GPII 1987 Insegnamenti - Le credenziali del nuovo Ambasciatore degli Stati Uniti - Città del Vaticano (Roma)

Le credenziali del nuovo Ambasciatore degli Stati Uniti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Impegno di solidarietà per alleviare le sofferenze dei più deboli e dei rifugiati

Testo:

Signor Ambasciatore, Ho il grande piacere di porgerle i miei saluti nel momento in cui Ella presenta le lettere credenziali che la accreditano come Ambasciatore straordinario e plenipotenziario degli Stati Uniti d'America. Lei viene a continuare e a completare la costruzione dell'opera iniziata dal suo stimato predecessore. Le do il benvenuto più cordiale e offro le mie preghiere e i miei migliori auguri per il fruttuoso adempimento della sua missione.

Uno degli scopi primari delle relazioni diplomatiche è quello di promuovere quello spirito di comprensione che è essenziale per la vera giustizia e per la pace nel mondo. In conformità alla missione della Chiesa, la Santa Sede si impegna in questo foro privilegiato del dialogo non per scopi politici, ma per servire i principi e i valori che stanno al fondamento del bene comune per l'intera famiglia umana.

Nel suo ruolo come rappresentante diplomatico degli Stati Uniti, Ella funge da portavoce per le strategie politiche, per le iniziative e i programmi del suo governo. Nel medesimo tempo Lei rappresenta tutto il popolo del suo paese, con la sua ricca diversità di tradizioni culturali ed etniche. perciò, dandole oggi il benvenuto, desidero estendere i miei più calorosi saluti a tutti i suoi amati concittadini. Sono grato alla divina Provvidenza, perché ha già reso possibile che in passato potessi già aver fatto visita pastorale ai fedeli cattolici del suo Paese e attendo con gioia il momento in cui potro visitare, nel corso di quest'anno, le parti meridionali e occidentali del suo Paese.

Nel mio messaggio per la giornata mondiale della pace del 1987 ho attirato l'attenzione su due elementi chiave della pace: sviluppo e solidarietà.

Le mie riflessioni erano basate sul fatto che siamo tutti membri dell'unica e medesima famiglia umana. Ciò significa che, nonostante quello che ci può separare o dividere, quello che ci unisce e di gran lunga più grande e più fondamentale.

Siamo fratelli e sorelle, perché condividiamo la medesima umanità. Il compito che ci attende è quindidi accettare con profondo rispetto e apertura le differenze reciproche di lingua e di razza, di cultura e di fede religiosa. E nello stesso tempo, dobbiamo tener fisso nella mente quello che ci unifica: la nostra natura umana. Su questo fondamento dobbiamo costruire il nostro futuro.

Nella promozione di una effettiva solidarietà, i governi hanno un ruolo cruciale da giocare mediante le politiche e i programmi che approvano. La solidarietà umana autentica si radica nell'eguaglianza fondamentale di ogni uomo e ogni donna. perciò ogni politica pubblica dovrebbe proteggere la dignità e i diritti umani fondamentali di ogni persona o gruppo di persone, dal bambino non ancora nato fino ai membri più anziani della società. Inoltre i programmi governativi possono contribuire in modo significativo allo sviluppo di relazioni umane aperte e oneste e al consolidamento di forti legami tra le famiglie e le counità. Ciò non significa ignorare le reali differenze razziali, linguistiche, religiose, sociali e culturali che esistono fra i popoli; non significa neppure minimizzare le grandi difficoltà che comporta il superare divisioni e ingiustizie esistenti da lungo tempo. Dobbiamo tenere costantemente davanti ai nostri occhi gli elementi che ci uniscono, quei valori umani autentici che ci sono comuni.

Queste preoccupazioni, ne sono sicuro, troveranno pronta risposta nel vostro Paese, in collegamento con la sollecitudine pastorale dimostrata dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti verso le necessità dei settori meno prosperi della società americana e verso il grande numero di persone colpite dalla povertà nel complesso dell'intera famiglia umana. Problemi di così grande importanza e urgenza non possono fare a meno di stimolarci ad un esame di coscienza fondato su di un codice morale oggettivo.

So che il vostro Paese si è sempre impegnato profondamente per estendere il suo aiuto alle persone in necessità. Come lei ha fatto notare, il popolo americano ha accolto numerosi profughi sul proprio suolo, rivolgendosi pure con fraterno interesse ai poveri in altre nazioni. Questo tratto caratteristico di generosità e di compassione merita l'ammirazione di tutti.

Nello stesso tempo è ovvio che molti immigranti che sono stati ricevuti con ospitalità nel vostro paese hanno a loro volta contribuito in misura non piccolla allo sviluppo umano, sociale e civile della nazione americana. Mediante un grande sforzo morale da parte di tutti, i gruppi etnici, pur di orgine largamente diversa, hanno forgiato una società unita con ideali comuni di tolleranza, rispetto reciproco e armonia. Un tale sforzo morale non dovrebbe mai diminuire, ma svilupparsi continuamente e crescere, ispirato dalla fede in Dio e dall'autentica solidarietà umana.

Il problema dei profughi e dei rifugiati politici non è stato certamente risolto. Rimane uno dei maggiori problemi della nostra epoca. Sono lieto perciò che le organizzazioni delle Nazioni Unite abbiano designato il 1987 come Anno Internazionale di protezione per i senza tetto. Richiamando l'attenzione su questo importante impegno, le Nazioni Unite ci ricordano anche il bisogno di una rinnovata collaborazione fra i governi di tutti i paesi, con l'assistenza delle organizzazioni internazionali e di quelle non governative.

In tutti questi sforzi, la diplomazia e il dialogo giocano un ruolo chiave. Le e i suoi colleghi, signor Ambasciatore, sarete capaci di contribuire in modo significativo a sollevare le sofferenze di quei milioni di persone che non hanno più alcun luogo dove vivere e mancano dei mezzi essenziali per una vita umana decente. E' uno dei molti modi in cui la diplomazia serve al bene comune dell'umanità.

