GPII 1987 Insegnamenti - Ai sacerdoti, religiosi e laici - Cattedrale di san Francesco (Civitavecchia)

Ai sacerdoti, religiosi e laici - Cattedrale di san Francesco (Civitavecchia)

Titolo: Dovete essere testimoni autentici del soprannaturale nella società d'oggi

Testo:

Cari fratelli e sorelle, sacerdoti, religiosi e religiose, e membri dei movimenti laicali di Civitavecchia e di Tarquinia! 1. Questo nostro incontro in Cattedrale è una manifestazione particolarmente evidente di quel mistero di comunione, del quale parla san Paolo: "Un solo corpo, un solo spirito,... un solo battesimo....A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo" (Ep 4,4-5 Ep 4,7).

Ringraziamo lo Spirito Santo, perché oggi, in questo luogo sacro, risplende in modo speciale questo mistero di unità nella diversità, che è una nota della Chiesa, del corpo mistico di Cristo. Una nota, quindi, della vostra Chiesa locale.

Questo mistero di unità nella pluralità si fonda sul battesimo; che ci configura a Cristo, e riproduce, in ciascuno di noi, in forme e gradi diversi, le stesse fattezze del volto di Cristo: "Quanti siete battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Ga 3,27).

Ognuno di voi è chiamato, in mezzo al Popolo di Dio e davanti al mondo, a testimoniare Cristo in un modo speciale, ad imitarlo più da vicino, a riprodurre con maggiore chiarezza ed evidenza i tratti della sua vita, del suo messaggio, della sua morte, della sua risurrezione. I tratti deI suo amore, della sua donazione senza riserve, del suo sacrificio. Il mistero della sua presenza tra noi. Ringraziamo lo Spirito Santo, che vi ha chiamati a questa testimonianza, ciascuno di voi secondo un particolare carisma destinato all'"utilità comune" (1Co 12,7).

Questi carismi ci costituiscono altresi, "membra gli uni degli altri" (Rm 12,5), per formare un solo corpo, e perché "le varie membra abbiano cura le une delle altre" (1Co 12,25). Essi sono dunque un perenne principio di unità, di riconciliazione, di espansione missionaria, di testimonianza coraggiosa, di sempre nuove iniziative di carità e di giustizia.


2. Con questi pensieri, che vogliono essere un ringraziamento, oltre che a Dio, anche a voi, cari fratelli e sorelle qui presenti, io vi saluto cordialmente esprimendo la mia gioia di essere tra voi. Gioia che è il gaudio dell'esperienza di Chiesa, e che ricorda il detto del salmista: "Quanto è soave che i fratelli vivano assieme!" (Ps 132/133,1). Ringrazio in particolare il vostro Vescovo, Monsignor Girolamo Grillo, per le espressioni con le quali, a nome di tutti, ha voluto salutarmi, accennando ai problemi, alle prospettive e alle speranze della vostra comunità ecclesiale.

E' particolarmente significativo il nostro incontrarci in Cattedrale, centro spirituale della diocesi: in questa bella chiesa, che fu un tempo dei figli di san Francesco, e che è stata ammirevolmente ricostruita dopo i danni subiti nell'ultima guerra mondiale. Essa è il simbolo di quel titolo episcopale che la vostra città di Civitavecchia ha riavuto nel secolo scorso dopo tanti secoli, avendosi notizia di quel titolo fin dagli albori dell'era cristiana.

Nella giornata di oggi, festosa e solenne, in questo tempio così significativo per tutti voi, desidero confermarvi nella vostra vocazione con le stesse parole di san Paolo: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12,1-2).


3. Il battesimo ci configura all'offerta che Cristo, sacerdote e vittima, fa di se stesso al Padre per la salvezza del mondo.

Questo sacramento fa di noi delle "nuove creature"; crea in noi quell'"uomo nuovo", "spirituale", che possiede il "pensiero di Cristo" (1Co 2,16), che vince, in Cristo, il peccato e la morte. In questa crescita dell'uomo nuovo sta il criterio di ogni vero rinnovamento nella Chiesa, che è fruttificazione della grazia battesimale; rinnovamento che è espressione della "offerta del proprio corpo come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio".

Voi sacerdoti siete chiamati a vivere questa grazia battesimale conformandovi a Cristo stesso sacerdote, mediante il sacramento dell'ordine, agendo e - potremmo dire anche - soffrendo "in persona Christi".

Voi religiosi e religiose, di vita attiva o contemplativa, siete chiamati a vivere la vostra consacrazione battesimale - ci insegna il Concilio (PC 5) - secondo un'"espressione più perfetta": mediante la professione dei consigli evangelici, "rinunziando anche al mondo" (PC 5): voi "respingete la mentalità di questo secolo", con le sue seduzioni e i suoi vani affanni, per essere segno dell'umanità futura della risurrezione.

Voi, laici, che, nei movimenti e nelle associazioni, volete vivere più a fondo il vostro cristianesimo, siete mossi dallo spirito, nella "libertà dei figli di Dio", a vivificare evangelicamente le realtà temporali, affinché esse possano essere una prefigurazione del regno di Dio venturo.


4. Le profonde trasformazioni sociali e culturali avvenute in questi ultimi tempi, fanno sentire anche nella vostra comunità ecclesiale l'urgenza di una reimpostazione dell'attività evangelizzatrice, che tenga conto in modo particolare del fenomeno della scristianizzazione, dei problemi della famiglia, dei giovani, degli anziani, del mondo del lavoro.

E' evidente, cari fratelli e sorelle, come voi siate chiamati "in prima linea", in forza degli stessi compiti che vi siete assunti, a far fronte a questa complessa situazione. Dovete essere i testimoni del soprannaturale nella società di oggi.

A tale riguardo, è sempre importante non deflettere mai da quella visione ecclesiale d'insieme, fondata sulla grazia battesimale. Tale visione di fede vi assicurerà sempre il giusto criterio per mantenervi fedeli alla vostra vocazione e dare alla vostra azione un'autentica efficacia soprannaturale, senza lasciarvi influenzare da modelli che allontanerebbero dalla volontà e dal "pensiero di Cristo". Occorre si inventiva, occorre si iniziativa, ma sempre alla luce dei criteri della fede. Occorre un continuo contatto col mondo contemporaneo - penso soprattutto a voi operatori laici - ma sempre illuminato dalla sapienza del Vangelo.


