GPII 1986 Insegnamenti - Messa per gli universitari romani - Città del Vaticano (Roma)

Messa per gli universitari romani - Città del Vaticano (Roma)

Aprirsi consapevolmente e con gioia a Dio



1. "Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti lo conquistano" (cfr Mt 11,12). La basilica di San Pietro ci accoglie stasera per questo incontro ormai tradizionale durante l'Avvento con gli studenti delle Università romane e degli Istituti superiori di cultura, con la partecipazione di rettori e di professori provenienti anche da altre Università italiane. A tutti porgo il mio cordiale saluto con un pensiero deferente anche al signor ministro della Pubblica istruzione. La vostra numerosa e qualificata presenza, cari rettori, docenti e studenti, è per me fonte di profonda gioia: è, questo, per me un incontro particolarmente caro. L'assemblea eucaristica è sempre e dappertutto, qui sulla terra, l'anticipazione di quel regno, al quale Dio conduce tutto il mondo creato, e in esso soprattutto l'uomo. Lo conduce in Cristo, in colui che è stato "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15). In Cristo si manifesta più pienamente la verità che ci fa conoscere il regno di Dio come dono del Padre e contemporaneamente come un compito. Da qui le parole sui "violenti che conquistano il regno". Riunendoci questa sera d'Avvento in questa comunità eucaristica, desideriamo accogliere il regno di Dio come dono: l'Eucaristia certamente è qui, sulla terra, il più grande dono del regno, e allo stesso tempo desideriamo assumerlo come un compito: "Il regno di Dio soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono".


2. Quando Cristo comincio ad annunziare il regno di Dio in mezzo a Israele, diceva così: "Il regno di Dio è vicino, convertitevi e fate penitenza" (Mc 1,15). Allo stesso modo, il Precursore, del quale Gesù aveva fatto l'elogio - "tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista" (Mt 11,11) - si era espresso precedentemente lungo le rive del Giordano. Non so se ci rendiamo abbastanza conto che entrando in una comunità eucaristica occorre ascoltare anzitutto proprio questa voce, che esorta alla conversione, e rispondere alla sua chiamata. La conversione è sempre e dappertutto il punto di partenza verso il regno di Dio. Conversione significa entrare in se stessi, ritrovare se stessi nel profondo della coscienza: è un rivolgersi pieni di fiducia verso il Padre. "Ci hai creati per te e inquieto è il cuor nostro, finché non riposa in te". così il grande Agostino. La prima parte della celebrazione eucaristica porta sempre alla considerazione di queste verità.


3. perciò, all'inizio della liturgia della Messa, prima ci raccogliamo in silenzio. Questo silenzio deve servire alla "conversione" del cuore. Il regno di Dio viene a noi mediante la conversione. così la conversione diventa quasi un ritmo normale della nostra vita, quasi un costante respiro dell'anima. Viviamo in questa consapevolezza. Viviamo costantemente convertendoci. A volte, per convertirsi l'uomo deve risvegliare in sé quel "violento", di cui parla Cristo; "il violento" che agisce quasi contro se stesso - contro la cupidigia, contro la superbia di questa vita, contro il peccato - ha il coraggio di "conquistare" il regno di Dio; di riaverlo nel proprio animo, di conquistarlo di nuovo. così è stato per Agostino, il figlio di Monica, 1600 anni fa: "inquieto è il cuor nostro, finché non riposa in te".


4. La Chiesa è il corpo di Cristo: lo è, e nello stesso tempo lo diventa continuamente. La Chiesa diventa corpo di Cristo al ritmo della conversione del cuore, che avvicina al regno di Dio. Per questo il sacramento della Penitenza è tanto importante nella vita d'ogni cristiano. Tutti siamo chiamati a dare a questo sacramento un posto centrale nella nostra vita - specialmente quando "è inquieto il nostro cuore". Questo è il sacramento, che viene incontro alla inquietudine dei cuori umani, assetati di salvezza. E se manca questa inquietudine? Se la coscienza si è attutita? Se qualcuno è insidiato dal "peccato contro lo Spirito Santo"? Che cosa fare allora? Allora dobbiamo tanto più implorare da Cristo di "destarci da un sonno profondo", per ridestare dalle ceneri della coscienza quel "violento", che è capace nuovamente di "conquistare il regno dei cieli". Sono meravigliosi tali risvegli. Diverse volte ho incontrato delle persone che hanno testimoniato conversioni radicali: quasi come quelle di Agostino, o Paolo di Tarso. Tali conversioni nel mondo di oggi sono possibili. E quanto ce n'è bisogno!


