GPII 1987 Insegnamenti - Ai movimenti ecclesiali riuniti per il colloquio internazionale

Ai movimenti ecclesiali riuniti per il colloquio internazionale

Titolo: Crescita comune nell'unità e nella collaborazione reciproca

Testo:

Cari fratelli nell'episcopato, e voi tutti, cari partecipanti al secondo colloquio internazionale dei movimenti ecclesiali.


1. E' per me una vera gioia ricevervi oggi, dopo alcuni anni dall'incontro in occasione del vostro precedente convegno. Desidero innanzitutto esprimere il mio compiacimento per la continuità di questa iniziativa, che si presenta come assai utile al fine di favorire una sempre maggiore comunione tra i movimenti ecclesiali e l'intero popolo di Dio, in particolare con i suoi pastori.

La grande fioritura di questi movimenti e le manifestazioni di energia e di vitalità ecclesiale che li caratterizzano sono da considerarsi certamente uno dei frutti più belli del vasto e profondo rinnovamento spirituale, promosso dall'ultimo Concilio.

Nei documenti conciliari possiamo trovare un chiaro riferimento ai movimenti ecclesiali soprattutto là dove si afferma che "Lo Spirito Santo... dispensa tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere e uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole: "A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio" (1Co 12,7)" (LG 12).


2. Cristo, ci dice il Concilio, "adempie il suo ufficio profetico... non solo per mezzo della gerarchia, la quale insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e forma nel senso della fede e nella grazia della parola, perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale" (LG 35). E' così che nella storia della Chiesa assistiamo continuamente al fenomeno di gruppi più o meno vasti di fedeli, i quali, per un impulso misterioso dello Spirito, furono spinti spontaneamente ad associarsi allo scopo di perseguire determinati fini di carità o di santità, in rapporto ai particolari bisogni della Chiesa nel loro tempo o anche per collaborare nella sua missione essenziale e permanente.

Questo diritto è apertamente riconosciuto dal nuovo Codice di diritto canonico, il quale parla di "consociationes ad fines caritatis vel pietatis aut ad vocationem christianam in mundo fovendam" (CIC 215): parole che certamente noi possiamo riferire anche ai movimenti ecclesiali.


3. E questi hanno, nella Chiesa, una funzione ben precisa, e possiamo dire senz'altro insostituibile. "I movimenti apostolici - si dice nella "Relazione finale" dell'ultimo Sinodo dei vescovi (II, 4) - e i nuovi movimenti di spiritualità, se permangono rettamente nella comunione ecclesiale, sono portatori di grande speranza". Se realizzati in modo genuino, essi si fondano su quei "doni carismatici", i quali, insieme con i "doni gerarchici" - vale a dire i ministeri ordinati - fanno parte di quei doni dello Spirito Santo dei quali è adorna la Chiesa, Sposa di Cristo.

Doni carismatici e doni gerarchici sono distinti ma anche reciprocamente complementari. Infatti, come dice san Paolo, noi cristiani, "pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri" (Rm 12,5). Per questo Dio ha voluto che "non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre" (1Co 12,25), ciascuna secondo la propria funzione.

Nella Chiesa, tanto l'aspetto istituzionale, quanto quello carismatico, tanto la gerarchia quanto le associazioni e movimenti di fedeli, sono coessenziali e concorrono alla vita, al rinnovamento, alla santificazione, sia pure in modo diverso e tale che vi sia uno scambio, una comunione reciproci: i pastori della Chiesa sono gli "economi della grazia" (cfr. LG 26), che salva, purifica e santifica, custodiscono il "deposito" della parola di Dio e, nel governare il popolo di Dio, hanno anche la responsabilità di dare il giudizio definitivo sull'autenticità dei carismi (cfr. LG 12).

I fedeli che si ritrovano nelle associazioni e nei movimenti, dal canto loro, sotto l'impulso dello Spirito, cercano di vivere la parola di Dio nel concreto delle circostanze storiche, facendosi stimolo, con la loro stessa testimonianza, di un sempre rinnovato progresso spirituale, vivificando evangelicamente le realtà temporali e i valori dell'uomo e arricchendo la Chiesa di un'infinita e inesauribile varietà di iniziative nel campo della carità e della santità.


4. Il vostro convegno presuppone, lo so, queste convinzioni: sforzatevi pero di fare in modo che esse siano, nel popolo di Dio, un patrimonio sempre più saldamente stabilito, onde evitare quella deprecabile contrapposizione tra carisma e istituzione, che è quanto mai deleteria sia per l'unità della Chiesa come per la credibilità della sua missione nel mondo, e per la stessa salvezza delle anime.

Questa unità della Chiesa nella molteplicità delle sue componenti è un valore che va costantemente perseguito, perché sempre, quaggiù, è in pericolo: e può essere ottenuto solo mediante lo sforzo di tutti, dei pastori come dei fedeli; è un reciproco incontrarsi fondato sulla carità, sull'umiltà, sulla lealtà, e insomma sull'esercizio di tutte le virtù cristiane.

La Vergine santissima, Madre della Chiesa, vi assista nei vostri lavori e li renda fecondi di ampli e duraturi risultati per una crescita comune nell'unità e nella collaborazione reciproca, e per dare alla Chiesa una maggiore credibilità nella sua testimonianza agli uomini del nostro tempo.

Di cuore vi benedico tutti, insieme con i vostri cari e le vostre famiglie.

1987-03-02 Data estesa: Lunedi 2 Marzo 1987




Le credenziali del nuovo Ambasciatore di Colombia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Operare per una convivenza armoniosa rimuovendo i fattori di ingiustizia

Testo:

Signor Ambasciatore, Mi è grato porgere il mio più cordiale benvenuto a Sua Eccellenza, in questo atto di presentazione delle lettere credenziali che la accreditano quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario di Colombia Presso la Santa Sede.