5. Oggi ricorre il cinquantesimo dell'enciclica "Divini Redemptoris" di Pio XI, la quale reca appunto la data del 19 marzo 1937. Nel grande solco della dottrina sociale della Chiesa, questo importante documento offre validi insegnamenti in ordine alla animazione del mondo contemporaneo mediante le verità del Vangelo, soprattutto per quanto si riferisce ai problemi della giustizia sociale, nel superamento di un materialismo ateo che destituisce di valore l'ideale spirituale dell'umanizzazione del lavoro, della tecnica e della natura.

Oggi, grazie a Dio, si può riscontrare da varie parti la testimonianza di una nuova sensibilità per la dimensione trascendente dell'esistenza, che fa bene sperare in una ripresa di coscienza dell'importanza del primato di Dio nella vita umana.

Voi tutti siete chiamati a dare il vostro contributo per la costruzione di una società che riconosca a Dio il primo posto e che sia fondata sulla verità, sulla carità, sulla giustizia e sulla pace.

San Giuseppe, del quale oggi ricorre la festa e Maria, tanto venerata nei vostri santuari della Madonna delle Grazie ad Allumiere e in quello di Valverde a Tarquinia vi sostengano nel vostro cammino di fede e di testimonianza.

A tutti di cuore imparto la mia affettuosa benedizione.

1987-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1987




Il discorso ai carcerati - Casa di reclusione di Civitavecchia

Titolo: Capire ed amare come fratelli coloro che scontano la pena

Testo:

Carissimi fratelli.


1. Anche a voi si rivolge la visita, che compio in questa antica città, e perciò sono lieto di porgere a ciascuno di voi il mio saluto più cordiale. Sono venuto qui, nel luogo della vostra sofferenza e della vostra attesa, per manifestarvi l'affetto e la sollecitudine della Chiesa, che si ricorda sempre di voi, per voi prega e di voi si interessa.

Saluto le autorità presenti, e ringrazio quanti hanno reso possibile questo incontro.

Coloro che scontano una pena, - nonostante tutto ciò che può essere avvenuto - (e non di rado si tratta di persone più sfortunate che colpevoli), devono essere capite ed amate come fratelli. Di qui si comprende il valore e lo stimolo della parola di Gesù: "Ero carcerato e siete venuti a visitarmi... Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,36 Mt 25,40).

La fede cristiana fa scaturire in ogni luogo sorgenti di grazia divina, e trasforma ciò che prima era colpa e pena in possibilità di merito e di salvezza.

Vorrei che la mia visita possa portare serenità ai vostri animi e spingere ogni comunità ecclesiale a percepire la vostra presenza, a visitarvi, ad aiutarvi e soprattutto - quando uscirete da qui - ad accogliervi e ad inserirvi nuovamente nella compagine sociale. Vi assicuro il ricordo nella preghiera e nella santa Messa, affinché il Signore sostenga voi e le vostre famiglie, vi dia forza spirituale e speranza. Il Signore ispiri inoltre coloro che hanno cura di voi, nelle varie mansioni che occupano, affinché la malinconia e la tristezza, dolorose compagne della vostra vita, trovino un balsamo e un refrigerio nel senso dell'amicizia e della reciproca comprensione. 2. Colgo l'occasione per esprimere anche il mio apprezzamento per quanto è stato compiuto per migliorare la realtà carceraria. Molti pregiudizi del passato sono caduti e la concezione tradizionale della carcerazione è stata sostituita da una visione più umana, più personalistica, più costruttiva. La legislazione si è fatta più attenta e più sensibile, operando modifiche molto importanti, tra le quali una più adeguata assistenza sanitaria, psicologica, culturale, religiosa; la possibilità di lavoro; l'applicazione di pene alternative da scontare in comunità integrative; il progressivo reinserimento nel tessuto organico della società. Si tratta di iniziative valide, affinché la pena non sia solo punitiva o risarcitiva, ma diventi fondamentalmente redentiva, per un autentico riscatto morale e civile.

La Chiesa incoraggia ogni sforzo di miglioramento e di umanizzazione ed esorta i responsabili della giustizia ad una profonda e costante sensibilità.


3. Tuttavia, voi, cari fratelli, che dovete ancora rimanere tra queste pareti, sentite il peso, e talvolta l'angoscia, della vostra condizione. Ed è perciò a voi in particolare che voglio ricordare le consolazioni, che la fede cristiana dà a tutti, perché tutti, in qualsiasi situazione ci troviamo, abbiamo estremamente bisogno di consolazioni, non solo terrene e labili, ma sicure ed eterne.

La prima consolazione è la certezza che Dio è amore, è misericordia e perdono, perché è Padre! E' questa la prima e suprema verità che Gesù ha rivelato "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito... Dio non ha mandato il figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (Jn 3,16-17). Cristo è venuto per assicurarci l'amore di Dio e per darci il suo perdono: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Lc 5,31); "Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7).

Qualunque colpa sia stata commessa, se si è veramente pentiti, e si ha il proposito di non più trasgredire la volontà di Dio, egli perdona, cancella ogni peccato, ridona la sua grazia e la sua amicizia: "Dio ha mandato il suo figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui" (1Jn 4,9). La più grande e preziosa consolazione è la certezza dell'amicizia di colui che ci ha creati per amore e che non abbandona nessuno. Il cristiano poi sa che mediante il sacramento della penitenza, il sacerdote, che impersona Cristo stesso, dona la grazia e la sicurezza del perdono di Dio.

Una seconda consolazione proviene dalla certezza che ognuno di noi ha il suo posto e la sua missione da compiere nel disegno della Provvidenza. Certamente il piano della Provvidenza, nell'economia generale della "storia della salvezza", a noi risulta insondabile: i destini delle singole persone sono misteriosi, e ci sono delle esistenze molto tribolate e angustiate. E tuttavia la ragione e la fede affermano che nulla e nessuno sfugge all'Altissimo, il quale tutto segue, sostiene e dirige pur rispettando la libertà dell'uomo. Ci troviamo indubbiamente in un immenso mistero; sappiamo pero che abbiamo una missione da compiere e che Dio permette il male solo per raggiungere un bene più grande e una felicità più completa: ognuno, se vuole, può essere una nota armoniosa della sinfonia celeste ed eterna.

