GPII 1986 Insegnamenti - Ai Padri Capitolari scalabriniani

Ai Padri Capitolari scalabriniani

Sensibili "al grido dei poveri" per dare a tutti l'amore di Cristo


Carissimi!


1. E' con gioia particolare che ricevo oggi voi, rappresentanti di tutti i missionari di san Carlo, convenuti a Roma per il vostro nono Capitolo generale, il quale segna l'inizio della commemorazione del primo centenario di fondazione del vostro Istituto. Un Capitolo generale è indubbiamente sempre un avvenimento di grande importanza, una vera grazia di Dio, e costituisce, da una parte, un serio motivo di riflessione sul cammino percorso e sul modo con cui è stato vissuto il carisma dell'Istituto e, dall'altra, un intenso stimolo per proseguire in piena fedeltà a tale carisma. Il Capitolo deve anzitutto portare ad un vitale rinnovamento del fervore spirituale, per una dedizione sempre più aderente all'ideale primitivo, e nell'ambito del periodo giubilare, che sta per iniziare, deve costituire per voi e i vostri confratelli un forte sprone a ristudiare ed a rimeditare la vita, le opere, gli ideali apostolici di colui, a cui il vostro Istituto deve la sua esistenza. Possa il suo spirito permeare profondamente la vostra vita, in modo che lo possiate esprimere concretamente nelle vostre opere e nei vostri contatti con i fratelli, verso i quali è rivolta la vostra specifica missione pastorale. Fu appunto nel 1887 che il mio Predecessore Leone XIII approvo l'Istituto dei Missionari di San Carlo, fondato da Monsignor Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, per rispondere alle urgenti necessità del suo tempo, venendo in aiuto agli emigrati, che allora espatriavano in gran numero dall'Italia verso l'America. Per meglio rispondere alle esigenze di tale vocazione, Monsignor Scalabrini comprese la necessità, per i membri del nascente Istituto, della totale consacrazione mediante la pratica dei consigli evangelici, ponendo nel medesimo tempo, come pilastri della fondazione, soprattutto la povertà e la vita comunitaria. L'Istituto degli "Scalabriniani" si sviluppo nel corso degli anni, nonostante le difficoltà e le crisi che accompagnano sempre le opere di Dio.

L'invito del Concilio Vaticano II a riscoprire lo spirito dei fondatori ha permesso di mettere in miglior luce le finalità intese da Monsignor Scalabrini, desideroso di venire in aiuto agli emigrati italiani, i quali erano allora in estremo abbandono e quindi maggiormente bisognosi di assistenza spirituale e materiale. Nel 1966, con l'approvazione della Santa Sede, il vostro Istituto ha esteso la sua azione di servizio anche a tutti gli emigrati, che si trovano nelle analoghe condizioni degli emigrati italiani di cento anni fa, e attualmente il vostro servizio è rivolto ai rifugiati ed agli emigrati di ogni genere, in venti nazioni, nei quattro continenti.


2. Mi è pertanto gradito esprimervi ora la gratitudine della Chiesa per l'opera apostolica che voi avete svolto e svolgete nei confronti di questi fratelli provenienti da ogni parte del mondo, ai quali vi impegnate di portare il Vangelo di Cristo e di unirli in comunità di fede e di comunione. Ora più che mai, infatti, l'intuizione del vostro fondatore si rivela attuale. Il problema dell'emigrazione si estende sempre più, in una società in cui i poveri sono psicologicamente e qualche volta anche fisicamente emarginati o addirittura rifiutati e respinti. La vostra azione pastorale, animata dalla carità di Cristo, tenendo conto del patrimonio spirituale, delle sane tradizioni, della cultura che gli emigrati portano con sé, vuole rispondere pienamente alle loro aspirazioni di partecipazione e di giustizia, per una promozione integrale della persona umana, alla luce della rivelazione biblica, che vede nell'uomo il fratello di Cristo e il figlio adottivo di Dio. Una delle sofferenze caratteristiche degli emigrati è la lontananza con il conseguente isolamento, a motivo della loro situazione. Nella realizzazione della vostra missione, in collaborazione con la Chiesa locale e con i laici impegnati, voi aiuterete gli emigrati ad inserirsi nelle comunità di accoglienza, grazie allo spirito di reciproca accettazione nei confronti delle rispettive diversità, in modo da costituire una vera fraternità sul modello delle prime comunità cristiane. Nel medesimo tempo tale azione apostolica vi mostra la necessità di stringere sempre più i legami che vi uniscono come missionari di san Carlo.