5. Radunati nella comunità d'Avvento, procediamo verso il regno, che è in noi e che è costantemente innanzi a noi. E' un dono ed è un compito. Procediamo, ascoltando la Parola di Dio e meditandola. Nell'odierna liturgia Dio ci parla tramite il profeta Isaia, ci parla con le parole del Salmo 144, infine ci parla con il brano del Vangelo secondo Matteo. Al centro di queste parole e di queste letture è l'esortazione dell'Avvento: "Le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza" (Is 45,8).


6. L'epoca in cui viviamo sembra lontana da questa esortazione. Non è l'uomo a prepararsi la propria sorte? Egli attende la salvezza che gli verrà dal di fuori della storia propria dell'umanità e del mondo. Si, si "apra" la terra davanti all'uomo, affinché egli possa conoscerne le ricchezze ed esplorarle. Ma non basta ammirare le bellezze del mondo solamente ed esclusivamente in un "circuito chiuso": il mondo - l'uomo - il mondo! Quando il profeta grida perché si "apra la terra", ha in mente il superamento di questo circuito. Questo circuito infatti non è chiuso. Il mondo porta in sé un incessante riferimento al Creatore, e il cuore umano "è inquieto finché non si fermi accanto a lui. Finché non si ritrovi in lui".


7. Venendo "dal mondo", per trovarci in questa comunità eucaristica quali discepoli di Cristo, attraversiamo la soglia. Passiamo da un mondo chiuso intorno all'uomo, a quello che si apre - mediante "il cuore", mediante il "cuore inquieto" - verso Dio. La liturgia ci aiuta a superare questa soglia. La parola della rivelazione divina attraverso le letture dell'Avvento schiude davanti a noi la prospettiva del regno. Mette in evidenza il fatto, che l'uomo non vive in un circuito chiuso e rimane sempre attuale l'invocazione dell'Avvento per la venuta del Messia, del Mediatore tra Dio e gli uomini, tra gli uomini e Dio. Del Cristo.


8. Non è lui soprattutto quel santissimo "violento" di tutti i tempi? Un violento che conquista il regno di Dio lungo la storia dell'umanità? In lui: in Gesù, Figlio di Maria, il regno di Dio, il regno dei cieli, è dato più pienamente all'uomo come dono! E allo stesso tempo: in lui, in Gesù Cristo, il Servo del Signore martoriato e crocifisso, lo stesso regno di Dio, il regno dei cieli, è dato all'uomo come compito. E' dato come compito, come nuova alleanza; è dato come compito e come sacramento. E' dato come compito, come contenuto del discorso della montagna. E' dato come compito, come il comandamento dell'amore di Dio e del prossimo; come il comandamento dell'amore sociale. E' dato come compito, come modello definitivo.

Come una nuova civiltà e cultura. Come verità, giustizia e amore. E' dato come compito, nella libertà. E' dato come compito, come dignità d'ogni persona umana sin dal concepimento e fino alla morte. E' dato come compito, come valore della vita e della morte. Come speranza dell'immortalità.


9. Stiamo partecipando all'Eucaristia. Si rinnova il sacrificio della redenzione.

Cristo stesso lo rinnova nel sacramento del corpo e del sangue. Ascoltiamo: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo" (Jn 1,29). Queste parole le ha già pronunciate Giovanni nel Giordano, quando ha visto per la prima volta Gesù di Nazaret. Le riascoltiamo costantemente nella liturgia. E contemporaneamente: non è lui, l'Agnello di Dio, quel santissimo "Violento" di tutti i tempi che "conquista il regno"? E non conquista proprio perché "toglie il peccato del mondo"? "Conquista" il regno di Dio, il regno dei cieli, per noi! Per ciascuno e per tutti. In lui il regno di Dio diventa un dono definitivo. E contemporaneamente un compito definitivo: di ciascuno e di tutti. La Chiesa, il Corpo di Cristo, si edifica proprio così: con questo dono e con questo compito.


10. L'Eucaristia è la comunione, Cristo ci invita. Dice: prendete e mangiate... prendete e bevete... questo è il nuovo sacramento nel mio sangue... Dice dunque: accettate il dono e assumete il compito! Accettate il regno come un dono datovi nel sacramento pasquale del mio corpo e sangue. E insieme: Assumete questo regno come il compito della vostra generazione. Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura (cfr Mc 16,15). Nascano da questa comunione eucaristica i "miti e umili di cuore" e insieme i "violenti" che conquistano il regno. Lo conquistano in se stessi e per gli altri. Per il mondo. Poiché il mondo non è un circuito chiuso. Il mondo è chiamato alla gloria. In Gesù Cristo il regno di Dio è il suo destino.