Infine, un'ultima concreta e soave consolazione è la possibilità di compiere il bene, di amare, di rendersi utili, di impegnarsi in un lavoro o in una mansione con generosità e con altruismo, di trasformare la propria vita in dono, in espressione di bontà, in ansia di carità. Infatti, quale gioia profonda si sente quando in noi ha vinto la bontà e siamo riusciti ad essere pazienti, generosi, sereni! Queste sono le grandi e sicure consolazioni, che vengono dalla fede cristiana, e che io auspico per voi, esortandovi alla confidenza in Dio ed alla preghiera! 4. Carissimi! L'ultima visita di un Papa a Civitavecchia fu quella compiuta da Pio IX, di venerata memoria, che il 26 ottobre 1868 visito anche questo edificio, allora appena ultimato. Sapete che Pio IX era grandemente devoto di san Giuseppe, di cui oggi celebriamo la festa: quel Papa, infatti, nel 1847 estese a tutta la cristianità la solennità del suo patrocinio, e l'8 dicembre 1870 lo proclamo patrono della Chiesa universale. Ebbene, seguendo le direttive del mio grande predecessore, che un giorno fu qui, anch'io vi affido alla protezione amorevole di san Giuseppe, uomo giusto per eccellenza, che con immenso amore custodi Gesù Bambino e la Vergine santissima, sua Madre. Invocatelo anche voi! Sentite con intima gioia la sua presenza consolante! San Giuseppe aiuti e sostenga voi e le vostre famiglie! E vi accompagni anche la mia benedizione, che con affetto imparto a tutti voi, e volentieri estendo ai vostri cari.

1987-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1987




Omelia durante la Messa sul lungomare - Civitavecchia

Titolo: La famiglia è una comunità di vita aperta alla vita

Testo:

1. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa" (Mt 1,20).

Queste sono parole-chiave nella vita di san Giuseppe, della stirpe di Davide. Con esse l'eterno Padre affida ad un uomo - al carpentiere di Nazaret - un grande mistero di Dio.

Tale mistero è stato affidato prima alla Vergine anch'essa della città di Nazareth, che, nel momento dell'annunciazione di questo stesso mistero, era già, dinanzi agli uomini, promessa sposa di Giuseppe. Era quindi, secondo la legge d'Israele, la sua sposa. Tuttavia non dimorava ancora nella sua casa. Non conosceva uomo, com'ella stessa dichiara all'angelo (cfr. Lc 1,34). A lei, dunque, è stato affidato, in primo luogo, il mistero dell'incarnazione. Il mistero del Figlio, "della stessa sostanza del Padre": del Figlio di Dio, il quale, per la potenza dello Spirito Santo, si è fatto uomo, per compiere l'eterna volontà di Dio. Proprio la Vergine di Nazaret è stata eletta per essere la sua madre.


2. Quindi il mistero divino dell'incarnazione è stato affidato, prima di ogni altra persona, a Maria. In lei, il Verbo si fece carne (cfr. Jn 1,14), quando, durante l'annunciazione, sottomise la sua volontà ai disegni imperscrutabili di Dio. E lei, per prima, merito di essere chiamata beata: "Beata colei che ha creduto" (Lc 1,45); merito di essere chiamata, d'ora in poi, beata da tutte le generazioni (cfr. Lc 1,48).

Giuseppe diviene partecipe dello stesso mistero di Dio, insieme con Maria, dopo di lei, come ne rende testimonianza il Vangelo dell'odierna solennità: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21). Il nome di Gesù, infatti, significa "Dio salva", e quindi: "Salvatore".

A Giuseppe, quindi, al carpentiere di Nazaret è stato affidato, come a Maria, lo stesso mistero di Dio. Un grande mistero, il mistero eternamente nascosto in Dio, mistero che "divenne carne" nella storia dell'umanità ed è stato rivelato agli occhi dei cuori umani: agli occhi della fede.


3. Di Giuseppe si potrebbe ripetere ciò che disse di Maria la sua parente Elisabetta: "Beato colui che ha creduto".

Invero, la liturgia dell'odierna festa paragona la fede di Giuseppe a quella di Abramo, di cui l'Apostolo parla come del padre della nostra fede (cfr. Rm 4,16-18). "Ti ho costituito padre di molti popoli", leggiamo nella Lettera ai Romani (4,17). Veramente, alla fede di Abramo si richiamano non soltanto i seguaci dell'antica alleanza, gli Israeliti, non soltanto i cristiani, ma anche i musulmani.

Giuseppe, umile carpentiere di Nazaret, è erede di questa fede. E nello stesso tempo, il Dio già noto a Israele per la fede di Abramo, svela a lui, come prima aveva fatto a Maria, il mistero che non è stato rivelato ad Abramo. Il mistero al quale l'Antico Testamento preparava a poco a poco tutte le generazioni.

Giuseppe, figlio di Israele, uomo giusto, diventa fiduciario del mistero divino, che è entrato come realtà nella sua vita, è entrato sotto il tetto della sua casa, per mezzo di Maria.

Giuseppe rimase fedele al mistero affidatogli da Dio.


4. Oggi, 19 marzo, la Chiesa si raccoglie intorno a Giuseppe di Nazaret. La Chiesa ammira la semplicità e la profondità della sua fede. Ammira e venera la sua rettitudine, la sua umiltà, il suo coraggio.

Quanti valori Dio ha affidato a Giuseppe in questa sua vita umile e nascosta di un artigiano di Nazaret! Gli ha affidato il proprio eterno Figlio, che nella casa di Giuseppe accolse tutto ciò che costituisce la verità del Figlio dell'uomo.

Dio ha affidato a Giuseppe Maria, la sua verginità e la sua maternità, la sua maternità verginale.

