GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Il Signore conceda quella pace alla quale l'umanità tanto anela



1. "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto" (Jn 11,21).

Nelle parole di Marta si compendia l'universale aspirazione a una presenza che sconfigga questo nemico implacabile, di fronte a cui ogni tentativo di fare dell'uomo un assoluto crolla inevitabilmente: la morte. Oggi, fratelli e sorelle carissimi, noi preghiamo per i defunti: in questi giorni ci rechiamo in visita ai cimiteri, quali pellegrini oranti, per implorare pace eterna ai nostri cari. Davanti a quelle tombe s'afferma dentro di noi l'aspirazione a vincere la morte, prende consistenza il respiro di eternità che abita nei nostri cuori. Noi decoriamo, infioriamo, abbelliamo quelle tombe, perché il nostro cuore ci dice che un corpo avvolto nell'immobilità fredda della morte non è, non può essere, l'ultima parola di una vita. Un'immensa trama di progetti, di potenzialità solo parzialmente espressi, le attese di un mondo più giusto e più umano, il calore degli affetti, la fatica delle quotidiane fedeltà, tutto questo tesoro di bene non può essere murato nel silenzio implacabile del nulla.


2. Ecco perché l'umanità intera ha esultato di gioia, quando una pietra è stata rotolata dal sepolcro nuovo in un giardino di Gerusalemme, e una parola annunciata un giorno e attesa dai millenni della storia è divenuta realtà: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà, e chiunque vive e crede in me non morrà in eterno" (Jn 11,25-26). Il Signore glorioso che spalanca le porte della vita dà finalmente un senso a questo bisogno di eternità, di compimento, di pienezza che ciascuno di noi sente pulsare dentro di sé: il Dio fedele, che risuscita il Figlio solidale con gli uomini fino alla morte, infonde in noi la consolante certezza dell'immortalità. Oggi la morte continua a mietere le sue vittime; la sofferenza e il dolore feriscono ogni giorno il corpo martoriato dell'umanità. Eppure, fra le tenebre del male, fisico o morale, risplende agli occhi del credente la luce di una promessa sicura: "Io sono la risurrezione e la vita". Questa parola rende solida l'attesa, costante la pazienza, certa la speranza.


3. Su una così immensa moltitudine di morti oggi la Chiesa pronuncia il suo atto di fede nella vita, nel nome di Colui che è la vita. Su quanti si spensero quasi impercettibilmente in una saggia longevità, come sui bimbi, accolti nel seno del Padre prima che i loro occhi si aprissero alla luce; su coloro che la malattia ha consumato, associandoli al sacrificio dell'Agnello, come sui trafitti dalla violenza omicida; su tutti si leva, decisa, la voce della speranza: "Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo" (1Co 15,22). Noi ne siamo certi: Cristo, che ci ama, è andato a prepararci un posto.

Egli tornerà e ci prenderà con sé in un abbraccio eterno. Per questo oggi sale incessante la preghiera della Chiesa, sorella e madre, testimone del Risorto, per tutti i defunti, a qualsiasi tempo o popolo appartengano, perché dal chicco di grano caduto nella terra germogli un'attesa ricca di immortalità. In questo giorno vogliamo ricordare in particolare tutte le vittime dell'odio e della violenza, invocando il Signore di concedere all'umanità quella pace a cui l'umanità tanto anela.

Data: 1986-11-02 Domenica 2 Novembre 1986




Omelia alla Parrocchia dell'Immacolata - Grottarossa (Roma)

Vi auguro di crescere nella sapienza e nella grazia



1. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (Jn 3,16). In questo giorno la Chiesa dirige i nostri pensieri e le nostre preghiere, in modo particolare, verso la "vita eterna". Dopo la solennità di tutti i Santi, oggi, giorno dedicato alla memoria dei defunti, noi desideriamo innanzitutto ricordare quanti, tra i nostri cari, hanno lasciato questa vita. Nel ricordarli, siamo chiamati a riflettere che l'esistenza umana non si risolve tutta dentro l'orizzonte terreno. Siamo invitati a considerare la vita alla luce del fine ultimo, del destino che ci attende dopo la morte, con lo sguardo rivolto alla nostra vocazione eterna. A tutto questo pensiamo in occasione di questa mia visita alla parrocchia dell'Immacolata Concezione di Maria a Grottarossa, ad "saxa rubra" dove, nell'anno 312, come dice la tradizione, prima della storica battaglia tra Costantino e Massenzio, apparve all'imperatore la misteriosa visione della croce con il motto "in hoc signo vinces".


