GPII 1986 Insegnamenti - A pellegrini della diocesi di Prato - Città del Vaticano (Roma)


1. Sono lieto di accogliervi qui, presso la tomba di san Pietro, in questo festoso incontro, che fa rivivere nel mio animo le emozioni della visita alla vostra città di Prato in occasione della festività di san Giuseppe. Sono ricordi che conservo profondamente nel cuore e che nulla potrà cancellare. Vi porgo il mio affettuoso saluto, pregandovi di farvene eco presso tutta la popolazione pratese, a cui vorrei giungesse la fervida raccomandazione di non desistere dal perseverare sulla strada allora intrapresa, perché lo sviluppo materiale e civile della vostra città si accompagni sempre a quello dell'impegno religioso. Sono grato al caro mons. Fiordelli, vostro vescovo, che nel suo indirizzo di saluto ha voluto richiamare i temi principali da me toccati nei vari incontri di quel giorno memorabile, e io voglio ora sottolineare per voi, qui presenti, e per tutta la vostra diocesi alcuni punti di particolare importanza, che faciliteranno il vostro itinerario. Eccoli: lavoro, famiglia, chiesa. Sono convinto che senza un concorde impegno sui queste tre linee non è possibile realizzare un autentico progresso che risponda alle esigenze dell'uomo, considerato nella piena verità del suo essere.


2. Per un mondo nuovo e migliore urge innanzitutto affrontare e risolvere i problemi del lavoro. Nessuno, credo, dubita di questo. Occorre, pero, aggiungere che tali nodi resteranno irrisolti, specie con la crescente estensione della tecnologia e dell'automazione, se non sarà dato spazio sufficiente alla concezione cristiana, che colloca l'uomo al centro dell'universo sociale, quale punto costante di riferimento di ogni attività. Uno dei nodi irrisolti della moderna società industrializzata - lo avvertite anche voi nella vostra città, che pure nel campo del lavoro segna punte da primato - è il dramma della disoccupazione, soprattutto giovanile. Piaga diffusa, che porta con sé una nota non lieve d'ingiustizia. Ora, ogni società ben ordinata deve avvertire come uno dei suoi doveri primari non soltanto quello di assicurare la stabilità dei posti di lavoro esistenti, ma anche quello di crearne altri per le nuove generazioni. Dare un'occupazione adatta ai soggetti che ne sono capaci deve essere impegno centrale di tutti: non solo degli uomini di governo e di quelli dell'amministrazione, ma anche dei sindacati, degli impresari, dell'insieme della comunità, di tutti coloro che hanno possibilità di risorse da investire in vista del bene comune. Come si può parlare di promozione umana e di autentico sviluppo, quando continuano ad esistere fasce sempre più larghe di disoccupati, che si sentono esseri inutili, ai margini della società? Il mio augurio è che, insieme alla soluzione di questo grave problema, i rapporti di lavoro all'interno delle aziende siano improntati ai principi della giustizia sociale. Ma l'attuazione piena della giustizia diventa possibile solo quando si riconosce l'esistenza di un ordine naturale voluto da Dio. I diritti della persona sono fondati sulla dignità del suo stesso essere, riscoperta e definita alla luce del messaggio di Cristo. Se si perde di vista questo fondamento, i diritti umani restano perennemente esposti al rischio di essere violati.


3. Sempre in argomento di lavoro, desidero riferirmi ancora alla necessità di rispettare e promuovere la tensione verso i valori dello spirito: è questa una caratteristica dell'uomo, che non solo si distingue da tutte le altre creature, ma lo pone al di sopra di queste. La realtà dell'uomo non si esaurisce nell'ambito dei valori di ordine materiale. Egli ha una relazione fondamentale ed essenziale col valore supremo, che è Dio, ed è questa relazione che dona all'uomo quella superiore dignità, in base alla quale egli ha diritto alla vita fin dal primo istante del concepimento, un diritto che né i genitori né la società possono legittimamente violare. E' questa l'originaria relazione di giustizia, su cui si fondano tutti gli altri diritti, che lo Stato deve riconoscere e proteggere. Di qui nasce in particolare, il diritto alla verità, che è alla base della libertà, e che si esprime, come nella sua fioritura più nobile e alta, nel diritto di adorare e di testimoniare liberamente Colui che si è conosciuto come il vero Dio. Quando, nell'affrontare i problemi del lavoro, ci si chiude entro il limitato orizzonte dei soli valori qualificabili, escludendo la dimensione trascendente dei valori spirituali, si perde contatto con la realtà piena dell'uomo e questi rischia di essere declassato da fine, qual è, al rango di semplice strumento.