Gli ha affidato la Santa Famiglia. Dio ha affidato a Giuseppe ciò che è più santo nella storia di tutta la creazione. E quell'uomo semplice, quel carpentiere, non ha disatteso l'affidamento di Dio. Si è dimostrato, fino alla fine, fedele, premuroso, previdente, sollecito, sul modello dello stesso eterno Padre.

E perciò Giuseppe è diventato l'uomo dell'affidamento dell'intera Chiesa. Ciò riguarda l'intera vita della Chiesa e tutto ciò che fa parte della sua missione sulla terra. In modo particolare riguarda due grandi campi della vita umana nei quali la Chiesa compie il suo servizio evangelico: - il campo della vita familiare, e - il campo del lavoro umano. Tutti e due strettamente legati e uniti l'uno all'altro.


5. Dato che sul tema del lavoro ho parlato questa mattina nell'incontro con i lavoratori, desidero adesso limitarmi ad alcune considerazioni circa i temi dell'amore coniugale e familiare.

E' nota l'importanza di questo argomento, e quanto spesso, purtroppo, la nostra società si allontana dai principi e valori fondamentali che devono guidare, in questo campo, l'agire umano. E' necessario che tutti i credenti si impegnino in un'opera sempre rinnovata di convincimento delle coscienze, sia mediante l'esempio che la parola. E' necessario mettere sempre di nuovo in rilievo i valori irrinunciabili, senza dei quali la vita cessa di essere degna dell'uomo e la società è in pericolo nelle sue stesse radici.


6. L'odierna festa di san Giuseppe è, in modo particolare, la festa della famiglia cristiana. E, secondo un uso popolare ormai invalso, è anche la "festa del papà".

E si comprende bene: essendo san Giuseppe un meraviglioso modello per i papà di tutto il mondo.

Ma oggi non è solo festa dei papà: è anche festa delle mamme, dei figli, dei nonni, delle nonne, nei loro mutui e doverosi rapporti di affetto, di rispetto e di stima. E' la festa dei vincoli e degli affetti familiari, nella loro naturalezza così profonda e spontanea e nel loro altissimo significato etico, civile e religioso. Infatti, la festa della famiglia, è anche, indissolubilmente, la festa della vita umana, che nella famiglia sorge, viene custodita, protetta, allevata, educata, avviata alla maturità ed al suo ingresso responsabile nella Chiesa e nella società.


7. Ecco allora come la famiglia deve essere la prima scuola dell'amore e della solidarietà. La prima scuola di tutte le virtù umane e cristiane. Grande è dunque la responsabilità dei genitori! La famiglia è una comunità d'amore: dove ogni membro si sente capito, accettato e amato e cerca di capire, accettare ed amare gli altri.

La famiglia è una comunità di vita, è aperta alla vita. In essa pertanto non ci si limita ad escludere tutto ciò che offende il sorgere e lo svilupparsi della vita umana in senso fisico, ma anche ad evitare gli atti che la avviliscono nel suo valore morale, come sarebbero le umiliazioni, le mancanze di rispetto, le negligenze soprattutto nei confronti dei membri anziani o malati o meno dotati.

L'amore e la vita che fioriscono nella famiglia non si devono chiudere nell'ambito limitato della famiglia stessa, ma devono diffondersi in scelte concrete di servizio ecclesiale, civico, sociale: la famiglia è aperta al servizio.


8. La famiglia non è soltanto apertura ai valori umani, ma anche a quelli più alti dello spirito. Essa infatti ha un ruolo fondamentale nel primo annuncio della fede e nella iniziativa cristiana dei figli. L'attività che i genitori svolgono nell'educazione religiosa dei figli è una magnifica espressione del sacerdozio comune dei fedeli. In ciò i genitori sono strumenti insostituibili della grazia che Dio vuol comunicare alle anime in vista della salvezza.

La famiglia è una comunità di preghiera: è importante non solo pregare, ma anche pregare insieme. Nella famiglia cristiana non devono mancare gli incontri di preghiera, in modo da nutrirsi insieme non solo di pane, ma anche di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Momento unificante privilegiato, poi, per la famiglia, è vivere insieme la domenica con la partecipazione alla santa Messa e ai sacramenti. Come per ogni comunità cristiana, a cominciare dalla Chiesa universale, è nella santissima Eucaristia che la famiglia trova il centro del suo equilibrio spirituale e la sorgente perenne della sua crescita e della sua vitalità.

Grazie a Dio, soprattutto nell'ambito di certi movimenti laici, non mancano oggi famiglie che vivono così a fondo il loro cristianesimo.


9. "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa".

Giuseppe, sposo della Vergine Madre di Dio, insegnaci incessantemente tutta la verità divina e tutta la dignità umana contenute nella vocazione di sposi e di genitori! San Giuseppe, ottienici da Dio, che cooperiamo, con costanza, con la grazia del grande sacramento nel quale uomo e donna si promettono reciprocamente l'amore, la fedeltà e l'onestà coniugale, fino alla morte! San Giuseppe, uomo giusto, insegnaci l'amore responsabile verso coloro che Dio ci affida in modo particolare: l'amore tra i coniugi, l'amore tra i genitori e coloro ai quali i genitori danno la vita! Insegnaci la responsabilità verso ogni vita, dal primo momento del concepimento, fino all'ultimo istante su questa terra. Insegnaci un gran rispetto per il dono della vita. Insegnaci ad adorare profondamente il Creatore, padre e datore della vita.

San Giuseppe, patrono del lavoro umano, aiutaci in ogni lavoro che è vocazione dell'uomo sulla terra. Insegnaci a risolvere i difficili problemi collegati col lavoro nella vita delle generazioni, a cominciare dai giovani, e nella vita delle società.

San Giuseppe, protettore della Chiesa, oggi, nella tua solennità, preghiamo Dio con queste parole: "O Dio onnipotente, che hai voluto affidare gli inizi della nostra redenzione alla custodia premurosa di san Giuseppe, per sua intercessione concedi alla tua Chiesa di cooperare fedelmente al compimento dell'opera di salvezza".

Ora - secondo il programma previsto da questa celebrazione eucaristica - mi accingero a compiere l'atto di affidamento della diocesi alla Madonna delle Grazie di Allumiere, e ad incoronarne la venerata immagine, come segno di gratitudine alla Madre di Dio, ed in auspicio di più abbondanti benedizioni celesti, ottenute grazie al favore della Vergine santissima.