2. Alla luce della liturgia, che celebra il sacrificio di Cristo, siamo portati a riflettere oggi sul significato della morte. Da una parte, troviamo una riflessione realistica circa la precarietà della vita terrena, votata alla sconfitta; dall'altra il mistero eucaristico proclama che la morte di Cristo si è risolta nella risurrezione, evento decisivo per l'esistenza di ogni uomo. Di fronte al ricordo dei nostri defunti noi siamo tristi perché siamo costretti a riconoscere con dolore che questo nostro corpo passa: i progetti, che noi costruiamo ogni giorno confidando nella salute, nella forza, nelle doti di cui disponiamo, sono provvisori, sono destinati a spegnersi. Ma, se accettiamo il messaggio che scaturisce dalla parola di Dio, or ora ascoltata, apprendiamo che morire non significa cadere nel nulla, nell'ombra buia della fine totale. Piuttosto significa passare a una nuova condizione di vita che è gloria e beatitudine eterna. La fede illumina il mistero della morte con confortanti certezze.


3. Oggi noi, col libro della Sapienza, professiamo che "le anime dei giusti sono nelle mani di Dio" (Sg 3,1). La parola che abbiamo sentito ci assicura che Dio ha creato l'uomo per l'immortalità, cioè per la partecipazione a una vita senza fine.

Coloro che per le loro opere buone hanno creduto e meritato il premio annunciato dalle promesse vivono nelle mani di Dio e nella pace. Noi, confidando nella parola rivelata, proclamiamo di fronte al mondo che le anime dei giusti dimorano presso Dio nell'amore, poiché egli nella sua sollecitudine non abbandona i suoi né li priva della sua protezione. Agli occhi del mondo e in una prospettiva esclusivamente terrena "parve che morissero" (Sg 3,2), ma la morte fisica è per i credenti solo un passaggio da un'esistenza di dolori e di prove alla vita piena e duratura nella felicità di Dio; non più un castigo, ma una liberazione dai molteplici mali, indotti nella vita umana dal peccato. I nostri morti sono nella pace, cioè nel godimento completo dei doni profetizzati, nella salvezza delle realtà finali, ultime ed eterne. Essi sono stati coinvolti nel destino del Cristo Risorto, il quale ha raccolto la loro vita di quaggiù per condurla nella sua gloria. Come scintille infuocate, le anime dei giusti splendono per l'eternità, in virtù della vittoria finale che Cristo glorioso ha operato sulla morte.


4. Il nostro sguardo sull'eternità è poi ancora confortato dalla luce del mistero della comunione dei Santi. Abbiamo ereditato dalle più antiche comunità cristiane la certezza che esiste una partecipazione intensa di vita tra noi e i fratelli che sono nella gloria celeste o che ancora dopo la morte stanno purificandosi (cfr LG 49). Noi formiamo un'unica realtà soprannaturale, un unico corpo con coloro che ci hanno preceduto nella vita eterna: il corpo mistico di Gesù Cristo. Siamo perciò uniti, mediante Gesù, a quelli che sono entrati nella visione di Dio. Ma essi non ci hanno lasciati. Con loro formiamo una comunità, che si perfeziona nella preghiera e che l'offerta del sacrificio eucaristico realizza in modo eminente. L'amore che verso i nostri morti noi continuiamo a nutrire si esprime nell'orazione e in una singolare partecipazione di grazia, mentre siamo mossi dalla pietà a chiedere la loro intercessione ricordando i loro esempi di vita cristiana. Nella preghiera comune della Chiesa, che rivolgiamo a Dio uniti ai nostri defunti, noi possiamo pregustare quella liturgia della gloria eterna, verso la quale tutti camminiamo sorretti dalla speranza. In forza della comunione con Cristo la morte non elimina la comunione fraterna, ma la esalta e la realizza in una dimensione nuova.


