GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Wellington (Nuova Zelanda)

Omelia alla concelebrazione - Wellington (Nuova Zelanda)

In Cristo Re tutta la pienezza della storia


Cari fratelli e sorelle.


1. Ringraziamo "il Padre che ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1,12-13).

Oggi nella solennità di Cristo Re, è mio onore e privilegio proclamare l'unità della Chiesa universale in questa terra del Pacifico: qui a Wellington, capitale della Nuova Zelanda. E' con immensa gioia che oggi celebro con voi l'Eucaristia. Il mio cuore è colmo di un profondo senso di gratitudine per aver avuto la possibilità di unire la mia voce alla vostra nel lodare e glorificare la santissima Trinità. Saluto con fraterno affetto l'arcivescovo di questa sede, il card.

Thomas Williams, il vescovo Cullinane e gli altri miei confratelli nell'episcopato. Insieme a loro saluto cordialmente tutti i miei fratelli sacerdoti, religiosi e religiose nonché tutti i fedeli, in particolare quelli che appartengono all'arcidiocesi di Wellington e alla diocesi di North Palmerstone. A tutti voi dico: Rendiamo grazie al Padre! "E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre. Ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto!" Si, il Figlio che egli ama! Quello stesso Gesù di Nazaret, su cui fu udita una voce proveniente dall'alto dire: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (Lc 9,35).


2. La liturgia ci conduce oggi al luogo in cui le parole di san Paolo trovano conferma in modo definitivo, il luogo in cui la verità della redenzione è rivelata pienamente. Siamo sul Calvario al momento della crocifissione. Insieme a Gesù anche due malfattori vennero crocifissi. Uno di loro lo insulto dicendo: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!". Ma l'altro invece disse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Lc 23,39 Lc 23,42). Questi credeva nel regno del Cristo crocifisso. Egli credeva in quel regno che si avvicina a ogni persona umana attraverso Cristo crocifisso. In verità, non furono la carne e il sangue a rivelare a lui questa verità, ma il Padre - quel Padre che ci ha liberati "dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto" (Col 1,13). Il Figlio Gesù, agonizzante sulla croce, così rispose al suo fratello crocifisso: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso" (Lc 23,43).


3. Il tema principale della liturgia di oggi è riassunto in questa frase: "La pace del cuore è il fondamento della pace". Queste parole sulla solennità di Cristo Re vengono confermate da quanto afferma san Paolo nella seconda lettura. Cristo, l'immagine del Dio invisibile, è al tempo stesso "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15). Inoltre, "Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui, che ha ristabilita la pace col sangue della sua croce, volle riconciliare con sé tutto ciò che esiste sulla terra e nei cieli" (Col 1,19-20).

La pace del cuore, pace dell'umana coscienza, è precisamente il frutto di questa riconciliazione attraverso la croce.


4. L'immagine di Cristo agonizzante sulla croce, tra i due malfattori, è un simbolo meraviglioso del mistero della riconciliazione. In primo luogo, essa mostra in modo chiaro i terribili effetti del peccato, la dura e terribile realtà del male, le spaventose conseguenze della disobbedienza e dell'allontanamento da Dio. Chi potrebbe guardare la croce di Cristo, senza riconoscere la realtà del peccato? E senza vederne anche gli effetti distruttivi? Il peccato è un atto individuale che spezza il proprio rapporto con Dio e che indebolisce l'intelletto e la volontà. Il peccato si ripercuote inoltre sugli altri. "Non c'è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull'intera famiglia umana" (RP 16). Il passo del Vangelo odierno ci ricorda una realtà ancora più grande del peccato, una verità più alta e importante: vale a dire l'amore redentore di Cristo, un amore che è più forte del male, più forte della morte. E' stato proprio in questo preciso momento della storia umana, quando stava offrendo la sua vita per noi sulla croce, che "Dio volle riconciliare a sé il mondo in Cristo" (2Co 5,19). Come san Paolo dice riguardo a questo evento di amorevole misericordia, "mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati" (Ep 1,7). Si, Cristo sulla croce "ha riconciliato a sé il mondo" (2Co 5,19), tutta l'umanità di ogni tempo e luogo, "le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1,20). Per questo il Figlio di Dio venne nel mondo: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). Eppure la riconciliazione viene offerta ad ogni persona individualmente.

Ognuno deve decidere liberamente se accettarla o rifiutarla. Dobbiamo ricordare i due malfattori crocifissi insieme a Gesù. Ognuno di loro, agendo secondo una propria libera scelta, rispose a Gesù, in maniera diametralmente opposta. Dio rispetta la nostra libertà umana. Egli generosamente ci offre il dono della riconciliazione, ma non ci costringe ad accettarlo. Egli ci dà la libertà di rifiutarlo. Sta a noi scegliere liberamente se appartenere al regno di Dio.


5. E se desideriamo appartenere al regno di Dio, quali saranno i modi in cui tale regno comincerà a radicarsi nel cuore umano? Come potranno la riconciliazione e la pace giungere in noi stessi? Innanzitutto attraverso la preghiera. Mi riferisco sia alla preghiera liturgica, nella quale ci uniamo a Cristo, il Sommo Sacerdote, nel culto ufficiale della Chiesa, che alla preghiera individuale nella quale incontriamo il Signore soli nel profondo della nostra anima. La preghiera apre la mente e il cuore a Dio.

Essa approfondisce l'ardente desiderio che abbiamo di appartenere al suo regno. La preghiera ci unisce consapevolmente alla comunione dei santi che ci sostengono con la loro continua intercessione. In secondo luogo è accettando il messaggio del Vangelo che si ottiene la pace. Gesù inizio la sua predicazione pubblica con un invito alla conversione: "Convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). La Chiesa continua la missione di Cristo, condannando il peccato, esortando gli individui alla conversione e invitandoli a riconciliarsi con Dio. E in ogni epoca la Chiesa proclama la bontà e la misericordia del Signore. Essa ci invita tutti a "deporre tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia" e a "correre con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede" (He 12,1-2).

