GPII 1986 Insegnamenti - Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)

Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)

Dio libera l'uomo e dà senso alla vita



1. Ringrazio di cuore mons. Wesoly per gli auguri natalizi espressi a nome dei polacchi che vivono a Roma o vi si trovano di passaggio, e in modo indiretto a nome di tutte le comunità degli emigrati polacchi del mondo. Vorrei che le parole, con le quali rispondo a questi auguri, giungessero a tutte le persone qui presenti. Certamente i nostri auguri vanno a tutti i compatrioti in tutto il mondo, tuttavia noi pensiamo sempre in primo luogo ai circa 38 milioni di polacchi che vivono in Polonia. Durante il mio servizio nelle diverse regioni della terra - l'ultima volta in Australia e Nuova Zelanda - ho sempre l'opportunità di incontrare gli emigrati. Sono incontri segnati da una profonda commozione, poiché tra le altre cose c'è sempre in essi un riferimento alla patria, alla terra e al popolo, alle sue esperienze storiche. Ci sentiamo uniti nel cuore con tutti i polacchi che vivono all'estero. Ci rallegriamo dei loro successi. Gli siamo grati per tutto ciò che fanno per la Polonia nel mondo e per la Polonia in Polonia. Siamo lieti di sentire dai vescovi dei diversi paesi e continenti che gli emigrati polacchi rimangono sinceramente legati alla Chiesa anche nei paesi della loro nuova residenza. Tuttavia, per quanto riguarda il bene della nazione, non possiamo dimenticare che l'emigrazione comporta una perdita, in un certo senso un male inevitabile. Se ne vanno delle persone che potrebbero, anzi dovrebbero, contribuire all'accrescimento del bene comune. Persone che sono spesso molto ben preparate e altamente qualificate. E quindi, sebbene ogni uomo in determinate circostanze abbia il diritto di emigrare, non possiamo nello stesso tempo non domandarci: perché se ne va? perché se ne vanno? Non bisogna forse fare tutto il possibile, perché essi possano trovare un adeguato posto di lavoro nella Patria? Posto di lavoro e anche le adeguate condizioni di vita per sé e per la loro famiglia. Nella terra polacca nessuno deve sentirsi inutile o, peggio ancora, scomodo. Bisogna inoltre combattere quell'opinione pericolosa secondo la quale nella patria non vi siano possibilità, non si vedano prospettive per il futuro proprio e dei propri figli. E' necessario che negli auguri della vigilia di Natale vi siano presenti non solo le famiglie, tutte le generazioni, gli ambienti, gli anziani e i giovani, i genitori e i figli, ma in qualche modo anche la Patria, anche la Polonia. così come essa vi era presente per tanti anni e tanti secoli, anche nei periodi della più dura lotta per la sopravvivenza nazionale. In questo spirito accolgo gli auguri di mons. Wesoly e in questo stesso spirito vi rispondo.

Anch'io in questa vigilia di Natale, la sera dell'"oplatek", mi sento particolarmente unito con la grande famiglia del mio popolo. Sento profondamente ogni bene che nasce nella vita dei polacchi, ma sento altrettanto profondamente, anzi forse ancora di più, ogni male, ogni pericolo, ogni perdita, ogni umiliazione.


2. Spartiamo l'"oplatek" tra di noi. E' una tradizione commovente. Da secoli ha il proprio significato polacco. Ma in questa tradizione familiare non si può non notare un tratto particolare che la unisce con il ricordo cristiano di quelle comunità degli Atti degli apostoli, che erano assidue "nella frazione del pane".

E' quindi una tradizione nazionale che nella sua sorgente e nella sua ispirazione è profondamente cristiana. Anzi, si può dire: eucaristica. Il pane della vigilia, "oplatek", non è, come l'ostia eucaristica, il corpo del Signore, ma e così come il sacramentale corpo del Signore, un invito alla fratellanza, alla solidarietà, all'amore, alla riconciliazione. Queste riflessioni diventano particolarmente attuali nella prospettiva del Congresso eucaristico previsto per il giugno 1987 al quale si sta preparando la Chiesa in Polonia. Ho cercato dall'inizio di partecipare ai preparativi per questo avvenimento che dovrebbe mettere ancor più in risalto quello di cui vive tutta la Chiesa, e soprattutto la Chiesa in Polonia: quello che è la sorgente della forza d'animo di tante persone e comunità: corpo del Signore! Corpo e Sangue di Cristo! Sacramento della nuova e dell'eterna alleanza! Mi sia permesso, durante quest'odierno incontro, esprimere l'auspicio che il Congresso eucaristico in Polonia dia i tanto aspettati e desiderati frutti.

