GPII 1986 Insegnamenti - Agli Atenei Pontifici - Città del Vaticano (Roma)

Agli Atenei Pontifici - Città del Vaticano (Roma)

In occasione del nuovo anno accademico



1. "Voi non siete più stranieri né ospiti ma siete, concittadini dei santi e familiari di Dio. Siete edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo" (Ep 2,19-20).

Con queste parole della Lettera agli Efesini, l'odierna liturgia saluta voi tutti qui presenti: autorità accademiche, professori, studenti e personale ausiliario dei Pontifici Atenei Romani all'inizio del nuovo anno accademico. Con queste parole vi saluto come Vescovo di Roma, al quale, in unione con l'intero Collegio dei vescovi della Chiesa, è affidato in modo del tutto particolare il compito di edificare "sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti". E, in questo modo, edificare sopra il Cristo, che è pietra angolare.


2. Vi saluto e gioisco per la vostra presenza. Siete qui a Roma per partecipare anche voi all'edificazione comunitaria della Chiesa. Ecco che cosa dice l'Apostolo: "In lui (Cristo) ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi, insieme con gli altri, "Venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito" (Ep 2,21-22). Il vostro modo di "venir edificati", secondo l'espressione di Paolo, sono i vostri studi. Il brano della Lettera agli Efesini, che la liturgia propone alla nostra attenzione, tratta del meraviglioso piano universale di salvezza voluto dal Padre e della chiamata dei pagani a divenire concittadini dei santi, familiari di Dio.

Essi non sono più stranieri o ospiti, ma membri, come gli altri, della famiglia di Dio. Servendosi dell'immagine del tempio, il quale è la dimora di Dio, viene sottolineato che la Chiesa ha le sue solide fondamenta: gli apostoli e i profeti costituiscono i primi testimoni della rivelazione cristiana: è sulla predicazione della loro fede che si innalza l'edificio della Chiesa. La pietra angolare che regge l'edificio è Cristo. Da lui la Chiesa riceve la sua solidità e attinge la sua santità per mezzo dello Spirito. L'Apostolo, facendo un'applicazione concreta, rileva che ogni cristiano collabora all'edificazione della Chiesa. La Chiesa inoltre viene presentata come proiettata in una continua tensione di crescita nella santità: crescita che è un processo costante. Essere inseriti, quindi, nella Chiesa significa essere inseriti in una costruzione che cresce continuamente con la partecipazione di tutti.


3. Questa sera, nel prendere coscienza - alla luce della parola di Dio - della nostra appartenenza a questo tempio che è la Chiesa, siamo chiamati a considerare brevemente in che modo, in che senso i vostri studi compiuti nei Pontifici Atenei Romani debbano collaborare a questa costruzione, a questa crescita. Mi pare che la prima considerazione che si potrebbe fare al riguardo, concerne la caratteristica propria delle facoltà e università ecclesiastiche: esse devono possedere un livello accademico-scientifico veramente qualificato. Si tratta di un'esigenza indispensabile da salvaguardare con la collaborazione di tutti. Esse - come affermato nella costituzione apostolica "Sapientia Christiana" (n. 2) - hanno varie finalità: ma ciò che caratterizza nel fondo gli studi di una facoltà e università ecclesiastica è la loro finalità ecclesiale. E' in questo orizzonte ecclesiale che tutte le discipline insegnate, pur con contenuti e metodi propri, ricevono una prospettiva specifica, quella missionaria: far crescere la Chiesa.


4. La seconda considerazione concerne la verità sottolineata nel brano proclamato della Lettera agli Efesini, che cioè l'edificazione della Chiesa con la collaborazione di tutti è anzitutto opera dello Spirito. E' lo Spirito che anima, vivifica la Chiesa. Al riguardo sono significative le parole del Concilio Vaticano II, nella costituzione dogmatica "Lumen Gentium" (LG 4): "Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio", e in essi prega e rende testimonianza della loro adesione filiale. Egli guida la Chiesa per tutta intera la verità, la unifica nella comunione e nel ministero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti. Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione con lo Sposo. Poiché lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù "Vieni"". In quest'anno in cui ricorre il XVI centenario della conversione di sant'Agostino mi piace ricordare quanto egli afferma della relazione tra Spirito Santo e Chiesa: "ciò che è l'anima per il corpo, questo stesso è lo Spirito Santo per il corpo di Cristo che è la Chiesa" ("Sermo 267", 4: PL 38, 1231).