Il dialogo rappresenta un'ulteriore via verso la riconciliazione e la pace, quel dialogo di fede che deriva da un profondo rispetto per il prossimo e dalla fiducia nel trionfo finale della verità. Per far si che un sincero dialogo si instauri, "occorre che tutti ci confrontiamo con la parola di Dio e, abbandonate le proprie vedute soggettive, cerchiamo la verità laddove essa si trova, cioè nella stessa divina Parola e nell'interpretazione autentica, che ne dà il magistero della Chiesa" ("Reconciliatio ei Paenitentia", 25). A questo proposito, sono lieto di sapere che in Nuova Zelanda vi state impegnando a diffondere una maggiore conoscenza della parola di Dio e ad approfondire il vostro amore per Cristo. Le vie della conversione implicano la penitenza, la carità, il digiuno e tutto ciò che ci aiuta veramente a sostituire il peccato con la libertà spirituale, l'egoismo con la giustizia e l'amore, l'odio con il desiderio di pace.

Attraverso tutti i sacramenti della Chiesa, Cristo stesso costruisce il regno di Dio nei nostri cuori. Nell'Eucaristia, noi accogliamo l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo e che dona a noi la pace. Con il sacramento della Penitenza il Signore si riconcilia con noi inviandoci nel mondo come servitori della riconciliazione. Ogni sacramento, a suo modo, ci unisce al nostro Salvatore risorto e rinnova in noi i doni dello Spirito Santo.


6. La pace, come l'amore, nasce da un cuore nuovo, un cuore rinnovato dal dono divino della riconciliazione. Un cuore rinnovato è il fondamento della pace nel mondo. Tutte le azioni autenticamente umane, vengono dal cuore, fulcro interiore della persona umana, dimora della nostra coscienza e delle nostre più profonde convinzioni. E' questo il motivo per cui la pace del cuore è il cuore della pace: pace in seno alle famiglie, pace nei villaggi, nelle cittadine e nelle metropoli, pace tra le nazioni, e nella vita internazionale. La pace ovunque nel mondo, è possibile soltanto se essa regnerà prima di tutto nei cuori. Ma questa pace interiore è continuamente minacciata nel mondo moderno.

E' corrotta dalle passioni umane: dall'odio, l'invidia, il desiderio di potere, l'orgoglio, il pregiudizio e da un desiderio smodato di ricchezza. Violenza e guerra derivano dalla cecità del nostro spirito e dal disordine dei nostri cuori.

Entrambi conducono all'ingiustizia, che a sua volta provoca tensioni e conflitti.

Inoltre, le coscienze degli individui, sono oggi spesso disorientate da strumentalizzazioni ideologiche dell'informazione. Chiaramente ci vuole molto coraggio per aprire noi stessi alla conversione dei cuori e per custodirla in umiltà e libertà. Gli ostacoli alla pace sono molti. "Essi sono gravi e comportano serie minacce. Ma poiché dipendono dallo spirito, dalla volontà e dal "cuore" umano, con l'aiuto di Dio gli uomini possono superarli. Devono rifiutarsi di cedere al fatalismo e allo scoraggiamento. Alcuni segni positivi traspaiono già attraverso le ombre" (Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1984, n. 5). E non dimentichiamoci mai che la vittoria finale sulle tenebre è stata già conseguita da Gesù Cristo, Luce del mondo.


7. La nostra speranza nella vittoria della pace, è radicata nella nostra fede in Dio, creatore del cielo e della terra. E' proprio dal principio, nell'atto della creazione stessa, che la bontà e la provvidenza divina si sono rivelate. Come dice il libro della Genesi: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). Il mondo creato, non è il risultato del caso. Esso deriva dall'amore di Dio; è sorretto dall'amore di Dio, e tutti gli eventi della storia umana dipendono dall'amorevole Provvidenza divina. Nel meraviglioso evento dell'incarnazione - il mistero di Dio che si fa uomo - noi comprendiamo molto meglio il mistero della creazione. Poiché Cristo è, come dice san Paolo, "generato prima di ogni creatura, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili" (Col 1,15-16). Egli ha amato così tanto il mondo fin dall'inizio da unirsi all'umanità attraverso la natura umana di Gesù suo Figlio diletto. Gesù, in quanto divino e umano, ha potuto sanare ciò che il peccato aveva distrutto; egli ha potuto riportare la creazione al suo destino originario.

Quindi, come dice san Paolo, "piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1,19-20). Il mistero della creazione è dunque parte della nostra celebrazione di oggi in questa gioiosa festa di Cristo Re, poiché Cristo è anche il Signore del cielo e della terra, colui che ha riconciliato a sé tutto il creato "rappacificando con il sangue della sua croce" (Col 1,20). Con cuore grato lodiamo il Signore con le parole del Salmo: "Riconoscete che il Signore è Dio. / Egli ci ha fatti e noi siamo suoi, / suo popolo... / lodatelo e benedite il suo nome, / poiché è buono il Signore, / eterna la sua misericordia, / la sua fedeltà per ogni generazione" (Ps 99,3-5).


8. Dio ci ha creati. Non solo egli ci ha creati, ma ci ha anche "messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto... per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili.

Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Col 1,12-17).

Cristo Re è il principio. Egli è il primo a risorgere dalla morte.