1987-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1987




Concedo dalla comunità ecclesiale di Civitavecchia

Titolo: Essere sposo, essere dono: come Maria, come Giuseppe

Testo:

Si è dovuto aspettare fino all'ultimo momento per questa parola rivolta a voi giovani; ma è chiaro che la vostra presenza si è sentita durante tutta la giornata, specialmente durante il primo incontro con la cittadinanza, e poi anche durante l'incontro nel porto e in quello nella centrale termoelettrica.

Adesso siete venuti per partecipare alla santa Messa. Qual è il messaggio specifico di questa celebrazione eucaristica nella solennità di san Giuseppe? Qual è la parola specifica della liturgià della parola divina che abbiamo ascoltato e meditato? Io direi che c'è un'unica parola: sposo: san Giuseppe sposo della Vergine Maria, così viene chiamato costantemente nella tradizione della Chiesa e della sacra liturgia. Cosa vuol dire sposo? Sposo è colui che è consapevole del dono. Abbiamo visto come Giuseppe di Nazaret, uomo semplice, sia stato consapevole del dono divino. Ma i doni divini si ripetono in tutta la realtà: sono i doni della creazione, della grazia, della persona umana. La persona umana è un dono speciale del Creatore e del Redentore insieme. Ecco, essere sposo vuol dire essere consapevole del dono. Questa consapevolezza crea una nuova mentalità, un nuovo atteggiamento, un nuovo comportamento; quando vediamo il dono nelle opere della creazione e soprattutto nelle persone. così, san Giuseppe ha visto pienamente con gli occhi della sua dignità e della fede il dono della persona di Maria, il dono ineffabile della persona del suo Figlio divino.

Essere consapevole del dono, questo vuol dire "sposo". Ma "sposo" vuol dire anche un'altra cosa, legata alla consapevolezza del dono. Essere sposo infatti vuol dire essere pronto a donarsi agli altri; è questo che vediamo nella persona di san Giuseppe.

Questo lo riscontriamo in quel brano stupendo del Vangelo che ci ha lasciato san Matteo e che oggi abbiamo ascoltato; lo vediamo, san Giuseppe, uomo pronto a donarsi, a essere dono.

Voglio lasciare a voi giovani questa "unica" parola che ci viene dalla liturgia odierna, dalla santa persona di san Giuseppe, sposo di Maria. Vi lascio questa parola come tema di meditazione e anche come un impegno di lavoro, perché per essere "sposo", per diventare "sposo" si deve lavorare molto su se stessi, si devono trasformare profondamente, con il cuore, le valutazioni, le tendenze, i voleri, la concupiscenza; si deve diventare un uomo nuovo, con la grazia di Dio; e la grazia di Dio ci fa "sposo", ci rende capaci di essere sposi. Questo, carissimi giovani, è il mio augurio per voi; un augurio che vi lascio alla fine di questa bellissima giornata, trascorsa qui a Civitavecchia. Vi auguro di prepararvi bene al lavoro. Il lavoro è per i giovani una grande preoccupazione; parliamo tante volte di questa tematica. Vi auguro anche di ottenere, dopo i vostri studi, dopo la vostra preparazione, questo lavoro tanto auspicato e tanto necessario per un giovane, per una giovane. Si tratta di un problema sociale di primissima importanza, come ho sottolineato oggi durante l'incontro con i lavoratori.

Vi lascio questa consegna, profonda, sacra, che si esprime con la parola "sposo", attribuita specialmente a san Giuseppe ed attribuibile a ciascuno di noi: sono gli sposi del matrimonio; sono gli sposi dei monasteri; gli sposi e le spose di Cristo. La vocazione religiosa, claustrale, la vocazione sacerdotale sono anch'esse vocazioni di una sposa o di uno sposo, che vuole donare la sua persona.

Sul fulgido esempio di san Giuseppe voglio anche ringraziare tutti coloro che si donano nel servizio. E qui mi faccio interprete di tutti i presenti ringraziando in modo speciale il coro; ringrazio tutti i partecipanti a questa santa, santissima Eucaristia che abbiamo celebrato a conclusione della mia visita nella vostra diocesi di Civitavecchia-Tarquinia. Vi ringrazio per l'invito, vi ringrazio per la buona accoglienza.

Adesso come ultima parola, vi offro una benedizione conclusiva di questa celebrazione, di questa liturgia, di questa giornata. Una benedizione che estendo a tutti, a tutte le persone, specialmente ai nostri carissimi ammalati, a tutte le famiglie, a tutti gli ambienti di lavoro, della vita umana, a tutta la città e alla diocesi di Civitavecchia-Tarquinia.

1987-03-19 Data estesa: Giovedi 19 Marzo 1987




Ai Vescovi francesi del Centro-Est in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Catechesi sistematica capace di nutrire l'intelligenza e centrata sulla persona di Cristo e su Dio creatore

Testo:

Signor Cardinale, Cari fratelli nell'episcopato.


1. E' una grande gioia anche per me ritrovarvi qui, con lo spirito ed il cuore pieni di ricordi dei nostri incontri a Lyon, a Paray-Le Monial, ad Ars, ad Annecy.

Se il popolo cristiano delle vostre diocesi ha manifestato una accoglienza così positiva è in buona parte perché voi lo avete aiutato a preparare questa visita.

