GPII 1986 Insegnamenti - Con i giovani per l'Angelus dinanzi alla cattedrale - Perugia

Con i giovani per l'Angelus dinanzi alla cattedrale - Perugia

Vi salverà la lotta contro la logica dell'accaparramento


Carissimi giovani.


1. Visitando questa vostra città, ho avvertito più che la convenienza, la necessità di vedervi e di rivolgervi la mia parola di esortazione e di incoraggiamento, a conforto della vostra speranza cristiana e della vostra fiducia nell'avvenire. Siamo radunati in questa "piazza grande", piazza del "Comune", che è il cuore religioso, civile e artistico della città. Vi si affacciano il Palazzo Comunale e la Cattedrale. Al centro, la famosa fontana maggiore. In essa sbocca il Corso Vannucci che, di sera, si gremisce soprattutto di giovani, i quali invadono anche la gradinata della Cattedrale: è il momento di ritrovo tra amici, tra le mura amiche della vostra storica città. Questa piazza è un simbolo perché esprime l'esigenza di superare la solitudine, di "convenire", di stare e di parlare insieme. Non a caso, a delimitarla è la Chiesa grande, madre della diocesi: Chiesa che vuol dire appunto "convocazione", e il palazzo del Comune: il Comune è il "noi" d'una città. E' - ancora - il ritrovarsi con gli altri alla ricerca del bene di tutti. Incontrarsi con gli altri significa sperimentare la verità dell'uomo, che non è fatto per la solitudine ("non è bene che l'uomo sia solo") e al quale Dio fa il dono dell'altro. Saluto con affetto tutti voi giovani di Perugia e Città della Pieve: saluto i tanti giovani che da ogni paese del mondo qui confluiscono, portando il ricco patrimonio delle loro culture native e attingendo ricchezza dalla cultura di questa antica città di studi, d'arte, di religione. Desidero leggere insieme con voi l'esperienza del ritrovarsi insieme, alla luce della parola di Dio.


2. Ricordate il capitolo due della Genesi. Quella pagina biblica è lo specchio di un mondo giovane, in cui tutto è ancora da scoprire sotto la spinta irresistibile a uscire da sé. Sia che questa spinta si chiami amicizia, sia che maturi come amore coniugale o si dilati in donazione totale di sé al prossimo, essa rivela che la struttura portante dell'uomo è il superarsi, nell'amore, cioè l'estasi, direbbe sant'Agostino. Nessuna meraviglia per il credente: l'uomo è stato fatto a immagine di Dio; e Dio è l'Amore che, a cominciare dalla creazione fino all'effusione dello Spirito Santo sull'umanità di ogni paese, esce, in qualche modo, da se stesso e viene a noi. "Il Signore Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno", afferma la Bibbia. E' il "giardino" dove Dio aveva collocato l'uomo da lui plasmato, affinché vivesse in familiarità con lui e, in lui, entrasse in comunione con i propri simili. E' il "giardino" affidato da Dio all'uomo perché lo "coltivi" e lo "custodisca". In questo disegno divino c'è la risposta all'altra esigenza, da voi fortemente avvertita - di lavorare - un'esigenza alla quale s'accompagna, sempre più grave e vasta, la paura di non riuscire a trovare lavoro. Un domani senza lavoro; "una vera calamità", ho già scritto, cinque anni fa, nella mia lettera "Laborem Exercens". Aggiungevo: "Essa diventa particolarmente dolorosa, quando vengono colpiti soprattutto i giovani, i quali, dopo essersi preparati mediante un'appropriata formazione culturale, tecnica e professionale, non riescono a trovare un posto di lavoro e vedono frustrata la loro sincera volontà di lavorare e la loro disponibilità ad assumere la propria responsabilità per lo sviluppo economico e sociale della comunità". Il problema è indubbiamente difficile, complesso. Esige non solo buona volontà, ma anche competenza e aderenza alla realtà. Ma, prima di ogni tentativo di soluzione con gli indispensabili strumenti della scienza, dell'esperienza, dell'economia e della politica, c'è da stabilire un orizzonte in cui collocare il problema. C'è da trovare un'immagine del mondo e dell'uomo, in particolare, che ispiri e regoli quei tentativi. A questo proposito, le alternative possono essere molto distanti: da una parte un mondo senza senso, casuale, piatto, nel quale l'uomo è considerato come un oggetto, è questa l'interpretazione d'un multiforme immanentismo che si respira largamente attorno a noi; dall'altra un mondo in cui si manifestano la sapienza, la potenza e l'amore di Dio, un universo profondo, buono, bello, in mano all'uomo - immagine di Dio - ricco, anch'esso, di ricchezze insondabili e mai sufficientemente esplorate: di intelligenza, di cuore, di ardimento, di pazienza.

E' la visione biblica del creato: un giardino da "coltivare" e da "custodire" e l'uomo "signore" - non despota - nel giardino. Siete voi, giovani, che dovete rivendicare questa dimensione profonda, sapienziale del mondo e dell'uomo, indurre a rispettarla e a trarne le conseguenze sul piano operativo: culturale, sociale, economico. Anzitutto sperimentandola e rivelandola in voi stessi, mediante l'impiego intelligente e responsabile dei vostri talenti, nella serietà e creatività delle occupazioni che avete per mano.