4. Il bene dell'uomo e della società presuppone l'istituto della famiglia, fondata sul matrimonio e vissuta come comunità di amore tra coniugi e figli. E' l'insegnamento costante della Chiesa, che oggi risuona nel mondo con l'urgenza della priorità, per rifare una società ordinata e più umana. L'uomo e la donna sono stati pensati e creati da Dio col progetto di prolungare nel tempo il dialogo di amore esistente dall'eternità all'interno della vita trinitaria, che è la fonte stessa della vita. Nel nido caldo della famiglia, dove gli sposi sono reciprocamente legati l'uno all'altro in un'alleanza d'amore, che esige piena fedeltà e indissolubile unità, sboccia, nasce e cresce in un contesto adeguato il nuovo essere umano, ricevendo gli aiuti necessari per uno sviluppo armonioso e per un progressivo inserimento nella società. E' bene ripeterlo oggi, nel clima di diffusa e crescente tendenza alla sconfessione dei grandi valori: la funzione dell'amore al servizio della vita. Gli sposi cristiani che, santificati dai sacramenti del battesimo, della cresima, del matrimonio e fortificati costantemente dal sacramento dell'Eucaristia, si impegnano a vivere la loro vocazione di servizio alla vita svolgono nella società un ruolo di fondamentale importanza, difendendo la dignità dell'amore e alimentando nella comunità i positivi fermenti, capaci di trasformarla secondo i piani di Dio. La paternità e la maternità responsabili di quei genitori che sanno difendersi dalle pressioni delle ideologie favorevoli a costruire le sorgenti della vita, costituiscono una quotidiana testimonianza di ottimismo e di speranza in una società pericolosamente tentata dalla sfiducia e dalla disperazione.

La famiglia cristiana, trasmettendo ai piccoli il dono ineguagliabile della fede in Dio, creatore e padre, diventa la prima scuola di catechesi, vera Chiesa domestica, partecipe della missione di salvezza, che è propria della Chiesa di Cristo. E' così che la famiglia dà il suo concreto e insostituibile contributo al realizzarsi della civiltà dell'amore, di cui il mondo moderno ha più che mai bisogno.


5. Una parola, infine, sulla Chiesa diocesana, porzione del popolo di Dio, affidata alle cure di un Pastore, che è in comunione col successore di Pietro. La prima raccomandazione che in proposito desidero rivolgervi, con amorosa sollecitudine, è che la vostra comunità ecclesiale sia protesa verso la santità e a promuovere la continua santificazione della Chiesa (cfr CIC 210). Tutti coloro che fanno parte della Chiesa - sacerdoti, religiosi, laici, a ogni livello - tutti sono chiamati da Gesù a non fermarsi a mezza strada ma a essere perfetti come il Padre celeste. Il mondo contemporaneo, per diventare una nuova terra, ha bisogno di santi. Nel corso della storia i santi si sono rivelati i veri rinnovatori della società. Fedele alla missione ricevuta dal divino fondatore, la Chiesa, nella sua qualità di "madre dei santi", ne ha prodotti un esercito incalcolabile, in ogni secolo, per ogni anno, in ogni giorno dell'anno e in ogni singola diocesi. Le indicazioni dei calendari, che pure non riescono a fornire l'elenco completo, sono sufficienti a dare un'idea delle proporzioni e della grandezza di questa realtà meravigliosa. Sono uomini e donne, vecchi, giovani e bambini, vergini e sposati, coniugi e famiglie intere, in ogni epoca della storia, per ogni categoria di persone, in tutte le circostanze della vita. La santità, e cioè il Vangelo coerentemente e pienamente vissuto, è possibile anche oggi, nella nostra cultura e nei diversi ruoli sociali. La vostra comunità ecclesiale sia sempre unita nella comunione, sul modello della comunione delle tre divine Persone. Come i vescovi sono legati col Sommo Pontefice, così voi, carissimi fedeli, sacerdoti e laici, siate legati col vescovo e tra di voi.

E' un dono di Dio, che si ottiene con l'insistente preghiera. Solo a questa condizione la vostra comunità ecclesiale sarà anche missionaria. Vi sono, entro confini della Chiesa particolare, molte pecorelle smarrite, da cercare, illuminare, fortificare. Alcune forse già da tempo si sono allontanate all'ovile e nessuno le ha avvicinate. Altre corrono il rischio di allontanarsi. Altre ancora, forse, non hanno mai visto il Vangelo incarnato nella vita dei cristiani, né ascoltato la predicazione della Parola che salva. La Vergine Madre, che noi da sempre chiamiamo santissima, sia al vostro fianco per guidarvi, come singoli e come comunità, sulla strada ardua ma luminosa del Vangelo annunciato dal suo Figlio. Essa sia in mezzo a voi, come lo fu nel cenacolo, per assistervi nei lavori del Sinodo diocesano ancora in corso, perché da essi scaturiscano spinte valide a rifare il popolo nuovo. Con questi auspici vi benedico tutti di cuore assicurando voi e i vostri cari del mio costante ricordo nella preghiera.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