11. Cari docenti e studenti delle Università romane! Accogliete questa predica d'Avvento del vostro vescovo. Desidero, che nella nostra assemblea eucaristica della liturgia di questa sera, risuonino tutte queste "gioie e speranze" e insieme tutte "le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi" (GS 1), che travagliano il vostro ambiente universitario. E non soltanto in Roma, ma altrove, in Italia, in altri paesi d'Europa e del mondo. Dappertutto. Ne daremo un'espressione possibilmente penetrante nelle intenzioni della Preghiera dei fedeli. Di pari passo vada tuttavia la speranza.

Vadano il coraggio e la fortezza di coloro che si "impadroniscono del regno di Dio": dei santi violenti. Gesù Cristo ieri e oggi... da ogni longitudine e latitudine geografica, da ogni distanza storica, lui - nato nella stalla di Betlemme, crocifisso sul Golgota, risorto - ripete costantemente alle successive generazioni dei suoi discepoli: Non abbiate paura. Io Sono. Si. Il Signore è vicino. Che la vostra "gioia" per la sua nascita sia piena. Che "nessuno vi tolga questa gioia" (Jn 16,22).

Data: 1986-12-11 Giovedi 11 Dicembre 1986




Ai vescovi della Campania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Catechesi assidua, capillare e sistematica


Venerati e amati fratelli, pastori delle Chiese che sono nella Campania!


1. Ringrazio Dio a motivo della gioia che mi procura questo incontro con voi, desiderato e anticipato nel mio cuore con la preghiera al Signore, perché vi dia conforto e sostegno nell'opera di evangelizzazione che, insieme col vostro clero, svolgete nelle rispettive diocesi della Regione campana. Questa visita "ad limina" sottolinea in modo eloquente l'unione di pensiero e di intenti esistente tra noi, nonché il comune desiderio di far convergere tutte le nostre energie nel servizio alla Chiesa pellegrinante sulla terra verso l'incontro definitivo col suo Signore. Le vostre cure pastorali divengono così anche le mie, le vostre consolazioni sono pure mie consolazioni, sicché l'odierno incontro si rivela come un "momento forte" di vita ecclesiale, che conforta e incoraggia ciascuno di noi a perseverare nel combattere la buona battaglia con fede e buona coscienza (cfr 1Tm 1,18-19). Voi siete vescovi in una regione italiana, che ha vissuto in modo diretto e, talvolta, drammatico le conseguenze delle trasformazioni sociali proprie dei tempi moderni. Conosco bene la cordialità della vostra gente, lo spirito d'inventiva che la distingue, la vivace intelligenza che tanti frutti ha dato e dà nei vari campi dell'umana esperienza. E conosco pure le convincenti testimonianze di fede e di vita cristiana che si possono tuttora rilevare nei singoli e nelle comunità e si accompagnano spesso a quelle manifestazioni di "pietà popolare", che ha radici tanto profonde nelle tradizioni della gente di Campania. Grazie ai colloqui, già avuti con ciascuno di voi, e alle relazioni, da voi inviate, conosco anche i non pochi aspetti preoccupanti che la situazione pastorale della Regione presenta, aspetti che giustamente assillano il vostro cuore di pastori. Le rapide mutazioni del nostro tempo hanno prodotto dolorosi squilibri nel costume, nella vita religiosa e fin nel "quadro culturale" della popolazione campana.


2. Voi constatate con preoccupazione come gli uomini, specialmente i giovani, tendano a rinnovare lo stile della loro vita, accogliendo le proposte di un'attualità che spesso porta in sé una visione dell'esistenza estranea al cristianesimo. Una tale visione, acristiana e talvolta anticristiana, si esprime come mancanza di riferimento al soprannaturale e esclusione dei valori trascendenti, si manifesta come disinteresse per ciò che superi le attrazioni e il fascino del vivere quotidiano, si restringe a un orizzonte meramente terreno. Il significato dell'esistenza umana viene così ridotto nell'ambito di una concezione naturalistica in ordine ai vari problemi, quali, ad esempio, quelli della giustizia, del lavoro, dell'economia, della famiglia, dell'educazione, dello svago e del divertimento. Di qui possono scaturire contrasti tra le categorie sociali, tra le correnti politiche, tra le ideologie, e in questo contesto possono emergere quei diversi egoismi collettivi che stanno alla base di tante sofferenze e dolorose ingiustizie. Da una mentalità lontana dai principi cristiani deriva l'inclinazione verso modelli negativi, che più volte si è manifestata tristemente con l'intensificarsi di delitti e prepotenze, incidendo sulla vita familiare, sociale ed ecclesiale, in particolare sullo stile di vita della gioventù. Vi chiedete, pertanto, che cosa occorra fare per affrontare la situazione in maniera tale che sia ancora il Vangelo di Cristo a formare le coscienze della vostra gente. Con l'ansia degli apostoli, ferventi e premurosi, voi vi interrogate sui mezzi che occorre privilegiare per giungere a positivi risultati di conversione e operare un'efficace e rinnovata evangelizzazione.