Cristo Re, è il capo del suo corpo che è la Chiesa. In lui noi abbiamo la redenzione, il perdono dei nostri peccati. In Cristo Re, dimora tutta la pienezza! Amen. [Al termine della concelebrazione:] Ringrazio l'arcivescovo di Wellington e il vescovo di Palmerston North per le parole che mi hanno rivolto. Il card. Williams ha ricordato la mia precedente visita a Wellington nel 1973. Venni in quella occasione per visitare i miei fratelli e le mie sorelle polacchi. Venni anche in missione speciale presso il Governo e la popolazione neozelandese per dare atto della solidarietà dimostrata dopo la seconda guerra mondiale allorché furono invitati spontaneamente in questo Paese numerosi orfani di soldati polacchi caduti durante la guerra. Questi orfani, oggi presenti tra noi, erano allora dei bambini. Oggi sono padri e madri, genitori di famiglie che hanno propri figli.

Vorrei rivolgere loro qualche parola nella nostra lingua madre.

Cari connazionali, mi rallegro di potervi visitare nuovamente. Questa visita non è rivolta unicamente a voi, ma all'intera Chiesa. So pero che ci siete, che costituite una parte viva di questo società - della Nuova Zelanda, lontana dalla Polonia - e nello stesso tempo della stessa Chiesa cattolica. così, come in Polonia, anche qui vi riunite davanti all'immagine di Nostra Signora di Jasna Gora, con i vostri pastori e con i vescovi di qui. Desidero ripetervi tutto ciò che già vi ho detto tredici anni fa: Dio vi benedica in questa nuova terra, che è divenuta la vostra nuova patria, almeno per i vostri bambini. Ricordatevi pero che le vostre radici sono là, che di là siete nati e questo legame con la patria, il cui cammino storico non è facile, richiede una particolare solidarietà. Che Dio vi benedica, che sostenga tutte le vostre comunità, che benedica la vostra unione con la gente di qui e il legame con la vostra vecchia benemerita patria sulla Vistola, con la Polonia.

Sono molto felice di trovarmi tra voi in questa particolare ricorrenza domenicale, la solennità di Cristo Re. Stiamo celebrando il regno di Cristo.

Stiamo vivendo in questo regno. L'intera umanità sta vivendo in questo regno. E' questa la nostra fede. Noi celebriamo questa nostra fede ogni giorno, ma particolarmente oggi. Rendiamo grazie a Dio. Dio vi benedica tutti, voi tutti, ogni comunità con la sua differente storia, con le sue differenti radici, sia in Nuova Zelanda che al di fuori di essa. Grazie a voi tutti, a ognuno di voi, per la vostra partecipazione. Ringrazio i miei confratelli vescovi e i miei confratelli sacerdoti, per la loro concelebrazione. E dico: sia lodato Dio! Sia lode al Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'universo.

Data: 1986-11-23 Domenica 23 Novembre 1986




Angelus e Affidamento a Maria - Wellington (Nuova Zelanda)

Nel si di Maria la svolta della storia della razza umana



1. Al termine di questa Messa in onore di Cristo Re, rivolgiamo per un momento i nostri pensieri alla sua santa Madre, e ci uniamo nella preghiera dell'Angelus.

Questa bella preghiera inizia con le parole: "L'angelo del Signore porto l'annuncio a Maria". Dio Padre prende l'iniziativa e manda il suo messaggero a invitare Maria ad essere la Madre del suo Figlio amatissimo. San Luca ci dice: "L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria" (Lc 1,26-27).


2. Il momento più grande nella vita di Maria comincio con l'iniziativa di Dio. Per mezzo dell'angelo Gabriele, Dio invita; e in umile disponibilità Maria risponde.

Dio propone e Maria accetta. "Fiat", ella dice: "Avvenga di me quello che tu hai detto" (Lc 1,38). Questo è il momento in cui Maria diventa la Madre di Dio. Questa è la svolta di tutta la storia della razza umana, il momento in cui Dio si fa uomo. Questo è il modo in cui Maria ha accettato il mistero dell'incarnazione, il modo in cui essa ha accettato di diventare la Madre di Dio.


3. Nella storia della salvezza e nella vita di ciascuno di noi, Dio continua incessantemente a prendere l'iniziativa, chiedendoci di rispondere nella fede, invitandoci a dare il nostro assenso. E' Dio che prende l'iniziativa, perché è Dio che dirige il corso della storia. Come dice il Signore per mezzo del profeta Geremia: "Io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo... progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza" (Jr 29,11).

Recitiamo l'Angelus col desiderio di diventare più simili a Maria, di avere una profonda fiducia nel piano di Dio per noi, una grande fiducia nella sua amorevole provvidenza. E desideriamo dire con lei: "Avvenga di me quello che tu hai detto". Dobbiamo rispondere con fede e speranza alla grande rivelazione dell'amore di Dio per il mondo.


4. Nel rivolgere questa preghiera alla Beata Vergine Maria, desidero affidare alla sua amorevole protezione tutta la Chiesa della Nuova Zelanda. Affido alla sua cura tutti gli amati fedeli di questo Paese, insieme ai loro vescovi, ai sacerdoti e ai religiosi. Ti prego, santa Madre di Dio, di voler aiutare i poveri e i sofferenti, ottenere il perdono per i peccatori, portare gioia agli afflitti e condurre tutti i tuoi figli e le tue figlie della Nuova Zelanda alla felicità della vita eterna, con gli angeli e i santi, nel regno di Gesù, tuo Figlio. Amen.

Data: 1986-11-23 Domenica 23 Novembre 1986




Ad ammalati, anziani e handicappati - Wellington (Nuova Zelanda)

L'unzione degli infermi per dare forza nella sofferenza


"A voi è vicino il regno di Dio" (Lc 10,9). Cari fratelli e sorelle.