In questa grandiosa visione della Chiesa, in cui l'attore principale per l'edificazione è lo Spirito Santo, si comprende come la finalità ecclesiale degli studi non possa realizzarsi soltanto mediante l'esercizio della mente, l'apprendimento, ma richiede anche un lavorio interiore nel quale, rispondendo all'azione dello Spirito, si opera per la propria santificazione. La crescita della Chiesa comporta in tutti i suoi membri una tensione verso la santità.


5. Il brano della Lettera agli Efesini illumina anche il rapporto necessario con gli apostoli per l'edificazione della Chiesa, i quali vengono considerati fondamento dell'edificio, la cui pietra angolare è Cristo. Ciò fa comprendere come in seno a una facoltà e università ecclesiastica l'insegnamento di coloro che sono i successori degli apostoli, il Papa e i vescovi, è indispensabile per l'autentica costruzione della Chiesa. Ciò aiuta a vedere come i Pontifici Atenei Romani debbano essere luogo e tempo di esperienza ecclesiale, vale a dire luogo e tempo in cui gli studenti sono formati a comprendere, assimilare e vivere il mistero della Chiesa, della Chiesa che essi dovranno edificare là dove saranno inviati.


6. Voi infatti, carissimi studenti, vi formate qui per diventare missionari nel mondo di oggi, cioè chiamati ad andare nel mondo per edificarvi, per farvi crescere la Chiesa. E' noto che il mondo culturale, nel quale dovrete operare, presenta problemi complessi e difficili, sfide nuove, davanti alle quali si rimane alle volte disorientati. Si tratta invero di un mondo caratterizzato da rapidi cambiamenti culturali, economici, sociali, non privi di antinomie; un mondo in cui si diffondono l'ateismo ideologico e pratico, l'indifferenza religiosa; in cui sorge una cultura che, mentre mette al centro l'uomo rendendolo sempre più padrone della vita e dell'universo, presenta crescenti minacce, le quali rendono insicuri, infelici, facendo perdere il senso della stessa vita. Vi troverete davanti un progresso scientifico e tecnologico di sconvolgente entità ma che non raramente si presenta ambiguo; aumentano le conquiste in ogni settore, ma sembra perdersi la dignità dell'uomo. Siete poi chiamati a edificare la Chiesa in una situazione culturale, nella quale da una parte si proclama con grande enfasi la giustizia sociale, mentre dall'altra si assiste alla tragica presenza di milioni di uomini che muoiono di fame.


7. Dobbiamo dire anche, tuttavia, che vi attende un mondo in cui emerge sempre più - anche se talvolta non in modo palese - la domanda di valori spirituali ed etici, una "nuova fame e sete per la trascendenza e il divino"; un mondo nel quale si guarda alla Chiesa come punto di riferimento per la promozione di una società migliore. Dovete prepararvi a questa missione con una formazione solida, organica, completa, la quale non dovrà certamente chiudersi ai problemi odierni. Ma siete chiamati a tale preparazione nella piena consapevolezza che la Chiesa di Cristo da costruire è un mistero. Pertanto si deve far leva anzitutto sull'azione continua, sicura dello Spirito, sulla potenza della parola divina, sulla sua forza trasformatrice e vivificatrice. A nessuno può né deve sfuggire l'odierna urgenza di una Chiesa coraggiosa, che va incontro all'uomo per presentare con entusiasmo Cristo salvatore dell'uomo, risposta ai suoi interrogativi più profondi.


8. In questo contesto si illumina il compito dei docenti delle università e facoltà ecclesiastiche. Nella costruzione della Chiesa essi hanno un ruolo di particolare importanza, perché sono i formatori di coloro che domani avranno posti qualificati in questa costruzione stessa. Permettetemi, carissimi docenti dei Pontifici Atenei Romani, di dirvi che la Chiesa guarda a voi con fiducia e speranza, chiedendovi sincera collaborazione. So per esperienza quanto sia difficile e delicata la vostra vocazione. Essa alle volte si può presentare arida e faticosa. Siate pero sicuri che voi collaborate all'edificazione della Chiesa in un modo assai significativo e incisivo. Questa convinzione e l'entusiasmo per viverla nel quotidiano vi verrà anzitutto dall'unione personale con Cristo. Se qualsiasi tipo di insegnamento richiede una certa sapienza, si può affermare che per voi, docenti delle facoltà e università ecclesiastiche, si esige una sapienza che viene dall'alto, una sapienza che si acquista mediante l'adorazione, la contemplazione, l'incessante invocazione dello Spirito Santo. Sarà questa sapienza che trasformerà giorno per giorno il vostro compito in viva testimonianza. I giovani non soltanto vi ascoltano, ma vi guardano, anzi si potrebbe dire che mentre vi ascoltano, vi scrutano per percepire se voi viviate le verità - i misteri divini - che voi loro illustrate.