Innanzi tutto, desidero manifestarle il mio riconoscimento per le sentite parole che ha voluto rivolgermi, poiché mi hanno permesso di confermare l'affetto e la devozione che i figli di questa nobile Nazione nutrono nei confronti del successore di Pietro, dovuto anche alla mia visita pastorale effettuata nel luglio dell'anno scorso.

Desidero inoltre ringraziarla per il deferente saluto che mi ha trasmesso da parte del Presidente della Repubblica.

Sua Eccellenza ha fatto riferimento alla necessità di concentrare tutti gli sforzi possibili al fine di conseguire delle condizioni basiche, umane e spirituali, che permettano al cittadino colombiano di costruire una società nella quale la riconciliazione e la convivenza fraterna, così come la giustizia siano una costante e crescente realtà.

Questi obiettivi hanno sempre incontrato il pieno appoggio e la difesa della Chiesa in Colombia, la quale, seguendo il comando di Cristo (cfr. Mt 28,19-20), vuole essere presente in questa ora cruciale dell'umanità intera e di questa comunità cattolica in particolare.

La realtà colombiana, che ho avuto occasione di conoscere da vicino attraverso il mio contatto con la sua gente, durante il mio recente viaggio in quelle terre, mi spinge a rivolgermi ancora una volta alle autorità del paese, incoraggiandole a salvaguardare il ricco patrimonio spirituale e culturale degli antenati racchiuso in una serie di valori così radicati che vale sempre la pena di tutelare. Tra di essi si distinguono il rispetto per la vita e per l'uomo, la capacità di dialogo e la ricerca del bene comune.

Per portare avanti questo compito si dovrà contare con la partecipazione di tutti gli strati sociali nella ricerca e consolidamento di questi obiettivi prioritari. Il mio predecessore Paolo VI nel suo viaggio in Colombia del 1968, lancio a riguardo un appello ai responsabili di quella società: "Intuite ed intraprendete con coraggio le innovazioni necessarie per il mondo che vi circonda...

E non dimenticate che certe crisi delle storia avrebbero potuto avere altri orientamenti se le riforme necessarie avessero prevenuto tempestivamente, con coraggiosi sacrifici, le rivoluzioni esplosive della disperazione" (Paolo VI, Homilia Christifidelibus Columbianis atque peregrinis habita, qui Sacro interfuerunt a Beatissimo Patre peracto die progressioni provehendae dicato, die 23 aug. 1968: Insegnamenti di Paolo VI, VI [1968] 383ss).

La Colombia può considerarsi un paese potenzialmente ricco grazie alle sue molteplici risorse naturali e possibilità di diversa indole. Ma affinché questa ricchezza possa giungere a soddisfare le necessità minime vitali della gente povera e fare di essa dei cittadini a pieno diritto, è necessario lasciare da parte ogni forma di egoismo e possibile ingiustizia strutturale, e superare ogni tipo di antagonismo di classe, attitudini queste che impediscono il conseguimento solidale del bene comune.

E' per me motivo di consolazione venire a conoscenza, tramite Sua Eccellenza, dell'impegno costante del governo al fine di affrontare i complessi problemi che in questo periodo affliggono il paese. Nel mio incontro con i Dirigenti in Bogotà ebbi occasione di invitarli a farsi artefici di una società più giusta "dove la laboriosità, l'onestà, lo spirito di partecipazione a tutti i livelli, l'attuazione della giustizia e della carità, siano una realtà. Una società che porti il sigillo dei valori cristiani come il più forte fattore di coesione sociale e la migliore garanzia del suo futuro. Una convivenza armoniosa che elimina le barriere contrarie all'integrazione nazionale e costituisca il segno dello sviluppo del paese e del progresso dell'uomo" (Giovanni Paolo PP. II, Allocutio ad civiles auctoritates in urbe "Bogotà" habita, 3, die 1° iul. 1986: , IX,2 [1986] 30).

Solamente così sarà possibile l'integrazione dei settori emarginati e il loro inserimento sociale. In questo ambito la Comunità ecclesisale colombiana sta intensificando il suo ministero e la sua attenzione alla causa dei più poveri ed abbandonati, in perfetta sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa. In questo impegno strettamente pastorale spera di poter contare ancora sull'appoggio e sulla necessaria collaborazione delle diverte autorità politiche ed economiche.

Signor Ambasciatore, nel chiedere all'Altissimo, datore di ogni bene, che faccia fruttificare questi aneliti, affinché siano fonte di concordia e di benessere sociale, invoco anche l'intercessione di Nostra Signora di Chiquinquirà sull'amato popolo colombiano, sui suoi governanti e, in maniera speciale, su Sua Eccellenza, augurandoLe un felice esito nel compimento dell'alta e nobile missione che le è stata affidata.

[Traduzione dallo spagnolo]

1987-03-02 Data estesa: Lunedi 2 Marzo 1987




Appello per la Quaresima - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: In cammino verso la Pasqua guidati dalla Vergine del "Magnificat"

Testo:

Cari fratelli e sorelle in Cristo.

"Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote" (Lc 1,53). Queste parole che la Vergine Maria ha pronunciato nel suo "Magnificat" sono nello stesso tempo una lode a Dio Padre e un appello che ciascuno di noi può accogliere nel suo cuore e meditare in questo tempo di Quaresima.