Infatti la missione che voi avete ricevuto dalla Chiesa, avrà senso e credibilità se nell'annuncio del messaggio di Cristo voi vivrete in comunione con Lui e con i vostri confratelli: vi impegnerete pertanto a rinvigorire di fede e di patrimonio spirituale la vostra comunità, mediante la preghiera, che culmina nell'Eucaristia, segno efficace di amore e di unità. Fin dalle origini il vostro fondatore ha insistito in modo particolare sull'importanza della povertà nell'esercizio del vostro apostolato specifico.

Molti rifugiati ed emigrati vivono in situazioni di insicurezza, di sfruttamento, di miseria anche; alcuni si lasciano trascinare nella corsa al denaro a scapito della coerenza ai principi morali e della solidarietà con i loro simili. La povertà evangelica, che vi farà porre la vostra assoluta fiducia in Dio, vi renderà sensibili al "grido dei poveri"; farà di voi dei testimoni autentici della libertà interiore di fronte alla diffusa sete del guadagno.

Vivendo poveramente, sia sotto l'aspetto individuale che comunitario, vi libererete dalla tirannia della società del consumismo. Questo atteggiamento, ispirato al Vangelo, aprirà sempre più il vostro cuore ai fratelli, i quali riconosceranno in voi lo spirito di Cristo, di cui voi trasmettete il calore e la forza: "In una civiltà e in un mondo contrassegnati da un prodigioso movimento di crescita materiale quasi indefinita, quale testimonianza offrirebbe un religioso che si lasciasse trascinare da una ricerca sfrenata delle proprie comodità, trovasse normale concedersi senza discernimento né ritegno tutto ciò che oli viene proposto?" - sono parole del mio grande Predecessore Paolo VI.


3. Per far fronte ai problemi pastorali più urgenti, che richiedono da voi una disponibilità costante, un adattamento infaticabile a situazioni sempre più difficili, è indispensabile che diate la preminenza alla vita spirituale; che viviate in pienezza, ogni giorno con sempre maggiore impegno, le esigenze della vostra consacrazione religiosa; in una parola che sappiate spogliarvi dell'uomo vecchio per rivestirvi dell'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera (cfr Ep 4,22-24). Questa consacrazione - ho scritto ai religiosi ed alle religiose in occasione dell'anno giubilare straordinario della Redenzione - "determina il vostro posto nella vasta comunità della Chiesa, del popolo di Dio.

Al tempo stesso, essa introduce nella missione universale di questo popolo una speciale risorsa di energia spirituale e soprannaturale: una particolare forma di vita, di testimonianza e di apostolato, in fedeltà alla missione del vostro Istituto, alla sua identità e al suo patrimonio spirituale". In questo atteggiamento di totale donazione a Dio, sarete presenti ai fratelli in modo più profondo nella "tenerezza di Cristo" e, collaborando spiritualmente con essi, contribuirete efficacemente alla costruzione della città terrena, che avrà il suo fondamento nel Signore e che a Lui sarà necessariamente diretta (LG 46). Durante questi cento anni i missionari di san Carlo si sono sempre impegnati per poter corrispondere fedelmente agli ideali ed alle intenzioni del loro fondatore, che tendevano all'edificazione della Chiesa di Cristo, in piena comunione di pensiero e di azione con i suoi pastori. Come successore di Pietro, io oggi vi manifesto pubblicamente il mio apprezzamento e vi incoraggio a perseverare in queste disposizioni interiori.

Chiedo alla Madre di Dio, costretta Ella pure nello sua vita terrena o cercare rifugio a Betlemme ed a vivere straniera in Egitto, di accompagnarvi nel vostro lavoro apostolico in mezzo ai fratelli isolati ed abbandonati, e La prego perché ottenga dal Signore numerosi operai apostolici, i quali, inserendosi nelle vostre file, possono rafforzare la vostra capacità di azione nella pastorale tra gli emigrati, vostra tipica missione. Con questi voti imparto di cuore la mia affettuosa Benedizione Apostolica a voi qui presenti ed a ciascun membro della vostra benemerita Famiglia religiosa.

Data: 1986-10-16 Giovedi 16 Ottobre 1986




All'ordinazione di mons. Michalik - Città del Vaticano (Roma)

La dignità episcopale racchiude in sé qualcosa della croce



1. "Lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione...". Queste parole del profeta Isaia risuonano sempre con divina potenza nei nostri animi, in occasione della consacrazione di un nuovo vescovo, il quale viene a partecipare del Collegio apostolico, ricevendo la pienezza del sacerdozio.