1. Nel giorno della Festa di Cristo Re, sono lieto di essere con voi che in modo speciale partecipate alle sofferenze del nostro Salvatore. Vi saluto nel nome di Gesù, che è la nostra forza e la nostra speranza. E porgo cordiali saluti anche a coloro che hanno accompagnato i nostri fratelli e sorelle sofferenti in Cristo. E' una grande gioia essere con tutti voi qui a Wellington. Mentre pregavo e preparavo la mia visita pastorale in Nuova Zelanda, attendevo in modo particolare di incontrarmi con i malati, gli anziani, gli handicappati e gli infermi. Attendevo con impazienza questa occasione nella quale ci saremmo uniti in preghiera e avremmo celebrato questa liturgia dell'Unzione degli infermi. Ora che sono insieme a voi, posso assicurarvi che voi occupate un posto particolare nel mio cuore e nella vita della Chiesa. Le vostre preghiere e i vostri sacrifici hanno un grande potere perché contribuiscono molto alla missione di salvezza della Chiesa. Cari fratelli e sorelle in Cristo: "A voi è vicino il regno di Dio"! La sola volta che fu chiesto a Gesù: "Sei tu re?" (Jn 18,28) fu durante la sua passione, nel periodo della sua più grande sofferenza. E' stato proprio attraverso la sua sofferenza e la sua morte che egli ci ha conquistato il dono della redenzione e ha stabilito in modo definitivo il suo regno. Forse ciò ci aiuta a comprendere meglio perché Gesù ha dato le seguenti istruzioni ai suoi discepoli quando per la prima volta li ha inviati nel mondo: "Se entrate in una città e siete bene accolti, mangiate ciò che vi sarà presentato, guarite i malati che vi saranno e dite loro: "A voi è vicino il regno di Dio"" (Lc 10,8-9). Dio desidera avvicinarsi ad ogni persona umana, ma con particolare tenerezza ai malati.


2. La sofferenza umana, tuttavia, ci induce a dubitare delle parole di Gesù che il regno di Dio è vicino. Quando il dolore offusca la mente e indebolisce il corpo e l'anima, Dio può sembrare molto lontano, la vita può diventare un peso insopportabile. Siamo tentati di non credere alla buona novella. Perché, come dice il Libro della Sapienza, "Il nostro corpo corruttibile è di peso all'anima e questa tenda di creta grava la mente nei suoi pensieri" (Sg 9,15). Il mistero del dolore umano opprime il malato e fa sorgere nuove e inquietanti domande: perché Dio mi lascia soffrire? A quale scopo? Come può Dio, che è così buono, permettere tanto male? Non ci sono risposte facili per queste domande poste da menti e cuori afflitti. Naturalmente non si riesce a trovare una risposta soddisfacente senza la luce della fede. Dobbiamo gridare a Dio, nostro Padre e Creatore, come fece l'autore del Libro della Sapienza: "Con te c'è la sapienza che conosce le opere pie... Mandala dunque dai tuoi santi cieli... affinché mi diriga nel mio operare e mi faccia conoscere quale cosa ti è più gradita" (Sg 9,9-10).


3. Il nostro Salvatore conosce bene le particolari necessità di coloro che soffrono. Dall'inizio della sua vita pubblica, mentre predicava la buona novella del regno, "egli passava facendo del bene e guarendo" (Ac 10,38). Quando egli mando nel mondo i suoi discepoli in missione, conferi loro uno speciale potere e chiare istruzioni per seguire il suo esempio. Durante la sua predicazione Gesù chiarisce che, sebbene la malattia sia legata alla condizione di peccato dell'umanità, nei casi individuali essa non è certo una punizione di Dio per i peccati personali. Quando a Gesù fu chiesto quale peccato avesse causato la cecità di un uomo, egli rispose: "Né lui né i suoi genitori hanno peccato; è nato cieco perché si manifestino in lui le opere di Dio" (Jn 9,3). Che buona novella inaspettata era questa per i suoi seguaci! Questa sofferenza non è un castigo divino. Al contrario è voluta a fin di bene: "affinché si manifestino le opere di Dio"! E in verità, sono state le sofferenze e la morte di Cristo a mostrare le opere di Dio nel modo più eloquente. Attraverso il suo mistero pasquale Gesù ci ha conquistato la salvezza. Il dolore e la morte, se accettati con amore e offerti con fede a Dio, diventano la chiave per la vittoria eterna, il trionfo della vita sulla morte, il trionfo della vita attraverso la morte.


4. Per mezzo di uno speciale sacramento, la Chiesa continua il ministero di Gesù della cura dei malati. così la liturgia dell'Unzione degli infermi che oggi celebriamo continua fedelmente l'esempio del nostro amato Salvatore.

Questo sacramento si comprende meglio nel contesto dell'attenzione che ha la Chiesa nei confronti dei malati. Perché è il culmine di molti e diversi sforzi pastorali compiuti a favore degli infermi nelle loro case, negli ospedali e in altri luoghi. E' il culmine di un intero programma di servizio amorevole in cui sono coinvolti tutti i membri della Chiesa. Ciò che noi stiamo celebrando oggi è fedele all'esempio dato da Gesù e alle istruzioni di san Giacomo, che ha scritto: "Se uno di voi è infermo chiami gli anziani della Chiesa: essi preghino per lui, ungendolo con olio nel nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato, il Signore lo solleverà e se ha commesso dei peccati, sarà perdonato" (Jn 5,14-15). Oggi in Nuova Zelanda il successore di Pietro continua questa tradizione dell'unzione degli infermi, che la Chiesa indica come uno dei sette sacramenti del Nuovo Testamento istituiti da Cristo. E' giusto che tutti noi, anche gli anziani e i malati, ricordiamo che la salute non è qualcosa data per scontata ma una benedizione che viene dal Signore.