Tempo di conversione, tempo della verità che ci "farà liberi" (Jn 8,32), perché noi non possiamo ingannare colui che scruta "le menti e i cuori" (Ps 7,10). Davanti a Dio nostro Creatore, davanti a Cristo nostro Redentore, da che cosa potremmo noi trarre motivo d'orgoglio? Quali ricchezze o quali talenti potrebbero darci una qualche superiorità? Maria ci insegna che le vere ricchezze, quelle che non passano, vengono da Dio; noi dobbiamo desiderarle, averne fame, abbandonare tutto ciò che è fittizio e passeggero, per ricevere questi beni e riceverli in abbondanza.

Convertiamoci, abbandoniamo il vecchio lievito (cfr. 1Co 5,6) dell'orgoglio e di tutto ciò che conduce all'ingiustizia, al disprezzo, alla brama di possedere egoisticamente denaro e potere.

Se noi ci riconosciamo poveri davanti a Dio - il che è verità e non falsa umiltà - noi avremo un cuore di povero, degli occhi e delle mani di povero per condividere quelle ricchezze delle quali Dio ci colmerà: la nostra fede, che noi non possiamo conservare egoisticamente solo per noi, la speranza, della quale hanno bisogno coloro che sono privati di tutto, la carità che ci fa amare come Dio i poveri con un amore preferenziale. Lo Spirito dell'amore ci colmerà di mille beni da condividere; più noi li desideriamo, più li riceveremo in abbondanza.

Se noi saremo veramente quei "poveri in spirito" ai quali è promesso il regno dei cieli (Mt 5,3), la nostra offerta sarà gradita a Dio. Anche l'offerta materiale, che abbiamo l'abitudine di fare durante la Quaresima, se è fatta con un cuore di povero, è una ricchezza, perché diamo ciò che abbiamo ricevuto da Dio per essere distribuito: noi non riceviamo che per donare. Come quei cinque pani e quei due pesci del giovane, che le mani di Cristo hanno moltiplicato per nutrire una folla, così ciò che noi offriremo sarà moltiplicato da Dio per i poveri.

Termineremo noi questa Quaresima col cuore altezzoso, pieni di noi stessi, ma con le mani vuote per gli altri? O invece arriveremo a Pasqua, guidati dalla Vergine del "Magnificat", con un'anima di povero; affamata di Dio e con le mani ricche di tutti i doni di Dio da distribuire al mondo che ne ha tanto bisogno? "Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia" (Ps 117,1).

1987-03-03 Data estesa: Martedi 3 Marzo 1987




Ai fedeli ed ai pellegrini - Aula Paolo VI (Roma)

Titolo: Vivere più a fondo il mistero della croce

Testo:

Cari fratelli e sorelle.

Oggi, mercoledi delle Ceneri, è un giorno speciale dell'anno liturgico, e quindi del nostro cammino interiore verso il regno di Dio.

Inizia infatti oggi il periodo della Quaresima che ci prepara alla Pasqua. Esso ci invita a vivere più a fondo il mistero della croce di Cristo, così da poter poi meglio comprendere e vivere il mistero della risurrezione.

In questo nuovo clima di più intenso fervore nello spirito, proseguiamo le nostre "catechesi del mercoledi", soffermandoci sul compimento in Cristo delle profezie che preannunciavano che il Messia avrebbe sofferto e subito la morte.

1987-03-04 Data estesa: Mercoledi 4 Marzo 1987









Omelia nella Basilica di santa Sabina - Roma

Titolo: Quaresima: la ricostruzione della verità di tutto ciò che facciamo e che siamo

Testo:

1. "Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra" (Mt 6,3).

. così dice Cristo nel suo insegnamento sulle opere buone, nel discorso della montagna. "Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta".

"Non sappia...", cioè dimentica te stesso quando vuoi fare del bene all'altro. Quando vuoi farlo nella verità, e non soltanto in apparenza. Dimentica.

Liberati dal tuo "io", affinché esso possa impegnarsi realmente nel bene che tu stai facendo. Liberati dal tuo "io", se ciò che stai facendo deve mantenere un pieno riferimento all'altro. Se deve rimanere fedele alla logica del dono.


2. All'inizio della Quaresima, nel mercoledi delle Ceneri, Cristo ci richiama alla verità interiore delle nostre opere: dell'elemosina, della preghiera e del digiuno. Questa pericope porta in sé una particolare chiamata alle opere buone.

Alle opere di pietà. Proprio per questo è indispensabile la verità interiore di ciascuna di esse, affinché in ciascuna si apra, per così dire, uno spazio per Dio.

"Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra", il che vuol dire: crea le condizioni interiori, perché ti sia reso possibile, nella tua opera, nella tua opera buona incontrarti con il Padre "che vede nel segreto" (cfr. Mt 6,4).


3. Perché questo? Perché, con la giornata odierna, noi entriamo nella Quaresima, nel periodo di una particolare conversione.

E la conversione è una ricostruzione della verità di tutto ciò che facciamo e che siamo. Della verità interiore - per questo la conversione significa entrare "nella camera" del proprio cuore, della propria coscienza. Tuttavia non per separarci. Tutto il contrario, per aprirci ancor più a Dio. Creare per lui uno spazio che il nostro "io" - dopo il peccato originale - gli nega, gli toglie, così sconsideratamente.


4. Da tale spazio interiore - così aperto - scaturirà, si potrebbe dire, spontaneamente, la parola: Perdona! Rimetti! Lavami! Cancella il mio peccato! Crea in me un cuore puro! E'' tutto ciò che costituisce la grande eredità dell'alleanza con Dio. Ciò che si è condensato, in modo così splendido e addirittura irripetibile, nel salmo 50 di Davide.

Ciò è una splendida testimonianza della coscienza umana che, entrando nella verità interiore delle opere, si apre a Dio. Questa testimonianza ci accompagna costantemente nel corso della Quaresima.