Ci si accorgerà che c'è tanto lavoro da fare. C'è tanto di buono e di bello nel mondo da conservare, preservare, difendere. Ci sono, nel creato, tante potenzialità da scoprire, da sviluppare: la scienza e la tecnica sono grandi compiti, assegnati all'uomo per perfezionare la creazione. In concreto, e per semplificare, campi come quello dell'istruzione, dell'assistenza e della salute reclamano interessamento e solidarietà. E qui, nella vostra stupenda Umbria, la natura, l'arte, l'ambiente non sono soltanto un dono gioioso di Dio, ma anche una ricchezza da far fruttare.


3. Se queste considerazioni riceveranno quell'attenzione che meritano il futuro sarà meno buio, più degno dell'uomo che Dio ama e vuole vivo, e tante istanze troveranno la desiderata soluzione, tra cui la disoccupazione - soprattutto quella giovanile - che è mortificazione, forzato seppellimento di talenti preziosi, e impoverimento della società. Continuate, dunque, a guardare al futuro, fiduciosi che esso può diventare migliore; anzi preparatevi fin d'ora, coscienziosamente, a migliorarlo.

Di fronte a questo impegno si ha il diritto di aspettarsi che la generazione degli adulti - non sempre generosa con i giovani - nonché le autorità civili e le forze economiche e sociali - ognuno per la sua parte - non vi lasceranno soli nella legittima ricerca di uno spazio per le vostre capacità lavorative. Lo esigono la giustizia e la pace sociale. Ma io sento ancora il bisogno di mettervi in guardia da un'insidia, che si può nascondere in voi giovani. Essa sta nella dimenticanza di quell'albero che Dio ha piantato nel "giardino" e che pone limiti al volere dell'uomo, alla volontà di stabilire, lui, ciò che è bene e ciò che è male. Questa limitazione non significa - come potrebbe suggerire anche oggi il demone sempre attivo di una male intesa autonomia - che Dio voglia sminuire la sua creatura più alta. E' piuttosto il richiamo al suo nativo limite creaturale, alla sua fragilità, per aiutarlo a superare il suo tendenziale egocentrismo. L'orientamento di fondo della vita viene da Dio e consiste in quella spinta ad andare oltre se stessi - verso Dio e verso il prossimo - di cui ho già parlato. Anche quando si tratta di impegnarsi per un futuro di occupazione la più ampia possibile, sarà la limitazione delle proprie ambizioni, l'attenzione all'altro, alla sua dignità e al suo diritto: sarà, in una parola, l'amore a fondare quella possibilità. E' la solidarietà che salverà il futuro dei giovani, il salire in cordata. Vi salverà la lotta coraggiosa e tenace contro l'individualismo e la logica dell'accaparramento. E' la solidarietà che salverà il futuro del mondo e dell'umanità. Questo è il significato dell'albero vietato da Dio agli uomini: non la repressione di alcunché di umanamente valido, ma l'avvio di un corso più umano del convivere.


4. In una città come Perugia - con una presenza così larga e varia di giovani d'ogni dove, specialmente dei Paesi in via di sviluppo - si tocca con mano che i problemi di un futuro di lavoro, di promozione della dignità umana e di pace travalicano i confini delle stesse nazioni e dei continenti. Si toccano con mano - se non ci si chiude in se stessi - anche le difficoltà di accoglienza, di ambientazione, i disagi anche economici che incontrano i giovani stranieri in una città pur così ospitale. La soluzione di questi problemi e il rimedio a questi disagi non potranno venire - ancora una volta - che da una dilatazione dello sguardo e del cuore, dall'evangelico "farsi prossimo" anche ai più lontani. Il discorso investe anche i pubblici poteri e le istituzioni civiche. Per quanto riguarda voi, giovani, ricordate la consegna a voi lasciata dal Concilio Vaticano II, alla sua chiusura: "Allargate il cuore alle dimensioni del mondo". Perugia, città cosmopolita e dalle radicate tradizioni di umanesimo cristiano, Perugia esuberante di gioventù, ha la particolare vocazione di avvicinarsi ai lontani e di avvicinarli tra di loro. Alle porte di Assisi e in questa vigilia dell'incontro ecumenico di preghiera per la pace, io saluto Perugia come città di dialogo, di pace e di speranza, e la saluto in voi giovani. Ciò che ad altri può apparire utopistico in questi progetti, non lo è per coloro che credono: per chi prende sul serio Dio e la sua Parola. E' questo il messaggio che ci viene insistente e rassicurante dalla Cattedrale, dove la parola di Dio ha la sede più autorevole ed efficace della sua proclamazione, e sul cui altare ogni giorno è celebrata la vittoria dell'Amore sull'egoismo, della Vita sulla morte, della Comunione sulla solitudine.

Ma è il messaggio che viene anche dal palazzo del Comune: esso è il simbolo della volontà di cercare insieme e di costruire insieme il bene, la prosperità, la pace sociale e la libertà che non voglia essere un nome vuoto, pericoloso. "Verità - amore - libertà": è il trinomio che ho ricordato rivolgendomi ai giovani nella recente lettera per il XVI centenario agostiniano. Seguendo ancora il grande convertito, ho ricordato un quarto valore, che vi sta a cuore, che vi affascina: la bellezza. Chi viene in questa piazza difficilmente si sottrae al fascino della sua bellezza. La fontana maggiore ne è un'incarnazione splendida.