Ecco che ora anche voi vi trovate in pellegrinaggio presso la tomba degli apostoli che hanno fondato la Chiesa a Roma e divulgato in tutta la Chiesa la testimonianza della loro fede. Voi esprimete la vostra comunione con il successore di Pietro e i suoi collaboratori e, attraverso di essi, con tutta la Chiesa universale. Con essi vi rivolgete verso il Signore, che è l'autore, la guida e il sostegno della vostra missione. Ho notato che, ispirandovi a Francesco di Sales, avete concluso il vostro rapporto regionale con questo annuncio: "Che lo Spirito Santo ci ricarichi l'orologio... e lo faccia andare più giusto"! Come dicevo a Lyon davanti al Cardinale Decourtray, il Papa ha il carisma del servizio alla Chiesa universale, voi avete il carisma per servire le vostre Chiese particolari e, alla luce della fede e della disciplina comuni a tutti, dovete mettere in atto i mezzi pastorali adatti al vostro popolo. Riguardo a ciò mi avete da poco tempo chiesto le cinque linee più importanti su cui si orienta attualmente la vostra sollecitudine. Io vi incoraggio vivamente a continuarle. Non riprendo ciò che ho già espresso durante il mio viaggio con i vostri confratelli delle altre regioni. Del resto, nel 1982 avevamo trattato il problema dell'evangelizzazione del mondo operaio, un tema sempre importante a cui la beatificazione di padre Chevrier ci ha fatti accostare.

La mia fiducia e la mia preghiera vi accompagnino nel vostro difficile ministero, nel quale io vi auguro discernimento, coraggio e speranza. Che i vostri diocesani laici, religiosi e preti cooperino sempre con voi in serenità, fiducia e unità, elementi indispensabili al progresso del Popolo di Dio di cui voi siete pienamente responsabili! Oggi ho ritenuto opportuno affrontare con voi il soggetto della catechesi che ha per voi e per tutti i Vescovi un'importanza primaria, vi aggiungero alcune considerazioni sulla formazione cristiana degli adulti che evocano tutti i vostri rapporti diocesani, nonché sulla pastorale degli ambienti intellettuali.


2. Si, voi avete ben ragione a consacrare molti sforzi per la catechesi dei bambini e dei giovani. A Lyon non ho fatto che ripetere una constatazione che ritorna in molti vostri rapporti: l'ignoranza religiosa si diffonde in maniera sconcertante, il bisogno di una proposta chiara e decisa della fede si fa sempre più sentire (cfr. Omelia a Eurexpo, 4 ottobre 1986, n. 6). Noi abbiamo insieme contemplato la figura del beato Antoine Chevrier che già al suo tempo voleva liberare i poveri dall'ignoranza religiosa e vedeva nella catechesi "la grande missione del prete d'oggi".

In Francia avete cercato dopo lungo tempo di raccogliere questa sfida che non è più soltanto quella dell'ignoranza religiosa, ma di un'indifferenza religiosa largamente diffusa. Voi avete rinnovato la pratica della catechesi, nella prospettiva di una situazione missionaria. Io sottolineai questi sforzi nel 1982 con i Vescovi dell'Ile-de-France. La ricerca e le puntualizzazioni hanno presentato delle difficoltà, esse necessitano sempre del vostro impegno e della vostra vigilanza. Molti dei vostri catechisti, senza rinunciare allo zelo evangelizzatore molto apprezzabile che lo anima, hanno potuto in quell'occasione prendere coscienza delle diverse esigenze dell'annuncio evangelico, della trasmissione della fede. Il tempo, l'esame critico delle pratiche in un dialogo costruttivo tra tutti i collaboratori dell'educazione cristiana, le questioni poste dai pastori responsabili o dai dicasteri romani, il clima molto sereno che si era instaurato, hanno potuto essere l'occasione di una maturazione che permette di comprendere meglio i rapporti tra i contenuti ed i metodi, tra l'esperienza e la fede, di evangelizzare coloro che non hanno ricevuto un'educazione cristiana nel loro ambiente familiare e di avviare meglio ogni persona all'essenziale della fede della Chiesa con delle espressioni più precise o più complete, facendo appello alla libera adesione del cuore, alla memoria, alla testimonianza della comunità, e cercando i metodi lungo il cammino. In questo campo è sempre necessaria una grossa disponibilità; gli occhi devono essere fissi alla buona novella da proporsi nella sua interezza, con una pedagogia adatta agli uditori, senza "sacralizzare" un metodo.

Non è questa la sede dove discutere nei dettagli gli strumenti catechistici che voi avete giudicato opportuno utilizzare nelle vostre diocesi e che vi preoccupate di migliorare. So che l'assemblea di Lourdes del 1986 ha demandato alle guide del cammino di "valorizzare" il contenuto dottrinale dei loro documenti e ha deciso di redigere un "esposto organico e completo della fede" destinato in primo luogo ai catechisti (cfr. Resoconto della riunione del Consiglio permanente, 8-10 dicembre 1986).

Da parte sua, a livello di Chiesa universale, una commissione di Vescovi lavora con la Santa Sede per preparare un catechismo a compendio della dottrina cattolica sulla fede e la morale, in corrispondenza al voto del Sinodo straordinario del 1985. I principi e gli orientamenti fondamentali in materia di catechesi sono stati chiaramente esposti nella "Catechesi Tradendae". Mi limiterei dunque con voi a sottolineare alcuni punti pratici legati alle vostre preoccupazioni.


3. La catechesi conserva il suo specifico fine di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo per mezzo di una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio di Gesù Cristo (cfr. CTR 19). Questo è un obiettivo fondamentale e complesso che è stato affidato alla vostra responsabilità perché voi ne studiate sempre di più le esigenze e lo mettiate progressivamente in opera. Ciò comporta spesso il dover sostituire un primo annuncio con uno nuovo e il risvegliare con diversi mezzi il senso di Dio e delle realtà spirituali alle quali l'ambiente familiare e scolastico è come estraneo. La fede deve allora essere suscitata e sostenuta incessantemente con la grazia di Dio.

Per permettere ai bambini ed ai giovani di essere saldi in una vita che è piena di cose estranee alla fede, nel momento in cui i loro studi si identificano, non bisogna avere paura di nutrirli con intelligenza dei doni centrali ed essenziali della fede. L'enunciazione della fede battesimale è il fulcro attorno al quale si articola la formazione cristiana. In un contesto pluri-religioso come quello della Francia il catechizzato deve diventare capace di rispondere della fede nella persona di Gesù Cristo e di superare un vago deismo.

E' innanzitutto necessario familiarizzarlo con il Dio creatore, secondo una riflessione propriamente cristiana che richiede anche un certo senso filosofico.