5. Chi è questo Dio con il quale parla Davide, il re-peccatore, il re-salmista e profeta? Chi è questo Dio che dice: "Ritornate a me con tutto il cuore" (Jl 2,12)? E' il Dio che si mostra "geloso per la sua terra?" (cfr. Jl 2,18) E non è forse lo stesso Dio, che tratto "da peccato in nostro favore" il proprio Figlio - "Colui che non aveva conosciuto peccato?" (cfr. 2Co 5,21).

Questa verità, questa realtà pulsa con una vena più profonda in tutto l'organismo vivo della Chiesa, dell'umanità, particolarmente adesso nel periodo della Quaresima.


6. Occorre quindi dimenticare se stessi ("non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra", occorre aprire lo spazio interiore a Dio - proprio lo spazio della conversione - affinché questa realtà incredibile - possa essere da noi partecipata più pienamente.

Dio tratto da peccato il suo Figlio, Gesù Cristo, in nostro favore, perché noi potessimo diventare por mezzo di lui "giustizia di Dio" (2Co 5,21).

Questa realtà si chiama grazia.

Proprio in essa è inscritta la nostra riconciliazione con Dio.


7. Un uomo chiuso nel proprio "io" non capisce questa realtà. Non la capisce un uomo tronfio della propria giustizia. Della propria autosufficienza - disprezzando tutte le esperienze personali e collettive.

Esponiamo, dunque, più fortemente queste esperienze nel contesto della Quaresima! E' un tempo "forte".

Il tempo delle verità fondamentali, elementari.

Il tempo delle chiamate radicali.

Il tempo in cui la massima potenza dello Spirito - "scrutinium cordis" - deve manifestarsi mediante la "debolezza": mediante, cioè, la passione e morte, del Figlio di Dio. Mediante ciò che l'Apostolo ha chiamato la "stoltezza della croce" (cfr. 1Co 1,18).

"La potenza di Dio infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (cfr. 2Co 12,9).


1987-03-04 Data estesa: Mercoledi 4 Marzo 1987




Al clero della diocesi di Roma - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con la Chiesa universale portiamo nella dimensione locale il grande progetto di realizzare il Concilio Vaticano II

Testo:

Voglio ringraziare tutti i presenti, sacerdoti di Roma, per questo annuale incontro, per la tematica scelta oggi - evangelizzazione, parrocchia, nuove generazioni -, per tutti gli interventi. Naturalmente sappiamo bene che, da un certo punto di vista, sarebbe auspicabile che tutti potessero parlare. Da un altro punto di vista, questo appare pero irrealizzabile. Ma penso che tutti coloro che hanno parlato lo hanno fatto dando anche dei punti di riflessione agli altri e, in un certo senso, facendosi portavoce degli altri qui presenti. Poi, naturalmente, si deve svolgere da parte vostra questo lavoro comunitario, discutendo i problemi anche sulla base degli interventi ascoltati, partecipati, e, da parte del vicariato di Roma, tirando le conclusioni. Cercheremo di farlo, perché tra le diverse voci si è ascoltato anche qualche proposta importante per tutti noi, per il collegio episcopale della Chiesa di Roma e per me insieme con questo collegio.

Voglio esprimere soprattutto la mia soddisfazione per il fatto che questo annuale incontro all'inizio della Quaresima diviene sempre quello che io pensavo dovesse essere. Voglio dire: voi, carissimi fratelli nel presbiterato, siete diventati i veri protagonisti di questo incontro. Si tratta della vostra testimonianza, della vostra esperienza, delle vostre esperienze, che devono essere ascoltate da me e da voi.

Al termine, voglio fare una sintesi che potrà sembrare non direttamente in linea con i vostri interventi con la tematica. Ma penso che lo sia.

La Chiesa ha una duplice caratteristica. E', nello stesso tempo, universale e particolare. così è ogni Chiesa, in ogni luogo del mondo. Come lo era la prima Chiesa a Gerusalemme, così lo sono le diverse Chiese particolari dei tempi apostolici, di quelli post-apostolici, fino ai nostri giorni. In un certo senso, Roma presenta più delle altre Chiese particolari questa duplice caratteristica, quella della particolarità e quella della universalità.

Se lasciamo da parte per il momento i nostri fratelli e le nostre sorelle laici - naturalmente anche loro sono coinvolti nella Chiesa che è insieme particolare ed universale, universale e particolare -; se ci soffermiamo su di noi, vediamo che la nostra vocazione nella Chiesa è marcata da questa doppia caratteristica. Se leggiamo attentamente i testi del Concilio, che esprimono la tradizione della Chiesa ed il suo insegnamento, lo vediamo per i Vescovi.

Certamente la loro missione è sempre orientata verso la Chiesa universale, anche se legata ad una Chiesa particolare, qualche volta anche più aperta per compiti interparticolari o direttamente universali. La stessa cosa leggiamo per i sacerdoti. Anche la loro vocazione, la loro missione è nello stesso tempo nella dimensione della Chiesa universale e legata ad una Chiesa particolare, legata a quella caratteristica particolare ancor più rispetto a quanto accade per il ministero dei Vescovi. Se si tratta del Vescovo di Roma, questo duplice carattere della sua missione risulta ancora più visibile e più sperimentabile da tutti e, naturalmente, da lui stesso. Per questo voglio parlarvi nell'ottica della Chiesa universale.