Non è neanche qualcosa che dobbiamo compromettere con l'abuso di alcool e droghe o in qualsiasi altro modo. Perché, come dice san Paolo, "Il vostro corpo, sapete, è tempio dello Spirito Santo... Glorificate dunque Dio nel vostro corpo" (1Co 6,19-20). Facendo il possibile per mantenerci in buona salute noi possiamo servire il prossimo e assolvere le nostre responsabilità nel mondo. Tuttavia, quando ci si ammala, noi abbiamo questo speciale sacramento che ci assiste nella nostra debolezza e ci dona la presenza di Cristo che fortifica e guarisce.


5. Coloro che sono gravemente malati sentono profondamente il bisogno dell'aiuto di Cristo e della Chiesa. Oltre il dolore fisico e la debolezza, la malattia porta con sé grandi ansie e paure. Gli infermi sono soggetti a tentazioni che forse non hanno mai affrontato prima; possono anche essere condotti al limite della disperazione. L'Unzione degli infermi risponde a questi specifici bisogni, perché è un sacramento di fede, un sacramento per tutta la persona, corpo e anima.

Per mezzo dell'imposizione delle mani del sacerdote, l'unzione con l'olio e le preghiere, viene donata nuova grazia: "Questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l'uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l'ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma combatterlo e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale" (Rito dell'Unzione e della cura pastorale degli infermi, 6). L'Unzione degli infermi dona particolare consolazione e grazia a chi è vicino alla morte. Lo prepara ad affrontare questo momento finale della vita terrena con fede viva nel Salvatore risorto e con salda speranza nella risurrezione. Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che il sacramento non è destinato solo ai moribondi ma a tutti coloro che sono in pericolo di morte a causa di una malattia o per l'età avanzata. Il suo scopo non è solo quello di prepararci alla morte, che inevitabilmente giungerà per tutti noi, ma anche di darci forza nel periodo della malattia. Per questa ragione, la Chiesa esorta i malati e gli anziani a non aspettare il momento della morte per chiedere di ricevere il sacramento e ricorrere alla sua grazia.


6. La liturgia odierna afferma che il Signore è il buon pastore che ci conduce presso acque tranquille a rinfrescare la nostra anima stanca. Il salmista dice a Dio: "Tu prepari innanzi a me la mensa / di fronte ai miei nemici. / Mi ungi d'unguento la testa / e il mio calice trabocca" (Ps 22,5). L'unzione con l'olio è stata usata per indicare la guarigione, ma allo stesso tempo per indicare una particolare missione all'interno del popolo di Dio.

Nelle Scritture notiamo spesso che le persone che Dio ha scelto per una missione speciale ricevono un'unzione speciale, Ciò vale anche per voi infermi e anziani.

Voi avete un ruolo importante nella Chiesa. In primo luogo, la grande debolezza che sentite, e in modo particolare l'amore e la fede con cui accettate questa debolezza, ricordano al mondo i più alti valori della vita e le realtà che veramente contano. Inoltre, i vostri dolori assumono un valore speciale, un carattere creativo, quando li offrite in unione a Cristo. Diventano agenti salvifici poiché partecipano al mistero della redenzione.

Per questa ragione san Paolo poteva dire: "Ora io godo delle sofferenze in cui mi trovo per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Per mezzo del dolore e dell'infermità che limita la vostra vita, voi potete predicare il Vangelo in modo molto efficace. La vostra stessa gioia e la vostra pazienza sono muti testimoni della potenza liberatrice di Dio che opera nella vostra vita.

7. Vorrei rivolgere una parola di ringraziamento a quelli di voi che si consacrano all'aiuto del prossimo. La Festa di Cristo Re che oggi celebriamo è una festa di servizio, in quanto è la festa di colui che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28). Durante la sua vita terrena, Gesù ci ha insegnato il significato del servizio, quell'amore che diventa azione per avvicinarci al regno di Dio. Vi incoraggio a continuare in questa vostra generosa dedizione verso coloro che soffrono. Con i vostri sforzi giornalieri voi testimoniate il valore di tutta la vita umana, in particolar modo di quella vita che è più fragile e più dipendente dagli altri. Il vostro aiuto agli ammalati, agli anziani, agli handicappati e agli infermi fa parte della proclamazione della Chiesa della bellezza della vita in genere, anche quando è debole. La vostra opera è in completo contrasto con tutti gli sforzi compiuti per sopprimere la vita con mali quali l'eutanasia e l'aborto. Voi vi siete schierati con tutte quelle persone nella società che sono decise a mantenere la loro posizione profetica in favore degli innocenti e dei più vulnerabili dei nostri fratelli e sorelle. Vi sono particolarmente grato perché avete così fedelmente rispettato il comandamento che Gesù diede ai suoi discepoli: "Curate i malati e dite loro "A voi è vicino il regno di Dio"". Si, il regno di Dio è vicino: il regno di Colui che è venuto per servire, il regno del buon pastore, il regno dove gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi, il regno di Cristo nostro Signore. Sia lode a lui.

Sia lodato Gesù Cristo nostro Re! Amen.

Data: 1986-11-23 Domenica 23 Novembre 1986




Ai vescovi nella nunziatura - Wellington (Nuova Zelanda)

Il Concilio, risposta alla sfida di una società secolarizzata


Eminenza! Cari fratelli nell'episcopato!


1. Il mio incontro con voi, che siete i vescovi della Chiesa della Nuova Zelanda, rappresenta un momento molto significativo della mia visita nel vostro Paese.