Come insegna il Codice di diritto canonico, "i vescovi per divina istituzione sono successori degli apostoli mediante lo Spirito Santo che è stato loro donato" e ricevono perciò "l'ufficio di santificare, insegnare e governare" (CIC 375 §§ 1-2). Carissimo mons. Jozef Michalik, che sarai ordinato vescovo, amati confratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, cari fedeli che partecipate a questo suggestivo rito liturgico! Siamo riuniti attorno all'altare del sacrificio eucaristico con grande gioia ma anche con grande trepidazione, perché l'atto sublime che stiamo per compiere esige una fede profonda, fondata sulla certezza assoluta della divinità di Cristo e della sua missione redentrice. La Chiesa sussiste in tutte le epoche e in tutti i luoghi della terra mediante la realtà misteriosa della successione apostolica. La missione che il Figlio di Dio, Gesù Cristo, il Verbo incarnato, ebbe dal Padre, è proseguita per sua volontà e per sua diretta azione negli apostoli, ai quali egli diede i suoi poteri di magistero, di ministero e di governo; e dagli apostoli è continuata nei loro successori, i vescovi, e lo sarà fino al termine della storia umana: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi!" (Jn 20,21). Noi crediamo a questa trasmissione dei poteri divini, che da Cristo e dagli apostoli si prolunga di vescovo in vescovo, mediante l'imposizione delle mani e l'invocazione dello Spirito Santo.


2. Tra pochi istanti, anche tu, amato fratello, riceverai la pienezza del carattere sacerdotale. L'elevazione alla dignità dell'episcopato e l'inserimento nel Collegio dei vescovi è certamente un grande onore per una creatura umana: infatti, il vescovo possiede gli stessi poteri di Cristo e li può trasmettere! Ma è anche un servizio, alto ed esigente, a Cristo e alla Chiesa. Grande quindi è anche la sua responsabilità davanti a Dio e alle anime, gravoso il suo impegno di pastore. Già l'antico profeta enumerava i doveri di colui che lo Spirito Santo sceglie e manda per la salvezza degli uomini: deve annunziare la lieta novella della verità, deve consolare chi ha il cuore spezzato dal dolore, deve fasciare le piaghe degli afflitti, deve predicare la misericordia del Signore (cfr Is 61,1-3). Per questo motivo il vescovo deve essere totalmente consacrato a Dio e alle anime, come maestro, guida, animatore, senza più umani interessi. San Paolo lo ricordava a Timoteo: "Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. Dedicati alla lettura, all'esortazione, all'insegnamento... Vigila su te stesso... e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano" (1Tm 4,12-13 1Tm 4,16).

A questo proposito mi piace citare ciò che l'amato e venerato card.

Stefano Wyszynski scriveva a suo padre l'11 maggio 1946, in occasione della propria nomina a vescovo: "Bisogna morire totalmente a se stessi e non è facile.

La dignità episcopale racchiude in sé qualcosa della croce, e per questo la Chiesa appende sul petto del vescovo una croce. Bisogna morire a se stessi sulla croce, perché altrimenti non c'è vero sacerdozio. Non è facile prendere su di sé la croce, fosse pure d'oro e tempestata di gemme". E dieci anni dopo, il 16 marzo 1956, scriveva dal carcere sempre a suo padre: "Il vescovo ha il dovere di agire non solo con la parola e la liturgia, ma anche con il sacrificio e la sofferenza".

In effetti, il pastore, sempre, ma specialmente ai nostri tempi, deve essere una roccia di verità e nello stesso tempo deve avere un cuore colmo di tenerezza, affinché ogni fratello, nel cammino della vita, si possa a lui appoggiare e aggrappare.


3. Il servizio responsabile del vescovo nella Chiesa esige che i fedeli siano uniti con lui in cordiale benevolenza, nell'obbedienza filiale e nella preghiera incessante. Sant'Agostino, lieto dei doveri del pastore che guida il popolo sulla via verso la liberazione, ripeteva ai fedeli: "Forse molti semplici cristiani tendono a Dio attraverso una strada più facile della nostra, un peso minore di responsabilità grava le loro barche. Noi invece dovremo innanzitutto rendere conto a Dio della nostra vita come cristiani, e in seguito come pastori, secondo la specificità del nostro ministero" ("Serm. 46", 1-2). Agostino domando quindi al suo gregge aiuto e comprensione. Cari fratelli: "ascoltate il vescovo, affinché il Signore vi ascolti" (Ignazio di Antiochia, "Lettera a Policarpo", VI). Pregate quotidianamente per il vostro vescovo, affinché sia sempre forte nella fede, coraggioso di fronte al male e all'errore, sensibile e amorevole verso tutti, paziente e cordiale.