Signor Ambasciatore, spero che la sua missione presso il Vaticano sia utile e arricchente per lei. Possa Dio assisterla nei suoi compiti. E invoco la benedizione divina di pace e armonia per tutto l'amato popolo degli Stati Uniti d'America.

[Traduzione dall'inglese]

1987-01-08 Data estesa: Giovedi 8 Gennaio 1987




Ai vescovi della Sardegna in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gli urgenti problemi umani e sociali dell'isola aprono la prospettiva di una nuova stagione evangelizzatrice

Testo:

Venerati fratelli nell'episcopato.


1. Sono lieto di rivedervi insieme in questo conclusivo incontro collegiale. Nel salutarvi di cuore, il mio pensiero si porta spontaneamente al mese di ottobre di due anni fa, quando voi mi accoglieste lungo le tappe del viaggio pastorale da me compiuto nella vostra isola. Ho ancora nella mente e nel cuore le manifestazioni di affetto delle popolazioni affidate alle vostre cure; e ora approfitto di questa occasione per inviare loro una speciale parola di saluto e di incoraggiamento, esortandole a perseverare nella fede, a sviluppare la carità, a rimanere legate alla Chiesa al fine di garantire la piena fedeltà al Vangelo.

Oggi, nella circostanza di questa vostra visita "ad limina", desidero innanzitutto esprimervi la mia viva partecipazione alle ansie pastorali, presenti nel vostro animo di responsabili di Chiese dalle antiche e illustri tradizioni cristiane, sulle quali tuttavia soffia talora, non diversamente che altrove, il vento freddo del secolarismo, dell'indifferenza religiosa e del materialismo pratico. E' necessario e urgente un nuovo sforzo di evangelizzazione, che riporti nel cuore delle masse popolari il fermento evangelico, consentendo a ciascuno di confrontarsi personalmente col messaggio di Cristo, per cercare in esso la risposta agli interrogativi di fondo, da cui trae senso la vita.

Occorre perciò implorare dal Signore e propiziare con l'azione pastorale l'invio di nuovi operai nella messe evangelica: non sarà mai abbastanza sottolineata l'urgenza dell'impegno vocazionale, la cui efficacia si rivelerà tanto maggiore quanto più coordinate ne saranno le iniziative sia tra le varie diocesi dell'isola, sia tra i diversi istituti religiosi operanti nelle Chiese locali.

Occorre poi stimolare fra i laici la consapevolezza di essere chiamati, in forza del loro battesimo, a collaborare alla diffusione del regno di Dio nel mondo. Ciò suppone un'approfondita opera di catechesi e un costante sostegno nel cammino formativo, che favorisca la crescita di cristiani maturi, capaci di rendere ragione davanti ai loro contemporanei della speranza che li orienta e li sostiene nel quotidiano cammino (cfr. 1P 3,15). Ogni cristiano riceve nel battesimo la fiaccola della fede non per sé soltanto: egli ha il compito di tenerla ben alta con la parola e con l'esempio, in modo che tutti possano da essa attingere luce e calore.


2. Al di là, tuttavia, di questi problemi più generali, mi preme intrattenermi con voi, nel corso di questo incontro, su di un problema comune a tutte le regioni ecclesiastiche italiane, ma che in Sardegna è particolarmente urgente e meritevole perciò di continua riflessione. Intendo soffermarmi, cioè, sul tema, mai sufficientemente esplorato, della mobilità umana e sociale, fenomeno di così vaste dimensioni e con implicazioni così complesse da investire i diritti fondamentali della persona umana.

La realtà, così antica e così nuova, della migrazione, che tante persone ha coinvolto lungo il corso dei secoli e che ancor oggi impone frequenti e costosi distacchi nella famiglia, resta sempre uno dei problemi più attuali e drammatici.

La Sardegna è una delle regioni italiane a più alto tasso di disoccupazione, causa prima del fenomeno migratorio, con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano personale, morale e familiare. Quel fiume umano di esuli, caratteristico della prima storia italiana dopo l'unificazione politica, convoglio subito una forte percentuale di sardi verso il continente americano e, dopo il secondo conflitto mondiale, verso l'Europa e l'Italia del nord.

Parlando di migrazione, permanente o temporanea, il pensiero va in particolare a quella categoria di persone, che sono costrette ad abbandonare famiglia e terra natia, e ad affrontare le incognite e le difficoltà proprie di un ambiente nuovo, per cercare altrove possibilità di vita. Si tratta in genere di lavoratori del braccio, di tecnici, di studenti desiderosi di perfezionamento culturale, ossia di uomini caratterizzati dalla nota comune del bisogno.

Se oggi molti aspetti deteriori del fenomeno si sono più o meno attenuati, la migrazione considerata in se stessa rimane sempre un evento penoso, a motivo della concomitanza di fattori largamente traumatizzanti. Quando un uomo lascia la propria terra per necessità economiche, si colloca in una situazione precaria, aggravata dalla barriera linguistica, dalla diversità dei costumi, dall'isolamento dell'ambiente, della carenza degli alloggi, dall'incertezza del posto di lavoro, dal pericolo dello sfruttamento e dell'emarginazione, dalla privazione dell'affetto delle persone care. Egli resta così esposto al rischio di profonde lesioni alla sua dignità.

E spesso anche dopo aver trovata una conveniente occupazione, le tensioni traumatiche permangono a motivo dell'atmosfera di anonimato e di indifferenza che è propria della città industrializzata. A ciò s'aggiunge l'influsso di ambienti religiosamente indifferenti o impregnati di ostili concezioni ideologiche, che possono mettere a repentaglio la fede del credente. Se poi il migrante conduce con sé la famiglia, le difficoltà vengono per altro verso moltiplicate.

Bastano questi accenni per indurre a considerare la necessità anzi l'urgenza, che i poteri pubblici e le organizzazioni ecclesiali affrontino il problema dell'emigrazione con cura incessante, nel tentativo di ridurne l'incidenza negativa e di trarne opportunità di incremento della solidarietà umana, in un contesto di carità e di giustizia. Questo sforzo di risanamento, che rientra nel quadro più vasto di animazione cristiana del mondo contemporaneo, indica da solo la gravità dell'impegno che deve costantemente e pastoralmente ispirare la Chiesa di partenza e quella di arrivo del fenomeno migratorio.