Alle Piccole Sorelle di Gesù - Città del Vaticano (Roma)

Contemplazione e adorazione del Signore, umile e povero


Care piccole sorelle di Gesù, da quarant'anni avete l'usanza di pronunciare i vostri voti perpetui alla tomba dell'apostolo Pietro. Certamente cercate di compiere questo passo secondo lo spirito foucauldiano, cercando di passare inosservate. Tuttavia il simbolismo è altamente significativo e sempre nuovo per le Piccole Sorelle che fanno la professione alla vita. Volete rendere partecipi dell'annuncio della buona novella i più svantaggiati, in legame profondo con la Chiesa e i suoi pastori, con questa Chiesa generata dal cuore trafitto di Cristo, seguendo fino la fine dei secoli, la sua missione di verità e d'amore, di giustizia e di pace. Il nostro incontro familiare mi ricorda il pomeriggio del 22 dicembre scorso a Tre Fontane. Grazie ancora per la vostra accoglienza così semplice e orante! Oggi non posso dimenticare che presto celebrerete il centesimo anniversario della conversione di Charles de Foucauld. Voglio rileggere con voi un brano molto commovente dei suoi Scritti spirituali: "Ai primi d'ottobre del 1886 voi mi faceste, mio Dio, quattro grazie... La quarta fu la grazia incomparabile di indirizzarmi all'abate Huvelin per avere delle lezioni. Facendomi entrare nel suo confessionale uno degli ultimi giorni di ottobre, tra il 27 e il 30, credo che mi abbiate donato tutti i beni...

Da quel giorno la mia vita è stata un succedersi di benedizioni" (cfr. "Scritti spirituali", ed. de Gigord 1923, pp. 80-85). Per questo in nome della Chiesa rivolgo a tutte le Piccole Sorelle un appello alla conversione, un appello a spingersi più avanti nel mistero della vostra vocazione specifica, fatta di contemplazione ardente del Signore Gesù e dell'incarnazione umile e nascosta accanto ai nostri fratelli più oppressi. L'adorazione prolungata della Presenza reale vi colloca così bene al vostro posto di Piccole Sorelle! La vostra persona è prostrata o seduta a terra; il vostro volto fissa la santa Riserva con una fede ardente, come fratel Charles di Gesù vi ha dato l'esempio. Questa adorazione purifica e trasforma il vostro sguardo sulle persone e sugli avvenimenti della vostra vita quotidiana. Questa adorazione rinnova il vostro cuore, vi dona in qualche modo il cuore di Gesù Cristo, per incontrare, ascoltare, amare i poveri del Terzo mondo e del Quarto mondo. L'adorazione eucaristica è costitutiva del vostro apostolato, fa delle vostre persone degli esseri dedicati, stremati in qualche modo per la salvezza dei poveri.

Secondo la vostra spiritualità propria, la contemplazione e l'azione, anche se sono due realtà distinte, si fondono misteriosamente. E più le situazioni concrete delle fraternità sono difficili, come nel Medio-Oriente, nell'America del Centro e del Sud, in alcune regioni dell'Africa, in Asia, più la contemplazione deve informare la presenza ai poveri e agli oppressi. Che il Signore trovi in ogni Piccola Sorella un'anima disposta alla conversione, all'interiorità, all'adorazione, alla povertà e alla solidarietà, alla serenità e alla speranza! Che attraverso il volto di ogni Piccola Sorella e di ogni Fraternità, sia conosciuto il vero volto di Dio, quello dell'amore. Vi benedico affettuosamente, insieme a tutte le famiglie religiose o secolari che si ricollegano a Charles de Foucauld.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




A di giuristi americani - Città del Vaticano (Roma)

Assoluta necessità di giustizia nelle relazioni tra i popoli


Cari amici.


1. Sono felice di dare il benvenuto in Vaticano ai membri dell'associazione degli allievi dell'Accademia di legge americana e internazionale. Sono lieto che voi abbiate richiesto quest'udienza e desidero cogliere l'occasione per assicurarvi il mio rispetto per il vostro importante ruolo nella società. Quest'incontro con voi richiama alla mente le parole del profeta Michea: "Che cosa il Signore vi chiede se non fare giustizia, amare la bontà e camminare umilmente con il vostro Dio?" () La vostra è certamente una professione stimata e nobile che esalta tradizioni antiche e moderne ed esercita grande influenza sulla stabilità e sul benessere della società. Con il servizio offrite protezioni ai diritti dei cittadini, mezzi alle richieste di giustizia e aiuti per garantire lo sviluppo ordinato della società in rettitudine e libertà.