E tu, caro fratello che oggi sarai vescovo della Chiesa di Cristo per illuminare, guidare, difendere, santificare il popolo acquistato dal sacrificio del Signore, ripeti con fiducia e con gioia: "O Signore, tu sai tutto, sai che ti amo!". Che la santissima Maria Vergine, regina degli apostoli, presente fra di noi come lo era nel cenacolo di Gerusalemme nel giorno della Pentecoste al momento della discesa dello Spirito Santo, ti accompagni, ti aiuti nel servizio e nella testimonianza in questa diocesi di Gorzow, scelta per te dallo Spirito Santo. A tutti i credenti della Chiesa di Gorzow, rivolgo un saluto cordiale e l'augurio di essere obbedienti al proprio vescovo, maestro di fede, e di crescere sempre più nell'amore a Cristo. Tutto ciò si compie nel giorno di santa Edvige. Va', caro fratello alla metropoli di Wroclaw, al santuario di quella santa il cui compito fu e rimarrà sempre quello di riunire i popoli di quella meravigliosa santa, promessa sposa, madre, vedova, monaca, a cui fu concesso di sacrificare il figlio alle soglie dei baluardi della cristianità, che allora si estendeva fino alla terra di Slesia. Va' verso la Chiesa della Slesia. Ti raccomandiamo a tutti i santi patroni della nostra patria, ti raccomandiamo in special modo a santa Edvige. Che la tua Chiesa ti accolga, che ti accolga l'assemblea dei vescovi della Chiesa polacca, che ti accolgano i sacerdoti, gli ordini monastici e tutto il popolo di Dio. Che Cristo, principe pastore, ti benedica sulla via del tuo servizio pastorale. Che Dio ti protegga!

Data: 1986-10-17 Venerdi 17 Ottobre 1986




Alla plenaria della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli

Il Seminario, via per incontrare Cristo


Signori Cardinali. Venerati fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!


1. Sono lieto di accogliere in udienza particolare voi, membri della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, radunati in questi giorni a Roma per prendere parte ai lavori dell'Assemblea Plenaria. Vi ringrazio per questa visita, e vi assicuro la mia partecipazione spirituale e il mio incoraggiamento, insieme all'auspicio di ogni buon esito al vostro congresso, destinato a favorire l'opera delle vocazioni del clero indigeno, le quali trovano nel seminario il luogo privilegiato e le migliori condizioni per il loro armonico sviluppo e il loro fiorire "in spem Ecclesiae". Ringrazio in particolare il Card. Jozef Tomko per le cortesi espressioni, con le quali ha voluto introdurre questo incontro. Saluto gli illustri Presuli, qui presenti, i quali, alle cure del gregge nelle rispettive diocesi o alle funzioni in altri Organismi della Curia Romana, aggiungono il lavoro di membri nella Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli; i Direttori delle Pontificie Opere Missionarie, di cui è noto lo zelo per la diffusione del Vangelo, mediante assidui rapporti tra i paesi di antica tradizione cristiana e quelli propriamente missionari; e, infine, i Superiori degli Istituti Missionari. La vostra plenaria si svolge quasi alla vigilia della Giornata Missionaria Mondiale, che quest'anno assume un significato particolare, ricorrendo il 60° anniversario della sua istituzione. Esprimo l'auspicio che il ricordo di tale circostanza sia non solo motivo per dare uno sguardo al passato: alle fatiche compiute ed ai traguardi conseguiti, ma sia anche e soprattutto stimolo per un decisivo passo in avanti nella comprensione dei doveri missionari e nella promozione di quegli aiuti spirituali e materiali che sono indispensabili alla esistenza ed all'attività di quanti operano in campo missionario. E' questo un dovere fondamentale del Popolo di Dio; è anzi il "dovere più alto e più sacro della Chiesa" (AGD 29).


2. Ho preso conoscenza con interesse del tema specifico, prescelto per la vostra riunione: "Formazione nei seminari nelle Missioni e per le Missioni 20 anni dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, sotto gli aspetti: spirituale, dottrinale e disciplinare". Con tale scelta vi siete messi in sintonia con uno dei temi non solo del Decreto "Ad Gentes", ma anche di molti altri documenti del Concilio Vaticano II, tra cui quello "De Institutione Sacerdotali", che parla ex-professo della formazione dei seminaristi. Come è noto, la formazione dei giovani in generale, e dei seminaristi in particolare, è stato il pensiero costante dei Padri, il loro assillo e la loro ansia pastorale: "L'educazione dei giovani - dice la Gaudium et Spes - di qualunque origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare... personalità forti, come è richiesto dal nostro tempo" (GS 31). E il Decreto "Ad Gentes" che è la magna charta che regola l'attività missionaria, a sua volta afferma: "Bisogna aprire ed affinare la mente degli alunni perché ben comprendano e possano valutare la loro civiltà nazionale... e scoprire quali rapporti intercorrano tra tradizione e religione nazionale e religione cristiana", e soprattutto curare la loro formazione spirituale, perché conducano "una vita secondo l'ideale evangelico" e si dedichino "senza riserve al servizio del Corpo di Cristo" (AGD 16). Sono questi alcuni brani che indicano la premura della Chiesa del Concilio per il grave problema della formazione dei giovani. Ma quando questi giovani sono seminaristi nei territori di missione, le cure si raddoppiano e non si finisce mai di approfondire quei testi conciliari, che segnano i punti di riferimento dell'attività vocazionale.