3. Entro l'ambito sostanziale dello stesso fenomeno coesiste il dramma crescente e più acuto dell'immigrazione, sul quale la concatenazione del discorso mi porta a dire una parola. In proposito, non posso fare a meno di pensare a quella massa incalcolabile di esseri umani, costretti prima all'esilio per sfuggire alla guerra, alla paura, all'ingiustizia sistematica, all'intolleranza politica e religiosa, e poi, indotti a vivere in campi di concentramento o di raccolta, ad accettare il ripiego di un lavoro clandestino, in stato di abbandono e di miseria.

Non è questa, in generale, l'immigrazione che investe direttamente l'Italia. Qui convengono per lo più persone desiderose di perfezionamento negli studi o in cerca di un miglioramento sociale. Il risultato è stato che l'Italia s'è trasformata da paese di emigrazione, quale era fino a qualche decennio fa, in paese di immigrazione. Si calcola che si sia superata già la cifra di un milione.

Sono uomini e donne, grandi e piccoli, di diverse confessioni religiose: una ricchezza umana, da accogliere, valorizzare, promuovere con cura e amore.

E' dovere degli organismi cattolici, guidati dai pastori, mobilitarsi per venire incontro alle loro necessità, soprattutto nell'insufficienza dei provvedimenti pubblici, perché questi fratelli, sottratti ai tentativi di sfruttamento, trovino il loro posto nella società di accoglienza, siano rispettati nella loro originalità propria, entro l'ambito del bene comune, e difesi adeguatamente con una legislazione tempestiva e promozionale.

In questo settore, alle Chiese particolari si apre un campo nuovo di attività, sotto il profilo sia della prima evangelizzazione missionaria sia dell'integrazione ecclesiale, nella prospettiva del realismo dinamico dell'incarnazione del Figlio di Dio.


4. Collegato con questi aspetti della mobilità umana è il turismo, che non a torto viene considerato un segno emblematico dei nostri tempi, almeno nel suo aspetto di fenomeno di massa. La rapidità e la molteplicità dei mezzi di trasporto consentono a categorie sempre più ampie di persone di fruire dei vantaggi del turismo sotto forma di vacanze estive, sport invernali, crociere, campeggi, viaggi organizzati.

Anche questo fenomeno si pone alla coscienza della Chiesa quale problema di pastorale sociale da studiare e capire a fondo, e io lo ripropongo all'attenzione delle organizzazioni cattoliche della vostra isola, dove esso appare particolarmente vivo e attuale.

L'aspetto più preoccupante di questa realtà nuova è che il turismo di massa manifesta la tendenza a divenire fine a se stesso, fonte prevalente di guadagno economico, con l'evidente rischio di un ribaltamento di valori: non il turismo per l'uomo, ma l'uomo per il turismo. E' così un fattore di per sé positivo, quale è il bisogno di uscire dalle abitudini della vita quotidiana e di concedersi una parentesi serena di svago e di riposo, può trasformarsi in occasione di fuga da se stessi, alla ricerca di una libertà fuori di ogni controllo morale, col pericolo di disperdere la propria personalità e di smarrire i valori soprannaturali.

Certo, il turismo sottende altri aspetti da rivalutare: la possibilità di godere l'armonia della natura, di elevarsi con l'arte alla contemplazione di modelli più alti di bellezza, di verificare da vicino come le varie culture dei popoli, lungo i secoli in ogni continente, concorrano ad arricchire il patrimonio dell'unica famiglia umana. In tal modo grazie al turismo gli uomini possono più facilmente constatare che le diversità poggiano sul sottofondo di valori universali comuni, e in particolare su un insopprimibile bisogno di Dio.

Il turismo offre così all'uomo elementi utili per la maturazione personale, per la comprensione e il rispetto degli altri, per la carità e l'edificazione interiore nel cammino verso una più autentica umanizzazione.


5. Questo argomento suggerisce qualche considerazione anche sul tema del riposo settimanale, divenuto ormai occasione di turismo periodico, col pericolo di secolarizzarsi in puro fenomeno di "fine settimana", a scapito del concetto di giorno del Signore. Invece di giornata di raccoglimento, di gioia e di arricchimento interiore, la domenica diventa spesso occasione di evasione da un impegno sacro, motivo di dispersione e di vuoto.

E' necessario che il riposo domenicale e festivo non perda la sua caratterizzazione di origine e riacquisti tutto il suo profondo significato di celebrazione del giorno del Signore, che è anche giorno dell'Eucaristia e della Chiesa, della preghiera comune e dell'ascolto della divina parola.

Nella loro sollecitudine pastorale, i vescovi dovranno adoperarsi con vigile cura per assicurare l'assistenza religiosa là dove più intenso si verifica il flusso turistico, e per offrire al popolo di Dio adeguate possibilità di partecipazione alla celebrazione eucaristica.

La festività celebrata come giorno del Signore nelle località eminentemente turistiche assume un particolare valore di evangelizzazione, riaffermando la priorità dell'esigenza spirituale sui bisogni di ordine materiale e divenendo segno della gioia futura, significata dal riposo.


6. Concludendo queste riflessioni sul problema delle emigrazioni, cari fratelli, desidero rivolgervi la raccomandazione di un rinnovato impegno nel provvedere agli aspetti negativi che ancora permangono nel settore, nel venire incontro al diritto fondamentale all'integrazione del migrante, nell'armonizzare l'azione ecclesiale con gli sforzi positivi della società civile, nel guardare con particolare cura all'aspetto dell'integrazione ecclesiale, perché tutti i cristiani nella Chiesa, che è comunione di fede e di carità, siano veramente fratelli e nessuno, nel suo ambito, si senta un estraneo.

Benedico di cuore voi e le vostre comunità.