Nella dimensione universale della Chiesa, noi, e specialmente la Santa Sede, vogliamo e dobbiamo portare avanti il grande progetto della Chiesa dei nostri tempi, vale a dire l'insegnamento e gli orientamenti del Concilio Vaticano II. Se, per esempio, ci proponiamo così come è stato lo scorso anno - una preghiera per la pace ad Assisi con i nostri fratelli cristiani non cattolici ed anche alla presenza dei nostri fratelli credenti non cristiani, questo è un modo di portare avanti il progetto del Vaticano II, di attuare la sua dottrina, i suoi orientamenti. Se quest'anno ci proponiamo di cominciare un Anno Mariano, lo facciamo con la stessa finalità, con la stessa preoccupazione: portare avanti il progetto dottrinale e pastorale del Concilio Vaticano II; essere Chiesa e farci Chiesa dentro quel grande progetto che è stato guidato - come crediamo e lo crediamo fermamente - dallo Spirito Santo.

Lo stesso valore hanno, ad esempio, in senso esplicito e specifico le diverse sessioni del Sinodo dei Vescovi, come il Sinodo del 1980 sulla famiglia, quello del 1983 su penitenza e riconciliazione, quello straordinario a venti anni dalla conclusione del Concilio e, poi, quello che si prepara quest'anno sui laici e sulla loro missione nella Chiesa.

Queste iniziative che marcano, che segnano in un certo senso il cammino della Chiesa universale, devono aiutare le Chiese particolari nel loro cammino.

Quando dico le Chiese particolari dico anche e, forse, soprattutto la Chiesa di Roma, come la Chiesa particolare in cui le sue dimensioni - particolare ed universale - si incontrano di più.

Con grande interesse ho ascoltato le voci che venivano dalla nostra odierna assemblea. Queste voci provengono dai miei fratelli nel presbiterato - lo sottolineo sempre e dappertutto: "Vobis sum Episcopus. Vobiscum Sacerdos" -e provengono dai miei collaboratori nell'ufficio della missione pastorale apostolica. Provengono da coloro che devono portare avanti il progetto della Chiesa nell'ultima tappa di questo millennio. Lo devono portare avanti nella dimensione più concreta, più capillare, più fondamentale, che è sempre la dimensione della parrocchia. Dopo tutte le esperienze e le prove dei tempi, la parrocchia rimane insostituibile in questa sua caratteristica. Naturalmente non è l'unica forma di fare la Chiesa nella sua dimensione più concreta; ci sono anche altre forme, altre iniziative, ma tutte devono convergere verso la parrocchia e nella parrocchia.

Carissimi, penso che ciò che voi fate, le vostre cure, sollecitudini, preoccupazioni - che vengono poi portate nella nostra assemblea - esprimono la verità di quell'espressione che ho usato nella mia prima enciclica, "Redemptor Hominis": l'uomo è sempre la strada principale, la via principale della Chiesa.

Nella vostra vita sacerdotale, nel vostro ministero, voi siete sempre vicini a quell'uomo, a quell'uomo che si trova in diverse situazioni e posizioni. Alcuni sono vicini a noi, alcuni partecipano al nostro impegno apostolico - anzi sono di edificazione per la loro partecipazione come laici all'apostolato della Chiesa -, ma altri sono indifferenti, sono lontani, sono anche ostili. Lo vediamo: questa è la situazione della Chiesa a Roma e dappertutto, ma era così anche ai tempi degli apostoli, ai tempi di Gesù, il quale ha incontrato non solamente amici e seguaci, ma anche nemici.

Dico tutto questo per porre ancora in un'altra prospettiva la tematica scelta per l'assemblea di oggi: evangelizzazione, parrocchia, nuove generazioni.

In tutta Europa ed anche in Italia, anche a Roma, sentiamo profondamente il bisogno di una "seconda evangelizzazione". Io non so se è la seconda - forse è la decima, forse la ventesima, non si sa -; ma diciamo "seconda" e possiamo confermare questa espressione. Questa nuova evangelizzazione deve avere due caratteristiche: la prima, deve essere molto ispirata dal Concilio Vaticano II, dal suo insegnamento, dai suoi orientamenti; seconda caratteristica, deve essere indirizzate in modo particolare verso le nuove generazioni. Esse si rendono conto del fatto che sono le vere realizzatrici del Concilio. Ad esse appartiene il futuro della Chiesa e, tramite la Chiesa, dell'umanità, dei paesi, delle nazioni - come la nazione italiana -, delle città - come Roma - alla fine di questo millennio e all'inizio del prossimo.

Nelle vostre considerazioni, nelle testimonianze ho trovato questa visione della problematica e la voglio sottolineare. Voglio ringraziarvi per questa visione. Penso che le nostre annuali assemblee all'inizio della Quaresima diventino, anno dopo anno, più mature.

In questa prospettiva vedo anche l'importanza dell'iniziativa abbastanza recente del Sinodo di Roma, del Sinodo particolare della Chiesa di Roma, che è già cominciato nella sua fase preparatoria o antepreparatoria. Dobbiamo fare uno sforzo non solamente locale - nel senso della parrocchia - ma dobbiamo fare uno sforzo ancora più comunitario, comunionale nella dimensione di tutta la Chiesa di Roma. Dobbiamo fare questo sforzo seguendo la dottrina e Ia visione del Concilio Vaticano II. Dobbiamo fare questo sforzo, andando verso il profondo significato della parola "Sinodo". Sappiamo bene che questa parola greca indica le diverse strade che si incontrano, che si mettono insieme, "Sinodo". Se è vero che l'uomo è la strada della Chiesa, allora queste diverse strade si trovano in un certo senso in ogni uomo, in ogni membro del Popolo di Dio nella Chiesa di Roma. In questa Chiesa è possibile fare un Sinodo pastorale, fare un Sinodo con la partecipazione numerosa di tutti i nostri fratelli e sorelle laici, religiosi, scienziati, professori, uomini di cultura, della tecnica e, naturalmente, sacerdoti e vescovi.