Amate la bellezza. Non solo - continuo con sant'Agostino - la bellezza dei corpi, che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, né solo quella dell'arte, ma la bellezza interiore di atteggiamenti nobilmente umani e, soprattutto, la bellezza eterna di Dio, da cui discende ogni bellezza creata: di Dio che è "bellezza di ogni bellezza". Che la vostra attrattiva per la bellezza vi faccia superare l'avidità del possesso, fino a giungere alla contemplazione pura di Dio, che è bellezza suprema senza ombra di imperfezione; fino all'incontro beatificante con lui nella preghiera! Amate la preghiera! Che la preghiera diventi esperienza di comunione con Dio e con ogni volto umano riscoperto in lui!


5. Sul punto di congedarmi da voi, ho desiderato sollevarvi a questa visione di trascendenza e di bellezza, affinché la vostra vita cristiana si consolidi sempre più e cresca e fiorisca di opere concrete anche a vantaggio della società civile e sociale, e sia premessa e promessa di un avvenire più giusto, più umano e quindi più sereno. Fate sentire la vostra fattiva presenza in questa società odierna, che attende da voi un contributo essenziale per la soluzione dei suoi gravi problemi.

Sull'esempio di san Francesco, che tante volte visito questa città e che domani avro di nuovo la consolazione di venerare presso il suo sepolcro, non cessate di fare ogni sforzo per la conquista della gioia, della libertà e dell'amore. Ben sapendo pero che egli giunse alla gioia attraverso la sofferenza, alla libertà attraverso l'obbedienza, e all'amore per tutte le creature mediante la vittoria sul proprio egoismo. Vi assicuro il mio costante ricordo al Signore, perché vi rafforzi in ogni opera buona e conduca a buon termine il vostro impegno spirituale e sociale.

Allora facciamo un riassunto di questa nostra meditazione che precede l'Angelus Domini che tra pochi minuti dobbiamo recitare tutti. Facciamo un riassunto di questa meditazione in cui ho cercato di partire dalla Genesi, dove i problemi fondamentali dell'uomo sono presentati, sembrerebbe, in una maniera semplice, ma stupendamente profonda. E poi, in questa meditazione, abbiamo richiamato per noi tutti, e specialmente per voi, alcuni valori di grandissima importanza. Questi sono: la verità, l'amore, la libertà, la bellezza.

E io vi dico e vi auguro: amate, amate la verità; e vi dico: amate la libertà; e vi dico amate l'amore; e vi dico ancora: amate la bellezza; e vi ripeto: amate l'amore; e vi ripeto amate la preghiera. Vi ottenga l'adempimento di tale voto la Vergine santissima, che ora invochiamo nella preghiera dell'Angelus. Ella, che è Regina della pace, interceda presso il suo Figlio, perché il mondo raggiunga quella sospirata pace, per la quale domani ci raduneremo ad Assisi. [Dopo l'Angelus:] Mi piace stare qui, mi piace molto. Ecco, mi piace stare in questo ambiente, è un ambiente stupendo a motivo dell'arte. Parla il genio umano, parla il genio italiano, parla il genio cristiano, parlano i secoli: ma tutto questo non sarebbe quello che è senza di voi. Ecco, quest'ambiente perugino, stupendo ambiente, dove parlano i secoli, dove parla il genio umano, vi attrae e voi venite qui volentieri. Si può dire: sono monumenti antichi. Ma voi riempite questi monumenti antichi, quest'ambiente antico, con la vostra giovinezza e possiamo dire che quest'ambiente dove parlano i secoli si sente giovane quando voi siete qui. L'ultimissima parola: anche Giovanni Paolo si sente meno vecchio e più giovane quando sta con i giovani, Arrivederci.

Data: 1986-10-26 Domenica 26 Ottobre 1986




Incontro con la Chiesa ministeriale, in cattedrale - Perugia

Realizzare e testimoniare l'unità e la comunione della Chiesa



1. Il mio cordiale saluto ai fratelli nell'episcopato qui presenti, e in particolare all'arcivescovo di questa Chiesa di Dio che sta in Perugia, mons.

Cesare Pagani; e un saluto fervido e affettuoso a tutti voi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici, qui convenuti attorno alla cattedra che fu di tanti illuminati e zelanti pastori. Questo tempio, che con i recenti restauri è stato riportato al suo primitivo storico splendore, ha conosciuto in tempi più vicini a noi la singolare figura di pastore di Gioacchino Pecci, divenuto poi Sommo Pontefice col nome di Leone XIII, gloria non solo della Chiesa perugina, ma della Chiesa universale, per il suo alto magistero.


2. La presenza di tutti voi, qui riuniti in fraterno vincolo di comunione, manifesta quell'immagine di Chiesa che noi amiamo contemplare e cerchiamo di far rivivere specialmente dopo il Concilio Vaticano II, con sentimento di santa e giusta fierezza, di gratitudine a Dio, di trepida responsabilità. Sappiamo di essere la famiglia di Dio, il suo popolo che ha per capo Cristo e vive la dignità e la libertà propria dei figli di Dio, che è vincolato da una legge sola, quella del precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati, che è impegnato verso l'esaltante prospettiva di dilatare ulteriormente e incessantemente il regno di Dio. Poiché la Chiesa è il proseguimento di Cristo, noi siamo un popolo necessariamente uno, cioè quella Chiesa una che da sempre professiamo nel Credo.

Tuttavia siamo un popolo vario e pluriforme, grazie ai diversi doni che Cristo glorioso ha dato a ciascuno. "E' lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri... al fine di edificare il corpo di Cristo" (Ep 4,11-12). Sono quindi impensabili contrapposizioni e divisioni nell'unica compagine della Chiesa, che per natura sua è una ed è chiamata a compiere un'unica missione. Il Concilio, approfondendo la parola divina espressa da san Paolo, lo afferma dicendo che gli stessi ministri "rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza" (LG 18).