9. Infine mi sia consentito fare riferimento al tema della formazione spirituale-ascetica da garantire a tutti gli studenti delle università e facoltà ecclesiastiche. Essa, infatti, si presenta indispensabile per raggiungere la finalità ecclesiale degli studi, della quale abbiamo parlato. Vi confido che il tema mi sta tanto a cuore. Esso è stato sottolineato dal Sinodo straordinario dei vescovi (II, A. 5). In questa circostanza vorrei pregare tutti i responsabili perché ad esso sia data in futuro una maggiore importanza. La "familiarità" con Dio - della quale parla il brano della Lettera agli Efesini - richiede anche quella formazione spirituale appropriata, che aiuti a concretizzare per ogni vocazione una sempre più gioiosa e coraggiosa tensione verso la santità. Ciò coinvolge non soltanto i collegi, i convitti, i seminari del clero secolare e regolare, le case religiose per le suore, ma anche i Pontifici Atenei Romani. Mentre ringrazio tutti per quello che viene compiuto, desidero esortare a promuovere maggiormente detta formazione. Anche ai laici che frequentano i Pontifici Atenei Romani deve essere assicurata una sempre più solida formazione spirituale-ascetica, mediante appropriate iniziative, come per esempio periodiche conferenze. 10. Cari studenti! Guardando voi, vedo la giovinezza della Chiesa, sento la presenza dello Spirito che opera in essa in maniera misteriosa. La Chiesa conta su di voi, ha bisogno di voi. Le Chiese locali, dalle quali provenite, vi aspettano con una formazione solida, protesa alla costruzione della Chiesa di oggi e di domani. E a voi tutti, cari amici, professori e studenti, vorrei ricordare le parole del Vangelo di Luca: "Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che aspettano il padrone..." (Lc 12,35-36). Il Padrone infatti viene. Viene sempre! Viene quando pregate. Viene nel vostro lavoro di ricerca, quando insegnate, quando ascoltate le lezioni. Viene quando studiate! Viene il Signore mediante lo Spirito di Verità e di Amore che ci ha promesso.

Viene mediante la fatica per raggiungere la Verità. E mediante la fatica per raggiungere la santità. Viene... All'inizio del nuovo anno accademico vi auguro un nuovo passo avanti nel vostro cammino verso il Signore che viene: lo auguro a tutti voi, che insieme con me iniziate questo nuovo anno. In nomine Domini! Amen.

Data: 1986-10-24 Venerdi 24 Ottobre 1986




A vescovi spagnoli in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Educare le persone alla vera pace


Carissimi fratelli nell'episcopato.


1. "La mia anima desidera rallegrarsi con voi nella parola di Dio e mantenervi in lui, perché è la nostra gioia e la nostra salvezza... Rallegratevi con me in lui, nella sua parola, nella carità; nella verità". Siano queste parole, prese da sant'Agostino ("Enarrationes in Ps. 41", 1), espressione dei miei sentimenti di affetto e gioiosa comunione verso di voi, pastori della Chiesa delle province ecclesiastiche di Burgos, Pamplona e Zaragoza. La mia soddisfazione è doppia in questo caso, visto che saluto in voi e nelle vostre rispettive diocesi terre in parte conosciute, persone amiche, da quando un viaggio pastorale, ancora recente, mi condusse al cuore della vostra fede e delle vostre tradizioni. Ricordero sempre con sommo piacere quelle intense giornate: oggi in particolare, l'Eucaristia celebrata a Loyola e l'atto missionale nel Castello di Javier: due luoghi o, se preferite, due simboli di singolare rilevanza ecclesiale legati, al pari di Caleruega, Silos e La Calzada, a figure eccelse di santi, il cui amore filiale verso la Chiesa li porto a offrire le loro vite senza nessun altro fine che la diffusione del Vangelo e la salvezza delle anime. E cosa dire delle mie due visite in poco tempo a Zaragoza, dove ho potuto ammirare la profonda ispirazione mariana che, da quel Pilar benedetto, continua ad alimentare la fede del popolo spagnolo? A queste esperienze dirette, devo aggiungere un singolare apprezzamento per tutte le vostre genti: Castilla, Aragon, La Rioja, Vascongadas e Navarra sono terre feconde e piene di vitalità per la storia e la religiosità del vostro Paese e della Chiesa universale, le quali saluto con rispetto e affetto nei loro pastori.