In un mondo che tende nella sua ideologia e nelle sue realizzazioni tecnologiche a considerarsi esso stesso il creatore, la dottrina della Chiesa circa la creazione rimane un punto fermo per la fede e il comportamento morale; essa è una condizione per comprendere come Dio è anche salvatore e vita. In tutto ciò la catechesi si basa evidentemente sulla parola di Dio di cui essa dona il gusto, la parola di Dio come viene letta da due millenni dalla tradizione della Chiesa, che ne precisa la dimensione di salvezza. La catechesi non può trovare il suo ancoraggio profondo e duraturo se non rivolgendosi all'intera persona del bambino: al suo spirito, alla sua volontà, alla sua sensibilità, al suo senso dei simboli dove il corpo ha la sua parte. Deve portare ad un'abitudine alla preghiera personale e comunitaria, a una celebrazione. Deve allo stesso tempo mantenere un comportamento coerente alla legge di amore di Gesù, che porta alla perfezione il Decalogo, in una prospettiva teologale. Essa deve integrare l'avvio e la partecipazione ai sacramenti e alla vita della comunità cristiana.


4. Per compiere quest'opera immensa fate ricorso ad un gran numero di catechisti: il rapporto della diocesi di Lione parla di 80.000 laici permanenti e di 15.000 volontari. Sono più di 200.000 in tutta la Francia. La maggior parte di essi è composta da laici; e alcuni ricevono una "missione" a questo fine. I religiosi e le religiose vi trovano evidentemente un terreno di scelta per il loro apostolato.

Aggiungerei che il sacerdote deve vedervi una parte privilegiata del suo ministero, lui che è stato ordinato come ministro della parola di Dio per insegnarla lui stesso e per promuovere, coordinare e verificare la formazione dei catechisti. Tutta questa organizzazione di benevolenza rappresenta una larga partecipazione delle comunità cristiane e dei genitori. Ha le sue ricchezze ma anche la sua fragilità. Il consiglio permanente della vostra conferenza episcopale lo sottolineava lo scorso dicembre. L'insegnamento della fede richiede una salda formazione teologica, accompagnata da un talento pedagogico il più possibile nutrito da un'esperienza spirituale di qualità. I catechisti sentono così l'esigenza per loro stessi di una vita di fede autentica. Devono padroneggiare l'uso degli strumenti catechistici per offrire prima di tutto la testimonianza della fede della Chiesa con la necessaria iniziativa: non possono accontentarsi di ripetere, e di attenersi a ciò che interessa o impressiona, né di ridurre la visione teologale ad una morale. Non è nemmeno questione di proiettare sui bambini le obiezioni, le paure o ancora gli obiettivi propri degli adulti. Vi incoraggio vivamente a continuare a mettere in opera tutti i mezzi per formare i catechisti: riunioni, sessioni, visita a case di formazione e di istituti, ruolo degli "animatori a turno" e soprattutto iniziazione personale alla vita della fede.

Comunque i genitori hanno più che di tutti gli altri il dovere di formare i loro figli alla fede con la fede e con l'esempio (com. 774, 2); devono essere per quanto è possibile legati alla catechesi. Voi constatate con gioia che essi ne accolgono una immagine positiva e stanno loro stessi progredendo in una riscoperta della fede.

Infine, il fatto che diminuisca visibilmente il numero dei bambini catechizzati, anche in rapporto ai bambini battezzati richiede un nuovo sforzo dei pastori per trovare i mezzi per far prendere coscienza a tutti i genitori dell'importanza di una nuova catechesi precoce e seguita, richiesta dal battesimo già ricevuto o ancora da ricevere.


5. Vi preoccupate anche delle condizioni della catechesi del vostro paese. La questione dei ritmi scolastici è preoccupante, e io condivido la vostra istanza perché sia salvaguardato regolarmente un certo tempo per la catechesi, malgrado le difficoltà spiacevoli causate da un sistema scolastico che spesso occupa i bambini anche il mercoledi. Là dove i genitori sono stati motivati hanno potuto fare rispettare la loro libertà e il loro diritto ad un'istruzione religiosa per i loro bambini.

Ciò non impedisce certamente di inventare forme complementari di avvio dei bambini e dei giovani alla realtà cristiana: dai "club di informazione biblica" alla visita di chiese, passando da tutte le attività espressive e le risorse dei media. L'iniziativa per eccellenza è la partecipazione alla liturgia.

Bisogna fare comunque di tutto per condurre una catechesi sistematica. In diversi paesi i cristiani, che hanno visto ridursi indebitamente su questo punto la loro libertà, hanno dovuto trovare delle nuove soluzioni. Da voi si tratta soprattutto di convincere i genitori e i bambini a compiere questa scelta nonostante le tentazioni di distrazione.

Ed anche i bambini più piccoli dovrebbero essere educati alla fede in famiglia affinché le loro capacità siano integrate in un rapporto vitale con Dio, grazie ad una presentazione semplice e vera del messaggio cristiano in un clima di preghiera.

Conosco la vostra preoccupazione, del resto, di accogliere i bambini che sfortunatamente si accostano tardivamente al ciclo del catechismo e devono pertanto approfittare dell'accoglienza fraterna degli altri. Voi desiderate che certi gruppi particolari siano seguiti nel loro ritmo: ritardati mentali, handicappati, bambini provenienti da ambienti particolari e coloro che si preparano al battesimo. Ma voi sapete anche che tutti devono incamminarsi verso gli stessi contenuti essenziali della fede e della pratica cristiana e verso l'integrazione nelle stesse comunità.


6. Se la catechesi dei bambini che frequentano la scuola elementare è essenziale non è meno importante che i giovani trovino durante il primo e il secondo ciclo della scuola secondaria i mezzi adatti ad un'educazione sistematica alla fede di una riflessione, di una vita di preghiera in comune, di un'azione cristiana al loro livello. E' il ruolo che avete affidato alle cappellanie dei collegi e dei licei, con la collaborazione dei preti, dei religiosi, dei catechisti permanenti e dei genitori, sovente legati alle parrocchie. Incoraggio vivamente questa pastorale senza la quale tutta una generazione di giovani rischierebbe di vivere estranea alla Chiesa.

Le sedi di insegnamento cattolico hanno, rispetto a questo argomento le possibilità ed i doveri di cui ho parlato ai vostri confratelli dell'Ovest.