3. A questo infatti bisogna tendere: a una ripresa dell'annuncio cristiano nella sua interezza e nella sua vitalità dinanzi a un popolo che di esso ha bisogno. Si tratta di evangelizzare, di rievangelizzare con un impegno vasto e perseverante, tale da coinvolgere tutte le forze della Chiesa e da portare a tutti la grazia della chiamata divina, a imitazione dei primi tempi del cristianesimo. Una evangelizzazione rinnovata sarà, dunque, l'obiettivo che più deve interessare la Chiesa locale, cominciando dalla catechesi, che di essa è l'applicazione concreta e lo strumento di base. In realtà, dall'analisi della situazione - ripeto - e dai nostri colloqui personali è emersa questa esigenza come prioritaria e condizionante: la catechesi. Ecco, dunque, la via da seguire, ecco lo strumento da scegliere subito e sul quale fondare la comune speranza: dico una catechesi assidua, capillare, sistematica, permanente. Essa dovrà essere a fondamento di tutta l'azione pastorale, e costituire il compito primo di ogni pastore d'anime, per offrire il nutrimento indispensabile al popolo di Dio; dico "la catechesi che tende a sviluppare la comprensione del mistero di Cristo alla luce della Parola, perché l'uomo tutto intero ne sia impregnato" (cfr CTR 20). E' necessario che la catechesi, a cominciare da quella rivolta ai fanciulli, sia intesa e attuata come impegno di educazione e di formazione per la personalità cristiana, per lo sviluppo dell'organismo soprannaturale che ciascun fedele possiede già dalla rigenerazione battesimale. Tale formazione deve essere data ai fanciulli durante tutto l'arco dell'età evolutiva, sia nell'ambito familiare che in quello parrocchiale. Sia, dunque, cari fratelli, un'adeguata e appropriata catechesi la prima risposta ai problemi che emergono dalle mutate esigenze spirituali, culturali e sociali del vostro popolo.


4. E' chiaro, tuttavia, che ai fini della sua attuazione si dovrà passare con pazienza e perseveranza attraverso precise fasi organizzative. Anzitutto occorre che ogni pastore d'anime sappia di essere per natura sua e sappia essere un catechista. Questa consapevolezza è come la premessa, direi, l'anima di tutto il suo impegno di sacro ministro, al quale compete l'esaltante servizio di garantire, guidare e stimolare l'armonico sviluppo della fede nella comunità, a cui è preposto. Al pastore spetta anche la scelta dei collaboratori nell'insegnamento catechetico, affinché la famiglia di Dio adempia alla missione di trasmettere la Parola e la dottrina, rispondendo così a quel dovere di apostolato che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri (cfr AA 2). In base a questa esigenza occorrerà rivolgersi con fiducia all'aiuto dei laici. Sono essi la parte preponderante del popolo di Dio; spetta ad essi illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali sono legati; spetta ad essi "rendere presente la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui la Chiesa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo" (cfr LG 31). L'apostolato, quindi, è anche dei laici. Essi possono e debbono testimoniare la fede all'interno della famiglia, del mondo del lavoro, della professione e dell'impiego, della vita politica e sindacale, della vita economica e sociale, dello spettacolo, del turismo e dello sport. Essi possono e debbono, altresi, farsi interpreti e annunciatori della fede cristiana nella catechesi in una maniera tanto vasta quanto efficace. Fate in modo pertanto che in oggi parrocchia, secondo le concrete esigenze della rispettiva comunità, operino insieme con i sacerdoti e i religiosi, laici qualificati e ben preparati. Né si deve temere di sprecare energie, quando si tratta di disporre scuole o centri di formazione per catechisti. Converrà anzi mettere in comune, se necessario, forze e mezzi tra diocesi e diocesi, tra parrocchia e parrocchia, utilizzando anche l'apporto degli Istituti teologici della Regione, affinché la preparazione dei collaboratori sia valida, accurata, rispondente alle necessità. E' infatti necessaria questa sapiente coordinazione di tutte le energie disponibili, scoprendo e mettendo a frutto le molteplici risorse per un servizio sempre più valido alla parola di Dio e all'edificazione del suo regno.