Che rinnovi in noi tutti la consapevolezza di quell'Amore che è Dio. Dio rivelato in Gesù nato, crocifisso e risorto, Dio rivelato nella Eucaristia, è Amore. Solo questa consapevolezza è in grado di sviare l'anima dell'uomo da tutte le vie sbagliate dell'esistenza umana. Di liberarlo dalla sensazione di camminare su una strada senza uscita; dalla sensazione di prigionia. Di superare la sua concezione spesso materialistica e deterministica dell'esistenza umana sulla terra. Dio è colui che libera, libera l'uomo, proprio perché egli è Amore. Auspico quindi già oggi, nella vigilia di Natale, che i miei compatrioti emigrati, tanti, tantissimi uomini in Polonia, persone che spesso vivono nel tormento, partecipino nella consapevolezza di questa liberazione in Dio. Possa l'Eucaristia rivelare di nuovo a ognuno il pieno significato della vita umana, possa almeno liberarlo dalla sensazione che la vita è priva di significato...

Auguro che tutti accolgano ancora una volta tutta la verità su Dio, su Cristo, sullo Spirito Santo, quella verità che in un certo senso ha la sua sintesi straordinaria nell'Eucaristia. "Che tu conosca il dono di Dio" (cfr Jn 4,10), disse Cristo alla Samaritana. Quale augurio più grande potrei esprimere a ognuno e a ognuna di voi, cari fratelli e sorelle nella Patria, di quello che possiate scoprire di nuovo che l'Eucaristia è il dono di Dio, che rende l'uomo capace di superare le tappe, anche quelle difficili, del suo pellegrinare sulla terra.

Si. L'Eucaristia è dono. Nello stesso tempo essa è una sfida rivolta a quell'umanità che è in ciascuno di noi. Un invito quotidiano. Dobbiamo liberarci da tante debolezze e da tanti difetti. Da tante manifestazioni del nostro egoismo.

Da tanti cattivi giudizi nei confronti del prossimo. Dalla tendenza al solo profitto e al solo uso... Da tutto ciò che realmente limita la nostra dimensione di persone umane. Lo dico nel momento dell'"oplatek". Nella vigilia di Natale. La vigilia è anche un momento, unico nel suo genere, di sincerità e fiducia verso i cuori e le coscienze dell'uomo. Accogliete quindi tutto ciò che ho detto. Anzi, aggiungete qualcosa di vostro. Cerchiamo di vedere chiaro, in quest'ora di sincerità, anche tutto ciò che fa male. Non ha detto forse Cristo; "conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32)?


3. Nel periodo dell'Avvento, quindi durante il Natale, la Chiesa ripete ogni giorno la preghiera alla Madre di Dio, l'antifona che inizia con le parole: "Alma Redemptoris Mater". In questa preghiera la Chiesa eleva un penetrante grido che ha la sua espressione più eloquente nel testo originale: "succurre cadenti / surgere qui curat, populo". Sulla soglia dell'Anno eucaristico nella terra polacca, cammino con queste parole insieme con tanti pellegrini in Polonia. Abbracciando tutto ciò che fa parte della Polonia, tutti i figli e figlie della mia patria, sulla Jasna Gora ripeto queste parole: O Madre, tu che ci conosci, non permettere che perdiamo la fiducia. Aiutaci a perseverare! Aiutaci a rialzarci sempre di nuovo. Aiutaci a vincere il male con il bene. Intercedi per noi, affinché ognuno di noi sia più forte della propria debolezza. Sii con noi in ogni tempo. Ringrazio ancora una volta mons. Wesoly e tutti i presenti per questo incontro.