1987-01-09 Data estesa: Venerdi 9 Gennaio 1987




Le credenziali del nuovo Ambasciatore del Kenya - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La libertà religiosa garantisce il rispetto di tutti i diritti

Signor Ambasciatore, E' un piacere per me dare il benvenuto a vostra eccellenza come ambasciatore straordinario e plenipotenziario della Repubblica del Kenya presso la Santa sede. In questa occasione propizia, in cui vengono presentate le Sue credenziali, esprimo la mia gratitudine per i cordiali slauti inviati dal vostro Presidente, Sua Eccellenza Daniel Toroitich Arap Moi, e dal governo e dal popolo del Kenya. Vi prego di assicurare il Presidente delle mie continue preghiere per la prosperità del vostro Paese.

La cerimonia odierna mi ricorda vividamente le visite pastorali da me fatte nel vostro Paese sia nel 1980 e sia, più recentemente, nel 1985 in occasione del 43° Congresso eucaristico internazionale. Durante tali visite ho potuto esperimentare la vostra calorosa ospitalità e apprezzare la bellezza che il Kenya manifesta nel suo scenario naturale e nelle nobili qualità che arrichiscono il vostro popolo e la vostra cultura. Ricordero a lungo lo spettacolo del sorriso e dei volti pieni di speranza dei vostri bambini e della vostra gioventù.

Noto con soddisfazione il suo accenno al ruolo esercitato dalla Chiesa nello sviluppo del Kenya. E' mia fervida preghiera che la Chiesa, in obbedienza al comando di Cristo di un amore che si esprime mediante il servizio agli altri, possa continuare a prendere parte attiva nel progresso del vostro paese, specialmente nel campo della cura per la salute, nell'educazione e nei servizi sociali necessari.

Il coinvolgimento della Chiesa nell'avanzamento della società dev'essere compreso come un aspetto della sua missione religiosa. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporano, spiega chiaramente che "il fine che Cristo le ha prefisso è di ordine religioso. Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina. così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi deve, suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei più bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili" (GS 42).

Apprezzo in particolare la Sua affermazione riguardante la libertà religiosa che è garantita ai cittadini del Kenya in forza della Costituzione dello Stato. Il diritto fondamentale alla libertà religiosa, cioè l'immunità da ogni forma di coercizione esterna, è chiaramente definito nella Dichiarazione sulla libertà religiosa fatta dal Concilio Vaticano II. Questo documento mette in evidenza che il fondamento di tale libertà è la dignità della singola persona umana ed è per rispetto ad ogni individuo che la libertà di culto deve essere riconosciuta dalla legge costituzionale. Inoltre, dato che l'esercizio della religione consiste primariamente in quegli atti liberi con cui un individuo dirige la sua vita verso Dio, tali atti non possono né essere imposti nè essere proibiti.

Nello stesso tempo dobbiamo ricordare che il diritto alla libertà religiosa è espresso non solo individualmente, ma nella società. perciò il suo esercizio deve assicurare rispetto per i diritti degli altri e per il comune benessere di tutti. La prosperità di una nazione può essere salvaguardata quando tutti i differenti gruppi etnici e sociali hanno la possibilità di vivere nel rispetto reciproco per i diritti fondamentali di ciascuno, impegnandosi in un dialogo franco e aperto. La Chiesa, nei limiti della sua competenza, è sempre pronta a svolgere la sua parte mediante una rispettosa e armoniosa cooperazione col governo e con le altre autorità civili e religiose del vostro Paese.

E' con autentico interesse che la Santa sede osserva il problema dei profughi, che specialmente nella vostra regione del continente africano ha preso aspetti preoccupanti e talvolta tragici. Il vostro Paese, e sono lieto di notare questo fatto nella presente occasione, è sensibile alla sorte di molti profughi che passano le sue frontiere, e ha offerto loro pronta ospitalità e generosa assistenza.

Signor Ambasciatore, il ruolo della Santa Sede a vantaggio della pace internazionale e dei diritti umani è fondato sulla convinzione che gli esseri umani sono formati a immagine e somiglianza con Dio e perciò hanno tutti eguale dignità. Questa dignità da tutti condivisa richiede che viviamo sempre in armonia, rispettandoci reciprocamente e impegnandoci a lavorare per il bene comune.

All'inizio della vostra missione, signor Ambasciatore, vi assicuro che la Santa Sede desidera dare la più completa cooperazione per l'adempimento dei vostri doveri. E' mia viva speranza che Lei vorrà incrementare in tutti i modi le buone relazioni già esistenti tra la Santa Sede e la Repubblica del Kenya. Su vostra Eccellenza, e sul Presidente, sul governo e sul popolo del Kenya, invoco la benedizione di Dio per la pace e la prosperità di tutti.

[Traduzione dall'inglese]

1987-01-09 Data estesa: Venerdi 9 Gennaio 1987




Al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per lo scambio degli auguri per il nuovo anno - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'incontro di Assisi testimonia che la pace è di ordine etico e richiede obbedienza alla coscienza e rispetto dei diritti dell'uomo

Testo:

Eccellenze, Signore, Signori.


1. Gli auguri appena espressi a nome vostro dal vostro decano, sua eccellenza il signor ambasciatore Joseph Amichia, costituiscono una testimonianza commovente e sempre graditissima di un diplomatico attento agli sforzi della Santa Sede, e con essa impegnata nella ricerca di migliori soluzioni ai grandi problemi del mondo.

Lo ringrazio vivamente, e ringrazio tutti i membri del corpo diplomatico che hanno voluto prender parte a questa riunione.

Sono felice di incontrarvi nuovamente all'inizio di un nuovo anno, per il quale anch'io desidero rivolgervi i miei auguri più cordiali, per ognuno di voi, per le vostre famiglie, per i paesi che rappresentate. Ho visitato alcuni di questi paesi, che mi sono così divenuti più familiari, ma tutti possono essere certi di trovare qui la medesima considerazione. Ognuna delle vostre nazioni sta a cuore alla Santa Sede, non soltanto a motivo della loro cultura ancestrale, dei loro progressi o delle loro capacità, ma soprattutto perché formano una comunità umana a cui auguro la piena espansione e sviluppo, con un posto ben riconosciuto in seno alla grande famiglia dei popoli. Mi auguro che anche i membri del corpo diplomatico accreditato presso quell'istanza spirituale che è la sede apostolica, manifestino tra di loro una reciproca accoglienza nel rispetto e nella solidarietà, e partecipino per quanto è loro possibile alla ricerca del bene comune a tutti: la pace. Rivolgo un saluto particolare agli ambasciatori che partecipano per la prima volta a questo scambio di auguri, soprattutto se inaugurano la rappresentanza del loro paese presso la Santa Sede. E sono felice anche di salutare i vostri congiunti e i membri delle vostre ambasciate, che sono qui presenti.