2. In questi giorni, attraverso i colloqui personali avuti con ognuno di voi - e più estesamente in vista delle vostre relazioni quinquennali - ho potuto constatare che effettivamente vigilate in ogni momento per il bene delle vostre comunità ecclesiali, coscienti di "aver ricevuto uno Spirito che non dorme" (Ignazio di Antiochia, "Ad Polycarpum", 1,3). Della vostra presenza edificante danno testimonianza eloquente il dialogo fraterno e costante con il presbiterio diocesano, le visite alle parrocchie, lo stimolo dato ai ministeri e alle associazioni di apostolato. E come nucleo che amalgama tutto questo arduo compito, so anche che non lesinate energie nel promuovere una vasta evangelizzazione centrata sulla vita sacramentale e orientata ad alimentare "la fede che si rende operante nella carità". Allo stesso tempo in cui avete mostrato questo ampio spiegamento del vostro ufficio pastorale, avete manifestato anche intime inquietudini, difficoltà o ostacoli, ombre più o meno diffuse che vi danno serie preoccupazioni, quando non feriscono la vostra coscienza e responsabilità di pastori del popolo di Dio. Vi ringrazio per la vostra sincerità e mi rendo solidale al vostro deciso proposito di proseguire senza scoraggiarvi nella vostra estesa opera. Da parte mia oggi voglio, nell'imperioso dovere di "confermare i fratelli", offrirvi alcune riflessioni che mi hanno suggerito i dialoghi di questi giorni e che mi detta la mia preoccupazione per tutte le Chiese come successore di Pietro.

Nel mio viaggio pastorale in Spagna, nell'autunno 1982, volli porre in rilievo quell'eredità cattolica che deve essere a sua volta saldo punto di appoggio per affrontare il presente e aprirsi al futuro: "Amando il vostro passato e purificandolo, sarete fedeli a voi stessi e capaci di aprirvi con originalità al futuro". Certamente dobbiamo assumere con prontezza d'animo, attento e tranquillo; il ritmo accelerato dell'attività umana, che ha originato nuove forme e livelli di vita, così come nuove difficoltà che mettono alla prova anche la capacità di rinnovare la religiosità. Ma rinnovamento si deve intendere come rivitalizzazione: le vecchie radici, ben coltivate con lo sforzo pastorale, sono capaci di dare oggi un raccolto splendido come quello che diedero in un passato glorioso.


3. Innanzitutto un raccolto di fede, virtù senza la quale "è impossibile essere graditi a Dio" (He 11,6). Una fede vigorosa, che accolga e proclami la sacra dimora della parola di Dio, alla Chiesa, cosicché pastori e fedeli, in piena concordia conservino, pratichino e professino la fede ricevuta (DV 10).

E' certo che i vostri paesi, nella loro immensa maggioranza, professano la fede cattolica, che le famiglie professano il desiderio che i loro figli siano educati in essa e che in qualunque luogo si conservano ancora con affetto tradizioni varie nelle quali si esprime la religiosità popolare. Tuttavia alcuni fenomeni di vasta espansione, come la crescente secolarizzazione dell'ambiente, un secolarismo anticristiano che trova puntuale eco in alcuni mezzi di comunicazione sociale, insieme ad un certo pluralismo che in non pochi casi offusca l'identità cristiana, vanno aprendo il passo a una situazione preoccupante, nella quale aumenta il numero di quelli che danno per persa o superata la fede o la separano dell'esperienza quotidiana. Orbene, come afferma il Concilio Vaticano II, "il divorzio tra la fede e la vita di tutti i giorni presente in molti, deve essere considerato come uno dei più gravi errori del nostro tempo" (GS 43). Errore che si manifesta non solo nel decadimento delle pratiche religiose, ma anche nella deformazione delle coscienze, nel giudicare come conquista della modernità postulati propri di un edonismo materialista o attitudini che sono semplicemente violazione della legge di Dio. Questa sconcertante e torbida situazione si aggraverebbe ancora di più se non ci si rende conto che, per riparare a tali falsità e abusi, urge un'intensa attività pastorale di promozione della fede mediante la catechesi nelle sue diverse forme; una catechesi ferma e paziente, dissipatrice di dubbi, che per il suo contenuto, nei suoi rispettivi livelli sia capace di procurare a tutti i fedeli la ragione della loro speranza e instauri un gioioso orientamento alla pratica del bene. Per portare a compimento questo compito fondamentale - che è uno dei principali doveri del vescovo, come predicatore della fede e maestro autentico della stessa - oltre all'aiuto fedele e costante di "provvidi cooperatori", cioè presbiteri, dovete insistentemente promuovere la collaborazione di laici ben preparati, per la cui adeguata formazione avete diritto di sperare nel valido contributo delle università della Chiesa e, specialmente, delle Facoltà di Sacra Teologia delle vostre province ecclesiastiche.