2. Siete invitati a promuovere la giustizia secondo le norme di legge. L'esercizio della vostra professione richiede più della semplice conoscenza legale e di abilità. Dovete anche essere persone sagge e prudenti, uomini e donne aventi un vigilante incarico morale e ardenti fermamente nella dignità e nei diritti inalienabili di ogni essere umano dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale. Come giuristi, possedete un profondo interesse per la giustizia, tuttavia si ha anche bisogno di qualcosa in più della giustizia. Come ho affermato nella mia lettera enciclica riguardo la misericordia di Dio: "L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non è abbastanza, essa può anche portare alla negazione e alla distruzione di se stesso, se a quella forza più profonda, che è l'Amore, non è concesso di formare la vita umana nelle sue varie dimensioni" (DM 12).

Certamente non si deve minimizzare il ruolo importante e l'assoluta necessità di giustizia nelle relazioni tra i popoli; desidero solo indicare il ruolo più alto e la "forza più profonda" posseduti dall'amore. Per questo il profeta ci incoraggia ad agire con giustizia ma anche ad amare la bontà e camminare umilmente con il nostro Dio.


3. Io vi assicuro le mie preghiere per i vostri meritevoli sforzi della società.

Il salmista dell'Antico Testamento dice: "Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano" (Ps 91,13). Poiché voi tentate di rafforzare i legami di armonia, stabilità e pace, possa il Signore garantire le sue abbondanti benedizioni a voi e alle vostre famiglie.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




A dirigenti e giornalisti della NBC - Città del Vaticano (Roma)

Il servizio di verità contribuisce alla pace e all'unità


Cari amici. E' un piacere per me salutarvi in occasione della vostra venuta a Roma per l'incontro annuale dei funzionari e dei dirigenti della NBC News da ogni parte del mondo. Ho già conosciuto molti di voi attraverso le vostre visite a Roma o grazie al vostro lavoro durante le mie visite pastorali in molte differenti nazioni. E' una gioia speciale rivedervi ancora. Il vostro è davvero un lavoro importante: il servizio di verità, che alternativamente può contribuire significativamente al benessere e alla libertà dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, e all'unità e alla pace di tutta la famiglia umana. Il riportare notizie può approfondire la conoscenza, può attirare una generosa risposta per il bisognoso, come si è potuto vedere così drammaticamente nel caso delle vittime per la fame in Africa; può portare i popoli del mondo a condividere insieme un'esperienza. Una di questa esperienze condivise è l'opportunità di pregare insieme e so che la vostra rete televisiva rende possibile alla gente degli Stati Uniti di unirsi a me durante la Messa di mezzanotte che celebro a Roma in occasione del santo Natale. Vi sono grato per il vostro lavoro e spero di poter dare annuncio insieme a qualche buona notizia riguardo gli eroi e le eroine nascosti in questo mondo che servono i loro fratelli e le loro sorelle così disinteressatamente. Questa notizia aiuti a portare nuova speranza e incoraggiamento a tutti.

Possa Dio concedere le sue abbondanti benedizioni a voi e ai vostri cari.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




Nella parrocchia del Corpus Domini - Borgata Massimina (Roma)

Il male sta nella mancanza di rispetto della persona



1. "Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?". La domanda che san Paolo ci pone nella prima lettura della Messa di oggi è anche un accorato ammonimento: ci ricorda il significato più profondo della corporeità umana nella concezione cristiana. L'Apostolo richiama qui la dottrina della comunità ecclesiale come "Corpo mistico" di Cristo. Nutrendosi del Corpo del Signore, il cristiano viene a formare con lui un solo "Corpo" e un "solo Spirito". Il corpo del cristiano diventa così "tempio dello Spirito Santo". Riscattato dal Sangue di Cristo, il corpo del cristiano non gli appartiene più: appartiene a Cristo (cfr 1Co 6,15-20). Il corpo del cristiano costa il Sangue di Cristo.


2. Fratelli carissimi, siamo oggi qui riuniti, nel corso di questa bella Missione ai giovani guidata dai Padri Passionisti, per ricordare e invocare in modo speciale una nostra giovanissima sorella che ha compreso tanto profondamente queste parole di san Paolo, da viverle eroicamente fino alle loro estreme conseguenze. Sapete bene tutti a chi mi riferisco: a santa Maria Goretti, le cui sacre reliquie sono oggi qui con noi. Ma è la stessa piccola santa che noi oggi ci sentiamo vicina. Sentiamo che il suo spirito è qui presente tra noi, tra voi, giovani carissimi. Una giovane come voi, partecipe dei vostri stessi problemi. Essa vi comprende. Vi conosce. Vi ama. Sa le vostre difficoltà, perché sono state anche le sue. Ma essa ha vinto. E per questo v'insegna la strada.