3. La Chiesa che è in Italia da tempo addita questa meta dell'unità e della comunione come impegno da realizzare in profondità e da testimoniare in maniera visibile e credibile. A questi valori, tipicamente evangelici, occorre educare il proprio spirito, ad essi si deve ispirare il comune impegno. Ci sono, perciò, individualismi da combattere, separazioni da colmare con una ricerca assidua e ferma di solidarietà; ci sono situazioni nuove da accogliere nella Chiesa diocesana e nelle comunità parrocchiali come stimoli profetici e segni dello Spirito che riempiono di speranza. Con gratitudine, quindi, riceviamo dal Signore e cerchiamo di mettere in luce quelle manifestazioni e quelle forme di partecipazione ecclesiale che oggi trovano il loro significativo sviluppo nei Consigli pastorali diocesani, zonali e parrocchiali, come pure negli organi di collegamento dell'apostolato dei laici per un'attività evangelica nei diversi ambienti in cui l'uomo vive e lavora. Il cammino che tali organismi hanno iniziato in questa Chiesa, darà certamente i suoi immancabili frutti, a suo tempo. Con animo lieto e fiducioso continuate a curare e sviluppare l'Azione Cattolica, autorevolmente riconosciuta e amata per la sua singolare ministerialità e per la presenza e il servizio nella Chiesa particolare.

Con serena e confortante attesa accogliete la grande varietà e vivacità di associazioni e movimenti, che caratterizzano l'attuale periodo postconciliare. Noi tutti valutiamo la loro efficacia, quando essi esprimono e vivono l'inderogabile unità ecclesiale e portano il loro contributo all'edificazione della casa comune, cercando un costante e filiale riferimento al ministero del vescovo.

Tutto questo complesso di vita e di coraggiose iniziative trova nella Chiesa particolare e nella concretezza delle sue strutture il "luogo" provvidenziale disposto per crescere in quell'unità che è necessaria per operare e per vivere secondo la vocazione data a ciascuno da Cristo.


4. Lo Spirito e l'esercizio della comunione intraecclesiale saranno favoriti da una presa di coscienza sempre più chiara dello specifico servizio, a cui sono chiamati coloro che compongono la comunità ecclesiale. Sacerdoti, religiosi e laici dovranno far attenzione al compito loro proprio, al servizio al quale per vocazione sono chiamati. Essi saranno, in questo, aperti all'apprezzamento, all'accoglienza dell'altrui vocazione, diverranno disponibili al reciproco aiuto e, se occorre, alla fraterna correzione in vista dell'unica missione di tutta la comunità ecclesiale: annunciare Cristo, colui che il Padre, nello Spirito d'amore, ha mandato all'uomo perché ricevesse la pienezza della vita. Mi rivolgo quindi ai sacerdoti, perché attestino con forza e fedeltà la loro speciale vocazione, che li designa al sacro ministero. Sappiano essere gli uomini di Dio, assidui nella preghiera e nella contemplazione per essere, in virtù di queste, uomini totalmente disponibili al servizio del Vangelo. Mi rivolgo ai religiosi, che con il loro stato testimoniano, in modo splendido e singolare, che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio se non nello spirito delle Beatitudini. Desidero, infine, invitare i laici a cercare il regno di Dio, consapevoli di essere divenuti partecipi della missione regale di Cristo, chiamati per il Battesimo a partecipare "a quell'unica e irreversibile restituzione dell'uomo e del mondo al Padre che egli, Figlio eterno e insieme vero uomo, fece una volta per sempre" (RH 20).


5. La Chiesa, chiamata ad evangelizzare il mondo dentro il quale si trova storicamente a vivere, dovrà affrontare con una evangelizzazione nuova le generazioni alle quali l'annuncio è destinato. Nuove sono, soprattutto, le moltitudini studentesche, alle prese con un universo culturale complesso e frastornante. Inconsueta è la condizione della famiglia che oggi, anche nella vostra terra, richiede una più forte e vigorosa proposta di salvezza. La famiglia, già dolorosamente coinvolta nel turbine incalzante delle separazioni, dei divorzi, delle pratiche abortive, ha bisogno di ritrovare la sua dignità, i suoi specifici valori; ha urgente necessità di riscoprire gli effetti profondi e duraturi che conducono a un rinvigorito apprezzamento del significato della vita e dell'autentico amore coniugale. Sono queste le prospettive che lodevolmente la Chiesa dell'Umbria sta perseguendo, con un comune impegno di tutti e in particolare di laici ben preparati e generosi.


6. Ma per la città di Perugia l'impulso dell'evangelizzazione ha un senso e un'urgenza singolari. E' ben nota la numerosa presenza in questa città e nei suoi dintorni di giovani che da tutto il mondo qui affluiscono, portando con sé patrimoni di culture ed esperienze religiose diversissime. Essi vivono qui per motivi di studio; ma l'animo giovanile, che li guida, è pur sempre aperto ad accogliere, con spirito attento, vivace e critico le testimonianze di verità che nel dialogo e negli incontri quotidiani si rendono possibili. Il mondo sociale degli studenti esteri a Perugia costituisce un fenomeno singolare pieno di interesse per il cristiano, ed è, nello stesso tempo, un fenomeno ricco di spunti per l'impegno della comunità credente. Dobbiamo chiederci quale responsabilità di annuncio cristiano sia richiesta a questa città, in un contesto umano così originale, con sincero rispetto dell'uomo e con efficace forza di testimonianza verso i fratelli che da tante parti giungono qui cercando dialogo e accoglienza.