2. Il vostro portavoce, dopo aver ricordato con simpatia qualche attività importante del mio pontificato nel corso dell'anno passato, ha giustamente sottolineato alcuni punti nevralgici della vita del mondo attuale che richiedono urgentemente una soluzione e uno sforzo concertato dei popoli: l'ingiustizia della discriminazione razziale, la pericolosa situazione che si è creata con l'accumulo e il commercio degli armamenti, l'indebitamento di molti paesi poveri, il flagello della droga, il terrorismo, problemi questi che stanno a cuore, fra gli altri, a ogni uomo saggio, che anela alla pace, e che anche la Santa Sede fa suoi, cercando di portare, a sua volta, la sua testimonianza e il suo contributo.

I vostri governi, e voi stessi in quanto diplomatici, svolgete un'azione la cui ragion d'essere e il cui compito consistono nello stringere legami di pace tra le nazioni, nel far valere e difendere ciò che vi sembra giusto per il vostro paese, nell'ascoltare e comprendere le esigenze degli altri, nel far convergere i punti di vista, nel lottare insieme contro ciò che minaccia e degrada le relazioni umane e la dignità della vita. Debbo forse dirvi, eccellenze, che la Santa Sede, quale membro della comunità internazionale e avendo stabilito con i vostri paesi dei rapporti diplomatici, è sempre pronta ad assumersi la propria responsabilità in questo contesto, a interessarsi ai vostri sforzi, ad incoraggiarli, partecipandovi e a volte stimolandoli? Ma voi sapete anche che la Santa Sede è innanzitutto e essenzialmente un'istituzione religiosa, chiamata ad affrontare i problemi della pace nella loro dimensione spirituale ed etica. In questo spirito, ho preso l'iniziativa di riunire i capi religiosi invitandoli ad Assisi il 27 ottobre scorso. Sua eccellenza il signor decano ha d'altronde sottolineato questo avvenimento come il momento più saliente dell'anno passato. Vorrei oggi soffermarmi soprattutto su questo avvenimento, per meditare con voi quanta importanza esso rivesta, non soltanto ai fini di un dialogo fra le religioni, ma per la realizzazione in profondità della giustizia e della pace che è vostro dovere di promuovere.


3. Certamente la riunione ad Assisi dei responsabili e dei rappresentanti delle Chiese o delle comunità ecclesiali cristiane e delle religioni del mondo ha avuto un carattere fondamentalmente ed esclusivamente religioso. Non si trattava di discutere né di prendere delle iniziative concrete o di decidere dei piani d'azione che potrebbero sembrare utili o necessari al consolidamento della pace. E ripeto che questa scelta deliberata di limitarsi alla preghiera non diminuisce assolutamente l'importanza di tutti gli sforzi intrapresi dagli uomini politici e dai capi di Stato per migliorare le relazioni internazionali. Ma dall'iniziativa di Assisi dovrebbe essere esclusa ogni possibilità di sfruttamento a favore di un progetto politico determinato.

In definitiva, la Chiesa cattolica, le altre Chiese e comunità ecclesiali e le religioni non cristiane, nel rispondere a loro volta alla decisione dell'ONU di designare il 1986 come "Anno della pace", hanno voluto farlo parlando la loro propria lingua, affrontando la causa della pace nella dimensione che è per loro essenziale: la dimensione spirituale. E più precisamente attraverso la preghiera accompagnata dal digiuno e dal pellegrinaggio.

Da parte dei rappresentanti delle grandi religioni non si trattava più di negoziare delle convinzioni di fede per giungere a un consenso religioso sincretista. Ma di guardare, insieme nello stesso momento, in modo disinteressato, all'obiettivo cruciale della pace tra gli uomini e tra i popoli, o piuttosto di rivolgerci tutti a Dio per implorare da lui questo dono. La preghiera è il primo dovere degli uomini religiosi, la loro espressione tipica.

Così facendo, i rappresentanti di queste religioni hanno mostrato a loro volta la loro sollecitudine nei confronti del bene primario degli uomini. Essi hanno manifestato il posto insostituibile che il senso religioso occupa nel cuore degli uomini d'oggi. Anche se, purtroppo, la religione è stata a volte causa di divisioni, l'incontro di Assisi ha manifestato una certa aspirazione comune, la chiamata di tutti a camminare verso un solo fine ultimo, Dio; le personalità che ivi erano presenti hanno affermato la loro intenzione di rivestire ora un ruolo decisivo nella costruzione della pace mondiale.


4. Alcuni diplomatici si chiederanno forse: come può la preghiera per la pace promuovere la pace? Il fatto è che la pace è innanzitutto un dono di Dio. E' Dio che la costruisce, poiché è lui che dona all'umanità tutto il creato perché essa lo gestisca e lo faccia progredire nella solidarietà. E' lui che inscrive nella coscienza dell'uomo le leggi che lo obbligano a rispettare la vita e il suo prossimo; egli non cessa di chiamare l'uomo alla pace ed è lui il garante dei suoi diritti. Egli vuole una coesistenza degli uomini che sia l'espressione dei rapporti reciproci fondati sulla giustizia, sul rispetto e sulla solidarietà. Egli li aiuta anche intimamente a realizzare la pace o a ritrovarla attraverso lo Spirito Santo. Da parte dell'uomo, la pace è anche un bene d'ordine umano, di natura razionale e morale. Essa è il frutto di volontà libere, guidate dalla ragione verso il bene comune da raggiungere. In questo senso, essa sembra alla portata dell'uomo saggio e maturo, che riflette nel modo di vivere - nella verità, nella giustizia e nell'amore - un'ampia solidarietà, che contrasta con la "legge della giungla", la legge del più forte. Ma non si vede come quest'ordine morale potrebbe prescindere da Dio, sorgente primaria dell'essere, verità essenziale e bene supremo. La preghiera è il modo di riconoscere umilmente questa sorgente e di sottomettervisi. Ben lungi dal soffocare la responsabilità dell'uomo, essa piuttosto la ridesta. L'esperienza dimostra che laddove l'uomo ha creduto di potersi liberare da Dio, egli può conservare per un certo tempo gli ideali di verità e di giustizia, propri della sua natura razionale, ma rischia di fallire nell'interpretarli in vista dei suoi interessi immediati, dei suoi desideri, delle sue passioni.