Tutti insieme. E' più difficile fare questo nella dimensione della Chiesa universale, ma la Chiesa universale cresce con ciascuno di questi Sinodi particolari delle Chiese locali.

Questo volevo dire riferendomi a quel Sinodo che ha già cominciato il suo cammino e speriamo che questo cammino sia fruttuoso.

Grazie per questo incontro, per il tanto ricco contributo. Coraggio! Coraggio! Lo dico a voi e lo dico a me, perché il tempo della Quaresima, il tempo pasquale è il tempo che ogni anno ci deve dare di nuovo più coraggio.

1987-03-05 Data estesa: Giovedi 5 Marzo 1987




Ai Vescovi svizzeri in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La comunione all'Eucaristia è, nell'atto stesso, un'affermazione della comunione nella fede della Chiesa

Testo:

Eminenza! Cari fratelli nell'episcopato! 1. Sono contento di rivedervi e vi ringrazio della disponibilità che avete espresso di nuovo in occasione della vostra visita "ad limina". Mi sembra trascorso un brevissimo tempo da quando le vostre diocesi e tutti gli Svizzeri mi riservarono una accoglienza cordiale. A tre anni di distanza mi preme di esprimervi ancora la mia profonda gratitudine. Allora avevate fatto di tutto perché il senso della mia visita pastorale fosse ben compreso dai vostri connazionali e per organizzare lo svolgimento dei miei incontri con i fedeli della Chiesa cattolica svizzera, con le delegazioni delle altre comunità cristiane e con le autorità civili. Zurigo, Lugano, Ginevra, Friburgo, Le Lohn e Kehrsatz vicino a Berna, Sachseln dove sono conservate le reliquie di San Nicola da Fluel, Einsiedeln, Lucerna, Sion: tante tappe che rimangono nella mia memoria.

Sicuramente questa visita non aveva l'ambizione di risolvere da sola i diversi problemi dottrinali e pastorali generati, tra le altre cose, dalle mutazioni culturali che interessano il vostro paese come tante altre nazioni e continenti.

Ovunque e sempre bisogna fare i conti con il proprio tempo. Nondimeno io rendo grazie a Dio: gli incoraggiamenti dati ai diversi gruppi incontrati, e che volevano sostenere i vostri sforzi permanenti di servitori del Popolo di Dio non sono stati senza successo. I vostri fedeli li hanno accolti come una catechesi vivente e hanno rinnovato il loro attaccamento alla Chiesa. Io mi congratulo con voi di aver prolungato l'avvenimento e di averlo mantenuto in uno "stato di attualità", come ha scritto il vostro presidente nella preparazione del bel volume pubblicato dopo il mio viaggio apostolico. Se le vostre diocesi devono ancora progredire per essere più conformi all'attesa del Signore Gesù, unico Pastore, allora non lasciatevi distrarre. Ricordiamoci del brano del Vangelo sulla pesca miracolosa: bisogna ogni giorno gettare le reti.


2. E' per questo che io auguro, in questa visita quinquennale alle tombe degli apostoli, che voi ricolmiate le vostre anime di pastori di nuovo coraggio e speranza. I vostri preti e i vostri fedeli sappiano che voi compite un rinnovato incontro con il responsabile del collegio dei Vescovi e i suoi collaboratori immediati. Al vostro ritorno, come in tutte le altre circostanze opportune, avrete a cuore di aiutare i vostri fedeli, giovani e adulti, a progredire continuamente nella conoscenza del mistero di unità che è la Chiesa di Cristo. Dopo aver ricordato che "il Pontefice romano, come successore di Pietro, è il principio perpetuo e visibile e il fondamento dell'unione che lega tra di loro i Vescovi e la moltitudine dei fedeli", l'enciclica "Lumen Gentium" continua: "I Vescovi sono, ciascuno con la sua parte, il principio e il fondamento dell'unità nelle loro Chiese particolari" (LG 23). E ancora: "Non si deve considerarli come vicari dei Pontefici romani, poiché essi esercitano un potere che è loro per i loro popoli che essi dirigono sono dei capi. così il loro potere non è per nulla eclissato dal potere supremo e universale; al contrario è confermato, rafforzato e difeso da esso" (LG 27).

Questo incontro della visita "ad limina", lungi da essere di carattere amministrativo, è innanzitutto di ordine mistico, riguarda la fede, come il punto più profondo del mistero della Chiesa. Se i Vescovi fanno il punto sulla loro azione pastorale, essi vengono soprattutto per verificare la comunione che da autenticità alla loro missione. Anche san Paolo, saliva a Gerusalemme, con Barnaba e Tito, per incontrare Pietro e Giacomo: "Esponevano loro il Vangelo che predico tra i pagani,... la paura di correre o di aver corso per niente" (Ga 2,2).

Rappresentante di Cristo, successore degli apostoli, il Vescovo non è in effetti il "proprietario" della diocesi che gli è affidata. E' naturale che egli renda conto della sua missione, che sottoponga il suo lavoro ecclesiale al giudizio della Chiesa universale.


3. Al tempo della mia visita i vostri diocesani hanno messo l'accento sui problemi specifici della Svizzera. E' certamente vero che le Chiese particolari sono situate dentro una storia e una cultura che le segnano e di cui bisogna tenere conto. E' un fatto che tutta la Chiesa locale, in Svizzera come altrove, non può pretendere di essere unita e di essere essa stessa generatrice di unità se non intrattiene concreti legami fraterni con le altre Chiese ed in maniera privilegiata con la Chiesa di Roma, sede di Pietro e dei suoi successori. Della necessità di questa unità, essenziale del suo essere Chiesa, testimoniano le lettere di san Paolo e le collette che egli organizzava presso i Corinzi a beneficio delle comunità bisognose, ma ancora le lettere di Clemente di Roma, di Ignazio di Antiochia, di Policarpo di Smirne, di Ireneo di Lione.