La Chiesa non cessa mai di annunciare Cristo; ma è chiaro che l'annuncio, per essere valido e degno di stima, dovrà essere preceduto e come preparato dalla partecipazione sincera dei singoli, delle famiglie e delle istituzioni ai problemi di carattere culturale, sociale, economico che i giovani studenti esteri portano con sé. Problemi, come è noto, vissuti talvolta con sofferenza, se non addirittura con profonda angoscia. Questa città presenterà loro il volto di una comunità cristiana e credente, disponibile per una preevangelizzazione, se saprà sviluppare ed effondere una vera carità evangelica. Non si deve tuttavia dimenticare mai che sarà soprattutto l'immagine di una Chiesa unita nella diaconia di carità che susciterà l'interesse per Cristo e per il suo Vangelo. Come anche saranno i rapporti fraterni all'interno della vostra Chiesa la premessa per un dialogo autentico, spontaneo, vero, in una città cosmopolita come Perugia.


7. Ricordando queste impegnative linee d'azione di una Chiesa singolarmente missionaria per le circostanze concrete in cui essa vive, ringrazio vivamente quanti già si dedicano all'annuncio di fede con intelligenza e zelo: l'arcivescovo e i suoi più stretti collaboratori, tutti i sacerdoti, specialmente i parroci, i religiosi e le religiose, i laici singoli e associati, le religiose contemplative.

Il vostro comune apostolato affonda le sue radici nel mistero di Cristo vivente nella Chiesa, e in questo trova la sua forza e il suo vigoroso impulso. E' chiaro che voi volete ispirare ogni vostro singolare sforzo a un'ecclesiologia integrale, riconoscendovi tutti membra vive e operose dell'unico corpo mistico di Cristo. Da questa fede ecclesiologica nasce la pratica concreta della comune vita apostolica, cioè della vostra consacrazione all'apostolato. Sappiate operare nella concordia e con sincero zelo, consapevoli che la vocazione battesimale vi lega tutti per un impegno unitario nella Chiesa, mentre il dono dell'imposizione delle mani e della consacrazione religiosa vi associa in diverso modo a Cristo per un ministero generoso e singolare di grazia. Proclamate così ad ogni fratello il mistero della vita divina annunziato dalla Chiesa. Siate missionari nella vostra terra poiché le occasioni dell'annuncio si stanno moltiplicando in mezzo a voi ogni giorno di più. Siate, tutti insieme, messaggeri della fede che conduce a Cristo, sempre nuovi discepoli, riconoscendo con animo fedele e generoso che l'evangelizzazione rimane al centro dei vostri impegni e delle vostre prospettive.


8. Questa Chiesa che si raccoglie attorno a Cristo suo capo, confida fiduciosa nella protezione della Vergine Maria. Un antico gonfalone, venerato in questa cattedrale, rappresenta Maria che intercede per la città flagellata da una lunga peste. Un cartiglio con la scritta "memento" - ricordati -, quasi supplichevole grido alla Madonna della Misericordia, attraversa il quadro. Noi ripetiamo oggi quello stesso grido alla Vergine; "La nostra salvezza è nelle tue mani; noi e la nostra terra siamo tuoi".

Vogliamo confermare questo titolo di appartenenza, vogliamo porre in lei, in Maria, la nostra fiducia anche oggi per chiedere la benedizione di Dio su tutta la nostra Chiesa, affinche essa trovi sempre la forza della sua vocazione divina e la sua vivacità missionaria.

Data: 1986-10-26 Domenica 26 Ottobre 1986




Agli ammalati nella chiesa dei Cappuccini - Perugia

La vostra preghiera per la salvezza e la pace del mondo


Cari malati della città e della diocesi di Perugia, e voi, cari sacerdoti, religiose e laici che li assistete con la vostra amicizia e con il vostro servizio!


1. Con grande affetto porgo a tutti il mio cordiale saluto. Durante la visita pastorale a questa suggestiva città di Perugia, l'incontro con i sofferenti ha per me un'importanza fondamentale, perché sottolinea che, nella compagine della vita ecclesiale e civile, voi tenete un posto di immenso valore e compite una missione di profondo significato. Sono qui con voi e per voi proprio per dirvi - in nome di Cristo - queste parole di verità e di conforto, per esprimervi tutto l'amore che la Chiesa ha sempre sentito e portato verso chi soffre, e per partecipare anche personalmente alle vostre ansie e alle vostre aspirazioni. La vostra presenza in questa chiesa moderna e accogliente è anche una manifestazione di fede, perché siete venuti per incontrare e per sentire il Vescovo di Roma, il successore di Pietro. Vi ringrazio di cuore per questo vostro gesto di affetto e per le preghiere e le sofferenze che offrite al Signore per me e per la mia missione. Anch'io ricordo tutti voi, malati, che continuamente incontro lungo il cammino del mio lavoro apostolico e per tutti invoco il conforto di Cristo, il Redentore, che conobbe la sofferenza, e la tenerezza di Maria santissima, nostra madre celeste, nella luce e nell'amore dello Spirito Santo.

Possa questo incontro portare tanta pace e serenità ai vostri animi, nella certezza delle verità eterne, nelle quali crediamo e che ci sostengono nel pellegrinaggio terreno.