Data: 1986-12-23 Martedi 23 Dicembre 1986




Agli agenti di vigilanza - Città del Vaticano (Roma)

La pace custodisca i vostri cuori e le vostre famiglie


Cari agenti di vigilanza della Città del Vaticano e voi, familiari tutti! Sono molto lieto di questo incontro, che la vigilia di Natale rende particolarmente caro per la sua caratteristica di intimità familiare e di gioia ispirata dal mistero della nascita in terra dell'eterno Figlio di Dio. Do a tutti il mio cordiale benvenuto, ricambiando volentieri fervidi voti, perché possiate trascorrere nella serenità le imminenti festività. La presenza di voi, addetti alla vigilanza, mi offre l'occasione anche di dire il mio apprezzamento per la puntuale e diligente attività che voi svolgete con dedizione, al fine di assicurare l'ordine nel flusso dei fedeli che si recano in Vaticano, soprattutto durante le udienze e le cerimonie. In questo suggestivo clima spirituale della giornata odierna, vi auguro che l'ordine esterno, da voi tutelato e diretto con premurosa dedizione, sia specchio e riflesso di un altro ordine: quello interiore della retta coscienza illuminata dalla viva fede in Colui che duemila anni fa è venuto sulla terra a portare a tutti gli uomini la salvezza, la giustizia e la pace.

Si La sua pace, preannunciata già dai profeti e proclamata dagli angeli a Betlemme nella notte santa, custodisca i vostri cuori e le vostre famiglie, qui largamente rappresentate. La luce del Natale vi faccia scorgere il significato spirituale del presepio, che è anzitutto celebrazione della nascita del Figlio di Dio, ma anche culto della vita umana nella sua più sacra espressione: di ogni culla e di ogni creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio.

Celebrate così il vostro Natale nell'intimità dei vostri focolari domestici, portando in essi un palpito nuovo di affetto e di bontà! Accompagno questi pensieri con la mia benedizione, che estendo anche a coloro che sono rimasti sul luogo del loro servizio.

Data: 1986-12-24 Mercoledi 24 Dicembre 1986




Omelia alla Messa di mezzanotte - Città del Vaticano (Roma)

Come i pastori di Betlemme arrendiamoci alla grande gioia



1. "Non temete! Vi annuncio una grande gioia... oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" (Lc 2,10-11). Siamo qui riuniti nella notte della veglia natalizia per riascoltare nuovamente, dopo secoli e secoli, queste parole. Le ascoltarono per la prima volta i pastori nei campi di Betlemme. E questa è la ragione per cui l'assemblea liturgica della notte di Natale porta in alcuni Paesi il nome di "Messa dei pastori".


2. Siamo riuniti nella basilica di San Pietro. Partecipano alla liturgia non soltanto le persone qui presenti, ma anche numerosi nostri fratelli e sorelle ai quali questo solenne rito è fatto giungere attraverso le onde della radio e della televisione. L'avvenimento della notte di Betlemme ci unisce tutti. In momenti successivi, scanditi dal tempo che passa sulla terra esso si realizza in tutti i luoghi del nostro pianeta. Diverse sono pure, nelle varie regioni, le stagioni dell'anno e le condizioni climatiche di questa santa notte: essa accade sia nel caldo tropicale, sia nel rigido inverno nordico e tra le bufere di neve. Pur in condizioni così diverse ciò che si compie in questa ora è sempre lo stesso avvenimento. E la medesima "grande gioia" proclamano quanti annunciano la notte di Betlemme, anche se le loro parole sono ascoltate in tante lingue diverse di tutto il globo terrestre.


3. I pastori nei campi di Betlemme - i primi testimoni dell'avvenimento - erano figli di Israele, la cui storia era collegata con la promessa del Messia. perciò le parole che ascoltarono potevano - e anche dovevano - suscitare la loro meraviglia. Ma, al tempo stesso, non erano parole incomprensibili per loro.

I pastori sapevano che cosa vuol dire la parola "Messia". Da generazioni Israele viveva nell'attesa del Messia, dell'Unto del Signore. Se il "Messia" viene al mondo nella "città di Davide" è perché questa circostanza appartiene ai preannunci profetici. La città di Davide è proprio Betlemme. Inoltre il Messia doveva provenire dalla "stirpe di Davide". Della casa e della famiglia di Davide erano pure Giuseppe e Maria, la Madre del Neonato. E perciò a motivo del censimento ordinato dai romani, essi dovettero recarsi proprio a Betlemme, partendo da Nazaret, dove abitavano.