4. La promozione di un laicato responsabile dei suoi obblighi ecclesiali non deve sminuire la vostra preoccupazione particolarissima per l'accurata formazione dei seminaristi. Grazie a Dio sembra "essersi esaurita" la crisi di vocazioni, strettamente vincolata alla "crisi dell'identità sacerdotale"; tuttavia manca ancora molto per giungere a un recupero soddisfacente. Ciò si conseguirà solo quando il modello sacerdotale si conformi pienamente a quello disegnato dal magistero della Chiesa, e si applicheranno fedelmente nei seminari le norme stabilite della Santa Sede. Fate in modo che a tutti i costi i formatori e i professori dei vostri seminari maggiori e minori, siano fedeli a tali norme in modo esemplare, affinché la ricchezza dottrinale, lo spirito di servizio ecclesiale e lo zelo per la salvezza degli altri preparino gradualmente i seminaristi, affinché un giorno possiate imporgli le mani gioiosamente e giungano ad essere "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1).

I nostri tempi richiedono sacerdoti disposti al sacrificio, formati nello spirito di preghiera e di impegno, con una seria preparazione nelle scienze ecclesiastiche, abituati all'obbedienza, entusiasmati da un ideale di servizio verso Cristo e la Chiesa nell'esercizio del mistero. Essi saranno la migliore propaganda per molti giovani generosi, che desiderano vedere modelli convincenti.


5. Sacerdoti così saranno guide e motori dell'evangelizzazione sotto il suo duplice aspetto di predicazione della parola di Dio e sacramentalizzazione. Per ciò che si riferisce a quest'ultima, è certo che il rinnovamento liturgico ha dato già frutti lodevoli nelle vostre diocesi e che la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche è effettiva. Tuttavia sarebbe spiacevole incorrere in nuovi formalismi. La profondità della vita liturgica si deve cercare, soprattutto, nell'assiduità e nella preparazione personale per ricevere o celebrare i sacramenti. perciò voglio richiamare l'attenzione, come ho già fatto nell'esortazione apostolica "Reconciliatio et Paenitentia" (RP 31), sulla minore frequenza che i fedeli hanno di ricorrere al sacramento del perdono. così dunque vi esorto ancora una volta - voi e i vostri sacerdoti - perché diate occasioni ai fedeli affinché individualmente possano avvicinarsi a questo sacramento e mettiate in azione tutti i vostri mezzi possibili e convenienti per attuare ciò. Uno di questi mezzi consisterà nell'evitare gli abusi delle assoluzioni generali. "Le norme e le disposizioni su questo punto (CIC 961-963), frutto di una matura ed equilibrata considerazione, devono essere accolte e applicate, evitando qualsiasi tipo di interpretazione arbitraria"; al contrario non potrete sentirvi esenti da responsabilità, contribuendo con il silenzio alla deformazione delle coscienze dei fedeli e che si sottovaluti il valore del sacramento. Tali abusi, dove si verifichino certamente si devono correggere al più presto.


6. Senza perdere di vista le basi di una vita cristiana autentica, è opportuno stimolare senza scoraggiamenti i movimenti apostolici, che acquistano la loro forza dalla fede e dalla vita sacramentale. Non stancatevi di ribadire che "l'apostolato dei laici nasce dalla stessa essenza della sua vocazione cristiana"; che i laici, individualmente o legittimamente associati, devono lavorare per attrarre verso la Chiesa quanti sono lontani, devono aiutare con la catechesi, adottare atteggiamenti efficaci di disponibilità per i molti impegni parrocchiali e diocesani; soprattutto devono dare testimonianze di vita familiare cristiana e difendere i valori di questa cellula primordiale della società contro gli attacchi di chi vuole minarla. Sforzatevi anche di ottenere che i giovani cattolici esercitino un apostolato personale come contrasto alla corrosione dei loro ideali, che li inducono a ideologie anticristiane, così come per superare lo scoraggiamento generato dall'ostacolo e le sue spiacevoli conseguenze.

Tra le diverse esigenze della vocazione cristiana, non trascurate di stimolare tra i laici quella che a loro è più propria: "instaurare l'ordine temporale e attuare direttamente e in forma concreta in quell'ordine, guidato dalla luce del Vangelo e dalla mente della Chiesa e mossi dalla carità cristiana" (AA 7).