2. Vorrei lasciarvi come ricordo particolare - cari malati e cari amici che li assistete - l'esortazione di Gesù, il divin Maestro, sulla necessità di sempre pregare e mai stancarsi. E' naturale, anzi è necessario pregare prima di tutto per ottenere la guarigione, perché la salute è un grande dono di Dio, un bene meraviglioso, che deve essere stimato e curato; e molti episodi del Vangelo ci fanno vedere come Gesù si piegava sui malati e li guariva. Pregate perciò per guarire; pregate per il ristabilimento o almeno per il sollievo dei malati.

Tuttavia vi sono malattie che non hanno più soluzioni; vi sono sofferenze che si trascinano per lunghi anni e talvolta opprimono senza speranza tutta la vita, di fronte alle quali la biologia, la medicina, la chirurgia, pur con le loro mirabili scoperte e terapie, rimangono impotenti e quasi sconfitte. E' in questi momenti e in queste situazioni che bisogna pregare con più intenso fervore, per mantenere l'intimità con Dio, che appare così misterioso e silenzioso, per invocare la forza della rassegnazione, il coraggio della perseveranza fiduciosa, la pazienza nello strazio della solitudine. La preghiera diventa così sostegno, consolazione, conforto. Per quanto una creatura umana sia limitata, sofferente, dimenticata, la preghiera mantiene vivo e reale il legame con l'Altissimo, che ama come un Padre ogni persona creata "a sua immagine e somiglianza" e continua a estendere su tutti la sua bontà e la sua misericordia.

"Pregate incessantemente" (1Th 5,16), raccomandava san Paolo: "Fate presenti a Dio le vostre necessità" (Ph 4,6). Pregate poi anche per i tanti bisogni spirituali e temporali delle vostre famiglie, delle vostre comunità, della Chiesa intera e di tutta l'umanità: infatti la preghiera è anche la prima e più grande carità che dobbiamo fare ai nostri fratelli. Specialmente oggi, in questa vigilia della "Giornata mondiale di preghiera per la pace", vi esorto a pregare fervorosamente per i supremi ideali della Verità e della salvezza e per la pace nel mondo.


3. Cari malati e cari amici! Siamo tuttora nel mese di ottobre: voi ben sapete che proprio Leone XIII - per 32 anni vescovo di questa città - fu devotissimo di Maria santissima e dedico nove encicliche e sette scritti apostolici alla preghiera del Rosario, e volle che ogni santa Messa si concludesse con l'invocazione alla Madonna, per la vittoria contro il male e "pro libertate et exaltatione Sanctae Matris Ecclesiae". A conclusione di questo incontro vi esorto perciò a pregare con filiale devozione Maria santissima: stringete pure voi tra le vostre mani la corona del Rosario e invocate Maria, sempre, ma specialmente nei momenti più dolorosi della malattia e della tristezza. E vi sia di conforto anche la mia benedizione, che ora di gran cuore vi imparto, ed estendo a tutte le persone care.

Data: 1986-10-26 Domenica 26 Ottobre 1986




Al mondo del lavoro, nell'Oasi sant'Antonio - Perugia

Nessun tipo di socializzazione espropria dalla responsabilità


Fratelli e sorelle!


1. Desidero anzitutto manifestare la mia grande gioia per questo incontro con voi, carissimi lavoratori e imprenditori, e vi esprimo il mio sentimento di profonda stima, di amicizia, di grande rispetto per l'opera che voi, uomini e donne del lavoro, siete chiamati a compiere in favore di tutti. Vi ringrazio anche per le parole di cordiale benvenuto che mi avete rivolto. Il cristianesimo e la Chiesa incontrano il mondo del lavoro senza difficoltà e senza paura. Il Papa sta bene con voi e ben ricorda di avere lavorato egli stesso nelle cave di pietra di Zakrzowek, vicino alle caldaie della Solvay in Borek Falecki. E' attraverso questa esperienza del lavoro che ho meditato profondamente e quasi in una rinnovata luce il Vangelo. E' così che mi sono accorto quanto fortemente nel Vangelo sia incisa la problematica contemporanea del lavoro umano e come solo nella prospettiva del messaggio di Cristo sia possibile risolverla adeguatamente, in modo degno per l'uomo e per ogni lavoratore.


2. La Chiesa nutre una profonda simpatia per quello che siete e per quello che fate. Talvolta negli ambienti di lavoro è diffusa l'opinione contraria. La Chiesa, si dice, si occupa soltanto dei valori spirituali e non si interessa dei problemi economici e pratici del lavoro. Vi rispondero con tutta franchezza che questa obiezione non ha ragione d'essere. La Chiesa si è sempre occupata del mondo del lavoro e ha asserito con coraggio che i diritti fondamentali dei lavoratori devono coinvolgere tutta la sfera sociale ed etica. La Chiesa vuole anzi che le forze di tutte le componenti della società si colleghino e cooperino unitariamente per promuovere nel miglior modo possibile gli interessi di tutti i lavoratori e ritiene che, entro i debiti termini, le stesse leggi e l'autorità dello Stato debbano impegnarsi a questo scopo. Sono questi i principi che noi troviamo espressi nella dottrina di Leone XIII, il Papa della "Rerum Novarum", al quale vogliamo oggi rendere un doveroso e corale omaggio in questa città in cui per lunghi anni egli è stato vescovo. Qui a Perugia egli medito sulla condizione operaia del suo tempo e profuse la ricchezza della sua vita di pastore, di maestro e di padre. "Perché dopo tanti anni - mi chiedevo nel 1981 - la Chiesa ricorda ancora la "Rerum Novarum"? Molte sono le ragioni. Innanzitutto la "Rerum Novarum" costituisce ed è la magna charta dell'operosità sociale cristiana... essa è altresi dimostrazione irrefutabile della trepida e solerte attenzione della Chiesa per il mondo del lavoro". In quella circostanza ho voluto sottolineare il coraggio col quale la "Rerum Novarum" ha avviato una sfida a favore dell'uomo: "La voce di Leone XIII si levo coraggiosa in difesa degli operai, degli oppressi, dei poveri, degli umili, degli sfruttati, e non fu che l'eco della voce di Colui che aveva proclamato beati i poveri e gli affamati di giustizia". "La Chiesa del XIX secolo si trovava di fronte a una sfida decisiva. Per secoli essa era rimasta radicata in una società di tipo agricolo. Ma si scopri allora annunciatrice del Vangelo a una nuova forma di società, quella industriale.