4. così dunque le parole ascoltate dai pastori erano per loro comprensibili. Si compiva in esse la promessa fatta a Israele. In pari tempo queste parole dovevano essere per loro sorprendenti. L'Angelo disse: "Troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia...": questo sarà per voi il segno.

I pastori non dubitarono che le parole ascoltate provenivano da Dio. Si arresero alla "grande gioia", e in pari tempo dimostrarono tranquillità e misura.

Si incamminarono nella direzione indicata e trovarono tutto esattamente come era stato detto loro. Divennero testimoni oculari dell'avvenimento, la cui adeguata dimensione è accessibile solo agli "occhi luminosi" della fede.


5. Noi tutti, religiosamente riuniti in tanti luoghi della terra per rinnovare e rendere presente, con la liturgia eucaristica, l'avvenimento salvifico, che ebbe tra i primi partecipanti i pastori di Betlemme in quella notte santa - noi tutti, tra breve ci metteremo in ginocchio, quando risuoneranno le parole ben note del Credo niceno-costantinopolitano: Dio da Dio, Luce da luce, della stessa sostanza del Padre... "incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est".


6. Il mistero dell'Incarnazione. Il mistero del "farsi uomo" di Dio nel Figlio eterno. Ci inginocchieremo e rimarremo prostrati per manifestare questa ineffabile realtà. Rimarremo in ginocchio a nome di tutti gli uomini, in luogo di tutto il Creato. L'avvenimento della notte di Betlemme svela dinanzi agli occhi della nostra fede la definitiva pienezza del significato della creazione, del mondo, dell'uomo.


7. E poi dinanzi a ciascuno di voi si presenterà un sacerdote o un diacono, ministri della Eucaristia, e dirà: "Corpus Christi... - Il corpo di Cristo". E ciascuno di voi risponderà: "Amen"; la parola della fede che riconosce, adora, ringrazia. La parola che accomuna ai pastori davanti all'avvenimento della notte di Betlemme: il Verbo si è fatto carne, la carne e il sangue della nuova ed eterna alleanza di Dio con l'uomo. L'evento della notte di Betlemme è diventato l'inizio della nuova comunione, che penetra il cuore e la storia dell'uomo sulla terra. "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".


8. "Gioiscano i cieli, esulti la terra, / frema il mare e quanto racchiude, / esultino i campi e quanto contengono, / si rallegrino gli alberi della foresta / davanti al Signore che viene" (Ps 95,11 Ps 95,13). A tutto il creato a tutti coloro che vivono questa sacra notte di Betlemme: ai fratelli e alle sorelle sparsi in tutto il globo terrestre: gioia, pace e benedizione. Amen.

Data: 1986-12-25 Giovedi 25 Dicembre 1986




Messaggio "Urbi et Orbi" - Città del Vaticano (Roma)

Taccia lo strepito dell'odio: Dio ascolti la voce del nostro silenzio



1. "Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace... che dice a Sion: Regna il tuo Dio" (Is 52,7). Si. Sion, il tuo Dio regna. Il tuo Dio ammirabile: ecco, giace nella mangiatoia destinata agli animali. E così inizia a regnare il tuo Dio, o Sion! Il tuo Dio incomprensibile: "I suoi pensieri non sono i nostri pensieri, e le nostre vie non sono le sue vie" (cfr Is 55,8). Ha quindi iniziato a regnare nel segno di un'estrema povertà: "Si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà" (cfr 2Co 8,9).


2. Oh, come sono belli i piedi di quel messaggero di lieti annunzi il cui nome è Francesco il Poverello di Assisi, di Greccio e della Verna, Francesco, amante di tutte le creature; Francesco conquistato dall'amore del divin Bambino, nato nella notte di Betlemme; Francesco nel cui cuore Cristo comincio a regnare, perché anche per mezzo della povertà del discepolo noi comprendessimo meglio la povertà del Maestro e fossimo indotti a pensieri di amore e di pace. Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà; pace agli uomini che egli ama (cfr Lc 2,14). Gloria a Dio...