3. L'importanza di questo argomento comporta una attenta ed appropriata verifica riguardante i seminari sia di antica che di recente costruzione nei territori dipendenti da codesto dicastero. In questo ventennio sono sorti numerosi seminari a carattere nazionale o regionale per far fronte al confortante aumento di vocazioni. E' un aspetto questo che va notato, perché fa ben sperare per il futuro delle Chiese missionarie. Ma questa crescita non sempre è stata accompagnata da adeguata e aggiornata opera di formazione spirituale, dottrinale e disciplinare.

Di qui la ragione di codesta provvida iniziativa che si avvale di un vasto materiale offerto dalle Conferenze Episcopali dei Paesi interessati. L'apposito questionario redatto dai Rettori dei seminari vi offre utili elementi di giudizio al fine di offrire indicazioni concrete e veramente rispondenti alle reali necessità dei vari ambienti. Sempre nel rispetto delle sane tradizioni culturali locali, di cui parlano i testi conciliari, la formazione sacerdotale non può prescindere da alcuni requisiti assoluti che sono validi per tutti i luoghi e per tutti i tempi.

Tali sono quegli aspetti spirituali che fanno del sacerdote, dovunque egli si trovi a vivere, l'apostolo, il testimone della fede, il missionario del Vangelo, il profeta della speranza cristiana, il costruttore della Chiesa di Cristo fondata su Pietro. Nessuno può essere elevato all'ordine sacerdotale se non ha ancora imparato ad amare Gesù Cristo che ha dato se stesso per noi fino alla Croce (Ga 2,20), e ad amare il prossimo nella maniera di Cristo, facendosi il tutore degli orfani e dei piccoli, il difensore dei poveri, il consolatore dei sofferenti: il padre delle anime. Certamente non può accedere al sacerdozio chi non sente in modo urgente l'attrattiva della sequela del Cristo, il quale ha detto: "Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mc 8,34); chi, cioè, non sente il valore della rinuncia e del sacrificio; chi non sa preferire la vita interiore a quella esteriore; la perfezione difficile alla mediocrità facile.


4. Il seminario deve essere una palestra di allenamento a queste virtù e a questo impegno apostolico; deve essere scuola di primissimo ordine, che sia in grado di offrire ai giovani i tesori della cultura umanistica, filosofica e teologica, ma anche e soprattutto una profonda esperienza spirituale, alimentata dalla preghiera assidua e dalla contemplazione, dal raccoglimento e dallo sforzo ascetico; deve essere, in una parola, la via per un vivo incontro con Cristo.

A questo fine occorre che i giovani leviti siano debitamente assistiti, come afferma il Concilio, "da superiori e professori che abbiano viva la consapevolezza di quanto possa dipendere dal loro modo di pensare e di agire la formazione degli alunni", siano essi perciò "scelti tra gli elementi migliori e diligentemente preparati con un corredo di soda dottrina, di conveniente esperienza pastorale e di una speciale formazione spirituale e pedagogica" (OT 5). Ma spetta soprattutto ai Vescovi vigilare sul buon andamento dei propri seminari, affinché fiorisca in essi uno spirito fervoroso che favorisca nei giovani un carattere forte e austero. Non sono mai troppe le premure e le sollecitudini che il pastore di una diocesi prodiga per il seminario.

Venerati fratelli, il fatto di aver privilegiato questo argomento per la vostra plenaria, è segno che a voi non sfugge quanto sia importante l'opera di sensibilizzazione in favore dei seminari nei territori di missione, e quanto sia necessaria e promettente la vostra preoccupazione di considerarne gli aspetti spirituali, dottrinali e disciplinari. Il Signore vi assista nei vostri lavori, per i quali elevo la mia preghiera, mentre di cuore imparto a voi e a quanti sono impegnati nella formazione dei seminaristi la mia Benedizione.

Data: 1986-10-17 Venerdi 17 Ottobre 1986




A vescovi spagnoli in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Difendere la vera dottrina contro le ambiguità ingannevoli


Cari fratelli nell'episcopato. "Grazia, misericordia e pace, da parte di Dio Padre e di Cristo Gesù, Signore nostro" (1Tm 1,2).