Vi spetta inoltre di presentare la supremazia di Pietro in tutte le sue dimensioni, soprattutto perché il suo vero senso non è sempre compreso, anche dagli stessi cattolici. Essa è un servizio necessario alla Chiesa, un punto fisso, la chiave di volta della comunione ecclesiale.

Al fine di contribuire a questa crescita armoniosa del Popolo di Dio, assicurando una presenza familiare dei pastori in mezzo ai fedeli, sono stati nominati due nuovi Vescovi: mons. Martin Gächter, presso mons. Otto Wüst, e mons. Amédée Grab vicino a mons. Pierre Mamie. Io saluto loro molto calorosamente che tra breve diverranno membri del collegio episcopale e li ringrazio di aver accettato questa missione molto impegnativa ma importantissima per la Chiesa.

Auguro loro un servizio episcopale molto fruttuoso.

4. Dai nostri incontri del 1984 e 1985 so che siete specialmente preoccupati per la diminuzione del numero dei preti. Prima di parlarvi della promozione del laicato cristiano, sento il bisogno di incoraggiarvi a vivere molto vicino ai vostri preti. Certo non ignoro il buon lavoro svolto dai vostri vicari generali o Vescovi in questo campo. Ma nonostante essi svolgano la loro missione molto bene, ciò non dispensa il Vescovo dall'incontrare i suoi preti in maniera continua. E' per mezzo di queste adunanze, decanali o zonali, che si crea a poco a poco un'osmosi dottrinale e pastorale tra il Vescovo e i suoi cooperatori. Il clima di semplicità, di amicizia e di preghiera, rispettoso della autorità del Vescovo, permette di trattare problemi delicati che toccano certi punti vitali della dottrina e della tradizione cattoliche. Non voglio riprendere qui i numerosi campi nei quali si esercita il vostro impegno pastorale, come quello dell'approfondimento della fede e della formazione delle coscienze in un contesto di indifferenza religiosa che voi evocate, una presentazione rinnovata del messaggio del Vangelo, l'educazione all'amore, la preparazione al matrimonio e la pastorale familiare, il progresso delle relazioni ecumeniche che a buon diritto sono l'oggetto della vostra preoccupazione. Citero solo due punti particolari: l'ospitalità eucaristica e il sacramento della riconciliazione.

Voi avete pubblicato lo scorso autunno una dichiarazione chiara ed equilibrata sulle condizioni dell'ammissione degli altri cristiani all'Eucaristia.

Non si tratta di una questione che riguarda solo la disciplina della Chiesa.

Questa disciplina in effetti non fa che esprimere un aspetto importante della nostra fede: l'Eucaristia è il cuore della vita della Chiesa; la sua celebrazione non può essere separata dalla professione di tutta la fede della Chiesa. La comunione all'Eucaristia è, nell'atto stesso un'affermazione della comunione nella fede della Chiesa. Questa dimensione ecclesiale dell'Eucaristia fa che per noi la comunione eucaristica sia, normalmente, il segno della comunione ecclesiale. Porre questo segno là dove non esiste questa comunione, specialmente in uno dei suoi elementi fondamentali che è la comunione nella professione di fede, è porre un segno ingannatore. Non è in questo modo che noi potremo progredire verso l'unità.

Non è del resto ciò che abbiamo già detto con i nostri fratelli protestanti nel nostro incontro di Kehrsazt? Il progresso verso l'unità deve sforzarsi di tener conto di tutti gli aspetti e di tutte le esigenze della verità evangelica. E' una via dura e difficile, ma che porta alla luce e alla gioia dell'unità ritrovata.

Quanto al sacramento della riconciliazione, molti seri sforzi sono stati compiuti in molte Chiese particolari perché esso venga celebrato secondo le due forme abituali che comportano la confessione personale delle colpe (cfr. "Reconciliatio e Paenitentia", 32, e Codice di Diritto Canonico, CIC 960-964). Io credo che le vostre diocesi siano in grado di migliorare in questo senso e credo anche al bisogno di rettificare la pastorale della riconciliazione sacramentale, privilegiando evidentemente il tempo della Quaresima e progettando con realismo occasioni sufficienti per il resto dell'anno, specialmente all'avvicinarsi delle grandi feste liturgiche. Che lo Spirito del Signore vi ispiri e vi conceda di operare senza più tardare con umanità e con perseveranza, per una pratica che tenga conto del rinnovamento liturgico, essendo profondamente conforme alla tradizione della Chiesa.


5. Il problema della diminuzione e dell'invecchiamento del vostro clero, al quale io ho fatto allusione, non può trovare la sua soluzione nella sola promozione dei laici, per opportuna che essa sia. Le visite "ad limina" mi fanno comprendere e ammettere lo zelo costante e inventivo dei responsabili delle diocesi. Numerosi sono coloro che danno molto tempo nella pastorale diocesana delle vocazioni, condotta da preti qualificati. Certi Vescovi organizzano degli incontri per gli adolescenti, altri dei pellegrinaggi, altri indirizzano secondo un calendario stabilito per regioni, una lettura personale ai giovani. Ci sono quelli che si impegnano a ricevere gli eventuali candidati che desiderano dialogare con i loro Vescovi. Sono stato ugualmente colpito dall'aver saputo quanti progetti di vita sacerdotale esistano nei gruppi ecclesiastici. Voi vi preoccupate sicuramente di ricorrere al ministero presbiteriale. Cercate ancora le vie migliori per sensibilizzare la gioventù alla necessità di aprirsi alle ricchezze di Cristo e del Vangelo. Molti giovani non mancano di generosità per venire in aiuto ai più bisognosi nel vostro paese o nel resto del mondo. Qui vedo dei giovani svizzeri che servono la guardia del Papa con devozione. Non dubito che su un altro piano numerosi altri giovani siano capaci di consacrarsi al servizio di Cristo nel sacerdozio. Aiutandoli a prendere coscienza delle loro vocazioni voi compite, individualmente e collegialmente, un grande atto di speranza.