Si, la storia dimostra che gli uomini lasciati a se stessi tendono a seguire i propri istinti irrazionali ed egoistici. Essi sperimentano quanto la pace superi le forme umane. Poiché essa ha bisogno di un sostegno di luce e di forza, una liberazione dalle passioni aggressive, un impegno continuo a costruire insieme una società, a guardare a una comunità mondiale fondata sul bene comune a tutti e a ciascuno. Il riferimento alla verità di Dio dona all'uomo l'ideale e le energie necessarie per superare le situazioni di ingiustizia, per liberarsi da ideologie di potere e di odio, per intraprendere un cammino di autentica fratellanza universale.

L'atteggiamento religioso libera l'uomo mettendolo in contatto con il trascendente. E a coloro che credono in un Dio personale, onnipotente, amico dell'uomo e sorgente di pace, la preghiera appare veramente necessaria per implorare da lui la pace che essi non possono raggiungere da soli: la pace tra gli uomini, che nasce nella coscienza degli uomini.


5. La preghiera autentica cambia già il cuore dell'uomo. Dio sa bene di che cosa abbiamo bisogno. Se egli ci invita a chiedere la pace, è perché questo umile atto trasforma misteriosamente le persone che pregano e le mette sul cammino della riconciliazione, della fratellanza. Infatti, colui che prega Dio sinceramente, come abbiamo cercato di fare ad Assisi, contempla l'armonia voluta da Dio creatore, l'amore che è in Dio, l'ideale di pace tra gli uomini, questo ideale che san Francesco ha incarnato in modo incomparabile. Di tutto questo egli rende grazie a Dio. Egli sa che la famiglia umana è una nella sua origine e nel suo fine, che essa viene da Dio e ritorna a Dio. Egli sa che ogni uomo, ogni donna, portano in sé l'immagine di Dio, nonostante i limiti e le sconfitte dello spirito umano tentato dallo spirito del male. Colui che accoglie la rivelazione cristiana va ancora più oltre in questa contemplazione: egli sa che Cristo si è unito in qualche modo a tutti gli uomini, li ha redenti, che li ha resi fratelli e raccoglie in sé i figli di Dio dispersi. L'uomo che prega si sente dunque in unione profonda con tutti coloro che ricercano nella religione dei valori spirituali trascendenti in risposta ai grandi interrogativi del cuore umano.

Inoltre, nell'analizzare se stesso, egli riconosce i suoi pregiudizi, le sue mancanze, le sue sconfitte; egli vede con chiarezza come l'egoismo, la gelosia, l'aggressività in se stesso e negli altri siano i veri ostacoli alla pace. Per questo egli chiede perdono a Dio e ai suoi fratelli, egli digiuna, fa penitenza, cerca la purificazione. E comprende finalmente che non può implorare la pace restando inattivo. La preghiera vuole esprimere la volontà di adoperarsi per superare questi ostacoli prendendo un impegno deciso per ottenere la pace.

Sono questi i benefici che la preghiera porta con sé. Non è forse questo che hanno cercato di esprimere tutte le preghiere di Assisi? Nessuna giustificazione di sé, nessuna difesa di un'ideologia, nessuna accettazione della violenza hanno distolto queste preghiere dal loro obiettivo: la ricerca della pace così come Dio la vuole. Gli uomini che pregano in questo modo rimangono o diventano artefici di pace. Essi non possono più accettare né adottare atteggiamenti di ingiustizia e di odio nei confronti dei loro simili senza flagrante contraddizione. Certamente, questa contraddizione può sempre nascere, poiché le tentazioni rimangono. E' per questo che a Casablanca ho implorato Dio: "Non permettere che invocando il tuo nome, noi arriviamo a giustificare i disordini umani". Questo starebbe ad indicare che la preghiera non è stata sufficientemente profonda, sufficientemente autentica, sufficientemente prolungata, che il fanatismo l'ha snaturata e l'ha strumentalizzata. Ma in sé l'atto autentico della preghiera mette sul cammino della vera pace, poiché essa porta alla conversione del cuore.


6. Nel dimostrare che la pace e la religione camminano assieme, l'avvenimento di Assisi ha sottolineato inoltre che la pace è fondamentalmente di natura etica. Io lo ricordavo allora ai miei fratelli e sorelle di tutte le religioni: "Nel grande impegno per la pace, l'umanità, nella sua stessa diversità, deve attingere dalle sue più profonde e vivificanti risorse, in cui si forma la propria coscienza e su cui si fonda l'azione di ogni popolo" ("1° Allocuzione", 2). Un elemento comune a tutte le religioni, oltre alla convinzione fondamentale che la pace supera gli sforzi umani e deve essere ricercata nella realtà che è al di là di noi tutti, è in effetti "un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli"; a rispettare, proteggere e promuovere la vita umana, a superare l'egoismo, l'avidità, lo spirito di vendetta (cfr. "Discorso finale ad Assisi", 2 e 4). E' dire che la Chiesa cattolica riconosce i valori spirituali, sociali e morali propri delle religioni. Nel corso del mio viaggio in India, ho sottolineato il valore dell'insegnamento del Mahatma Gandhi circa la "supremazia dello spirito e la verità-forza ("satyagraha") che vince senza la violenza, grazie al dinamismo intrinseco all'azione giusta" ("discorso del 1° febbraio 1986 al Raj Ghat", 2).