3. Il messaggio di santa Maria Goretti è il medesimo di san Paolo, tradotto nei fatti. Nell'immagine distribuita a ricordo di questa Celebrazione eucaristica, ho chiamato la santina di Nettuno "Martire della castità". Che cosa significa questa espressione? Come si può essere "martiri della castità?". Ecco, un martire è chi dà la propria vita per Cristo. Quel Gesù Cristo che ci comanda la castità e proclama "beati i puri di cuore" (Mt 5,8). Maria Goretti amava la purezza, perché Cristo ama la purezza. Essa non ha voluto peccare contro la purezza, a costo della propria vita, perché non ha voluto offendere Cristo. Donando la propria vita per la purezza, essa l'ha quindi donata per Cristo. Maria Goretti, come ogni martire, è martire di Cristo. Essa ha dimostrato questo suo amore eroico per Cristo, amando, fino all'eroismo, quella purezza che Cristo ama e comanda.


4. Giovani carissimi - a voi in modo particolare voglio rivolgermi -, quale invito meraviglioso vi viene da questa vostra giovane sorella! Quale prospettiva di grandezza umana essa vi propone, pur nella fragilità e nella modestia della sua natura e condizione di fanciulla del popolo! Eppure, quale sapienza, quale luce per noi nella sua testimonianza! Maria Goretti, con l'esempio stesso della sua vita e della sua morte, ci propone un ideale, del quale tutti dobbiamo sentire l'inestimabile fascino: quello di "curare in profondità la propria identità battesimale e di inserire nel quadro di questa formazione anche la coltivazione nutrita e gelosa della propria integra dignità non solo cristiana ma pure umana, di cui la castità è un'espressione di prima importanza". Siamo oggi tanto preoccupati di salvaguardare la nostra dignità e libertà di persone, i nostri diritti inalienabili. Ma lo facciamo sempre nel senso giusto? Abbiamo veramente chiaro il fatto che l'osservanza della castità rientra necessariamente nella promozione e nella difesa della propria dignità umana"? Siamo ben convinti che il peccato d'impurità è offesa alla dignità umana, è insulto alla vita, è falsificazione dell'amore?


5. "Chi si dà all'impudicizia - dice san Paolo (1Co 6,18) - pecca contro il proprio corpo". L'etica cristiana considera con ammirazione e alta stima il corpo umano. "Ciascuno - dice Paolo in un'altra Lettera (1Th 4,5) - sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e di libidine come i pagani che non conoscono Dio", e che non sanno, quindi, che il corpo è "tempio" dello Spirito Santo. Il male, per il cristiano, non è nel corpo; non è nella sessualità umana. Il male sta nella mancanza di rispetto per la dignità del corpo, per la vera finalità della sessualità umana. Il male sta in quella "concupiscenza", che sorge dal "cuore" dell'uomo ferito dal peccato originale, e che lo porta a non cercare più il vero bene dell'altro, ma a considerarne il corpo come un possibile oggetto di appropriazione. La concupiscenza toglie all'amore la libertà interiore del dono, "depersonalizza", in certo senso, la persona amata, trasformandola in un puro oggetto di godimento egoistico. L'etica cristiana è certo a volte severa: ma non ha nulla a che vedere con una concezione manichea che vorrebbe vedere nel corpo il principio del male.

Se essa a volte ci chiede la rinuncia o il sacrificio, è proprio per purificare la corporeità, per innalzarla e per innalzare, con essa, l'uomo. In un tempo come il nostro, che si caratterizza per la "riscoperta" dei valori del corpo, ma che tale riscoperta, in sé apprezzabile e degna, porta avanti spesso con atteggiamento dissacratorio nei confronti dei valori dello spirito, occorre riaffermare una visione dell'uomo, che armonizzi convenientemente ambedue le dimensioni dell'essere umano, quella corporea e quella spirituale. E' precisamente questa armonizzazione che l'etica cristiana persegue in ogni sua norma concernente i rapporti tra il corpo e lo spirito, sempre ispirandosi alla prospettiva trascendente con cui la rivelazione divina viene incontro alle aspettative dell'uomo, la prospettiva cioè della risurrezione finale nella quale il corpo sarà elevato a partecipare, in rinnovata simbiosi con lo spirito, alla gioia stessa di Dio. Non è dunque il materialismo, non è l'edonismo, ma è l'etica cristiana, quella che sa esaltare veramente la dignità del corpo umano. Maria Goretti ha rinunciato alla vita fisica proprio per non contaminarla col peccato, per non peccare contro il suo corpo! Essa ha compreso - e questa è per noi la sua lezione - che il vero male del corpo non è tanto la sofferenza (essa ha saputo accettare addirittura la morte), ma è l'azione volontaria - il peccato - che si commette contro il corpo e contro quelle finalità di vita e di propagazione della vita che la Sapienza creatrice ha posto in esso.


