Riconciliazione. Ma in un senso lato, e non meno reale, lo ha affidato a ogni cristiano, perché ogni cristiano dev'essere operatore di pace e di riconciliazione. E oggi è più che mai richiesta questa funzione decisiva e insostituibile del cristiano, a servizio di un'umanità divisa e minacciata.


9. Ed ecco che noi, nella potenza del ministero della riconciliazione di Cristo, diveniamo "una creatura nuova", ci accostiamo all'altare portando a Dio in Cristo l'intera creazione, l'intero universo, che ci circonda. Infatti il salmo dell'odierna liturgia proclama così: "Date al Signore, o famiglie dei popoli, / date al Signore gloria e potenza, / date al Signore la gloria del suo nome. / Portate offerte ed entrate nei suoi atri... / Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude; / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta / davanti al Signore che viene" (Ps 95,7-8 Ps 95,11-13). Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli. Nell'alto di tutte le vette alpine. Osanna. Amen. A tutti gli abitanti di questa valle e dei paesi vicini di lingua francese, indirizzo i miei voti cordiali per loro e per le loro famiglie, rinnovo i miei incoraggiamenti a vivere fedelmente il Vangelo che si presenta spesso come una dura salita verso Cristo, preferito a tutto, lui solo può salvarci e colmare il cuore con le gioie più alte, quelle dell'amore di Dio. Che il Signore vi benedica e rimanga sempre con voi! [Al termine della Messa dopo aver benedetto la prima pietra del monastero delle Carmelitane:] Carissimi fratelli e sorelle, come avete sentito, alla fine di questa celebrazione eucaristica, ho benedetto una prima pietra per una costruenda Chiesa. Si deve dire che in questa regione, nella Valle d'Aosta vi sono tante pietre, certo non mancano. Con queste splendide montagne, con queste Alpi, con il Monte Bianco, non mancano le pietre. Ed è da aggiungere che queste pietre sono molto "visitate". Anch'io ho potuto fare questa visita alle vostre pietre, alle vostre montagne, e vi sono tanto grato per questo privilegio. Pero la pietra, la pietra benedetta per costruire una Chiesa, è un simbolo di una persona, di una persona santissima, una persona divina: Gesù Cristo, Dio uomo, pietra angolare di ogni costruzione spirituale, di ogni tempio abitato dallo Spirito Santo. Ecco, passando dalle pietre alle persone, voglio ringraziare tutti voi carissimi fratelli e sorelle di questa regione, di questa diocesi, di questa Valle d'Aosta, perché voi tutti siete in Cristo Gesù pietre vive. Con queste pietre vive viene continuamente edificata la Chiesa, la Chiesa che non è pietra ma è corpo di Cristo. Vi auguro, dopo questa giornata passata tra voi, una buona continuazione, una buona continuità, di questa edificazione della vostra Chiesa e della vostra società. Lo auguro a tutti, ringraziandovi per questa visita, per questa buona accoglienza, per questa conclusiva celebrazione eucaristica. Mi rivolgo alle autorità civili, militari, autorità comunali e regionali, all'episcopato piemontese per la sua presenza, soprattutto alla Chiesa che è in Valle d'Aosta con il vostro pastore, il vescovo di Aosta. Devo ripetere le sue parole dette all'inizio della celebrazione, quando non trovando il testo previsto per questa inaugurazione dell'incontro con il Papa, ha improvvisato. Qualche volta, eccellenza, è una buona cosa non trovare le carte.

Devo confessare che ora anch'io seguo il suo esempio, senza carta. I miei saluti e ringraziamenti vanno a tutti i sacerdoti: grazie per l'incontro della cattedrale e per la concelebrazione e partecipazione in questa liturgia eucaristica. Ringrazio anche i religiosi e le religiose. E poi tutte le famiglie, tutti i giovani.

Ringrazio tutti i movimenti, molto attivi: ringrazio tutti e ciascuno.

Ringraziando i giovani scendo fino ai più piccoli, ai bambini, ai neonati, tutti, per tornare dopo ai genitori, ai nonni, agli anziani, agli ammalati.

Voglio ringraziare di cuore tutti gli organizzatori di questa visita pastorale, che sono tanti, pieni di meriti: ecclesiastici, civili e militari. Come non ringraziare i piloti dell'esercito che mi hanno condotto se non sul Monte Bianco almeno vicino al Monte Bianco, molto vicino? E, certamente, non si doveva andare sul Monte Bianco in elicottero. A piedi, si, in elicottero, no. Si poteva e si doveva andare sul ghiacciaio, contemplare la grandezza della cima e ringraziare Dio per questo privilegio che mi ha dato oggi. Non vorrei trascurare alcuna persona. Voglio ringraziare per tutti i doni, ricevuti dappertutto, durante la Messa, prima, in diverse occasioni, ma soprattutto per questo dono del vostro cuore, della vostra presenza, della vostra partecipazione, della vostra solidarietà. Alla fine della sacra liturgia eucaristica ho benedetto anche una corona con la quale deve essere ornata un'effigie della santissima Vergine. Questa corona significa la sua maternità nella Chiesa, nella Chiesa di Aosta, e io, ringraziandovi, vorrei affidarvi tutti, affidare questa Chiesa alla Madonna, alla sua maternità, attraverso questa corona, con la quale viene coronata la sua materna protezione, il suo materno amore verso ciascuno di noi e verso noi tutti.

Sia lodato Gesù Cristo.

Data: 1986-09-07 Domenica 7 Settembre 1986










GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus sul monte Chétif (Aosta)