5. La Chiesa ha bisogno di coloro che vivono nel mondo e ne comprendono la mentalità, per intendere il linguaggio del nostro tempo e inserire in esso l'annuncio della fede. "Perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta" (GS 44), sarà necessario che i docenti degli Istituti teologici collaborino insieme con gli specialisti del metodo catechetico per individuare le precise istanze dell'ambiente. Loro specifico ufficio è proporre integra la verità della fede nel linguaggio e nella cultura del nostro tempo; in particolare presentare nel suo genuino equilibrio l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II, base indispensabile per l'edificazione di comunità in cui tutti i carismi siano adeguatamente valorizzati in vista della missione di salvezza.

Nell'approfondire il concetto della Chiesa locale o, meglio, di Chiesa particolare, i teologi eviteranno pertanto quelle enfatizzazioni unilaterali e insostenibili per le quali la Chiesa sarebbe originariamente e prioritariamente la Chiesa locale. Come già sottolineavo al Convegno di Loreto (n. 6), "le Chiese particolari, nelle quali e a partire dalle quali sussiste l'una e unica Chiesa di Cristo, trovano infatti il loro senso autentico e la loro consistenza ecclesiale solo come espressioni e realizzazioni della "catholica", della Chiesa una, universale e primigenia". Accanto al ruolo degli specialisti di teologia e catechesi resta necessario l'inserimento del laicato nella vita e nella missione della Chiesa. Se i laici si renderanno sempre più conto di appartenere alla Chiesa in forza di quella vocazione, che si fonda sul Battesimo e sulla Cresima, e di condividere la sua stessa funzione salvifica, allora saranno anch'essi operatori responsabili di quella restituzione dell'uomo, e del mondo al Padre che Cristo, Figlio eterno e insieme vero uomo, fece una volta per sempre (cfr RH 20). E' necessario perciò che i laici posseggano la dovuta preparazione per la lettura del Vangelo, che la celebrazione eucaristica si manifesti per loro come culmine e fonte di ogni evangelizzazione, nonché come alimento della fede e della grazia. In prima fila dovranno figurare i membri delle varie associazioni cattoliche, dando una chiara testimonianza della missione loro affidata dalla gerarchia. In particolare, l'Azione cattolica sappia essere, insieme con le altre associazioni, forza trainante in seno al laicato. Converrà, inoltre, che i Consigli pastorali, diocesani e parrocchiali, promuovano il coinvolgimento dei laici disattenti o lontani dalla vita ecclesiale, e si impegnino per l'evangelizzazione dei non cristiani.


6. Cari confratelli, avviate con pazienza e fiducia il vostro programma d'azione, partendo dalla catechesi ai ragazzi e ai giovani. In loro la parola, seminata come buon seme, darà a suo tempo i frutti sperati. Aperto e disponibile è il loro animo a riconoscere l'amore di Dio, a imparare ad amare Gesù Cristo, a comprendere la sua parola. Essi potranno mettere nella loro vita le basi fondamentali per una mentalità cristiana e per quella testimonianza che daranno ancor meglio da adulti in favore della dottrina predicata dalla Chiesa. Grazie alla catechesi, essi saranno portati a vivere in profondo l'esperienza meravigliosa dei sacramenti, e sarà appunto l'itinerario catechetico a tener desta sempre in loro la coscienza del Battesimo ricevuto, a portarli con fiducia al sacramento del perdono, a prepararli all'incontro frequente con Cristo nell'Eucaristia. Rinvigorendo in loro la coscienza di essere "nuove creature", rinate dall'acqua e dallo Spirito Santo, la catechesi li aiuterà a crescere come "uomini nuovi". Sarà ancora la catechesi a educarli alla preghiera e alla professione di fede nel dialogo personale con Dio e nel riguardare alla sua luce gli eventi del mondo.