6. Carissimi giovani! Occorre che la nostra società recuperi e torni ad avvertire l'attrattiva e il fascino di questa virtù per la quale Maria Goretti ha dato la sua vita. La castità è una difficile - quanto necessaria - conquista. E se non ne avvertiamo tutta la spirituale bellezza, difficilmente saremo spinti alla lotta necessaria per conquistarla. La conquista della castità richiede un impegno coraggioso e perseverante della volontà corroborata dalla grazia divina, che guarisce la natura dalle sue cattive inclinazioni e la orienta verso il bene. Frutto della castità è l'armonia interiore della persona, la capacità di realizzare un amore generoso e disinteressato, nella libertà dello spirito e in una più viva sensibilità al valore dei beni divini e trascendenti. Sia per voi, cari giovani, la castità a fondamento di un nobile e più elevato agonismo, la cui meta non è tanto il primato della forza fisica, quanto piuttosto l'emergenza della forza morale e la conquista piena della propria dignità di persone. Possa questa nobile gara accendere l'entusiasmo dei vostri cuori! Quanta maggiore serenità, entrerà nella vostra vita! Con quanta maggiore fiducia vi aprirete alle responsabilità del futuro e alle ardue battaglie che vi attendono per la realizzazione del vostro avvenire! Il giovane che cede al piacere dei sensi non può prepararsi degnamente a queste battaglie né porre i presupposti per superarle vittoriosamente.


7. Desidero ora salutare tutti i presenti. Un pensiero di cordialità innanzitutto al card. Agostino Casaroli, che ha voluto onorare con la sua presenza questo incontro, manifestando così anche l'affetto che lo lega a questa antica e nobile diocesi suburbicaria, di cui è titolare. Un pensiero affettuoso e beneaugurante anche al vescovo mons. Diego Bona, che con assidua sollecitudine attende alla cura pastorale di questa porzione del gregge di Cristo. Un deferente e cordiale saluto alle autorità civili qui presenti. Anche a loro va il mio ringraziamento. Un partecipe e riconoscente pensiero al parroco, ai suoi collaboratori, e ai gruppi parrocchiali - specialmente ai giovani - che in vari modi hanno contribuito e contribuiscono alla buona riuscita sia di questo incontro liturgico, sia di questi giorni della missione parrocchiale. Un saluto cordiale e riconoscente desidero rivolgere anche alle religiose delle tre Congregazioni che hanno scelto questa zona di periferia per stabilirvi le loro case. Cooperando con zelo nei vari settori del lavoro parrocchiale, soprattutto nella cura per la formazione delle giovani e nella catechesi, vivono anche qui quell'ideale missionario che è l'anima del loro carisma. Un particolare saluto, poi, e uno speciale ringraziamento ai cari padri Passionisti, che con zelo e generosità stanno svolgendo questa missione di risveglio di vita cristiana con particolare attenzione ai giovani, alla loro situazione, ai loro problemi, al loro futuro. Occorre seguire e sostenere i giovani nella loro crescita umana, nella loro apertura alla vocazione divina, nel loro inserimento nella società e nel mondo del lavoro, nella loro maturazione affettiva, nella loro formazione alla purezza e a tutte le virtù cristiane, nella loro apertura alle necessità della Chiesa e del mondo di oggi, specialmente dei più poveri e dei più bisognosi.


8. La presenza delle reliquie di santa Maria Goretti, cari giovani, sia per voi di incoraggiamento. Sia un segno e un motivo di speranza. Quali che siano le vostre scelte di domani - il matrimonio, il sacerdozio, la vita religiosa - la santina di Nettuno è un insegnamento e un incoraggiamento per tutti voi. La purezza può essere vissuta in modi diversi, secondo la vocazione che riceviamo da Dio. Quello che conta è comprendere quale tipo di purezza Dio ci chiama a vivere, ed essere fedeli a questo ideale con coerenza e spirito di sacrificio. I frutti della purezza sono sempre grandi e duraturi in qualunque stato di vita Dio ci chiami a dare la nostra testimonianza.


9. "Glorificate dunque Dio nel vostro corpo"!, ci dice san Paolo. Il corpo è per il Signore, e il Signore è per il corpo (1Co 6,20 1Co 6,13). Quale stupenda prospettiva di comunione, per noi creature immerse nella materia, con lo Spirito infinito di Dio! Quale prospettiva di grandezza e di libertà, nonostante i nostri limiti e i nostri condizionamenti! Il Corpo di Cristo - il "Corpus Domini" -, la comunione eucaristica ci conduce a questa grandezza.