Questo momento di scambio fraterno ci dà l'opportunità di sperimentare nuovamente, con gioia e riconoscenza, i vincoli che ci uniscono in Cristo e nella sua Chiesa: il vincolo della piena comunione ecclesiale, il vincolo della consacrazione episcopale, il vincolo della responsabilità gerarchica e collegiale per la Chiesa, affidataci nei nostri rispettivi ministeri. Noi siamo uniti nei "vincoli dell'unità, della carità e della pace", che hanno caratterizzato i rapporti dei vescovi della terra tra di loro e con il vescovo di Roma fin dai tempi degli apostoli (cfr LG 22). Desidero assicurarvi dei miei profondi sentimenti di stima e di rispetto nel Signore per ciascuno di voi, e so di poter contare sul vostro sostegno di preghiera e sulla "vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo" (Ph 1,5). Per mezzo della grazia di Cristo, siamo stati chiamati a rispecchiare nel nostro stesso ministero quell'armonia di vita e di ministero alla quale gli apostoli diedero espressione con Pietro e sotto la sua guida (cfr Jn 21,3 Ac 1,15 Ga 2,7). Questo fecero loro, come anche noi facciamo oggi, in risposta al Signore stesso, "il pastore supremo" (1P 5,4) della Chiesa.


2. Il mio primo desiderio, pensando alla Chiesa della Nuova Zelanda, è di "ringraziare Dio per tutti voi... continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo" (1Th 1,2). La Chiesa nel vostro Paese ha 150 anni. Ci rallegriamo del fatto che in ogni generazione, laici - uomini e donne - pieni di zelo, sacerdoti e religiosi generosi hanno reso testimonianza, insieme ai loro vescovi, al mistero salvifico della redenzione in Gesù e alla legge evangelica dell'amore. Essi hanno nutrito il seme della parola di Dio e ne hanno curato la crescita. Ora, voi siete "subentrati nel loro lavoro" (Jn 4,38). Avete ricevuto la luce del Vangelo, che siete chiamati a trasmettere, in tutta la sua luminosità, alle generazioni presenti e future di neozelandesi. So con quanto amore e con quanta cura, con quanta compassione e preoccupazione pastorale svolgete il vostro ministero per il vostro popolo. A nome di tutta la Chiesa vi ringrazio e vi offro il mio incoraggiamento fraterno.


3. Ogni generazione si è trovata a dover affrontare le sfide del suo tempo. Oggi la Chiesa in Nuova Zelanda, come pure nel resto del mondo, vive un momento particolarmente intenso del suo pellegrinaggio terreno. Sono pienamente convinto, come ho detto prima, che il Concilio Vaticano II rimane "l'avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa moderna" (Discorso nella basilica di San Paolo, 25 gennaio 1985). In pieno accordo con la tradizione bimillenaria della Chiesa, il Concilio ha auspicato un autentico rinnovamento della comunità cristiana in una sempre maggiore fedeltà al Vangelo di grazia e di pace. Nel Messaggio al Mondo, che i Padri Conciliari pubblicarono all'inizio della prima sessione, essi dichiararono la loro intenzione di rinnovare se stessi, in modo da essere sempre più fedeli al Vangelo di Cristo e da "proporre agli uomini del nostro tempo integra e pura la verità di Dio, affinché essi stessi possano comprenderla e liberamente accettarla" (20 ottobre 1962). Riconosciamo tutti che il Concilio ha reso accessibili all'intero corpo ecclesiale gli insegnamenti, le direttive e le motivazioni richiesti per questo rinnovamento. E proprio qui sta la sfida particolare rivolta alla Chiesa della Nuova Zelanda, in questi decenni che precedono l'inizio del terzo millennio della storia cristiana.


4. Le vostre Chiese particolari in Nuova Zelanda sono profondamente coinvolte nell'opera di attuazione del Concilio. Voi siete giustamente orgogliosi della crescente coscienza di appartenere alla Chiesa, che ha messo radici nella mente e nel cuore di molti cattolici. Avete lavorato diligentemente affinché la liturgia divenisse un'esperienza vitale di preghiera e di adorazione per l'intera comunità, prevedendo una più vasta partecipazione del laicato alla sua preparazione e celebrazione. Avete cercato di avvicinare più chiaramente la coscienza dei fedeli e l'opinione pubblica all'insegnamento della Chiesa riguardo alla vita nella società: la famiglia, la cultura le questioni relative alla giustizia sociale, i problemi della gioventù. Vi incoraggio a continuare, nel rispetto per tutti e con grande amore per l'intero popolo di Dio affidato alle vostre cure, a far nostre nella vita delle comunità le direttive del Concilio e i conseguenti orientamenti pubblicati dal Magistero alla luce delle nuove esigenze. Non possiamo dubitare che lo Spirito Santo sia desideroso di promuovere nel vostro popolo, in voi che siete i vescovi, nei sacerdoti, nei religiosi e nei laici della Nuova Zelanda, tutto il potenziale di santità e di apostolato che il Concilio auspicava.