3. Il Vescovo di Roma, nel giorno di Natale, ringrazia ancora una volta tutti coloro che hanno ascoltato il messaggio di Francesco, amante del Creatore e di ogni creatura; di Francesco araldo della Gloria di quel Dio, che "nel più alto dei cieli" è Amore; di Francesco promotore della pace sulla terra.

Il Vescovo di Roma ringrazia quanti sono venuti di buon grado ad Assisi, per stare insieme, per raccogliersi a riflettere dinanzi all'"ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo" (NAE 1), che sono venuti per pregare a favore della pace sulla terra.


4. Il Vescovo di Roma ringrazia, ancora una volta, tutti: i fratelli delle Chiese cristiane e delle Comunità ecclesiali, i fratelli delle religioni non cristiane.

Ringrazia tutti e ciascuno per quella giornata particolare nella quale abbiamo deciso - di fronte a tutte le potenze di questa terra che divorano negli armamenti ricchezze incalcolabili, dissipano nel superfluo risorse preziose e fanno temere distruzioni apocalittiche - di fronte a tutte queste potenze minacciose abbiamo deciso di essere poveri, poveri come Cristo, Figlio di Dio e Salvatore del mondo; poveri come Francesco, eloquente immagine di Cristo; poveri come tante anime grandi, che hanno illuminato il cammino dell'umanità. Lo abbiamo deciso avendo a nostra disposizione soltanto questo mezzo, il mezzo della povertà, e soltanto questa potenza, la potenza della debolezza: solo la preghiera e soltanto il digiuno.


5. Non occorre forse che il mondo ascolti questa voce? Non occorre che ascolti la testimonianza della notte di Betlemme? Che ascolti Dio nato nella povertà? Che ascolti Francesco, araldo delle otto beatitudini? Non occorre che taccia lo strepito dell'odio e il frastuono delle micidiali detonazioni in tanti luoghi della terra? Non occorre che Dio possa finalmente udire la voce del nostro silenzio? Mediante il silenzio giunga a lui la preghiera e il grido di tutti gli uomini di buona volontà? Il grido di tanti cuori tormentati, la voce di tanti milioni di uomini, che non hanno voce?


6. Ascoltate e comprendete tutti: Dio che abbraccia ogni cosa, Dio nel quale "viviamo", ci muoviamo ed esistiamo (Ac 17,28), ha scelto la terra come sua dimora; è nato a Betlemme; dei cuori umani ha fatto lo spazio del suo Regno! Possiamo ignorare o deformare tutto questo? E' lecito distruggere la dimora di Dio in mezzo agli uomini? Non occorre invece cambiare fino alla radice i piani del dominio umano sulla terra?


7. Fratelli e sorelle di ogni parte della terra! Se Dio ci ha tanto amati da farsi uomo con noi come potremo non amarci a vicenda, fino a condividere con gli altri ciò che a ciascuno è dato per la gioia di tutti? Solo l'amore che si fa dono può trasformare la faccia del nostro pianeta, volgendo le menti e i cuori a pensieri di fraternità e di pace. Uomini e donne del mondo, Cristo ci chiede di amarci. Questo è il messaggio del Natale, questo è l'augurio che a tutti rivolgo dal profondo del cuore. [Omissis: auguri in 52 lingue]

Data: 1986-12-25 Giovedi 25 Dicembre 1986




Omelia alle esequie del card. Parente - Città del Vaticano (Roma)

Un'intensa vita al servizio della Chiesa nell'insegnamento


"O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia...".

Signori cardinali, fratelli e sorelle!


1. Le parole che abbiamo pronunziato, recitando il Salmo responsoriale, penso si addicano particolarmente al card. Pietro Parente, che ci ha lasciati alla veneranda età di novantasei anni, dopo un'intensa vita tutta spesa al servizio di Dio e della Chiesa, nell'amore e nell'insegnamento della Verità. "Nel santuario ti ho cercato - continua il Salmo - per contemplare la tua potenza e la tua gloria. A te si stringe l'anima mia, e la forza della tua destra mi sostiene" (Ps 62). Davvero, fin dalla sua prima giovinezza, il card.