7. Noi lavoriamo per il regno di Dio, e ciò facciamo non con l'animo triste di chi constata solo carenze o pericoli, ma con la ferma fiducia di chi sa di poter contare sulla vittoria di Cristo. Io desidero, per questo, ripetere a voi le parole stesse, che con premurosa insistenza vi rivolse un giorno il mio predecessore Paolo VI per invitarvi e confermarvi nella speranza. "Si, la fiducia - egli disse - la quale non ignora le difficoltà del tempo presente, né le delusioni che possono colpire il nostro ottimismo". Ma "non saremmo fedeli seguaci del divino Maestro, se non sapessimo spingere la nostra fiducia "in spem contra spem" (Rm 4,18), in ogni situazione, anche la più ardua". Cristo ha generato la Chiesa, suo corpo mistico, col suo sangue, col suo martirio, morendo sulla croce e attuando con tale "annichilimento" la piena vittoria sul male. In lui confidiamo per la rinascita cristiana del nostro popolo, ben sapendo che siamo stati rigenerati non da seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio, viva e eterna (cfr 1P 1,23). Unita al Signore in modo ineffabile è Maria, pienamente conforme al Figlio suo, vincitore del peccato e della morte; è lei segno di certa speranza e di consolazione per il popolo di Dio peregrinante. La santa Vergine di Pompei, che è onorata in modo singolare dal buon popolo della Campania, protegga e sostenga le vostre iniziative e i programmi pastorali che intendete attuare. Essa vi aiuti ad accogliere l'iniziativa di Dio, la sua parola, il suo messaggio; vi conduca, insieme al vostro popolo, a un'autentica e vigorosa crescita nella fede. Fidando nell'intercessione della Vergine, io imploro da Dio luce, conforto, forza, intensità di propositi e di realizzazioni per voi e per i vostri collaboratori - sacerdoti, religiosi e laici -, mentre di cuore vi imparto la benedizione apostolica, estensibile a tutti i fedeli di ciascuna comunità diocesana.

Data: 1986-12-11 Giovedi 11 Dicembre 1986




Al patriarca Stéphanos II Ghattas - Città del Vaticano (Roma)

Imposizione del pallio al patriarca di Alessandria dei copti


Beatitudine, cari fratelli nell'episcopato, e voi tutti, figli della venerabile Chiesa copta cattolica, attorniati dai rappresentanti delle altre comunità ecclesiali d'Egitto.


1. Siate i benvenuti nella casa del successore di Pietro, l'apostolo che ebbe relazioni privilegiate con l'evangelista Marco, glorioso fondatore, secondo la tradizione della Sede di Alessandria. Mi sono unito profondamente al pellegrinaggio che vostra beatitudine, dal suo arrivo sul suolo italiano, ha compiuto a Venezia sulla tomba di san Marco. La Chiesa di Roma è stata felice di apprendere, nel maggio scorso, che il santo Sinodo della Chiesa copta cattolica, d'Alessandria, la sua cara sorella, aveva eletto un nuovo patriarca nella persona di vostra beatitudine, per succedere al venerabile patriarca Stéphanos I Sidarouss. Molto volentieri vi ho espresso la riconoscenza della comunione ecclesiastica che voi sollecitate. E oggi l'imposizione del pallio vuol essere il segno tangibile di questa riconoscenza. Questo pallio di lana bianca simboleggia in qualche modo le pecore delle quali avete responsabilità come pastore al seguito di Gesù Cristo; è stato deposto sulla tomba del Principe degli apostoli e si concretizza, specialmente nelle celebrazioni della vostra santa liturgia, i legami di comunione profonda che uniscono nella stessa fede a Cristo e in una comune Eucaristia, tutta la Chiesa copta cattolica con la sede di Pietro che "presiede alla carità universale". E' l'espressione dell'abbraccio affettuoso dell'intera cattolicità, segno della nostra fraterna solidarietà che sarà un appoggio e un conforto nell'esercizio del vostro nuovo servizio apostolico sulla Sede di Alessandria.