1. E' per me motivo di intima gioia essere con voi oggi, pastori delle province ecclesiastiche di Oviedo, Santiago di Campostela e Valladolid. Con le vostre persone voglio anche salutare i vostri sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli che dalla conca del Duero fino alle coste galleghe e cantabriche operano incessantemente per seminare e rendere vivo il seme del Vangelo. Ringrazio vivamente per le gentili parole che, a nome di tutti, mi ha rivolto mons. Gabino Diaz Merchan, arcivescovo di Oviedo e presidente della Conferenza episcopale spagnola, come preludio a questo incontro che vuole essere una testimonianza di comunione nella fede e nella carità, con la Sede di Pietro "principio e fondamento perpetuo e visibile di unità". Nelle conversazioni che separatamente hanno preceduto la nostra riunione di oggi, e anche prima, grazie alle relazioni quinquennali che avete inviato, ho potuto apprezzare la situazione attuale delle vostre diocesi, con le sue luci e ombre: i frutti maturi della vostra generosa azione ministeriale, i progetti e le speranze da sviluppare nel futuro, i problemi e le sfide che esigono il vostro sollecito impegno di pastori, alla cui cura è stata affidata una parte del popolo di Dio. Sentendo le vostre informazioni e in sintonia con i vostri aneliti pastorali, mi tornano in mente le indimenticabili giornate vissute in cinque luoghi diversi delle vostre province ecclesiastiche, durante la mia visita in Spagna nel 1982. Avila, Alba de Tormes, Salamanca, Segovia e Santiago di Campostela furono i centri dove si diede appuntamento una parte importante delle vostre comunità e dove potei comprovare personalmente quanto fossero vissuti realmente nella vostra terra e dalla vostra gente i valori cristiani.

Il nostro tempo - lo sapete bene - è caratterizzato da un processo di cambiamenti accelerati, il quale fa risentire dei suoi effetti tanto le comunità urbane quanto quelle rurali, le nuove realtà costituiscono a volte una sfida che esige da parte nostra nuovi sforzi per far giungere all'uomo d'oggi il messaggio evangelico di salvezza. A questo proposito, ricordo con piacere il programma pastorale della Conferenza episcopale spagnola, elaborato in occasione della mia visita apostolica al vostro Paese, dove venivano esposte le direttrici pastorali per una più penetrante azione evangelizzatrice. Uno dei frutti ne è stato il Congresso di evangelizzazione che ebbe luogo nel settembre dell'anno scorso e che, in seguito a un arduo lavoro di preparazione a livello parrocchiale, diocesano e comunitario, ha accolto le aspirazioni apostoliche di pastori e fedeli. Con la vostra sollecitudine di vescovi avete voluto manifestarmi le vostre preoccupazioni nei confronti di alcuni problemi che travagliano, in modo particolare, le generazioni giovani, riguardo alle convinzioni di fede, alla partecipazione all'Eucaristia domenicale, al senso del sacramento della Penitenza.

A questi problemi ne vanno aggiunti altri più geniali, ma non meno stimolanti, come l'iniziazione cristiana dei figli in seno alla famiglia, l'insufficienza di vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, la moralità pubblica, eccetera.

In questi momenti di incertezza che stanno attraversando non pochi dei vostri fedeli, a voi spetta, cari fratelli, come maestri della verità, continuare a proclamare le "ragioni della speranza" (1P 3,15); questa speranza che si basa sulle promesse di Dio, sulla fedeltà alla sua parola e che possiede una certezza che non verrà mai meno: la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sul male e il peccato. Le nuove circostanze reclamano un'azione evangelizzatrice rinnovata, che stimoli gli atteggiamenti cristiani di maggiore autenticità personale e sociale, e a cui partecipano tutti i membri delle comunità ecclesiali: sacerdoti, religiosi, religiose e laici. E' particolarmente necessaria nel nostro tempo, la presenza attiva dei secolari nelle realtà temporali della società democratica, con tutto il vigore profetico e di testimonianza di un laicato adulto, che sappia impegnarsi decisamente, e che sia capace di superare tanto l'individualismo, quanto l'inerzia e la routine. Mi rallegra sapere che siete impegnati in questa azione evangelizzatrice e che pretendete che ciò si faccia congiuntamente, in ogni diocesi e in tutte le diocesi, per cercare di giungere a un maggior senso comunitario a tutti i livelli: parrocchie, arcipreture, diocesi e province ecclesiastiche.