7. La formazione degli adulti è oramai un obiettivo cui ogni diocesi mira e cerca di realizzare. La competenza necessaria per assicurare la catechesi dei bambini ne è sovente l'occasione. Ma molti altri servizi della Chiesa richiedono questa formazione. E gli adulti sentono di nuovo il bisogno di approfondire una fede rimasta troppo infantile, troppo sommaria, troppo debole per far fronte a ciò che oggi è messo in discussione: si tratta di comunicare loro la capacità di rendersene conto, di trovare delle risposte adeguate ai nuovi problemi. In un periodo nel quale molte persone accettano volentieri l'idea di un cambiamento, è normale che i cristiani lo facciano per essere all'altezza della loro fede.

Molte diocesi hanno indicato i mezzi concreti messi in atto: corsi, talvolta per corrispondenza, sessioni, dibattiti, moltiplicazione degli istituti di formazione, centri teologici.

Non si tratta solamente di acquisire una capacità di fare; si tratta piuttosto di lasciarsi penetrare dalla buona novella, di entrare in una visione più completa della Rivelazione, riferendosi ai dati delle Scritture, della storia della Chiesa, dell'etica fondamentale, della morale sociale. I riferimenti alla filosofia e alla teologia devono essere legati ad una antropologia rinnovata. La fede cristiana non potrebbe aggiungersi come elemento estrinseco ad una antropologia già elaborata su una base areligiosa. Tutto l'insegnamento etico della Chiesa, il suo impegno a favore dei diritti dell'uomo perderebbero la loro radice teologale con questa distorsione.

Così i cristiani devono essere aiutati ad accettare l'intelligibilità e la credibilità degli insegnamenti della Chiesa per meglio aderirvi e per aiutare gli altri a farlo. E' proprio ciò che implicano la fede a Cristo e l'adesione confidente a Maria, atteggiamenti primari che devono sempre precedere l'approfondimento intellettuale. La formazione permanente si inserisce nell'ambito della conversione permanente per meglio seguire Cristo. Essa è legata alla vita sacramentale, all'apostolato, alle diverse responsabilità già esercitate o che si vorrebbero esercitare.


8. A partire da quello che abbiamo appena detto, la pastorale degli ambienti universitari e scientifici presenta delle difficoltà particolari e sembra richiedere delle iniziative nuove.

Molti studiosi si considerano rispettosi della fede, altri la vivono in modo profondo, altri ancora se ne tengono distanti, più agnostici che atei. Come non guardare con ammirazione la loro appassionata ricerca per delineare, attraverso i metodi scientifici le leggi della natura, degli organismi viventi e dello sviluppo dell'uomo? Occorre dire che al livello della conoscenza non può esserci alcuna opposizione tra scienza e fede? Del resto gli studiosi hanno di solito la preoccupazione di dar prova, che le applicazioni delle scoperte sono un servizio dell'uomo.

Ma, attenendosi ad un semplice approccio scientifico e alle pure possibilità ad accogliere il dono di Dio nella fede e negli insegnamenti del magistero. Accade che dei presupposti ideologici legati alla pratica della scienza s'impongono agli spiriti. O molto semplicemente, ciò che è teologicamente possibile appare loro come ciò che bisogna realizzare, come se una pura possibilità tecnica potesse stare al posto di una qualificazione morale. Ma, grazie a Dio, un buon numero di studiosi si preoccupa di rispettare dei criteri morali per una pratica umana della scienza, soprattutto quando si tratta del rispetto della vita umana. Molto recentemente la Santa Sede ha dato a tutti gli uomini di buona volontà ed in particolare ai credenti i criteri che devono assolutamente orientare l'intervento dei ricercatori e dei medici in questo campo.

Del resto, in nome delle scienze umane, alcuni possono essere tentati di ridurre l'uomo e la sua storia alla situazione sociale, alla sua struttura psicologica. Le matematiche e le scienze fisiche sviluppano la razionalità sotto la sola forma del calcolo e delle misure quantitative. Infine, il mondo universitario è anche contrassegnato da una specializzazione crescente e da ripartizioni che non facilitano la apertura ad una visione integrale dell'uomo e ad approccio pastorale. Spesso gli universitari prendono una distanza critica in rapporto alle istituzioni e allo stesso tempo domandano ad esse una garanzia protettrice per la libertà degli individui. Io non ho da offrirvi dei mezzi particolari per risolvere questi problemi. Sta a voi cercarli a livello regionale o dalle conferenze episcopali, con tutte le istanze ecclesiali, con i laici competenti. E' sicuro che la Chiesa deve rimanere vicino a questi ambienti intellettuali, con uno spirito di comprensione, di dialogo e di stima e anche con il coraggio di testimoniare la fede e l'etica cristiana, per richiamare ad una riflessione approfondita. Questa presenza specifica è assicurata dapprima dalle cappellanie del mondo universitario, deve essere comunque una preoccupazione condivisa largamente dai pastori. Le istituzioni ecclesiastiche di insegnamento e di ricerca, come gli istituti cattolici, situati nel mondo universitario, e che agiscono seguendo fedelmente gli orientamenti del magistero possono facilitare contatti veri e una testimonianza efficace. Sembra pero che sarebbe utile un centro cristiano di indirizzo intellettuale e culturale a livello nazionale e che, collegato con le principali città universitarie, darebbe un volto di Chiesa e uno sforzo di riflessione ed espressione pubblica. Numerosi cattolici, troppo spesso isolati nei "campus" universitari, potrebbero darsi da fare in questo senso. I pastori, assorbiti dagli altri compiti, valutano abbastanza il peso delle correnti culturali nell'opinione pubblica, nella formazione degli spiriti e delle coscienze? Affidandovi queste riflessioni, io prego lo Spirito Santo di colmarvi della sua luce e della sua forza. Vi dono la mia benedizione apostolica che estendo a tutti coloro che collaborano con voi all'opera di evangelizzazione che il Signore ci affida oggi.

1987-03-20 Data estesa: Venerdi 20 Marzo 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Ai sacerdoti, religiosi e laici - Cattedrale di san Francesco (Civitavecchia)