5. Tutto questo avviene sullo sfondo di una crescente secolarizzazione del mondo.

Il senso di Dio e della sua amorevole Provvidenza è diminuito in molte persone e addirittura in molti settori della società... L'indifferenza pratica nei confronti della verità e dei valori religiosi ottenebrano l'Amore divino. A volte i cristiani sono meno ferventi nella fede e meno zelanti nella pratica di quanto lo fossero prima. Voi siete giustamente preoccupati della diminuzione nella partecipazione alla Messa domenicale e ad altri sacramenti. L'esperienza cristiana a volte può ridursi a un atteggiamento troppo interiore del bene personale e all'assimilazione di alcuni vaghi principi che pero non sono sufficientemente chiari o forti di fronte all'attuale sfida posta alla fede. Una società secolarizzata deve nuovamente confrontarsi con tutto il Vangelo di salvezza in Gesù Cristo. Quali pastori del popolo di Dio, siamo inviati nel mondo moderno, agli uomini e alle donne del nostro tempo, "a predicare il Vangelo... perché non venga resa vana la croce di Cristo. La parola della croce infatti... è potenza di Dio" (Co 1,17-18). E questa, a sua volta, è la sfida che è di fronte a tutti i pastori della Chiesa. La perdita di una reale prospettiva religiosa nella società rappresenta una seria sfida alla fede e allo zelo dell'intera comunità ecclesiale, ma in modo particolare per i pastori della Chiesa. Nonostante la mole di questo compito, siamo pieni di speranza e di fiducia. Confidiamo in Cristo che "ci ha fatto dono del suo Spirito" (1Jn 4,13). E voi potete contare sul santo popolo di Dio della Nuova Zelanda che crede nella parola, trae alimento per la propria vita cristiana dai sacramenti e gode di speciali doni per il rinnovamento e l'edificazione della Chiesa e del mondo. Uno dei principali aspetti della risposta alla situazione spirituale del nostro tempo è infatti l'appello profetico del Concilio alla santità della Chiesa intera.

Santità autentica non significa voltare le spalle al mondo e alle necessità della famiglia umana. Piuttosto, come afferma il Concilio: "Da questa santità è promosso anche nella società terrena un tenore di vita più umano" (LG 40). Un aspetto importante della predicazione e della catechesi nel nostro tempo è quello di mostrare come la santità di vita e l'impegno per il benessere e il progresso della famiglia umana non si escludono l'un l'altro. Sono entrambi necessari all'unico discepolato cristiano.


6. Il rinnovamento auspicato dal Concilio, e il ritorno agli autentici valori religiosi di cui la società moderna ha tanto bisogno, sono compito dell'intera comunità dei seguaci di Cristo. In questo compito i vescovi svolgono un loro ruolo specifico. E' vostro l'ufficio magisteriale, la responsabilità del governo e il ministero sacerdotale alla comunità cristiana: in una parola, la pienezza del servizio pastorale di Cristo al suo popolo. In modo specifico ciascuno di voi è sorgente e fondamento dell'unità della Chiesa locale a voi affidata, così come voi siete i promotori dell'unità tra le stesse Chiese locali e la Chiesa universale.

In pratica, la vostra missione esige che voi operiate saggiamente e instancabilmente per un'unità di propositi e di collaborazione tra tutti i membri della comunità, sempre nel rispetto delle diverse vocazioni e dei diversi doni ricevuti. Mediante la parola e l'esempio cercate di incoraggiare ciascuno a partecipare attivamente ed efficacemente alla costruzione del regno di Dio di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, amore e pace.


7. I sacerdoti diocesani e religiosi, che partecipano, insieme a voi, all'unico sacerdozio di Gesù Cristo, non sono solamente i vostri collaboratori, ma anche i destinatari privilegiati della vostra cura pastorale (cfr PO 7). In Nuova Zelanda esiste una tradizione di armonia e fratellanza tra i membri del clero. E' così che voi e i vostri sacerdoti potete sostenervi a vicenda, condividendo le vostre pene e le vostre gioie. Quanto è importante per la Chiesa della Nuova Zelanda l'attenzione e l'amore che date ai candidati al sacerdozio e alla vita religiosa! In particolare, rivolgo il mio pensiero ai seminaristi di Mosgiel e di Greenmeadows. Essi sono infatti un dono speciale di Dio al vostro Paese. Trovino essi in voi esempio e guida ispiratrice, che li aiuti ad essere degni ministri di Cristo, uomini di preghiera formati alla parola di Dio e al pieno insegnamento della Chiesa.

La vita passata e presente della Chiesa in Nuova Zelanda non può essere descritta senza fare una particolare menzione dell'apostolato delle varie congregazioni di fratelli e sorelle religiosi. Tutta la comunità nazionale ha tratto beneficio dalla loro dedizione esemplare. So che il vostro servizio pastorale nei loro riguardi sarà volto a rafforzarli nel loro specifico carisma ecclesiale nel rispetto del loro diverso ministero, nell'unità della missione che è compito comune di tutti in ciascuna Chiesa locale. La consacrazione religiosa dona alla Chiesa e alla società una efficace testimonianza all'amore di Dio che opera per mezzo della morte e della risurrezione redentrice di Gesù Cristo. Essa parla al mondo del regno escatologico verso il quale camminiamo con fede e speranza. E' per questo che la testimonianza della vita religiosa rappresenta una difesa necessaria ed efficace dei valori spirituali e umani che sono essenziali per il benessere integrale dell'uomo.

Attraverso di voi, assicuro i religiosi e le religiose della Nuova Zelanda della riconoscenza e della profonda stima della Chiesa. Essi non saranno mai soli né dimenticati, per quanto silenzioso e modesto sia il vostro contributo al benessere del popolo di Dio.


8. Il tema del prossimo Sinodo dei vescovi - "La vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo vent'anni dopo il Concilio Vaticano II" - ha già stimolato riflessioni e studi in merito alla partecipazione sempre più attiva e responsabile dei fedeli alla missione di servizio della Chiesa. Con un approfondito senso del discepolato, i laici, uomini e donne, in Nuova Zelanda, sono sempre più presenti nei ruoli liturgici, nei programmi di formazione, educazione e servizio cristiani, nel raggiungere coloro che non appartengono ad alcuna Chiesa o coloro che si trovano in situazioni difficili. In risposta alla loro condizione specifica di laici, essi sono impegnati a portare il Vangelo sulla piazza del mercato, cioè al mondo sociale, economico, culturale e politico.