2. E' motivo di speranza anche il fatto che siete tutti chiamati a questa opera per il regno di Dio, cercando le strade e i luoghi propizi, di modo che tutti si sentano chiamati con forza alla collaborazione responsabile e creativa per questa missione. In questo sforzo promettente bisogna consolidare le proprie radici: il senso cristiano e universalista della vostra gente, che le ha permesso di aprirsi generosamente ad altri popoli; l'esperienza profonda del Signore, come vissero e continuano a inseguire i vostri mistici, in un magistero di permanente sollecitudine. Occorre tener conto che questo mondo che cambia, in progresso continuo ma anche esposto alla degradazione morale, ha bisogno degli orientamenti che provengono da un pensiero teologico maturo ed ecclesiale, oltre che di una informazione permanente, le cui motivazioni potrete trovare anche nel vostro passato universitario: il dialogo tra fede e cultura è oggi particolarmente necessario per l'evangelizzazione, perché nelle vostre diocesi sia sempre piantato quest'albero di sapere cristiano, i cui rami, mistica e intelligenza sono garanzie di frutti abbondanti di vero umanesimo. Siate infatti infaticabili nel promuovere l'orazione e un processo di formazione permanente in tutti, cominciando dai sacerdoti stessi. Tutto ciò deve mantenere lo sguardo puntato sull'uomo concreto e storico, come feci presente nella mia enciclica "Redemptor hominis" (RH 13); questa è la missione della Chiesa: servire l'uomo "in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione". Aspettano dalla Chiesa una parola di speranza il giovane, esposto all'inclemenza del nostro tempo di ordine spirituale, ma anche sociale e del mondo del lavoro; la famiglia, minacciata nei suoi valori umani e cristiani; l'uomo delle città e delle zone rurali, frequentemente dimenticato da tutti; i disoccupati e gli emarginati, coloro che sono vittime delle circostanze, ma anche dell'incuria degli altri; i poveri e i piccoli, destinatari privilegiati del Vangelo e dell'amore di Gesù. Le vostre comunità ecclesiali devono essere accreditate da questo stile di vita che denota la vocazione al vivere evangelicamente. Per ottenere tutto questo abbiamo bisogno di vocazioni decise. A questo fine occorre intensificare l'affetto di tutti nei confronti delle vocazioni di speciale consacrazione, e particolarmente per quelle sacerdotali, cosa che suppone un'efficace pastorale vocazionale. In questo modo, la crescita in numero e in santità degli "operai della messe" vi permetterà di guardare al futuro con speranza e maggior ambizione apostolica, mossi anche dalla preoccupazione missionaria di aiutare le altre Chiese, cosa che ha caratterizzato per secoli la Chiesa spagnola. So che il vostro compito di pastori è arduo ed esigente, ma contate sulla forza dello Spirito che assiste la sua Chiesa, soprattutto nelle difficoltà.

Difendete l'autentica dottrina contro i silenzi sospettosi, le ambiguità ingannevoli, le riduzioni mutilatrici, le riletture soggettive, le devozioni che minacciano l'integrità e la purezza della fede. Facendo ritorno alle vostre Chiese particolari, portate a tutti il saluto cordiale e l'affetto del Papa; in special modo ai vostri sacerdoti. Siate per loro padri e confidenti; confortateli e appoggiateli nei loro doveri pastorali e nella vita privata. Di fronte alla vicinanza del vescovo, il sacerdote si sente animato a vivere con gioia e dedizione la propria vocazione di seguace di Cristo, e di incondizionato amore per la Chiesa. All'intercessione della santissima Vergine, tanto venerata nelle vostre comunità, affido le vostre intenzioni e desideri pastorali. Che lo Spirito Santo sia la vostra pace e la vostra forza. Con affetto vi impartisco la mia benedizione apostolica, da estendere a tutti coloro che collaborano con voi nel ministero episcopale: sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli.

Data: 1986-10-17 Venerdi 17 Ottobre 1986




Saluto alla cittadinanza in piazza Mino - Fiesole (Firenze)

L'avvenire dell'umanità dipende dall'amore


Signor sindaco, onorevoli e illustri signori, carissimi fratelli e sorelle!


1. E' con grande gioia e con intenso affetto che saluto la città di Fiesole e, con essa, tutta la Chiesa fiesolana e l'intera comunità civile, la quale vive entro i confini del vasto territorio diocesano. Ringrazio il signor sindaco per le parole a me rivolte e le autorità per la loro presenza. A tutti va il mio pensiero riconoscente all'inizio di questa visita pastorale, che mi permette di ritornare in questa illustre città, nota nel mondo per le sue bellezze naturali e per i suoi monumenti storici e artistici, e per essere stata il luogo, dove fra Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico, inizio la sua vita di religioso domenicano. In pari tempo desidero esprimere il mio cordiale saluto a mons. Luciano Giovannetti, pastore e maestro nella fede della Chiesa che è in Fiesole. Nell'odierno pellegrinaggio sono giunto fra voi, innanzitutto, per testimoniare il Vangelo di Cristo Signore e per confermare i credenti, esortandoli a continuare e a rafforzare il loro impegno cristiano nella società. In secondo luogo, sono venuto per incontrare, con sentimento di profonda stima, ogni uomo e sviluppare così quel rispettoso dialogo che può favorire la comune esigenza di "un rapporto onesto nei riguardi della verità, come condizione di autentica libertà" (RH 12). E' il dialogo, che si offre a tutti per una fruttuosa collaborazione a quel progresso sociale fondato sulla giustizia e sui principi etici prioritari, per i quali la persona non solo ha di più, ma può "essere di più" (GS 36).