7. Tutto ciò richiede non solo quella profonda rivitalizzazione promossa dal Concilio e promulgata nell'ultimo Sinodo straordinario dei vescovi, ma anche una migliore funzionalità delle strutture ecclesiastiche, come ha profilato il nuovo Codice del diritto canonico. Non basta quindi crearle in ciascuna diocesi. Non è neanche conveniente che proliferino più del necessario. Ciò che interessa è che servano efficacemente agli obiettivi pastorali pretesi, in modo che le maggiori energie non rimangano assorbite dalla costante pianificazione o dalle organizzazioni teoriche, ma che ripongano in queste strutture lo spirito e l'agilità convenienti, per non cadere neanche qui nella tentazione di formalismi; cioè, delle apparenze senza sufficiente contenuto realmente apostolico.


8. Infine con profondo dolore devo riferirmi, e lamentare ancora una volta, che in alcune delle vostre diocesi persiste l'inqualificabile piaga del terrorismo. Sarà necessario ribadire che nessuna sana motivazione umana, nessuna retta ideologia può giustificarlo o discolparlo? Cessi, dunque l'odio, generatore di morte e distruzione! E che naturalmente questa attività belligerante non trovi il più piccolo sostegno di persone che si dicono cattoliche o animate di buona volontà.

Apprendo che nella vostra attività pastorale non avete trascurato i continui richiami di pace. La mia esortazione ora si dirige, soprattutto, a raccomandarvi la persistenza paziente e attiva nella promozione della pace. Voi stessi in un testo molto recente emanato dalla Conferenza episcopale spagnola, avete espresso la necessità di essere "costruttori di pace". A questo compito svolto con incitamento senza limiti vorrei richiamarvi e animarvi di nuovo. Si tratta non solo di condannare la violenza, ma soprattutto di lavorare per renderla ogni volta meno possibile, alimentando nella gente lo spirito della pace. E' questo un lavoro che a volte è di scarso risultato a distanza di poco tempo. Tuttavia è l'unico che offre garanzie di pace efficaci. La lotta tra la violenza e la pace, tra l'intolleranza e la ragione, tra l'estremismo e la moderazione, tra la forza e il diritto si libera sopra ogni cosa nell'intimo delle coscienze. E' a queste che si deve giungere e bisogna modellarle con un'educazione pertinente. In qualsiasi caso è un lavoro lungo e delicato al quale noi che viviamo nell'ispirazione del Vangelo non possiamo rinunciare. Annunciare la pace è qualcosa che appartiene al Vangelo. E' in un certo senso il nucleo del messaggio. Gli angeli annunciano la "buona novella" in termini di pace. Quanto farete, quindi, affinché la pace sia realizzabile nelle vostre terre, affinché tra la vostra gente si sostituisca la violenza con il dialogo, perché l'odio che genera il terrore si trasformi in volontà di convivenza, sarà già opera e annuncio del Vangelo.


9. Che lo Spirito Santo, "Signore e datore di vita", garanzia della verità rivelata da Cristo e motore dell'autentico rinnovamento ecclesiale, infonda, per mezzo della santissima Vergine e per intercessione dei santi e delle sante delle vostre terre, la forza necessaria e l'entusiasmo apostolico.

Data: 1986-10-24 Venerdi 24 Ottobre 1986




Ad una Conferenza sui farmaci - Città del Vaticano (Roma)

Un codice morale molto rigoroso nell'uso delle medicine


Monsignore, signore, signori.


1. Saluto con gioia voi tutti partecipanti a questa conferenza internazionale che testimonia una volta di più l'importanza che la Chiesa accorda al servizio dei malati, di coloro che soffrono, e a tutti coloro che operano nel vasto campo delicato e complesso della sanità e dell'igiene. E' un aspetto dell'apostolato che fa parte integrante della missione della Chiesa. Questa Conferenza è rappresentativa dell'attività della Commissione Pontificia per la pastorale degli operatori sanitari, e sono felice di cogliere quest'occasione per congratularmi e ringraziare il suo presidente, il card.

Eduardo Pironio, il suo pro-presidente mons. Fiorenzo Angelini e i loro collaboratori. In un mondo in cui la concezione stessa dei servizi socio-sanitari si evolve considerevolmente, e nel quale ci si accorge che essi hanno dei coinvolgimenti sempre più complessi, è stato indispensabile coordinare e promuovere la presenza della Chiesa. Questa Conferenza ne è la prova, come anche le altre iniziative che sono state prese e sono in via di realizzazione tra le quali voglio menzionare il vasto censimento di tutte le strutture sanitarie della Chiesa; così prendiamo meglio coscienza dell'estensione e delle ramificazioni capillari di questa presenza e di questo servizio in favore della persona umana sottomessa alla prova particolare della malattia psicofisica.