Davanti ai giovani musulmani a Casablanca, ho ricordato che invocando Dio, "dobbiamo anche rispettare, amare e aiutare ogni essere umano, poiché è una creatura di Dio e, in un certo senso, sua immagine e suo rappresentante" (19 agosto 1965, 2). Alla sinagoga di Roma, ho sottolineato che "Ebrei e cristiani sono depositari e testimoni di un'etica segnata dai dieci comandamenti, nella cui osservanza l'uomo trova la sua verità e libertà" notando che "Gesù ha portato fino alle estreme conseguenze l'amore domandato dalla Torah" (13 aprile 1986, 6 e 7).

Le religioni degne di questo nome, le religioni aperte di cui parlava Bergson - che non sono delle semplici proiezioni dei desideri dell'uomo, ma un'apertura e una sottomissione alla volontà trascendente di Dio che s'impone a tutte le coscienze -, permettono di costruire la pace. E allo stesso modo le filosofie che riconoscono che la pace è un fatto d'ordine morale: esse mostrano la necessità di superare gli istinti, affermano l'uguaglianza radicale di tutti i membri della famiglia umana, la dignità sacra della vita, della persona, della coscienza, l'unità della famiglia umana che esige una autentica solidarietà.

Senza il rispetto assoluto dell'uomo fondato su una visione spirituale dell'essere umano, non c'è pace. Ecco la testimonianza di Assisi. Essa ha offerto un sostegno attraverso i rappresentanti delle religioni, di fronte a tutto il mondo, affinché il mondo vi trovi una luce. Spero che questa convinzione ispiri anche la vostra attività di diplomatici.


7. In concreto, il rispetto dell'uomo passa attraverso il rispetto dei suoi diritti fondamentali. Alla domanda cruciale: "come mantenere la pace?", si deve rispondere: "nell'ambito della giustizia tra le persone e tra i popoli". Oggi noi abbiamo l'opportunità di vedere i diritti dell'uomo sempre più definiti e sempre più fermamente rivendicati: il diritto alla vita in tutti gli stadi del suo sviluppo: il diritto alla considerazione a prescindere dalla razza, dal sesso e dalla religione; il diritto ai beni materiali necessari alla vita; il diritto al lavoro e all'equa ripartizione dei frutti del lavoro; il diritto alla cultura; il diritto alla libertà dello spirito, della creatività; il diritto al rispetto della coscienza, e in particolar modo alla libertà del rapporto con Dio.

Non bisogna inoltre dimenticare i diritti delle nazioni a conservare e a difendere la loro indipendenza, la loro identità culturale, la possibilità di organizzarsi socialmente, di gestire i propri affari, e di decidere liberamente del proprio destino, senza essere alla mercé, direttamente o indirettamente, di potenze straniere. Voi conoscete come me i casi in cui questo diritto è palesemente violato.

Questi diritti sono l'espressione delle esigenze della dignità dell'uomo. Espressi soprattutto in Occidente da coscienze che erano state formate dal cristianesimo, essi sono divenuti patrimonio di tutta l'umanità, e sono rivendicati in tutte le latitudini. Ma, oltre che una rivendicazione, essi costituiscono per le persone e per gli stati il dovere di creare le condizioni che ne assicurino l'esercizio. I paesi che vogliono sottrarsi a questi doveri, sotto vari pretesti - concezione totalitarista del potere, ossessione della sicurezza, volontà di mantenere dei privilegi per alcune categorie, ideologie, timori di ogni sorta - offendono la pace. Essi vivono una pseudo-pace che può rischiare di provocare risvegli dolorosi. Quando questi paesi escono dalla dittatura senza preparazione alla vita democratica - come si è visto per qualche paese lo scorso anno -, il cammino è difficile e lento. Ciascuno deve allora prendere coscienza delle esigenze del bene comune, evitando gli eccessi individualistici della libertà. Ma questi paesi meritano di essere incoraggiati su questo cammino della pace, il solo che abbia valore.


8. L'imperativo etico della pace e della giustizia di cui ho appena parlato si impone come un diritto e un dovere dapprima a livello della retta coscienza, negli uomini di buona volontà, nelle comunità che si preoccupano di ricercare sinceramente la pace e di educare ad essa nella verità. Esso contribuisce allora a caratterizzare l'opinione pubblica. Ma deve trovare anche un'espressione, un sostegno, una garanzia negli strumenti giuridici adeguati della società civile, nelle dichiarazioni o, meglio, nei trattati, negli accordi, nelle istituzioni, a livello nazionale, regionale, continentale, della comunità mondiale, al fine di evitare, per quanto possibile, ai più deboli di essere vittime della cattiva volontà, della forza o della manipolazione degli altri. Il progresso della civiltà consiste nel trovare i mezzi per proteggere, difendere, promuovere, a livello delle strutture, ciò che è giusto e buono per la coscienza. La stessa diplomazia, trova il suo campo di azione in questa mediazione tra la coscienza e la vita concreta.

Se questi sforzi vengono a mancare, a livello della coscienza delle persone e a livello delle strutture, l'autentica pace non è più garantita. Essa è fragile e fittizia. Essa rischia di ridursi allora all'assenza provvisoria di guerra, alla tolleranza, anche di fronte agli abusi che feriscono l'uomo, all'opportunismo; essa cede davanti all'ansia di mantenere ad ogni costo i vantaggi particolari chiudendosi in sé, e soprattutto davanti agli istinti di aggressività o di xenofobia, davanti all'efficacia scontata della lotta di classe, davanti alla tentazione di riporre la sua forza nella sola superiorità degli armamenti che intimidiscono l'avversario, davanti alla legge del più forte, davanti al terrorismo o ai metodi di certe guerriglie pronte ad adottare tutti i mezzi di violenza, anche sugli innocenti, o ancora davanti agli abili tentativi di destabilizzazione degli altri paesi, davanti alle manipolazioni, davanti alla falsa propaganda, e tutto questo sotto l'apparente ricerca del bene o della giustizia.


9. Quando si vedono le assurde devastazioni delle guerre e il pericolo maggiore delle distruzioni estese e profonde che comporta l'uso degli armamenti di cui dispongono alcuni paesi, si può ritenere che la situazione del mondo esiga un rifiuto, il più radicale possibile, della guerra come metodo di risoluzione dei conflitti.