2. Mentre mi accogliete in questa piazza, vorrei che avvertiste il mio profondo affetto pastorale nei vostri confronti. Sono a conoscenza delle gravi prove a cui furono soggette le popolazioni del territorio fiesolano durante l'ultima guerra: lutti, dolori, distruzioni; fucilazione di sacerdoti, di gente semplice e di servitori dell'ordine pubblico come i noti tre carabinieri di Fiesole. Tuttavia non fu piegato l'animo fiero e laborioso di una gente che sollecitamente opero per la ricostruzione di un'ordinata convivenza. Sono informato, altresi, che a tale positiva realtà di consolante sviluppo delle vostre contrade, si sono pero aggiunte pian piano alcune preoccupazioni, derivanti da varie cause di ordine materiale e morale. E' di fronte a queste situazioni difficili e soprattutto di fronte alle forme di doloroso disagio, che si esprime la profonda partecipazione della Chiesa per contribuire al loro superamento. Con questi sentimenti mi rivolgo ai sindaci dei Comuni del territorio circostante, per sottolineare il significato della loro funzione e l'importanza delle amministrazioni locali nel quadro dell'ordinamento politico e civile. E mi rivolgo a voi tutti, cari fratelli e sorelle, per esortarvi a dimostrare una seria corresponsabilità nella vita associata, tenendo sempre presente le esigenze del bene comune. Al riguardo, occorre formare le coscienze al senso del dovere, della giustizia e della solidarietà. Proprio in forza della spinta interiore di una retta coscienza ognuno "interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta le istituzioni pubbliche e private, che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini" (GS 30). Auspico pertanto che tutti contribuiscano efficacemente, per quanto loro compete, alla promozione di quei beni che sviluppano una completa qualità di vita, perché inerenti a tutte le dimensioni dell'uomo: quelle economiche e quelle sociali, quelle culturali e spirituali.


3. Naturalmente l'impegno per il bene delle singole comunità non può né deve impedire l'attenzione e la sensibilità verso i grandi problemi mondiali, i quali postulano l'interesse e lo sforzo di tutti alla loro soluzione. Il signor sindaco ha toccato, ad esempio, il fondamentale problema della pace. Molte volte il magistero della Chiesa è intervenuto su di essa, perché riveste un'importanza primaria, in quanto la pace è un bene in se stesso, dappertutto e sempre: un'eventuale guerra su scala mondiale avrebbe esiti devastanti, per l'intera umanità. Ecco, dunque, che s'impone la necessità di un'instancabile azione, che con l'apporto di tutti valga a creare e mantenere rapporti stabili e di fiducia fra le varie Nazioni. E' necessario operare per una cultura di pace, che si costruisce soprattutto nel rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo e nella sempre lucida consapevolezza della sua inalienabile dignità. E' necessario acquisire la certezza che l'avvenire pacifico dell'umanità dipende dall'amore (cfr. Allocuzione all'Unesco, 2 giugno 1980), che insieme con la giustizia plasma e armonizza i rapporti personali e sociali. Auspico che ognuno, con cuore aperto, voglia dare il suo contributo per edificare questa "civiltà dell'amore", che a misura della sua genuinità si rivela come "civiltà cristiana".


4. Con tale augurio torno a salutare e ringraziare tutti i presenti. Ripetendo le parole dell'apostolo Paolo, invito ogni fedele della Chiesa e ogni persona religiosa a innalzare preghiere "per tutti gli uomini... perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità" (1Tm 2,1-2) mentre esorto ciascuno e ciascuna di voi, con rispetto e con fraterna insistenza, a guardare - per l'esistenza temporale e per quella eterna - a Gesù, il redentore dell'uomo. E' lui, lui solo, Figlio di Dio e nostro fratello, che la Chiesa annuncia, vuol far conoscere e vuole "incarnare" nel mondo d'oggi, nonostante la fragilità dei suoi figli. E come Pietro, anch'io ripeto a testimonianza e conferma della fede e della carità che "in nessun altro c'è salvezza; non c'è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (Ac 4,12). Dio benedica le vostre persone, le vostre famiglie, le vostre comunità; e nella sua bontà conceda a tutti serenità e pace.

Data: 1986-10-18 Sabato 18 Ottobre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Ai Padri Capitolari scalabriniani