2. La scelta del tema centrale di questa Conferenza mi sembra anch'esso molto appropriato. Le medicine sono infatti il mezzo con il quale il medico può non solo curare ma anche prevenire alcune malattie. Un gran numero di quelle che in passato decimavano le popolazioni, sono oggi in gran parte scomparse. Altre possono essere curate molto più efficacemente. I bambini sono più raramente colpiti dalle terribili deformazioni della poliomielite e del rachitismo. La chirurgia, grazie a un apporto farmacologico sempre più adatto, ha potuto conoscere progressi straordinari. La durata media della vita è notevolmente aumentata. Tutto ciò lo dobbiamo soprattutto ai sieri e ai vaccini e a molte altre medicine, oggi a nostra disposizione. Almeno ciò vale per i paesi sviluppati.


3. Tuttavia se è vero che le medicine hanno portato immensi benefici all'umanità, esse hanno pero sollevato gravi problemi, in parte non risolti, a proposito della loro elaborazione, della loro diffusione, del loro uso e della loro accessibilità a tutti gli ammalati qualunque sia l'ambiente sociale o il paese al quale essi appartengono. La messa a punto della fabbricazione delle medicine è sempre più complessa e costosa e ciò ha delle conseguenze economiche e sociali evidenti. Le medicine possono stimolare o al contrario reprimere le funzioni dei diversi organi o tessuti, o ancora l'attività mentale. Queste caratteristiche le rendono utili per accrescere la resistenza alle malattie o per frenare lo sviluppo di altre. E' vero che talvolta ci si può interrogare sull'opportunità per l'equilibrio dell'organismo umano, di una sovraconsumazione di questi prodotti artificiali, in alcuni paesi e secondo la tendenza di alcuni medici. Ma soprattutto le medicine possono anche essere impiegate con uno scopo non più terapeutico ma per alterare le leggi della natura nella distruzione della dignità della persona umana. E' quindi chiaro che l'elaborazione, la distruzione e l'uso delle medicine devono essere sottomesse a un codice morale particolarmente rigoroso. Rispettare questo codice è il solo mezzo per evitare che le esigenze legate alla produzione e al costo delle medicine, in sé legittime e importanti per la diffusione, non le distolgano dal loro senso e dal loro fine.


4. Nel corso del vostro Congresso rivolgete la vostra attenzione al problema della sperimentazione delle medicine. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, non è possibile prevedere con sufficiente precisione le proprietà e le caratteristiche delle nuove medicine. Prima di essere utilizzate come terapia, esse devono essere provate su animali da laboratorio. Rivolgendomi ai partecipanti della Settimana di studi sulla sperimentazione biologica, che si è svolta nel 1982 presso la Pontificia Accademia delle scienze, avevo già sottolineato che questa sperimentazione è delicata e che deve effettuarsi nel rispetto dell'animale, senza infliggergli inutili sofferenze. In un secondo stadio, prima di poter essere utilizzate normalmente è necessario ancora che le medicine siano sottoposte a test sull'uomo o sull'ammalato e talvolta sulla persona in buona salute. La sperimentazione clinica è già sottomessa a delle leggi e a delle norme che regolamentano e vogliono offrire tutte le garanzie possibili. Verrà un giorno in cui grazie al progresso delle conoscenze scientifiche, i rischi e le incognite in materia di sperimentazione dei farmaci saranno notevolmente ridotti, lo si può almeno sperare. Ma, in ogni modo, una grande prudenza si rivela necessaria per non fare mai dell'uomo un oggetto di sperimentazione per evitare a ogni prezzo di mettere in pericolo la sua vita, il suo equilibrio, la sua salute o aggravare il suo male.


5. E' urgente, al tempo stesso, promuovere una reale collaborazione internazionale, non solo sul piano normativo, ma anche con lo scopo di ridurre e di eliminare le differenze che esistono tra un paese e l'altro.