5. Il libro dell'Apocalisse ci assicura che il mondo è aperto a una nuova creazione in forza del Cristo, della sua morte redentrice, della sua risurrezione, della sua vittoria. Le angosce e le pene, come tutte le lotte che hanno segnato l'umanità presente saranno superate, e ci sarà "un nuovo cielo e una nuova terra" (Ap 21,1). Nasce dalla morte l'uomo nuovo, che viene formato secondo l'immagine di Cristo. Noi siamo invitati ad accogliere questo progetto di Dio. Gerusalemme, la Chiesa dei santi, che "scende dal cielo, da Dio, pronta come una sposa per il suo sposo" (Ap 21,2) è l'immagine di quanto l'iniziativa divina vuole compiere per coronare di gloria il destino ultimo della storia umana.

Dio risolverà nella più grande gioia e nella più alta glorificazione tutto il travaglio, le sofferenze, il martirio, il lavoro e le aspirazioni dell'umanità segnata dalla morte, ma riscattata dalla morte. Gerusalemme, la città che è simbolo del mondo presente, non sarà distrutta né respinta da Dio eterno, ma sarà da lui interamente rinnovata "come una sposa", perché egli compie definitivamente con lei l'alleanza. Gerusalemme, la sposa, è segno del rinnovamento indefettibile della carità perfetta portata alla sua pienezza, "dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio-con-loro" (Ap 21,3). Per questo e in tale modo tutto il pianto versato nel corso di questa nostra lunga e dolorosa storia umana sarà asciugato da Dio, perché l'umanità non sarà più colpita dalla morte né dal dolore, ma avrà una vita e una gioia senza fine. Egli, il Signore, "tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno" (Ap 21,4).


6. Invochiamo anche noi, perciò, con il salmo responsoriale, la luce della verità che sostiene la speranza: "Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidami, mi portino al tuo monte santo, alle tue dimore" (Ps 42,3). Il tempo che fugge inesorabile e sospinge senza sosta tutti noi e le nostre cose verso la meta della morte sia illuminato dalla sublime luce e dalle esaltanti promesse della parola di Dio: questa ci sprona a non fermare i nostri passi su questa terra segnata dalle lacrime, ma a procedere verso la confortante meta del monte di Dio, il luogo in cui egli rivelerà a noi il suo volto, il monte dove egli abita, il paradiso. Chiediamo al Signore che ci renda degni della sua chiamata e ci faccia testimoni di queste verità, così che "sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù" (2Th 1,11-12) da tutti coloro che crederanno per la nostra testimonianza.


7. "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito... perché chiunque crede in lui... abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Dio ha già introdotto nella storia e nel tempo presente colui che annuncia e realizza in sé il momento definitivo della salvezza. In Cristo il tempo futuro della gloria è già presente e operante; la vita vera è una possibilità attuale offerta agli uomini.

Confortiamoci dunque noi, Chiesa in cammino, perché con Gesù Cristo è giunta l'ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è irrevocabilmente stabilita e in certo modo anticipata già fin d'ora, quaggiù (LG 48).

Saluto con gioia l'eletta porzione della Chiesa di Cristo che vive nella parrocchia dell'Immacolata. Insieme col card. vicario, saluto il vostro parroco, don Giacomo Ceretto che il card. Gulbinowic, titolare di questa chiesa, ha nominato canonico onorario della cattedrale metropolitana di Breslavia. Saluto gli altri sacerdoti che lo aiutano nel ministero pastorale. Desidero, inoltre, esprimere il mio apprezzamento per le comunità religiose che operano in questo territorio: anzitutto le Suore Francescane Missionarie di Cristo, che con zelo si dedicano alla scuola materna parrocchiale, alla cura degli infermi e alla catechesi; le Suore del Santo Bambino Gesù, che si prestano per le opere della "Caritas" diocesana in favore dei profughi e degli ex carcerati; la comunità della Piccola Casa Sant'Antonio, e ho un pensiero speciale per i bambini colà ospitati con tanto spirito di carità cristiana; la prelatura dell'Opus Dei. Esprimo ancora il mio compiacimento per i gruppi dei laici che collaborano nelle diverse iniziative di apostolato: i giovani e gli animatori dell'oratorio parrocchiale; il Consiglio pastorale; il gruppo liturgico; i numerosi catechisti; l'Azione Cattolica; le Dame di san Vincenzo. A tutti voi e a quanti si prodigano per diffondere il Vangelo, condividendo l'impegno spirituale di questa comunità, va il mio animo riconoscente con la mia benedizione, e l'augurio fervido per il vicino 50° anniversario di fondazione della parrocchia.