Le tocco il compito di smascherare le nuove strade dell'egoismo, della cupidigia e della volontà di potenza". Nell'enciclica c'è il coraggio di accettare e affrontare le "novità" dei tempi senza paure e impazienze; c'è il coraggio di farsi carico della questione operaia: Leone XIII si impegna nella difesa dei deboli e così dimostra che al di sopra di tutto sta la dignità umana, la persona dell'uomo. Nella "Rerum Novarum" c'è il coraggio di richiamare a tutti l'originalità del Vangelo: "Le umane generazioni si succedono; ma le pagine della loro storia si rassomigliano grandemente, perché gli avvenimenti sono governati da quella Provvidenza suprema la quale volge le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione dell'umana famiglia". In un'epoca illuminista e positivista, Leone XIII offri l'insegnamento del Vangelo per combattere alla radice le disparità sociali e per ricondurre le trame della convivenza sociale alle interiori responsabilità della coscienza umana: "Lo spirito è quello che porta scolpita in sé l'immagine e la somiglianza divina e in cui risiede quella superiorità in virtù della quale fu imposto all'uomo di signoreggiare le creature inferiori" ("Rerum Novarum").


3. E' importante questo nostro incontro per affermare ancora una volta che "il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell'uomo. E se la soluzione, o piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa più complessa, deve essere cercata nella direzione di "rendere la vita umana più umana", allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un'importanza fondamentale e decisiva" (LE 3). Nessuno può nascondersi le imponenti paure e le gravi difficoltà della nostra epoca. Ricordavo già nella mia prima lettera enciclica la "grande paura" che fa soffrire l'umanità intera: "L'uomo d'oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani, e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile, sono non soltanto e non tanto oggetto di "alienazione", nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti; quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti, diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua più larga e universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti in modo radicale contro lui stesso; teme che possano diventare mezzi e strumenti di una inimmaginabile autodistruzione, di fronte alla quale tutti i cataclismi e le catastrofi della storia, che noi conosciamo, sembrano impallidire" RH 15).


4. Anche le vostre zone e questa bella città di Perugia stanno vivendo una fase di transizione, stimolante ma tribolata. Rendo onore al vostra impegno, alla vostra laboriosità, alla vostra intraprendenza. Apprezzo la vostra passione per la giustizia, il senso e il gusto della famiglia che, pur nella grave crisi attuale, rimangono in voi profondamente radicati. Constato con gioia che i valori autentici del mondo rurale, prevalente non molto tempo fa, li avete portati con voi, sia nelle rinnovate e molteplici aziende agricole, sia nelle numerose e solerti aziende artigiane, sia nelle imprese industriali e nelle nuove attività del terziario. Oggi pero affiora anche in questa regione la minaccia di un rallentamento dei ritmi operativi e di una diminuzione di obiettivi e di spazi di mercato. La transizione comporta pure tra voi l'alto costo umano della disoccupazione specialmente giovanile e femminile; comporta, in generale, il rischio dell'emarginazione di intere categorie di persone. Sappiamo bene che lo sviluppo scientifico e tecnico non si arresta; come cristiani siamo anzi convinti che esso è frutto dell'ingegno umano, è il riflesso della luce del Creatore e, se posto a servizio dell'uomo, corrisponde al disegno di Dio. Ma sappiamo anche e affermiamo con intensità che il messaggio cristiano "lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo, lungi dell'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna, piuttosto, a tutto ciò con un obbligo ancora più stringente" (GS 34). Bisogna impegnarsi, quindi, tutti insieme, a sfruttare anche le nuove possibilità offerte dalla transizione. Dobbiamo, insieme, creare nuove risposte operative alle esigenze della cultura, della sanità, del tempo libero, delle aggiornate richieste dei preziosi servizi di carattere civile e familiare.

Bisogna confrontarsi tra responsabili di tutti i livelli e ambiti per fare ciascuno tutto il possibile. Indispensabili sono, evidentemente, sia il coinvolgimento dei giovani e delle donne, sia le coraggiose e mirate aperture del mondo della scuola. Le capacità umane delle vostre genti, le intuizioni creative, l'accentuarsi delle attenzioni del mondo intero verso le bellezze artistiche e verso il fascino culturale delle vostre città, sono ricchezze autentiche che possono stimolare concrete opere di lavoro, anche nel rinnovato e impegnativo contesto dell'economia di Perugia, degna capitale della Regione Umbria.