Prepariamoci ad essa con la purezza del cuore, del corpo, di tutto il nostro essere. Santa Maria Goretti ci guidi su questa via! Amen.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




Messaggio ai giovani dell'ACI - Città del Vaticano (Roma)

La preghiera per la pace unisce tutti i credenti in Dio.


Carissimi giovani dell'Azione Cattolica Italiana. Mi unisco anch'io - oggi 4 ottobre, festa di san Francesco - a questo vostro pellegrinaggio di preghiera, da Santa Maria degli Angeli alla Basilica di san Francesco. Sono presente con la mia voce, vi sono vicino col mio affetto, associandomi spiritualmente alla vostra preghiera per la pace, in attesa di poter venire in questa città, tra qualche settimana, con i rappresentanti delle varie religioni che confluiranno costi da ogni parte del mondo. Questo vostro raduno, così numeroso, richiama alla memoria quello che la storia francescana ricorda come il "Capitolo" più famoso degli inizi dell'Ordine - il Capitolo detto delle "stuoie" - quando, nel 1221, attorno a san Francesco si raccolsero circa cinquemila amici e seguaci per pregare e rinnovare l'impegno di essere annunziatori del messaggio evangelico sintetizzato nella espressione "Pax et bonum", Pace e bene: annunciatori di pace, non solo di quella fondata sulle relazioni esterne, ma anche, e prima di tutto, di quella interiore. La pace che significa misericordia di Dio per noi; perdono degli altri; concordia che ricrea le strutture della vita sociale. Carissimi giovani, accogliendo l'invito a pregare per la pace, voi siete venuti ad Assisi per confermare il vostro generoso impegno a servizio di questo fondamentale valore di ogni ordinata convivenza. La preghiera vi fortifichi in questo proposito. Voi sapete quali potenzialità racchiuda; quale sia la sua capacità di vincere le resistenze più ostinate. Per questo ho voluto che quello del 27 ottobre prossimo fosse un incontro di preghiera. E' significativo che sia la preghiera per la pace a unire tutti i credenti in Dio. A voi, che con questa manifestazione avete voluto prepararvi al prossimo incontro interreligioso, chiedo di continuare nella preghiera anche dopo che sarete tornati alle vostre case. Pregate e non risparmiate sforzi per sostituire nel nostro tempo l'odio con l'amore, la diffidenza con la comprensione, l'indifferenza con la solidarietà. Carissimi giovani di Azione Cattolica, aprite sempre più i vostri spiriti e i vostri cuori alle esigenze concrete dell'amore di tutti i nostri fratelli, affinché possiate essere sempre più costruttori di pace. Con affetto vi benedico. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1986-09-27 Sabato 27 Settembre 1986




In suffragio dei due predecessori - Città del Vaticano (Roma)

Paolo VI e Giovanni Paolo I: fedeli alla fede e alla disciplina


Carissimi fratelli e sorelle, e carissimi pellegrini della Lombardia e del Veneto.


1. Le espressioni dei testi liturgici ora ascoltate, soprattutto le parole rivolte da san Paolo al discepolo Timoteo, risuonano a proposito nella presente ricorrenza anniversaria dei due cari pontefici, Paolo VI e Giovanni Paolo I, i quali 8 anni fa hanno lasciato la vita terrena dopo aver combattuto appunto, come dice l'Apostolo, la buona battaglia della fede. Mentre i due pontificati - così diversi e pur tanto affini per vicinanza e continuità pastorale - vanno collocandosi sul quadrante della storia, il messaggio e l'esemplarità della vita dei due papi appaiono sempre più come un commento vivo alla densa pagina biblica poc'anzi ascoltata. Quali uomini di Dio, impegnati a "conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento" e a diffondere la dottrina salvifica del Signore Gesù, in attesa della sua definitiva manifestazione, essi vissero un'esistenza operosa, che fu una continua ascensione alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.