8. Maria Immacolata, colei che è stata redenta in modo privilegiato, è il segno dell'inizio del progetto di Dio di fare nuova ogni cosa. E' lei che disvela, con la sua singolare grazia, la nuova vita introdotta da Dio Padre nelle profondità più intime dell'essere umano. Incoronando la sua immagine ricorderemo proprio questo: che in lei Dio ha dato inizio alla creazione rinnovata. Maria è la prima creatura della nuova Gerusalemme, preparata come una sposa per il suo sposo.

Noi ci rivolgiamo a te, Vergine Santa Immacolata. In te inizia il mistero della Redenzione che ci libera dalla morte, perché l'eredità del peccato non ti ha raggiunta. Tu sei piena di grazia, e in te si apre per noi il regno di Dio, il nuovo avvenire dell'uomo, che può, nella fede, contemplare in te l'opera del suo rinnovamento e il fondamento della sua speranza d'immortalità. Tu porti a noi, nella tua purezza, il Figlio di Dio, la "luce venuta nel mondo", e conduci tutti noi sulle vie della santità perché possiamo incontrare Cristo, ora e per sempre. Noi t'invochiamo, guidaci lungo il nostro cammino, Vergine Santa, affinché operando la verità veniamo alla luce del tuo Figlio, cerchiamo la grazia della sua parola, percorriamo fedelmente la via che conduce al monte di Dio, al porto soave dove sono giunti i nostri cari e dove, con Gesù, tu ci attendi. Amen.[Il saluto alla cittadinanza:] Sia lodato Gesù Cristo. Voglio ringraziare innanzitutto per questo bel discorso indirizzatomi da un giovane parrocchiano rappresentante di questa vostra comunità dedicata al cuore Immacolato di Maria. Vi saluto tutti, saluto tutti insieme. [Il saluto alla cittadinanza:] Sia lodato Gesù Cristo. Voglio ringraziare innanzitutto per questo bel discorso indirizzatomi da un giovane parrocchiano rappresentante di questa vostra comunità dedicata al cuore Immacolato di Maria. Vi saluto tutti, saluto tutti insieme per questa pioggia; è vero che è una gran pioggia, ma è anche vero che abbiamo la banda musicale; e se vi sono taluni effetti negativi della pioggia, la banda musicale cerca quasi di dissipare questi eventi e portare anzi una gioia. Ringrazio questi giovani musicisti di aver assistito alla mia accoglienza qui e ringrazio tutti per la buona accoglienza; speriamo che nonostante la pioggia si potrà portare avanti il nostro incontro, questa visita tanto gradita a me e tanto speriamo - seguendo le parole del vostro concittadino, del vostro parrocchiano, - gradita anche a voi. Oggi è il giorno dedicato ai defunti. Ed è appunto intorno a questi vostri defunti che vogliamo incontrarci, vogliamo riunirci per approfondire la nostra preghiera, per approfondire anche quella nostra consapevolezza cristiana sulla vita presente e la vita futura: su quella che passiamo in questa terra e su quella a cui siamo invitati dal nostro Padre celeste nel suo Figlio Cristo Gesù, vita alla quale siamo mossi dallo Spirito Santo. così vi saluto in nome di Cristo, in nome della santissima Trinità: vi saluto nel nome della Vergine Immacolata e del suo sacro cuore. Vedo che ci sono molti giovani, soprattutto bambini. così mi spiego anche questa pioggia; la pioggia è utile per loro: devono crescere. Allora si tratta di una crescita intesa anche nel senso esterno, fisico, ma nello stesso tempo anche di una crescita nella dimensione cristiana. Una crescita della sapienza e della grazia, come ci dice san Luca nel suo Vangelo parlando di Gesù stesso. Vi auguro in nome di questa pioggia di crescere. Sia lodato Gesù Cristo.