Parente ha stretto a Dio la sua anima, a lui, verità assoluta, conosciuta dalla ragione, rivelata da Cristo e insegnata dalla Chiesa; e dalla sua forza invincibile si è sentito sempre sostenuto. Oggi siamo qui, con la mestizia che umanamente la realtà della morte non può non portare nei nostri animi, per celebrare le esequie di un grande teologo, che è stato maestro e guida, e che ha onorato la Chiesa e il collegio cardinalizio.


2. Riandare la sua lunga vita, significa spingerci a ritroso nella storia di questo secolo, esaltato da mirabili conquiste della scienza e della tecnica, ma anche oppresso da crisi dei valori cristiani; contrassegnato da un meraviglioso progresso, ma anche insidiato dal relativismo morale e dalla violenza. In questo immane processo di contrasti e di nuove espressioni del pensiero e del costume, il card. Parente non è stato soltanto spettatore, ma persona autorevole e impegnata, e, in certo modo, anche protagonista. Nato in Casalnuovo Monterotaro, della diocesi di Lucera, fu ordinato sacerdote nel marzo del 1916. Dopo aver diretto per dieci anni il seminario arcivescovile di Benevento, assunse la cattedra di teologia dogmatica all'Ateneo Lateranense e poi, nel 1950, la cattedra di teologia dogmatica all'Ateneo di "Propaganda Fide". Nel 1955 Papa Pio XII volle che all'intensa attività di studio e di docente, il card. Parente unisse anche l'esperienza della diretta responsabilità pastorale e lo nomino arcivescovo di Perugia. Quattro anni dopo Papa Giovanni XXIII lo richiamava a Roma per nominarlo assessore dell'allora Congregazione del Santo Uffizio, della quale poi fu segretario. Nel 1967 Paolo VI lo elesse cardinale


3. Il 18 marzo di quest'anno, in occasione del settantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, il card. Parente così scriveva: "Grande dono di Dio il sacerdozio, che crea pero l'esigenza della nostra corrispondenza alla grazia divina. Secondo la dottrina della Chiesa il sacerdote si definisce "alter Christus" e "testis Christi"; il sacerdote deve riprodurre in sé Cristo per irradiarlo nel mondo con le parole e con l'esempio, rendendo testimonianza a lui fino al sangue. L'itinerario sacerdotale è una "Via crucis"... Posso dire che ho avuto la mia "Via crucis", soffrendo abbastanza per la Chiesa" ("L'Osservatore Romano", 9 marzo 1986). Sono parole emblematiche, che sintetizzano la sua lunga esistenza di sacerdote e di teologo; egli ha amato la Verità e per la Verità ha anche sofferto; ha camminato nella fede - come scriveva san Paolo ai Corinzi nella seconda lettura della Messa odierna -, sempre pieno di fiducia, radicando la sua vita cristiana e sacerdotale totalmente su Cristo e orientandola totalmente verso la Gerusalemme celeste, la vera e definitiva dimora di Dio con gli uomini, convinto del valore decisivo delle consolanti parole del divin Maestro: "Non sia turbato il vostro cuore!... Io vado a prepararvi un posto... perché siate anche voi dove sono io..." (Jn 14,3-6). Egli ci è di esempio e di stimolo; e noi, mentre preghiamo per lui, lo ringraziamo!