2. Sento riecheggiare ancora sotto le volte di questa Basilica la vigorosa proclamazione di Papa Paolo VI alla ripresa del Concilio Vaticano II: "Cristo! Cristo nostro principio, Cristo nostra vita e nostra guida! Cristo nostra speranza e nostro termine!... Nessun'altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo;... nessun'altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d'essere a Cristo assolutamente fedeli". E' qui la radice degli atti e dei gesti di cui Paolo VI, infaticabile realizzatore delle direttive conciliari, ha riempito il suo lungo e appassionato servizio, che si è esteso ai più svariati problemi della Chiesa e del mondo, da lui affrontati con insonne attività. Da Cristo parte e a Cristo conduce quell'umanesimo plenario di cui l'indimenticabile Pontefice fu intrepido assertore: "Se nel volto d'ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo... e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste... il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico, tanto che possiamo enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l'uomo". Nell'ampiezza di tale cornice egli delineava un nuovo ordine sociale, generatore di quella pace fondata sulla giustizia, che gli uomini non possono dare: "La civiltà dell'amore prevarrà sull'affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell'umanità finalmente cristiana". La fedeltà alla verità della fede, lo portava a quel riconoscimento della missione pontificale che ha tutto il valore di una confessione testamentaria: "Ci sentiamo, a questa soglia estrema, confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"; anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: "Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede"... Ecco, fratelli e figli, l'intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. "Fidem servavi" possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il "santo vero"... In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana... Abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa" (Insegnamenti, XVI [1978], 522-523).


3. Di Giovanni Paolo I risuonano sempre nell'animo mio le enunciazioni programmatiche, che non esitai ad assumere integralmente come pietre miliari del mio servizio sulla Cattedra romana: "Vogliamo continuare nella prosecuzione dell'eredità del Concilio Vaticano II...; vogliamo conservare intatta la grande disciplina della Chiesa, nella vita dei sacerdoti e dei fedeli...; vogliamo ricordare alla Chiesa intera che il suo primo dovere resta quello della evangelizzazione...; vogliamo continuare lo sforzo ecumenico, che consideriamo l'estrema consegna dei nostri immediati predecessori...; vogliamo proseguire con pazienza e fermezza in quel dialogo sereno e costruttivo, che il mai abbastanza compianto Paolo VI ha posto a fondamento e programma della sua azione pastorale...; vogliamo infine favorire tutte le iniziative lodevoli e buone che possano tutelare e incrementare la pace nel mondo turbato" ("Insegnamenti di Giovanni Paolo I", 15-16). Nel ricordare in questo giorno le sue accalorate esortazioni al presbiterio romano si intravedono, come attraverso uno spiraglio, il fondamento e la ricchezza della sua vita interiore: "La grande disciplina esiste soltanto se l'osservanza esterna è frutto di convinzioni profonde e proiezione libera e gioiosa di una vita vissuta intimamente con Dio". La fase terrena del viaggio di Papa Giovanni Paolo I si è conclusa rapidamente, contro le fervide speranze e gli unanimi auspici con i quali Roma e il mondo accompagnarono le sue giornate di Pontefice. E ora, col capo chino dinanzi alla imperscrutabile volontà della Provvidenza, noi ci rivolgiamo direttamente all'uno e all'altro, a Giovanni Paolo I e a Paolo VI, per implorare che vogliano intercedere presso Dio per ottenere alla Chiesa le grazie di cui essa ha bisogno nel difficile passaggio del momento presente.


4. Tu, uomo di Dio, che ricordiamo oggi nel giorno in cui il Signore ti ha chiamato a sé; tu, che sotto il nome di Giovanni Paolo I sei stato Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa come servo dei servi di Dio; tu, che, secondo le parole dell'Apostolo, hai teso alla giustizia, alla pietà, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (1Tm 6,11). O uomo di Dio! Riuniti presso la tomba di san Pietro, ringraziamo il Principe dei pastori di essersi degnato di chiamarti di averti permesso "di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo" (1Tm 6,14). Il tempo del tuo ministero fu breve: appena 33 giorni, tuttavia questo fu un tempo salutare, un tempo utile, che la Chiesa non dimenticherà mai, raccomandando all'eterno Padre il frutto della tua vita.


5. O uomo di Dio, che ricordiamo oggi insieme col tuo successore immediato: a te, sotto il nome di Paolo VI è stato dato di combattere "la buona battaglia della fede". Oggi diciamo: raggiungi "la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni" (cfr 1Tm 6,11-12). Davanti alla Chiesa e all'umanità. Oggi dunque, chiediamo a Colui che è "il Re dei regnanti e Signore dei signori", a Colui che solo "possiede l'immortalità", a Colui che "abita una luce inaccessibile: che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere" (cfr 1Tm 6,15-16), a lui chiediamo di invitare te, servo fedele, all'eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


6. "Beati... i morti che muoiono nel Signore" (Ap 14,13). Beati quelli che ci hanno lasciato, i papi Paolo VI e Giovanni Paolo I, perché ci hanno lasciato morendo nel Signore. "Si, dice il Signore, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono" (Ap 14,13). Amen!

Data: 1986-09-28 Domenica 28 Settembre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - A pellegrini della diocesi di Prato - Città del Vaticano (Roma)