[Al rito dell'Incoronazione della Madonna:] Voglio ancora aggiungere una parola di apprezzamento: direi di più, di ammirazione. prima per le preparazioni in vista della mia visita pastorale di oggi; e anche per l'incoronazione della Vergine Immacolata. Poi voglio esprimere l'apprezzamento e la mia gratitudine per la vostra perseveranza durante il rito sacro svoltosi in un tempo non del tutto favorevole con questa intensa pioggia; essa faceva il suo e nessuno di voi ha perso la serenità. Per questo voglio ringraziarvi e voglio ancora farlo per la vostra generosità verso la mia persona, per le preghiere nel giorno in cui quarant'anni fa ho celebrato la mia prima Messa o piuttosto le mie prime Messe, poiché, si sa bene, che il giorno 2 novembre, giorno dei defunti si celebrano tre Messe, come oggi così allora. Per tutto questo vi ringrazio e ancora per i doni, direi doni troppo abbondanti, non me li merito. Ringrazio per la presenza dei signori cardinali, per i molti sacerdoti che hanno voluto concelebrare questa santissima Eucaristia con me. Rendiamo grazie a Dio e raccomandiamo tutti nelle nostre preghiere: i nostri cari defunti, i nostri vicini, i nostri genitori, i nostri parenti e tutti i nostri connazionali, tanti defunti sconosciuti; sconosciuti alla memoria umana ma sempre conosciuti a Dio solo; raccomandiamo ciascuno e tutti all'infinita misericordia di Dio onnipotente e immortale, al Cuore santissimo di Gesù e alla Vergine Immacolata. Sia lodato Gesù Cristo. [Ai giovani:] Vi saluto di cuore e voglio farvi un augurio, che mi sembra molto semplice e allo stesso tempo essenziale: vi auguro di poter trovare un amico, un amico che si chiama Gesù Cristo. E poi di poter continuare, di poter perseverare in questa amicizia. E' il mio augurio più profondo. Oggi abbiamo incoronato l'immagine della Vergine Immacolata. Ebbene, questa amicizia che io vi auguro di avere sempre con Gesù, si manifesta attraverso l'intercessione della Madonna. E' per questo che io desidero esortarvi ad avere sempre un amore filiale nei confronti di Maria. Vedo qui in chiesa, e avevo visto prima durante la Messa, in particolare all'offertorio, molte coppie di giovani, sposi e fidanzati. Ecco, sono proprio il fidanzamento e successivamente il matrimonio l'occasione di rinsaldare la vostra amicizia con Gesù. Infatti, come lo stesso Gesù ha detto, egli invia i suoi discepoli a due a due. A due a due i primi apostoli, a due a due i primi missionari. E questo vale anche per gli sposi, anch'essi sono inviati a due a due. Un numero evangelico... perché tra due persone che camminano insieme in nome di Gesù li si trova, e si troverà sempre, Gesù. Si, insieme a due giovani, fidanzati, o sposi uniti con il sacramento del matrimonio, c'è Gesù. Che questa amicizia sia sempre con voi, questo il mio augurio insieme a quello di ogni bene possibile.

Data: 1986-11-02 Domenica 2 Novembre 1986




Lettera ai vescovi statunitensi - Città del Vaticano (Roma)

Fiducia e collaborazione per l'attuazione del ministero petrino


Ai miei amati confratelli vescovi degli Stati Uniti d'America.


1. Mentre vi riunite a Washington per il vostro incontro annuale, desidero essere spiritualmente presente con voi per darvi il mio sostegno nel vostro ministero pastorale. Desidero assicurarvi della mia fraterna solidarietà mentre lavorate e vi impegnate, giorno dopo giorno, a portare il Vangelo al vostro popolo. Nello stesso tempo desidero incoraggiarvi, in mezzo alle sfide e alle difficoltà, a riporre tutta la vostra fiducia in nostro Signore Gesù Cristo, "il Pastore supremo" (1P 5,4), che è sempre con la sua Chiesa. Il mio desiderio di rivolgermi a voi è motivato dal mio stesso ministero di successore di Pietro e quindi di primo servitore dell'unità e dell'universalità della Chiesa. In questo momento vorrei meditare insieme a voi, pastori delle Chiese particolari degli Stati Uniti, su alcuni aspetti di questo ministero petrino.

Anche se veramente gravoso, esso è alleviato dalla grazia di Dio e dalla vostra collaborazione fraterna nonché dalle vostre preghiere, e per tutto ciò vi sono profondamente grato. L'autentico mistero della Chiesa ci impone di riconoscere che la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica è presente in ogni Chiesa particolare del mondo. E poiché il successore di Pietro è stato costituito per tutta la Chiesa pastore e vicario di Cristo, tutte le Chiese particolari - proprio per il fatto che sono cattoliche, proprio per il fatto che comprendono in se stesse il mistero della Chiesa universale - sono chiamate a vivere in comunione con lui.