Tra i problemi rimasti ancora oggi senza soluzione, vorrei ricordare quelli che riguardano la situazione di alcuni paesi in via di sviluppo. Anche se l'accesso all'assistenza sanitaria è riconosciuto come un diritto fondamentale dell'uomo, larghe porzioni di umanità sono ancora prive delle cure mediche anche più elementari. E' un problema di una tale ampiezza che gli sforzi individuali, per quanto siano preziosi e insostituibili, appaiono insufficienti. Adesso è necessario cercare di lavorare assolutamente insieme, per coordinare a livello internazionale, la politica d'intervento e quindi le iniziative concrete. Sappiamo quanto l'Organizzazione mondiale della sanità e molte altre associazioni e iniziative siano impegnate a manifestare una solidarietà senza frontiere. I paesi sviluppati hanno il dovere di mettere a disposizione di quelli che lo sono meno, la loro esperienza, la loro tecnologia e una parte delle loro ricchezze economiche. Ma è possibile solo nel rispetto della dignità umana degli altri senza mai volersi imporre. La protezione della salute è strettamente legata ai differenti aspetti della vita: sia che si tratti degli aspetti economici o sociali che di quelli che hanno attinto dall'ambiente o dalla cultura. Essa richiede per lo meno un approccio prudente e responsabile, in una collaborazione aperta e reciproca. Poiché capita frequentemente che le tradizioni locali offrano dei punti d'appoggio preziosi che è bene tenere presenti. I cristiani comprendono che si tratta di un terreno importante di collaborazione fraterna, di servizio umile e rispettoso.


6. In questo contesto non possiamo dimenticare che esistono ancora dei farmaci che per delle ragioni quasi unicamente commerciali non sono seriamente presi in considerazione e non beneficiano delle ricerche e del progresso scientifico. Ora essi sono necessari non solo per il trattamento di alcune malattie, ma anche per quelle che, soprattutto nelle zone tropicali e povere, colpiscono milioni di persone. A questo proposito bisogna in primo luogo discernere gli obiettivi e il loro ordine di priorità, poi vedere come le barriere economiche e politiche che intralciano la ricerca, l'elaborazione e la produzione di queste medicine potrebbero essere superate.


7. A tutti coloro che operano nei servizi della sanità e che devono affrontare questi difficili e complessi problemi vorrei ribadire l'incoraggiamento della Chiesa. E' nostra convinzione che la dottrina della Chiesa porti a questo settore un contributo molto importante. Essa offre dei principi sicuri per orientare verso soluzioni che garantiscono la dignità della persona, sostengano il suo progresso morale e sociale, sviluppino la solidarietà e in questo senso essa porta una luce e una speranza a coloro che hanno dei dubbi, delle domande angoscianti o lo scoraggiamento nei riguardi della penosa situazione degli ammalati e degli infermi. Da un lato la Chiesa condivide con gli ammalati il desiderio di guarigione, di sollievo e la loro speranza di una pienezza di vita. Essa rispetta anche il mistero della loro sofferenza e li invita, soprattutto se hanno una fede, a collocare la loro prova nel progetto di Dio, nel disegno della redenzione, in unione con Cristo Salvatore, che offre un'occasione di elevazione spirituale e di offerta nell'amore, per la salvezza del mondo. E' un mistero di cui possono beneficiare anche coloro che li curano. Ho spesso l'occasione di parlarne agli ammalati. Dall'altro, questo mondo immenso della malattia è nello stesso tempo una sfida offerta alle vostre capacità di medici, di farmacisti, di scienziati, perché sappiate trovare una soluzione scientifica e umana al problema della sanità, in tutti gli aspetti che essa riveste. Visitando recentemente gli ammalati e coloro che si prodigano nel curarli, nella chiesa primaziale di San Giovanni a Lione (5 ottobre 1986), ho incoraggiato in questo senso la ricerca scientifica e mi sono congratulato con quelli che sono i cooperatori di Dio nella difesa della vita dei loro fratelli e sorelle, come il buon samaritano del Vangelo. Si, la Chiesa non solo ha costantemente stimolato, nello spirito dell'insegnamento di Gesù, la creazione di opere di misericordia per gli ammalati, ma essa vuole favorire il progresso tecnico, l'ampliamento delle conoscenze, il loro saggio impiego al servizio dell'uomo. Lungi dal fermarsi alle legittime attese del mondo contemporaneo, il cristianesimo le mette in risalto e contribuisce a dar loro una risposta. Che questa certezza vi accompagni sempre e rinforzi il vostro impegno, qualunque sia il livello della vostra attività nei servizi della sanità! E' Dio che ci ha dato l'intelligenza e il cuore per scoprire meglio e mettere in atto ciò che contiene e sviluppa la vita dell'organismo umano, espressione della persona: che egli vi rinfranchi nella vostra ricerca, nel vostro servizio professionale, e colmi delle sue benedizioni le vostre persone, le vostre famiglie e coloro che vi sono cari.

Data: 1986-10-24 Venerdi 24 Ottobre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Agli Atenei Pontifici - Città del Vaticano (Roma)