4. In una intervista concessa lo scorso anno a un quotidiano egli esprimeva la sua piena fedeltà al Concilio Vaticano II e la sua fiducia per l'avvenire della Chiesa: "Il Concilio si è aperto sotto il segno di un "aggiornamento" che non è stroncatura e condanna - così egli diceva - ma piuttosto proposito della Chiesa di ripresentarsi al mondo moderno in una nuova veste... Il Concilio affronta la crisi e cerca di superarla con metodo positivo, affermando la Verità che esclude l'errore. In questo atteggiamento c'è del nuovo, che è sano sviluppo, ma non travisamento... E' mia ferma convinzione che il Concilio è stato provvidenziale, per arrestare gli errori e per suscitare nella Chiesa un salutare rinnovamento teoretico e pratico che darà i suoi frutti". Il card. Parente, che tanto scrisse a difesa della verità contro le deviazioni dottrinali, ci ha dato una lezione di sano e costruttivo ottimismo. Ben aggiornato circa le varie correnti della cultura moderna e cosciente dei rischi che talune di esse possono comportare per le coscienze cristiane, egli ha sempre difeso apertamente il valore della ragione nella conoscenza della realtà, e quindi di Dio, della Verità annunziata da Cristo, il Verbo Incarnato, e affidata alla Chiesa. Il cristianesimo infatti non è solamente "cultura" e "civiltà"; è essenzialmente "rivelazione" e perciò "dogma" e "mistero". Egli ha sempre appassionatamente sottolineato che il vero teologo è colui che insegna ad accettare il Mistero, e quindi insegna a pregare, ad adorare, ad amare con pazienza e sacrificio, a obbedire alla legge di Dio e alle disposizioni della Chiesa, ad attendere con ansia gioiosa l'eterna ricompensa del cielo. La vera teologia deve rendere più buoni; deve invogliare ad essere santi con l'aiuto della preghiera e dei sacramenti. In questo modo egli visse la teologia che credeva e che insegnava. Con una certa amarezza così scriveva nel suo ultimo articolo pubblicato nell'aprile di quest'anno: "La crisi di oggi è soprattutto crisi religiosa e, in concreto, è distacco da Cristo" ("Palestra del clero", 15 aprile 1986).

Oggi il mondo contemporaneo ha bisogno di certezze circa il senso della vita, e in questa prospettiva il card. Parente è stato maestro, ricordando ciò che scriveva san Paolo: "E' Cristo che noi annunziamo, ammonendo e istruendo ogni uomo con sapienza, per rendere ciascuno perfetto in Cristo" (Col 1,28). La Verità ricercata, amata, difesa e vissuta; la Verità che è Dio rivelante; la Verità che è Cristo, vivente nell'Eucaristia; questa si può definire la vita del nostro amato fratello card. Pietro Parente!


5. Pur con tutti i suoi meriti e la sua dedizione al servizio della Chiesa, il card. Parente attendeva con timore l'incontro con Dio: "Pensando ormai al mio prossimo giudizio finale - così scriveva nel già citato articolo per il settantesimo dell'ordinazione sacerdotale - io tremo per le mie formidabili responsabilità", ma soggiungeva: "Ma mi attacco alla Vergine santissima, Madre di Dio, e Madre mia, che ho sempre teneramente amato, invocandola con la Chiesa Madre della grazia divina e della misericordia. E questo può cambiare il tremito del mio timore in fremito di amore e di speranza per la mia salvezza eterna".

Noi ringraziamo il Signore per aver dato alla Chiesa del nostro tempo questa testimonianza della personalità del card. Parente; e mentre preghiamo per lui, invochiamo Maria, Madre nostra, con le sue stesse commoventi parole: "O Maria, nel tuo cuore materno - chiudi i cuori che sperano in te!".

Data: 1986-12-31 Mercoledi 31 Dicembre 1986




Nella Chiesa del Gesù - Città del Vaticano (Roma)

Roma è una città, una diocesi e il centro della Chiesa: questa è una grazia ma anche una grande responsabilità



1. "Dalla Sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia" (Jn 1,16).

Alla sera dell'ultimo giorno dell'anno 1986, siamo, come di consueto, riuniti nella Chiesa del "Gesù" per partecipare all'Eucaristia conclusiva dell'anno passato. Questa "ultima ora" di cui parla l'apostolo ci predispone alla riflessione. E questa è una riflessione sul trapassare, ed al tempo stesso su ciò che dura di più del "trapassare". Su ciò che, in qualche modo, rimane in ciascuno di noi e forma la nostra vita. Certamente questa "ultima ora" offre pure l'occasione per fare un esame di coscienza. Esso è il computo dei peccati, delle colpe e delle negligenze.


2. Tuttavia le parole dell'odierno Vangelo ci invitano anche ad un altro esame di coscienza. "Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia".

Siamo dunque chiamati, e forse prima di tutto, a meditare come questo anno, che passa, si iscriva nella storia della nostra salvezza. Il mistero del Natale del Signore non cessa di essere fonte di grazia.

L'Evangelista dice che prendiamo parte alla divina Economia, la quale, giorno per giorno e anno dopo anno, pervade la vita di ciascuno e di tutti. Dunque ciascuno è chiamato a meditare sul tempo che passa secondo il metro del dono di Dio: come ho corrisposto a questo dono?