Il nostro rapporto di comunione ecclesiale - "collegialitas effectiva et affectiva" - si manifesta nello stesso mistero della Chiesa. E proprio per il fatto che siete pastori di Chiese particolari in cui sussiste la pienezza della Chiesa universale, voi siete e dovete essere sempre in piena comunione con il successore di Pietro. Riconoscere il vostro ministero quali "vicari e delegati di Cristo" per le vostre Chiese particolari è comprendere tanto più chiaramente il ministero del Soglio di Pietro, che "presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime e insieme veglia affinché ciò che è particolare non solo non nuoccia all'unità, ma piuttosto la serva" (LG 27 LG 13). Promuovere l'universalità della Chiesa, tutelare le sue legittime varietà, garantire la sua unità cattolica, confermare i vescovi nella loro fede e nel loro ministero apostolico, presiedere nell'amore - a tutto questo è chiamato da Cristo il successore di Pietro. Questo servizio petrino per volontà di Cristo è rivolto al bene della Chiesa universale e a tutte le comunità ecclesiali che la compongono. Per questo motivo mi sforzo di essere al servizio di tutti i vescovi della Chiesa, affinché insieme in un unico Collegio, e ognuno col suo diverso ruolo, tutti possiamo servire la Chiesa di Cristo nel mistero specifico che ci è stato conferito quali vescovi. E' la consapevolezza del ruolo che mi è proprio nella Chiesa, soprattutto nei confronti della sua unità e universalità, che mi ha spinto a fare tutto il possibile per confermare i miei fratelli vescovi di tutto il mondo nel loro ministero collegiale. In molti modi specifici ho cercato di essere al vostro servizio, miei confratelli vescovi degli Stati Uniti, riponendo in voi la mia piena fiducia e facendo assegnamento sulla vostra collaborazione.


2. Data la grande importanza della formazione dei seminaristi, e con il proposito di assistervi in una delle vostre maggiori responsabilità nella Chiesa, avevo richiesto una visita apostolica ai seminari del vostro Paese. Questo progetto era stato affidato al vescovo John Marshall di Burlington. Egli, a sua volta, ne ha condiviso la responsabilità con molti collaboratori competenti, che hanno visitato i seminari di tutto il Paese, e si sono consultati a lungo con i rettori, il personale e gli studenti di ogni istituto. Scopo del progetto era quello di fare tutto il possibile per garantire l'applicazione sempre più fedele del Concilio Vaticano II alla formazione dei seminaristi. La visita ha incontrato una meravigliosa collaborazione e interesse, a cominciare dai vescovi dei seminari visitati. Il vescovo Marshall ha conferito con la Santa Sede in numerose occasioni e io desidero ringraziarlo ancora una volta per la sua zelante attività. Il mio ringraziamento va anche a tutti coloro che si sono impegnati tanto generosamente insieme a lui, e agli stessi seminaristi. La prima fase della visita si è già conclusa. La Congregazione per la educazione cattolica ha fatto le sue proposte e i suoi commenti e ha espresso grande soddisfazione per tutto il bene compiuto nel corso dell'operazione. Il card. Baum ha reso noti a voi e a me tutti i risultati positivi e le raccomandazioni fatte. Rimangono da completare altre fasi, e ulteriori miglioramenti debbono essere apportati, ma il modo in cui la visita è stata condotta fa onore alla Chiesa degli Stati Uniti e suscita grande speranza per il futuro. Sono convinto che molti erano aperti alla grazia dello Spirito Santo e che la nostra iniziativa collegiale è stata benedetta dal Signore.