5. Desidero vivamente ricordare, anche in questo incontro, qualche indicazione orientativa che può inserirsi nelle quotidiane preoccupazioni per i vostri problemi e le vostre attese. Innanzitutto è mia convinzione che ogni lavoro, dal più semplice al più difficile, dal meno retribuito al più compensato, "costituisce una fondamentale dimensione dell'esistenza umana sulla terra". L'accoglienza serena di questa verità, che dà nobile risalto all'opera di ogni creatura umana, può e deve giustamente cambiare molti rapporti tra coloro che pur operano all'unico e universale banco di lavoro, sia pure con posizioni e con profitti diversi e talora contrastanti. a) Il lavoro è sempre un fatto che attinge la persona: nasce e matura nella persona. Sempre, poi, il lavoro coinvolge gli altri; è quindi un fatto sociale, perché entra nel circolo vitale dei beni e dei servizi e raggiunge e tenta di risolvere i bisogni di molte creature. Per questo il lavoro, come fatto personale e sociale, attinge sempre i valori morali: supera cioè il mero livello tecnico e influisce nella sfera della vita umana, sia individuale che comunitaria.

b) Il lavoro è finalizzato al bene e non al male. c) Il lavoro dell'uomo impegna sempre le sue personali responsabilità: l'uomo ne risponde con la sua coscienza, ne rende conto alla sua famiglia e alla più ampia comunità degli uomini. d) Il lavoro ha un "senso" e dà senso alla vita; stimola dignità, creatività, solidarietà. Il valore unico, perché personale, di ogni lavoro deve costituire il criterio delle valutazioni, delle decisioni, dei rapporti che animano la convivenza sociale. Di qui nasce il diritto-dovere del lavoro: all'effettivo lavoro di ogni uomo. Di qui nasce il coinvolgimento sociale nei confronti del capitale, privato o socializzato o statalizzato: esso deve infatti subordinarsi, in modo certamente ragionevole e conveniente, al servizio delle persone che lavorano a vari livelli e delle persone che ancora non lavorano. Di qui nasce, infine, l'insopprimibile esigenza che qualsiasi formula di socializzazione non espropri l'uomo del lavoro della sua responsabilità, della sua capacità di rischio, della sua forza progettuale.


6. E' la verità del lavoro, che scaturisce dalla verità dell'uomo che lavora, che detta le esigenze della giustizia. Alla radice dei rapporti sociali di ogni genere, infatti, sta una verità: la verità sull'uomo. Questo è il "principio" fondamentale per qualsiasi iniziativa a favore della giustizia sociale e distributiva. Al principio sta lui, l'uomo che lavora. Al principio sta lui, perché all'inizio della storia sta la precisa definizione di quello che è ogni creatura umana: "vivente immagine di Dio creatore". Come il Creatore, l'uomo può amare il suo simile e può dominare e usare ogni realtà a lui sottomessa. Le cose, le macchine, il mondo, l'universo intero sono ordinati all'uomo e raggiungono il loro fine autentico e la loro perfezione soltanto se servono all'uomo, a ogni uomo. Cari uomini del lavoro, questo ritorno alle nostre radici io l'ho altre volte presentato quale "Vangelo del lavoro". Esso afferma la dimensione verticale e religiosa di ogni uomo che lavora, che è libero e responsabile collaboratore di Dio creatore. Dio ha bisogno di lui. Noi siamo invitati a meditare ancor oggi con profondo stupore l'annuncio evangelico dell'ineffabile grandezza dell'uomo che lavora. Dalla parola di Cristo i rapporti sociali nel mondo del lavoro sono radicalmente rinnovati: rinnovati dalla Verità incarnata che esprime lo spessore della dignità del lavoro e dell'uomo che lavora. Gesù Cristo, per trent'anni - quasi tutta la vita! - si è impegnato in un lavoro manuale, comune, non molto valorizzato. Qui sta la lezione di vita che egli offre a noi tutti: chi lavora deve sentirsi unito a Dio che lo ama; chi lavora imitando Dio può sempre amare. L'uomo del lavoro (artigiano, contadino, professionista, operaio, impiegato, imprenditore), deve sconfiggere la falsa civiltà dell'isolamento e delle chiusure egoistiche, e deve impegnarsi per la civiltà della solidarietà, della pace, dell'amore.


7. Alla luce del messaggio cristiano gli uomini e le donne che lavorano devono perciò sentirsi e chiamarsi fratelli. Essi lo sono, infatti, perché nel lavoro promuovono un bene unico e destinato a tutti, come il Creatore ci ha insegnato, affidando a noi la terra da lui creata; fratelli perché nel lavoro si esprime l'esigenza fondamentale che all'uomo sia ripartito con giustizia il pane quotidiano, e si tende a fare in modo che i bisogni fondamentali di tutti i popoli siano appagati e garantiti; fratelli perché lavorando attestiamo la centralità della persona umana in ogni espressione del lavoro e affermiamo, anche nell'evolversi della moderna tecnica, che la persona umana è il centro e la finalità ultima dell'attività; fratelli, secondo la fede cristiana, perché nel lavoro ci uniamo a Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, il quale volle imparare da Giuseppe il lavoro umano. A tutti voi quindi, lavoratori e imprenditori qui raccolti, ai vostri fratelli e amici, a tutti coloro che ascoltano queste mie parole, come alle vostre famiglie e alle vostre imprese imparto di cuore la mia benedizione.

Data: 1986-10-26 Domenica 26 Ottobre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Con i giovani per l'Angelus dinanzi alla cattedrale - Perugia