3. Siamo riuniti qui, contemporaneamente, come comunità. Come la Chiesa che in Roma: l'antica Chiesa apostolica, costruita sulla testimonianza della parola e sul sangue versato nel martirio dai Santi Apostoli Pietro e Paolo, e poi su tanti altri testimoni del mistero della Incarnazione, martiri e confessori attraverso i secoli. A Dio solo è noto il "rendiconto" della santità: "grazia su grazia", che trasforma la vita umana e la storia del mondo a misura del Regno di Dio. Che cosa ha aggiunto l'Anno del Signore 1986 a questo escatologico Libro della Vita? Come vi sono state inscritte le vicende della Chiesa che è in Roma? Le vicende della Città che ha una particolare missione dinanzi al mondo?


4. La Chiesa è in Cristo Gesù "come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio" (LG 1). Contemporaneamente la Chiesa è la comunità visibile dei battezzati, discepoli e confessori di Cristo. Questa comunità vive ed opera, secondo la parola di Dio, in tutti e tramite tutti quelli che la costituiscono come Popolo di Dio, Conviene dunque pensare a tutti, in questo giorno, tenendo presente che la parola "Laicato" è etimologicamente legata con la parola greca "laos". In che modo coopera tutta questa assemblea, la compagine di circa tre milioni di persone costituente il Popolo di Dio che forma la Chiesa romana, nell'economia salvifica di quella "grazia su grazia" di Cristo, di cui parla il Vangelo odierno? In che modo questa cooperazione si appoggia sul ministero dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi? Quale maturità manifesta la comunità della Chiesa che è in Roma nell'ambito delle vocazioni sacerdotali e religiose, maschili e femminili? Roma è una città e diocesi. In pari tempo è un grande centro di formazione spirituale e teologica per la Chiesa universale. Tutto ciò è una grande Grazia ma, contemporaneamente, una grande responsabilità.


5. E' difficile entrare qui nei particolari. E' difficile riportare le cifre. Per le molte grazie donate è certamente necessario ringraziare lo Spirito Santo, che non solo penetra "le profondità di Dio" ma è anche "scrutator cordium": è la luce delle nostre coscienze. Intendo dunque - come Vescovo di Roma - ringraziare per le 15 parrocchie che mi è stato dato di visitare personalmente nell'anno che sta passando. Ringrazio pure per le altre comunità visitate: alcuni monasteri di suore claustrali, il Collegio "Seraphicum", l'Ateneo Sant'Anselmo e la Casa dei Pallottini, l'Istituto Don Orione e il Centro di Solidarietà e l'Ospedale San Carlo, la Chiesa di San Giuliano dei Fiamminghi e il Collegio Belga.

Desidero in modo particolare, ringraziare per la veglia della notte di Pentecoste, durante la quale ho annunciato il Sinodo della Diocesi di Roma tanto necessario dopo il Concilio Vaticano II. C'è ancora un altro avvenimento, che trascende i limiti dell'anno e che viene misurato in secoli, ed in millenni nella storia di questa città e di questa Chiesa. Ringrazio la Divina Provvidenza perché mi è stato dato visitare i nostri "fratelli maggiori" nella fede di Abramo nella loro Sinagoga romana! Sia benedetto il Dio dei Padri nostri! Il Dio della pace!


6. Mi limito a questi due avvenimenti dell'Anno, Converrebbe dire di più, molto di più. Dovrebbero parlare pure i miei fratelli nell'episcopato direttamente collegati con il ministero della Chiesa che è in Roma, iniziando dal Cardinale Vicario e dai suoi collaboratori, ai parroci ed ai superiori e alle superiore delle varie comunità religiose. Questo grande "rendiconto" dell'Anno del Signore 1986 lo facciamo in silenzio, meditando ogni "grazia su grazia" presso questo altare, sul quale tra breve tutto verrà offerto insieme col dono del pane e del vino, perché in esso nuovamente si realizzi il sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza dinanzi alla quale "mille anni sono come un giorno". E tuttavia ogni giorno porta tanto con sé in un anno!


GPII 1986 Insegnamenti - Alla comunità polacca - Città del Vaticano (Roma)