3. Ho manifestato inoltre il mio impegno a servire la Chiesa degli Stati Uniti con la Pontificia Commissione per la vita religiosa che ho istituito nel 1983, nominando l'arcivescovo John Quinn delegato pontificio, e membri l'arcivescovo Thomas Kelly e il vescovo Raymond Lissard. Compito di questi vescovi, come ho illustrato nella mia lettera intitolata "In questo Anno santo straordinario" era "di facilitare l'opera pastorale dei loro confratelli vescovi degli Stati Uniti nell'aiutare i religiosi del vostro paese i cui Istituti sono impegnati in attività apostoliche, affinché essi vivano in pieno la propria vocazione ecclesiale". Ho chiesto alla "Commissione di consultarsi con un certo numero di religiosi per trarre vantaggio dalle intuizioni derivanti dall'esperienza della vita religiosa vissuta in unione con la Chiesa". Inoltre ho chiesto alla Commissione di prendere in esame il problema del calo delle vocazioni religiose e "in collaborazione con i religiosi, valendosi delle intuizioni dei singoli religiosi e dei superiori maggiori, di analizzare i motivi di questo calo nelle vocazioni". Tutto ciò è stato chiesto "con l'intenzione di incoraggiare una nuova crescita e un nuovo passo in avanti in questo importantissimo settore della vita della Chiesa". Anche se la decisione di intraprendere quest'iniziativa è stata mia, questa mi è stata suggerita dai vescovi americani che ne avevano prevista l'utilità. Questa Commissione ha lavorato intensamente per aiutarvi "a rendere uno speciale servizio pastorale ai religiosi delle vostre diocesi e del vostro Paese", così come avevo richiesto. Mentre lavorava in stretto contatto con voi, la Commissione mi teneva informato. Sono molto grato all'arcivescovo Quinn, all'arcivescovo Kelly e al vescovo Lissard per la loro continua e zelante collaborazione. Inoltre sono profondamente grato a tutti voi, vescovi degli Stati Uniti, per la vostra risposta. E' stata invero una meravigliosa risposta di generosità personale e collaborazione collegiale verso l'obiettivo pastorale di incoraggiare "i religiosi, i loro Istituti e associazioni a vivere pienamente il mistero della redenzione, in unione con tutta la Chiesa e secondo lo specifico carisma della loro vita religiosa". La mia profonda stima va anche agli stessi religiosi che hanno lavorato così generosamente con voi per rispondere all'appello della Chiesa.

Sono passati più di tre anni di lavoro costante da parte della Pontificia Commissione, e ho appena ricevuto il suo rapporto finale. Ho ricevuto inoltre molte lettere sulla vita religiosa nelle vostre diocesi che voi vescovi, quali "testes fidei", mi avete inviato. Questo rapporto e queste lettere continueranno ad essere esaminati, e, successivamente, saro in grado di darvi una risposta. Anche se il lavoro della Pontificia Commissione è terminato, il ministero pastorale e la responsabilità dei vescovi nei confronti della vita religiosa rimangono, e vorrei chiedere a tutti voi di continuare ad esercitare questa missione che vi è propria in conformità alla suddetta lettera e al documento allegato alla lettera, "Elementi essenziali", che è una sintesi dell'insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa. Nel ringraziarvi per la vostra solidarietà e collaborazione riguardo a questo problema di immensa importanza per la Chiesa degli Stati Uniti e per la Chiesa universale, ringrazio anche nostro Signore Gesù Cristo che ci ha concesso, lavorando insieme nel ministero pastorale, di essere al servizio della sua Chiesa.


4. Con grande gioia attendo la mia visita pastorale negli Stati Uniti, che avrà luogo dal 10 al 18 settembre del prossimo anno e che comprenderà Miami, Columbia nella Carolina del Sud, New Orleans, San Antonio, Phoenix, Los Angeles, Monterey e San Francisco. Mi rammarico di non aver potuto accettare per ora gli altri numerosi inviti ricevuti. Nel corso della mia visita saro tuttavia profondamente unito in spirito con tutte le vostre Chiese particolari. Scopo della mia visita pastorale è quello di celebrare con voi la nostra unità in Gesù Cristo e nella sua Chiesa, di proclamare Gesù Cristo e il suo Vangelo e di confermarvi tutti nella fede e nell'amore. Non vedo l'ora di essere insieme a tutti i sacerdoti, i diaconi, i religiosi, i seminaristi e i laici; e mi rallegrero nel vedere ancora una volta in prima persona "il vostro impegno nella fede, la vostra operosità nella carità e la vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (1Th 1,3). Non vedo l'ora di far visita ai vostri fratelli cristiani, ai vostri fratelli credenti e a tutti gli americani di buona volontà.

Intanto, amati confratelli nell'episcopato, continuiamo a meditare sul grande mistero della Chiesa universale e di tutte le Chiese particolari che partecipano della sua vita e unità. Sarà per tutti noi una fonte di gioia e di forza, di coraggio e di fiducia. Ringraziamo il Signore Gesù che ci ha chiamati a condurre il suo popolo nel suo nome, e con lui a "riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52). Affido nuovamente voi e tutto il vostro popolo alla Vergine Immacolata Madre di Dio, Patrona degli Stati Uniti, e nell'amore di Cristo Gesù vi imparto la mia apostolica benedizione. Dal Vaticano, 4 novembre 1986.