E' in questa prospettiva che, per il 27 ottobre, avevo invitato tutti coloro che erano impegnati in azioni di guerra a una tregua dei combattimenti, almeno per quel giorno. La proposta è stata largamente accolta, e di ciò io mi rallegro. E' stato un gesto significativo che si è associato alla nostra supplica religiosa per la pace, e io credo all'efficacia spirituale dei segni. Si trattava anche di una causa che permetteva di risparmiare delle vite umane, che sono tutte preziose; un'occasione data a ciascuno di meditare sulla vanità e sulla disumanità della guerra per risolvere le tensioni e i conflitti che i mezzi offerti dal diritto potrebbero regolare; un invito a rinunciare, in nome del bene, alla violenza delle armi.

Certamente ciò non significa accantonare il principio secondo il quale ciascun popolo, ciascun governo ha il diritto e il dovere di proteggere, secondo i propri mezzi, la propria esistenza e la propria libertà contro un ingiusto aggressore. Ma la guerra appare sempre più come il metodo più incivile e più inefficace di risolvere i conflitti tra due paesi o di conquistare il potere nel proprio paese. Si deve fare di tutto per adottare strumenti di dialogo, di negoziato, avvalendosi, in caso di bisogno, dell'arbitrato imparziale di terzi, o di un'autorità internazionale con sufficienti poteri.


10. In ogni caso, una minaccia fondamentale deriva dalla crescita degli armamenti di ogni tipo allo scopo di assicurare il dominio sugli altri o a spese degli altri. Non si dovrebbero ridurre le armi a un livello compatibile con la legittima difesa, rinunciando a quelle che non possono in alcun modo rientrare in questa categoria? E' necessario ripetere ancora una volta che una tale corsa agli armamenti è pericolosa, distruttiva e scandalosa agli occhi dei paesi che non hanno la possibilità di assicurare ai propri cittadini i mezzi di sopravvivenza alimentare o sanitaria? E' questa una delle chiavi del problema delle relazioni Nord-Sud che sembra, da un punto di vista etico, ancor più fondamentale di quella delle relazioni Est-Ovest. Un altro punto cruciale è quello del debito estero e dell'equilibrio degli scambi, che la Santa Sede segue con particolare attenzione.

Poiché, in definitiva, ciò che conta è lo sviluppo solidale dei popoli. La solidarietà è di natura etica ed è una chiave fondamentale per la pace. Essa presuppone che si consideri il punto di vista del popolo che è nel bisogno e che si ricerchi ciò che è bene per lui, considerandolo come un agente attivo del proprio sviluppo. Essa si fonda sulla consapevolezza che noi formiamo un'unica famiglia umana. Tale è l'oggetto del messaggio per la Giornata mondiale della pace che vi ho affidato quest'anno.

Considerando lo sviluppo dei popoli nel loro insieme, si dovrebbero trovare i mezzi per aiutare i gruppi più ristretti che sono abbandonati a se stessi, in una miseria e in una minaccia indegne dell'umanità. Sono innumerevoli.

Per fare un esempio, penso a coloro che sono vittime della carestia in Etiopia o nel Sudan; e penso al destino drammatico di tanti rifugiati. Alcune ammirevoli iniziative private se ne occupano; ma che potranno fare se i governi e la comunità internazionale non daranno il loro contributo? 11. Dal messaggio della pace di quest'anno (n. 7), riprendo solo questa frase a conclusione di questo incontro: "Se la solidarietà ci dà la base etica per un'azione appropriata, allora lo sviluppo diventa l'offerta che il fratello fa al fratello, in modo che entrambi possano vivere più pienamente in tutta la diversità e complementarietà che sono come i marchi di garanzia della civiltà umana".

Molto spesso, parlando dei diritti dell'uomo, noi consideriamo solamente l'uguaglianza fra gli uomini e la loro libertà. L'uguaglianza degli uomini nella dignità deve essere garantita sempre e ovunque; essa non esige necessariamente l'uguaglianza di tutte le situazioni, che rischia di essere un'illusione e di provocare incessantemente conflitti. Ciò che è fondamentale è la fratellanza. Essa appare come la chiave di volta dell'edificio sempre fragile della democrazia, come l'obiettivo del cammino sempre difficile verso la pace, come la sua ispirazione decisiva. Essa elimina la contraddizione che sorge tanto spesso fra uguaglianza e libertà. Essa trascende la mera giustizia. Essa è mossa dall'amore. I padri del Concilio Vaticano II hanno sottolineato questo aspetto: "La pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto è in grado di assicurare la semplice giustizia" (GS 78). Questo amore è al centro del Vangelo di Gesù Cristo, che lo ha fatto conoscere al mondo, in maniera incomparabile, invitando tutti gli uomini a farsi suo prossimo, come a un fratello. Questo amore comporta un superamento di sé, che favorisce l'atteggiamento religioso, ma che è assolutamente necessario alla vita nella società. Un mondo senza amore fraterno non conoscerà che una pace frammentaria, fragile, minacciata. E, in caso di guerra, i paesi belligeranti saranno incapaci di rinunciare alla volontà di dominare, anche a prezzo di una tragica ecatombe o di un'assurda distruzione, perché lo riterrebbero umiliante. Solo lo spirito di fratellanza porterà ad accettare e ad offrire una tregua o piuttosto una pace che non sia umiliante per l'altro.

Eccellenze, signore, signori, non è mia competenza proporre soluzioni tecniche più precise ai gravi problemi della pace e dello sviluppo che abbiamo ricordato. Ma ho ritenuto opportuno meditare con voi sullo spirito che apre la porta a soluzioni durature: l'umiltà, il dialogo, il rispetto, la giustizia, la fratellanza. L'esperienza di Assisi, a livello dei rappresentanti delle religioni, ha messo in rilievo questo spirito. Possiate voi trovarvi una luce per la vostra nobile missione di ambasciatori! E possa il mondo attingere alla medesima sorgente, per conoscere la pace a cui Dio lo ha destinato!

1987-01-10 Data estesa: Sabato 10 Gennaio 1987





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