2. Si, siate benedetto, caro fratello, poiché la vostra visita è il pegno di questa pace che fa di tutti noi un solo cuore e un solo spirito nel Signore. Siate benedetti, anche voi, fratelli cari nell'episcopato, che accompagnate il vostro patriarca come pastori della Chiesa copta cattolica. Nel cuore delle differenti Chiese, la tradizione alla quale fate appello occupa un posto importante e di responsabilità. Voi siete molto attaccati alla specificità della vostra Chiesa, alle sue radici apostoliche. Vi auguro di essere sempre i degni eredi dei santi che hanno reso celebre la Chiesa copta e che, ancora oggi, sono alla base di una considerevole vitalità spirituale e teologica. I Padri della Scuola di Alessandria vi hanno lasciato un esempio di fedeltà indefettibile a Cristo Signore che è lo stesso "ieri, oggi e sempre", e di coraggiosa apertura alle esigenze culturali di un mondo assetato di verità. Gli antichi monaci del deserto vi offrono un modello impareggiato di radicalismo evangelico, ardente messa in guardia di fronte ai compromessi sempre facili e testimonianze vivente dell'attesa del regno nella precarietà delle imprese umane. Ben altri tesori inseriti nel più intimo dell'anima del vostro popolo: la santità del matrimonio, il carattere sacro dei legami familiari, un'ospitalità accogliente e generosa. E come non ricordare questa vostra meravigliosa tradizione di preghiera liturgica, quella della Chiesa d'Alessandria, solenne e piena di sobrietà, per non parlare di questa austerità rigorosa che caratterizza il vostro spirito di penitenza! Vivendo in modo originale la vostra vita cristiana, nella linea di questa tradizione che ha arricchito tutta la Chiesa, voi vi sentite innestati sull'albero della Chiesa cattolica aperta a tutti i popoli, con le loro culture e le loro varie sensibilità, in piena comunione con la cattedra di Pietro, centro e garante dell'unità e dell'arricchimento reciproco. Questa mattina altri vescovi, appartenenti a differenti riti, si sono uniti a voi nella presente circostanza: con voi essi manifestano in tutta la sua bellezza la ricchezza multiforme della santa Chiesa.


3. Questo incontro dei figli della grande famiglia cattolica, che raggiunge la preghiera sacerdotale di Gesù "che siano una sola cosa", comporta per tutti noi un appello sempre pressante ad essere artefici di unità. Noi non possiamo dimenticare in questo istante la grande maggioranza della famiglia copta con la quale desidero che progrediamo verso la piena comunione. Vostra beatitudine ha appena confermato il suo impegno personale a quello di tutta la Chiesa copta cattolica affinché il cammino ecumenico, lento e spesso irto di ostacoli, ma sicuramente conforme al desiderio del Signore, possa proseguire grazie allo sforzo e alla buona volontà di tutti. Ciò suppone che per mezzo del rispetto dell'altro e delle sue responsabilità pastorali proprie, si ristabilisca una profonda fiducia reciproca e fraterna. E' la conduzione presupposta a ogni collaborazione e a questa testimonianza comune di cristiani, così necessarie ovunque, ma più ancora forse nell'Egitto di oggi. Infatti i cristiani devono integrarsi pienamente in questa società in rapido sviluppo in tutti i campi dell'attività umana. Essi devono avere l'ambizione di contribuire a questo grande movimento di progresso e di apertura che sembra caratterizzare il vostro paese oggi. Carissimi fratelli, quale testimonianza di fede, quale messaggio d'amore potremmo offrire al mondo se noi per i quali il nome di Cristo dà un senso alla vita, se non perdessimo il nostro tempo e non sprecassimo le nostre forze presentando lo spettacolo delle nostre divisioni piuttosto di quello della nostra comune vocazione? Non sappiamo che un regno diviso contro se stesso è inevitabilmente condannato a disintegrarsi? Anche da parte nostra siamo sempre i primi a perdonare, a dimenticare i torti e a ricominciare ogni giorno, se necessario, suscitando nuove occasioni di incontro e di dialogo. Chi semina nella carità e nella verità, presto o tardi ne raccoglierà i frutti.


4. D'altronde lo spirito di collaborazione, che regna tra le diverse comunità cattoliche d'Egitto, costituisce un motivo di gioia e di speranza. In un'epoca in cui ogni sorta di problemi nuovi e difficili, nei quali le speranze e i successi rivestono una dimensione regionale e universale, non posso che incoraggiare e sostenere tale cooperazione. Solo uno scambio continuo e un arricchimento reciproco saranno in grado di rispondere con chiarezza, efficacia e prontezza agli innumerevoli bisogni dell'uomo per servirlo meglio. E ogni comunità o Chiesa ci guadagnerà, superando la cerchia ristretta dei propri limiti. Infine non ignoro quanto sia prezioso il servizio che prestano i religiosi e le religiose di tutti i riti, in spirito di totale disponibilità senza distinzione di razza, di lingua o d'Istituto. Questo messaggio, espresso in modo vissuto incita amorevolmente a una vera fraternità e a una comprensione reciproca nell'azione. Per questo sono sicuro che l'assemblea dei vescovi cattolici d'Egitto sotto la degna presidenza della vostra beatitudine non mancherà di assicurare la coordinazione indispensabile a un'azione pastorale incisiva ed efficiente presso i loro fedeli, fondata su un'analisi lucida delle situazioni e dei bisogni, in uno spirito d'apertura ai segni dei tempi e ispirata dalla creatività inesauribile che permette il dinamismo dei doni dello Spirito Santo.