Data: 1986-11-04 Martedi 4 Novembre 1986









Al Colloquio cattolico-ebraico - Città del Vaticano (Roma)

Dal dialogo il comune impegno per la giustizia e la pace


Cari amici.


1. Sono molto felice di darvi il benvenuto in occasione del vostro Colloquio teologico internazionale cattolico-ebraico. Nel 1985 la Facoltà di teologia della Pontificia Università San Tommaso d'Aquino, la Lega Antidiffamazione del B'nai B'rith, il Centro Pro Unione e il "Servizio di Documentazione ebreo-cristiana" (SIDIC), in cooperazione con la Commissione della Santa Sede per le relazioni religiose con gli ebrei, apri questa serie di ricerche teologiche per commemorare il ventesimo anniversario della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate". In accordo con lo spirito e le prospettive del Concilio il tema scelto per il vostro secondo Colloquio che si è ora concluso è: "Salvezza e redenzione nelle tradizioni teologiche ebraiche e cristiane e nella teologia contemporanea".


2. La contemplazione del mistero della redenzione universale ispiro il profeta Isaia a domandarsi: "Chi ha diretto lo spirito del Signore e come consigliere gli ha dato suggerimenti? A chi ha chiesto consiglio perché lo istruisse e gli insegnasse il sentiero della giustizia e lo ammaestrasse nella scienza e gli rivelasse la via della prudenza? (Is 40,13-14 Rm 11,34). Noi siamo invitati a ricevere con umile docilità il mistero dell'amore di Dio, Padre e Redentore, e a contemplarlo nel nostro cuore per esprimerlo nelle nostre opere e nella nostra lode. La riflessione teologica è parte della tipica risposta dell'intelligenza umana e rende testimonianza alla nostra cosciente accettazione del dono di Dio.

Allo stesso tempo le altre scienze umane come storia, filosofia e altre offrono il loro contributo a un organico approfondimento della nostra fede. Ecco perché sia la tradizione cristiana che quella ebrea hanno sempre avuto grandi apprezzamenti per gli studi religiosi. Onorando le nostre rispettive tradizioni, il dialogo teologico basato su una sincera stima può contribuire grandemente alla mutua conoscenza dei rispettivi patrimoni di fede e può aiutarci ad essere più consapevoli dei nostri legami nella comprensione della nostra salvezza.


3. Il vostro colloquio può aiutare a impedire l'incomprensione e il sincretismo, la confusione delle vicendevoli identità di credenti, l'opera e il sospetto del proselitismo. Voi state effettivamente portando avanti gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, che è stato il tema del seguente documento della commissione della Santa Sede per le relazioni con gli ebrei. Questo mutuo sforzo approfondirà la costruzione della giustizia e della pace tra tutti i popoli, figli dello stesso Padre celeste. Con questa comune speranza di pace, esprimiamo con fiducia la nostra lode con le parole del salmo: "Lodate il Signore, popoli tutti, voi tutte nazioni dategli gloria; perché forte è il suo amore per noi e la fedeltà del Signore dura in eterno. Alleluia".


4. Come ho detto recentemente ad Assisi, i cristiani sono convinti che la vera pace sia da trovare in Gesù Cristo salvatore di tutti. "Egli è venuto perciò ad annunciare la pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini" (Ep 2,17 Is 57,17 Lc 9,10Mt 5,17 Ph 2,8

Laddove la fede in Gesù Cristo ci distingue e ci separa dai nostri fratelli e sorelle ebrei, noi possiamo al tempo stesso affermare con profonda convinzione "il legame spirituale che unisce il popolo delle Nuova alleanza alla stirpe di Abramo" (NAE 4). In questo modo abbiamo qui un legame che nonostante le nostre differenze ci rende fratelli; è un mistero di grazia insondabile che noi osiamo scrutare, con gratitudine a Dio che ci permette di contemplare insieme il suo piano di salvezza.

Grati per ogni iniziativa che promuove il dialogo tra cristiani ed ebrei e specialmente per questo Colloquio teologico internazionale cattolico-ebraico, imploro la benedizione di Dio onnipotente su tutti voi e prego perché il vostro lavoro porti a una migliore comprensione e incrementi le relazioni tra ebrei e cristiani.

Data: 1986-11-06 Giovedi 6 Novembre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)