I laici ricevono i doni di Dio per questa missione. Il loro carisma pero diviene pienamente operativo solo dopo aver ascoltato la parola di Dio e averla accolta nel proprio cuore. Il Concilio ha insistito sul fatto che il successo dell'apostolato dei laici dipende dalla viva unione dei laici in Cristo (AA 4). E proprio perché questa unione con Cristo non può esistere senza la preghiera il vero apostolato dei laici deve essere fondato sulla preghiera. Veramente la loro chiamata all'azione e al servizio all'interno della Chiesa è anche un'esortazione alla preghiera. Allo stesso modo il laicato ha bisogno di un profondo senso di "appartenenza" alla Chiesa, l'una, santa, cattolica e apostolica comunità dei seguaci di Cristo. Il ruolo del vescovo, come base e fondamento di quell'unità che guida il suo popolo alla più ampia unità con Pietro, è per questo essenziale per l'autenticità e vitalità del ruolo del laicato. Ogni missione e ogni servizio pastorale nella Chiesa è radicato nel battesimo, che è l'oggetto della missione originale ricevuta dagli apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19).


9. L'ufficio magisteriale dei vescovi non è rivolto esclusivamente al servizio della comunità cattolica. In molte società, come nella Nuova Zelanda, esso costituisce anche un fattore importante nella formazione dell'opinione pubblica. I vescovi, a livello individuale e attraverso la Conferenza episcopale, sono chiamati a comunicare l'insegnamento della Chiesa alla più vasta udienza dell'opinione pubblica generale. Siete chiamati a presentare la parola di Dio con le sue varie applicazioni alla vita nella società. E' un atto di giustizia nei riguardi della società, quello di diffondere l'insegnamento della Chiesa con sicurezza e chiarezza. Come umili servitori del Vangelo, dobbiamo seguire l'esempio di Paolo e Barnaba a Iconio, "parlando fiduciosi nel Signore" (Ac 14,3).

I valori sociali e morali non sono irrilevanti in politica, né può la politica prescindere da questi valori. Per questo, mentre voi insegnate la dottrina della Chiesa in merito al matrimonio e alla famiglia, e quando sostenete e rafforzate queste istituzioni mediante la vostra cura pastorale, voi rafforzate l'intero tessuto della vita sociale. Quando parlate di principi di pace e di diritti umani, e quando operate per la giustizia, state contribuendo al benessere dell'intera società. Quando parlate di riconciliazione toccate una delle più sentite necessità dell'uomo. Quello che serve è una vera riconciliazione con Dio, con il prossimo e con se stessi. Nell'ottica cattolica, la riconciliazione e la pace sono in ultima analisi doni di Dio, che possiamo ottenere mediante la penitenza e la conversione. Diventa qui importante per noi riflettere sul fatto che Cristo vuole che il sacramento della penitenza sia sorgente e segno di una radicale misericordia, riconciliazione e pace. Il modo migliore che la Chiesa conosce di servire il mondo è quello di essere precisamente quello che essa vuole essere: una comunità riconciliata e riconciliante di discepoli di Cristo. Per potere svolgere questo ruolo, essa deve essere consapevole di essere depositaria del "ministero della riconciliazione" (2Co 5,18). La Chiesa è tanto più se stessa quanto più compie opera di mediazione e di riconciliazione, nell'amore e nella potenza di Gesù Cristo, mediante il sacramento della Penitenza. Come vescovi della Chiesa di Dio noi abbiamo la grave responsabilità, in questo momento storico, di essere certi di fare tutto il possibile - senza tralasciare nulla - affinché il popolo di Dio possa realmente comprendere il valore di questo sacramento e il suo posto nella sua vita. E' importante che noi incoraggiamo i nostri fratelli sacerdoti a dare grande priorità a questo ministero sacramentale della riconciliazione e a presentarlo ai fedeli come un grande dono dell'amore e della misericordia di Cristo.


10. Desidero esprimere la mia gioia per il fatto che in Nuova Zelanda le varie Chiese cristiane e le comunità ecclesiali sono solidamente impegnate nell'attività ecumenica. Il vero ecumenismo non ha paura di riconoscere le differenze e le divisioni che ancora esistono tra i cristiani. La sofferenza causata da questa situazione è un richiamo costante all'urgenza della volontà di Cristo per quanto riguarda l'unità dei suoi seguaci (cfr Jn 17,21). Dal punto di vista dei vescovi la responsabilità, le iniziative e le attività ecumeniche non devono essere valutate solo in vista del loro risultato immediato, ma anche alla luce del loro obiettivo, che è la piena comunione ecclesiale. E' altresi essenziale che nell'associazione e collaborazione ecumenica i vescovi difendano la pienezza della loro libertà e responsabilità apostolica nei confronti della fede e della vita della comunità cattolica. Il compito ecumenico esige veramente il vostro amore e la vostra speranza: "La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). 11. Cari fratelli nell'episcopato, il Signore vi ha chiamati a un compito gravoso.

Ma questo compito è un fardello d'amore, che deve essere assolto in spirito di servizio. "Pronti per ogni opera buona" (2Tm 2,21) prendete coraggio dalla vostra preghiera quotidiana e dalla celebrazione della liturgia, specialmente dell'Eucaristia, che è il pane della vita e il calice dell'eterna salvezza.

Siete sostenuti dalla comunione d'amore dell'intera comunità cristiana, in particolare dai sacerdoti, religiosi e laici delle vostre diocesi! Siete sostenuti dall'intercessione della Regina del cielo, Maria, Madre della Chiesa, che è anche Madre della Chiesa della Nuova Zelanda! Cari fratelli: "La grazia del Signore Gesù sia con voi. Il mio amore con tutti voi in Gesù Cristo. Amen" (1Co 16,23-24).

Data: 1986-11-23 Domenica 23 Novembre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Omelia alla concelebrazione - Wellington (Nuova Zelanda)