5. In questo contesto, come ha rivelato vostra beatitudine, sono due i compiti primordiali: la formazione del clero e la valorizzazione della responsabilità dei laici. Tra i criteri che devono ispirare l'educazione di quelli che si preparano a servire la comunità cristiana nel ministero dell'ordine, ci sembra innanzitutto indispensabile assicurare una rigorosa fedeltà alla propria tradizione: i preti copto-cattolici devono essere pienamente i figli del loro popolo, formati in un clima spirituale che rende celebre la venerabile Chiesa d'Alessandria. Dovranno possedere la cultura e accedere alle fonti di questa spiritualità, per diventarne gli esegeti accorti, rispettosi del valore del loro passato e capaci al tempo stesso di farne una rilettura attualizzata, aperta alle richieste dei tempi nuovi. perciò una saggia valorizzazione della vostra splendida liturgia, che permette ai preti e ai diaconi di celebrare i divini misteri con tutta la dignità richiesta, sarà di primaria importanza. E' importante anche badare alla loro formazione pastorale. La loro presenza ministeriale non è legata esclusivamente a una amministrazione occasionale dei sacramenti, che sono sicuramente degli strumenti insostituibili della grazia, ma che devono essere ricevuti e vissuti nel seno di una comunità vivente, ispirata da una fede illuminata e agente e animata da una carità coraggiosa. La validità della testimonianza cristiana è tributaria di tutto un impegno pastorale realista che i sacerdoti avranno saputo mettere in opera con la comunità dei fedeli.


6. E' precisamente nella prospettiva di una Chiesa locale ben articolata nei suoi carismi e nei suoi ministeri che emerge il ruolo fondamentale del laicato che il prossimo Sinodo intende promuovere. Sappiamo quanto dipenda dai nostri laici lo sviluppo della Chiesa non solo grazie ai servizi per mezzo dei quali essi sostengono le comunità cristiane, ma grazie alla loro testimonianza quotidiana e alla loro azione specifica nel seno delle realtà temporali che tessono la società e fanno si che il regno di Dio avvenga: un'attività professionale qualificata e onesta, un lavoro realizzato con amore e abnegazione, una vita di famiglia segnata dall'unità e dalla fedeltà anche nel momento della prova, l'educazione della gioventù, la promozione d'iniziative a favore dei poveri e degli emarginati, e sempre l'affermazione vissuta della supremazia della persona umana sul puro profitto o il semplice vantaggio personale, la salvaguardia della dignità umana, della libertà di coscienza e di espressione, la testimonianza di una vita dedicata a Dio, in una preghiera frequente e fiduciosa. Ciò suppone che i laici si richiamino a una vita sacramentale intensa e a una solida formazione catechistica.

Ecco alcuni dei numerosi mezzi per rendere credibile il Vangelo agli occhi di coloro che non condividono, in tutto o in parte, il senso della nostra vita.


7. Beatitudine, cari fratelli nell'episcopato, ciò che ho appena evocato davanti a voi è ciò che tutte le comunità ecclesiastiche sono chiamate a realizzare, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. In questo noi siamo i servitori dell'unico Signore e Salvatore. Preghiamo gli uni per gli altri. Da parte mia invoco su voi i doni dello Spirito Santo, la sua luce e la sua forza. Vi assicuro che potrete sempre trovare nel successore di Pietro il sostegno e l'incoraggiamento che desiderate. Rinnovo la mia stima per la vostra giovane Chiesa radicata in una così antica tradizione. Vi ringrazio per la vostra visita e per la vostra fiducia. A voi e a tutti coloro che vi accompagnano o che rappresentate, fratelli e sorelle della Chiesa copta cattolica o delle comunità cattoliche di diversi riti, dono di tutto cuore la mia benedizione. Che il Signore vi confermi nella fede che fa la gioia di tutti noi! Che vi conservi nella speranza anche quando avete l'impressione di essere "il piccolo gregge" del Vangelo, che vi mantenga pronti a giustificare questa speranza che è in voi! Che allarghi i vostri cuori alle dimensioni del suo amore! Che accordi a tutto il popolo d'Egitto la prosperità e la pace!

Data: 1986-12-12 Venerdi 12 Dicembre 1986





GPII 1986 Insegnamenti - Messa per gli universitari romani - Città del Vaticano (Roma)