E a questi futuri preti di Gesù Cristo date dei seminari la cui identità non possa essere contestata. I miei viaggi apostolici non hanno fatto che confermare la mia fiducia nei caratteri rigorosi dei grandi seminari dove, senza esclusione di certe sistemazioni di ordine secondario, è proposto quotidianamente un impeto ardente e chiaro alla vita spirituale ai candidati al servizio presbiteriale e al modo di vita che esso esige. Essi hanno bisogno di un ambiente veramente adatto a questo scopo con dei preti votati a questa preparazione e anche di maestri, che assicurino loro una formazione filosofica e teologica di buona qualità. Gli allievi sapranno creare nel loro seminario un ambiente familiare, vivace, laborioso e fedele alla preghiera. Possano sentire che, senza paternalismo, i Vescovi hanno una predilezione per i loro seminari! Io non smettero di pregare per questa intenzione.


6. Infine, come non intrattenermi con voi circa la grande speranza che rappresenta il laicato cristiano in Svizzera. Io penso ai vostri numerosi consigli pastorali, ai movimenti di Azione Cattolica, e a molte altre associazioni. Conservo nella memoria le delegazioni presentate nella grande sala dell'Abbazia di Einsiedeln, della loro serietà, della loro espressione schietta, dei loro impegni diversi negli organismi ecclesiastici o temporali. Questi delegati misero in evidenza il numero crescente di uomini e di donne che hanno acquisito una formazione teologica e che si augurerebbero di essere meglio riconosciuti. Affido a voi oggi il compito di esprimere loro nuovamente la mia fiducia, nella speranza che essi condivideranno sempre una visione esatta della Chiesa di Cristo che, secondo la volontà del suo Fondatore, si distingue per la complementarietà armoniosa ed efficace dei suoi membri. Io dicevo ad Einsiedeln: "Noi siamo tutti insieme introdotti nel mistero di Cristo attraverso la fede ed il battesimo, come numerosi rami sono uniti al tronco vero, il Cristo, che ci infonde ininterrottamente una nuova forza di vita". Del resto, la credibilità del Vangelo e l'impatto dell'evangelizzazione sono tributari di questa collaborazione fondata su una sana ecclesiologia, sempre approfondita, vissuta nel dialogo e accompagnata da una preghiera che dovrebbe intensificarsi ancora in molte comunità cristiane.

In mezzo ai vostri laici, che si attendono la vostra presenza, sforzatevi di avere rispetto, capacità di ascolto, di chiarezza dottrinale, di affettuosa fermezza, di incoraggiamento necessario. Bisogna mantenere questi due obiettivi che non sono interscambiabili: da una parte favorire il ruolo di un laicato ben formato e responsabile, agendo in virtù del battesimo e della cresima e talvolta ricevendo una missione precisa; dall'altra assicurare la presenza di sacerdoti in del sacramento dell'ordine. In altre parole: si alla complementarietà, no al livellamento. Spero che il prossimo Sinodo porterà circa tutti questi punti molte chiarificazioni e approfondimenti di ordine dottrinale e pastorale, dando così al Popolo di Dio uno slancio apostolico impregnato di gioia e di speranza.


7. Al termine di questo incontro fraterno vorrei ricordarvi l'avvenimento che voi stessi avete citato: la Confederazione Elvetica celebra, in questo 1987, il 5° centenario del popolarissimo eremita di Ranft, san Nicola da Fluel. Ho avuto la grazia di andare in pellegrinaggio alla Chiesa parrocchiale di Sachseln e di pregare davanti alla cassa che contiene le reliquie. Ho chiesto per il vostro paese l'intercessione di colui che gli svizzeri chiamano "Padre della Patria". Le vostre diocesi organizzeranno presto numerose festività alle quali le autorità civili si assoceranno. Possano essere queste celebrazioni per tutti gli abitanti l'occasione di una riscoperta delle ricchezze della fede, uno stimolo per lo spirito di concordia che caratterizza la vostra confederazione e più generalmente per la promozione della pace tra i popoli. Voi stessi menzionate le iniziative che sono da intraprendere e da portare avanti per affermare la pace, per regolare i problemi dei profughi o di coloro che chiedono asilo, per promuovere la solidarietà con i poveri del mondo, secondo le esigenze economiche che essa implica.

Da parte vostra aiuterete i giovani, le famiglie, gli uomini e le donne impegnati nel servizio del bene comune a comprendere meglio e ad ammirare la santità del vostro compatriota. Il bambino e l'adolescente traspaiono, il soldato pronto a tutti i sacrifici, l'eccellente padre di famiglia, il magistrato coscienzioso, l'eremita tutto votato alla penitenza e alla preghiera, colui che restitui la pace tra le confederazioni in un momento in cui la rottura pareva inevitabile, questi sono tutti tratti seducenti della vita di san Nicola, ancora oggi capaci di elevare l'anima del popolo elvetico. Di tutto cuore mi associo alle vostre feste giubilari e invoco sulle vostre persone, sul lavoro della vostra conferenza episcopale, su ciascuna delle vostre diocesi e sui loro sforzi di evangelizzazione le più abbondanti benedizioni del Signore.

1987-03-06 Data estesa: Venerdi 6 Marzo 1987





GPII 1987 Insegnamenti - Ai movimenti ecclesiali riuniti per il colloquio internazionale